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Fusione nucleare




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Fusione nucleare

Processo nucleare che si ottiene quando, vincendo le forze di repulsione elettrica fra cariche dello stesso segno, due nuclei di elementi leggeri (ad esempio, gli isotopi dell'idrogeno deuterio e trizio) vengono fatti avvicinare sufficientemente da formare il nucleo di un elemento più pesante.

CARATTERISTICHE  
La reazione riesce a realizzarsi perché, a distanze estremamente ravvicinate, diventa importante l'intensità della forza di attrazione nucleare (forza forte), che provoca la fusione dei nuclei: conseguentemente, si ottiene un rilascio di energia, corrispondente alla differenza fra i valori delle masse prima e dopo la reazione. Tale energia solitamente è dell'ordine di alcuni MeV (milioni di elettronvolt). Se il bilancio energetico fra l'energia ottenuta nella reazione e quella spesa per avvicinare i nuclei è positivo, la fusione diventa un metodo estremamente conveniente, non pericoloso e non inquinante di produrre energia elettrica. La fusione nucleare dei nuclei di idrogeno all'interno della materia stellare, ad esempio, è il processo che produce l'energia irradiata dalle stelle e dal Sole. Una reazione tipica di fusione è quella in cui un nucleo di deuterio e uno di trizio si fondono per formare un nucleo di elio, rilasciando 17,6 MeV di energia.

LA FUSIONE IN LABORATORIO  
La prima fusione nucleare artificiale fu realizzata all'inizio degli anni Trenta, mediante il bombardamento di un bersaglio di deuterio, con nuclei di deuterio ad alta energia accelerati da un ciclotrone; tuttavia il bilancio energetico della reazione fu negativo, poiché doveva venire impiegata molta energia per accelerare i nuclei. Un considerevole rilascio netto di energia per fusione fu ottenuto per la prima volta negli anni Cinquanta, nell'ambito delle sperimentazioni sulle armi nucleari da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia. In questo caso il bilancio energetico fu positivo, ma il rilascio fu breve e incontrollato, e pertanto non utilizzabile per la produzione di energia elettrica.

Il principale ostacolo alla realizzazione in laboratorio della fusione nucleare è l'avvicinamento dei nuclei fino a distanze subatomiche.  Attualmente, si distinguono due modi per ottenere tale meccanismo, un metodo dinamico e un metodo statico.

Metodi dinamici  
Nel metodo dinamico, l'avvicinamento ha luogo per urto violento, come accade tipicamente alle molecole di un gas portato ad altissime temperature: questo tipo di fusione viene difatti classificata anche come fusione termonucleare. Nella pratica, il processo si realizza mediante due tecniche di avvicinamento di diversa natura, il confinamento magnetico e quello inerziale.

Confinamento inerziale  
Il confinamento inerziale si basa sulla compressione di una piccola capsula contenente una miscela solida di deuterio e trizio, che, realizzando densità mille volte superiori a quelle tipiche dei solidi, prepara condizioni favorevoli per la fusione. Il processo vero e proprio di fusione viene innescato tramite l'irraggiamento con un intenso fascio laser, che fa prima evaporare la superficie esterna della capsula (con conseguente spostamento rapido verso l'interno della materia contenuta) e poi porta la miscela a temperatura tale da provocare l'implosione. La compressione dura un tempo brevissimo, meno di un milionesimo di secondo, durante il quale si raggiungono densità dell'ordine di 1025 particelle per cm3. Esperimenti di questo tipo sono stati eseguiti, ad esempio, al Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL) degli Stati Uniti. La potenza del laser condiziona la quantità di combustibile che si può portare alla fusione, e di conseguenza l'energia finale ricavata: ecco dunque la necessità, per produrre quantità di energia considerevoli, di disporre di laser di grossa potenza. Un progetto in questo senso è in fase di realizzazione negli Stati Uniti: si tratta della National Ignition Facility (NIF), un'installazione che sarà dotata di 192 fasci laser.

Confinamento magnetico  
Nel confinamento magnetico, un plasma caldo di gas ionizzato viene confinato ad alte densità grazie all'azione di un campo magnetico. Il plasma è contenuto all'interno di uno speciale apparecchio chiamato tokamak, una camera di confinamento a forma toroidale, usualmente con il diametro minore di circa 1 m e il diametro maggiore di circa 3 m (l'invenzione dell'apparecchio, che risale agli anni Cinquanta, si deve a Igor Y.Tamm e Andrei D.Sacharov). A mezzo di un complesso sistema di bobine che circondano il tokamak e di correnti longitudinali indotte nel plasma, si crea all'interno del plasma un intenso campo magnetico, le cui linee di forza, dirette lungo la direzione assiale e trasversale, provocano il confinamento del combustibile. Il combustibile viene mantenuto ad alta temperatura mediante un sistema a radiofrequenza e l'iniezione ininterrotta di deuterio e trizio.

Fino a oggi, con questo metodo si sono riusciti a ottenere discreti successi, promettenti per un futuro sfruttamento del processo su scala  industriale. Nel Tokamak Fusion Test Reactor (TFTR) dell'Università di Princeton, negli Stati Uniti, il plasma è stato confinato a una densità di 1014 particelle per cm3, producendo, per mezzo secondo, 10 MW di potenza. Nuovi esperimenti sono in preparazione: in Inghilterra, il Joint European Torus, a opera di una collaborazione europea, e in Giappone il JT-60U. Il maggiore progetto nel settore, comunque, è la costruzione di un tokamak di 16 metri di diametro, l'International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), che coinvolge l'Unione Europea, il Giappone, la Federazione degli Stati Russi e gli Stati Uniti. Questo tokamak sarà realizzato in materiali superconduttori e garantirà la produzione di un plasma stabile, capace di sostenere la fusione per migliaia di secondi.

L'Italia partecipa a entrambi i progetti ITER e JET. Il programma italiano di fusione termonucleare è coordinato dall'ENEA: presso il centro dell'ENEA di Frascati è operativo il tokamak FTU, per studi sul plasma; presso l'area di ricerca del CNR di Padova è in attività un Reversed Field Pitch, una recente macchina anch'essa concepita per il confinamento magnetico.

Metodi statici  

Per metodo statico si intende un processo di avvicinamento fra i nuclei provocato da un terzo elemento, che non partecipa alla reazione e funge da catalizzatore. Il catalizzatore, solitamente di carica negativa, ha la funzione di modificare la configurazione del campo elettrico nella regione di spazio fra i nuclei, in modo che questi non si respingano più. Il metodo viene realizzato con le due tecniche distinte della fusione muonica e della fusione fredda.

Fusione muonica

 Già oggetto di studio da diversi anni, la fusione muonica utilizza i muoni quali catalizzatori. Particella della stessa famiglia dell'elettrone, ma circa 200 volte più pesante, un muone, sostituito a un elettrone, forma con gli isotopi dell'idrogeno molecole in cui i nuclei sono tenuti molto ravvicinati. Il processo di fusione avviene quindi facilmente, anche a temperature e densità ordinarie.

Le problematiche relative a questo metodo sono dunque essenzialmente relative al bilancio di energia, che deve tener conto del dispendio energetico richiesto per produrre i muoni e lanciarli (mediante un acceleratore di particelle) su un bersaglio gassoso di deuterio e trizio, del numero di molecole "modificate" (molecole muoniche, come si definiscono, DµT), che un singolo muone riesce a formare prima di venire assorbito dall'elio, e dell'energia totale ricavata, ottenuta dal prodotto dell'energia rilasciata in ogni singola fusione per il numero di fusioni provocate da ciascun muone.

Fino agli anni Sessanta, la resa del processo era di circa un millesimo; oggi si aggira intorno a 0,5 e gli sforzi degli scienziati hanno per obiettivo di portarla all'unità. A questo scopo sono in corso numerose ricerche negli Stati Uniti, in Unione Sovietica, in Canada, in Giappone, in Svizzera, in Inghilterra, al CERN e in Italia, presso l'Università di Bologna e nell'INFN.

Fusione fredda

Questo metodo sfrutta la proprietà di determinati metalli (in particolare palladio e titanio) di accettare negli interstizi della loro struttura molecolare i nuclei di deuterio e trizio, favorendone così la fusione. Il metodo viene appunto classificato come "freddo" in quanto non ricorre all'impiego di grosse quantità di energia, come quelle richieste nel riscaldamento ad altissime temperature degli elementi reagenti o nell'accelerazione dei fasci di particelle. 

Pur se situati nella struttura molecolare del metallo, la distanza fra i nuclei degli isotopi dell'idrogeno non è sufficiente a scatenare la fusione: non è dunque chiaro quale sia il meccanismo chimico-fisico microscopico che ingenera il processo. Esistono alcune ipotesi: che si tratti di particolari condizioni di non equilibrio che si creano durante il caricamento del metallo, o della complessa struttura di interazioni subnucleari che si stabiliscono all'interno del reticolo metallico così modificato.


Nel 1989, i chimici Martin Fleishmann e Stanley Pons, dell'Università dello Utah, annunciarono, contemporaneamente al fisico statunitense S.E.Jones, di avere ottenuto il rilascio di una considerevole quantità di calore durante l'elettrolisi del palladio caricato con deuterio. Numerosi laboratori hanno successivamente tentato di ripetere l'esperimento, ottenendo per la maggior parte insuccessi. Quasi tutti i gruppi sperimentali che si sono cimentati con la fusione fredda hanno dovuto ripetere l'esperimento in diverse celle elettrolitiche, più volte, prima di ottenere la produzione di calore: è evidente che agli scienziati sfugge qualche informazione a riguardo della vera natura del fenomeno. La mancanza di riproducibilità dell'esperimento è stato e rimane dunque il fattore che maggiormente motiva lo scetticismo della comunità scientifica nei riguardi della correttezza dei risultati riportati da Fleishmann e Pons.


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