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UN UNIVERSO INFINITO: IL "DE RERUM NATURA DI LUCREZIO
a) L'ANTICA GRECIA: DUE CONCEZIONI DIVERSE
Nell'antica Grecia contro il sistema aristotelico - tolemaico si elevò la dottrina degli atomisti Leucippo e Democrito, ripresa successivamente da Epicuro, che ritennero l'universo decentrato, infinito ed infinitamente popolato.
Purtroppo poco ci rimane della loro opera, anche perché nel Medioevo questa visione del mondo avrà scarsa fortuna a causa delle sue implicazioni religiose.
L'atomismo di Democrito rappresenta, infatti, la prima e radicale forma di materialismo dell'antichità, intendendo per materialismo filosofico la concezione secondo cui la materia (insieme con il vuoto) costituisce l'unica sostanza e l'unica causa delle cose. Connesso a tale materialismo è l'ateismo. Pur ammettendo in qualche modo gli dei, Democrito ritiene che alla base del mondo non vi sia alcuna intelligenza. Tutto ciò che esiste è il frutto del caso e della necessità, nel senso che il cosmo, pur essendo il frutto di cause naturali ben precise, opera al di fuori di ogni programmazione o predeterminazione qualsiasi. Proprio per questo suo carattere, che esclude ogni nozione di fine, scopo, progetto divino, questa dottrina verrà rigettata nel Medioevo, che sarà dominato dalla visione cristiana dell'esistenza.
Rimane, però, a testimoniare questa concezione del mondo, il capolavoro poetico - filosofico di Tito Lucrezio Caro: "Il De Rerum Natura". Infatti Lucrezio si rifà, esplicitamente ad Epicuro, di cui vuole divulgare l'insegnamento.
b) COSMOLOGIA DEL "DE RERUM NATURA"
Punto di partenza del poema di Lucrezio è la spiegazione atomistica della genesi del cosmo, che si basa sul principio che nulla può mai essere creato dal nulla per intervento divino: tutto infatti si origina da precisi semi e a poco a poco cresce con proprie caratteristiche. Nello stesso modo nulla ritorna al nulla: nascita, accrescimento e morte delle cose come di tutto l'universo, derivano da aggregazione e disgregazione della materia eterna, che è costituita da corpi minimi e invisibili.
Gli atomi e il vuoto: il clinamen
E' evidente che esistono cose che non vediamo, ma che percepiamo chiaramente: il vento, gli odori, il caldo, il freddo, il suono, che sono corpi perché agiscono sui nostri sensi.
Esistono dunque gli atomi solidi, ma non tutto è materia: esiste anche il vuoto (inane), intangibile, incorporeo, indispensabile per il movimento.
Nient'altro c'è in natura che materia o vuoto; essi si mescolano e più un corpo contiene vuoto, più è esposto alla distruzione. I corpi primordiali, gli atomi, sono invece solidissimi ed eterni, immutabili e indivisibili (secondo l'etimologia stessa di "a - tomo" che dal greco significa "non - divisibile") per quanto composti di particelle inscindibili fra loro e a loro volta indivisibili.
Quest'ultima caratteristica, attribuita loro da Lucrezio, risale ad Epicuro e non a Democrito. Epicuro ritiene, infatti, che gli atomi, pur essendo fisicamente ed ontologicamente indivisibili, come pensava Democrito, siano in più logicamente e mentalmente divisibili in frammenti o "parti" di grandezza inferiore - i cosiddetti "minimi" - i quali a loro volta, non risultano più divisibili nemmeno dal punto di vista teorico.
Le cose nascono e periscono in conseguenza del moto incessante degli atomi, in un'alterna vicenda di vita e di morte. Urti e rimbalzi continui degli atomi li portano ad aggregarsi fra loro e a fuggire lontano, in un eterno agitarsi di cui ci può fornire un'immagine il pulviscolo atmosferico che vediamo turbinare in un raggio di sole filtrato in una stanza scura. La velocità di quel movimento è grandissima.
Il movimento non può che avvenire dall'alto verso il basso, a causa del peso degli atomi.
L'introduzione del peso risale ad Epicuro e non a Democrito. Infatti, mentre per quest'ultimo gli atomi hanno come proprietà strutturale il movimento (il quale rappresenta un dato originario della materia, che non ha bisogno di essere "dedotto") che li fa volteggiare caoticamente in tutte le direzioni, Epicuro per "spiegare" il moto ricorre invece a peso, il quale fa sì che gli atomi "cadano nel vuoto in linea retta e con la stessa velocità". Da ciò la formulazione di un'idea completamente assente in Democrito: quella del "clinamen".
La teoria del clinamen (termine latino con cui Lucrezio traduce il vocabolo greco parenklisis = deviazione, declinazione) viene escogitata da Epicuro per rendere possibile l'urto degli atomi. Infatti, se gli atomi cadono perpendicolarmente nel vuoto alla stessa velocità, ci si può chiedere perché non cadano sempre lungo rette parallele (ovvero senza incontrarsi). Per risolvere le difficoltà Epicuro parla di una declinazione casuale e spontanea degli atomi dalla loro traiettoria , grazie a cui avviene l'incontro, e perciò l'interazione, fra atomi. Tale dottrina non fu elaborata solo per ragioni fisiche, ma anche (e forse soprattutto) per ragioni etiche. Infatti, una fisica come quella dell'atomismo poteva portare diritto al determinismo e quindi alla negazione di ogni forma di libertà. Invece, l'ipotesi della causalità degli incontri atomici finiva per introdurre, nella realtà, un elemento di indeterminazione e di spontaneità conciliabile (almeno così sembra) con l'agire libero e spontaneo dell'uomo.
Gli atomi, comunque, oltre ad essere caratterizzati dal peso, hanno una molteplicità di forme, (come prova la diversità degli esseri appartenenti ad una stessa specie) ma non infinite, come non può essere infinita la loro grandezza. Infiniti sono invece gli atomi simili fra loro, dato che infinita è la materia nel suo complesso.
Riassumendo, gli atomi di Lucrezio, e quindi di Epicuro, hanno tre caratteristiche: forma, grandezza e peso; Democrito, invece, aveva distinto gli atomi secondo forma, grandezza, ordine e posizione.
Il cosmo infinito e gli dei
Dato che gli atomi sono eterni, tutta la materia è eterna nel suo continuo movimento e tutto sottostà a continui cicli di nascita, decadimento e morte, a seconda che gli atomi si aggreghino o si disgreghino.
Il cosmo, quindi, è nato dalla innumerevole combinazione degli atomi infiniti nel vuoto infinito, per una libera e occasionale inclinazione (il clinamen) della direttrice di caduta del loro moto velocissimo; è destinato a dissolversi, ma gli atomi, incorruttibili ed eterni, principio e termine di tute le cose le cose, daranno origine ad aggregati diversi, in una vicenda che supera i confini dello spazio e del tempo.
Lucrezio, con ragionamento incalzante e varie argomentazioni, insiste sulla necessità di riconoscere l'infinità del tutto, dell'universo come degli atomi che vi volteggiano incessantemente, deridendo chi avanza l'ipotesi che la terra si trovi in una posizione centrale ad esso. L'universo è infinito perché non può avere un'estremità; infatti un'estremità indicherebbe la presenza di qualcosa al di là di esso che lo delimiti; ma questo non può essere. Dovunque ci si collochi, l'universo si stende ugualmente infinito. Lucrezio cerca di evidenziare visivamente questo concetto con il paragone immaginario dell'arciere, che, giunto correndo ai supposti confini dell'universo, scaglia un dardo. Due sono le possibilità: che il dardo voli lontano o che trovi un ostacolo. In entrambi i casi appare evidente che non è stato lanciato dai confini dell'universo, i quali, anche in una corsa infinita, non potrebbero essere raggiunti.
Tutto ciò che non ha una linea che lo circoscriva, non ha un fondo dove la materia possa ammassarsi. Sempre e dovunque le cose si creano in modo eterno e gli atomi si rinnovano nel loro continuo precipitare verticalmente dall'alto verso il basso; materia e vuoto si delimitano a vicenda, ma l'infinito non ha limite e fornisce eternamente materia per rinnovare le cose, attraverso moti, rimbalzi, urti e aggregazioni degli atomi.
Non bisogna credere, quindi, che tutto tenda verso il centro dell'universo. Infatti l'universo, essendo infinito, non può avere un centro, né la materia potrebbe sostare in qualche luogo priva di quel movimento da cui si genera ogni cosa.
Nell'universo, che è infinito, quindi, non è verosimile che nel turbino di atomi in libero movimento non avvengano combinazioni simili a quelle del nostro mondo, e non esistano perciò altre terre, altri cieli, altri uomini, altri animali: Lucrezio sostiene l'esistenza di infiniti mondi popolati come la terra.
E tutto ciò che avviene nell'universo accade naturalmente, senza l'intervento di superbi tiranni: in nome degli dei, che vivono una vita eternamente serena, chi mai potrebbe reggere quest'universo infinito e preoccuparsi di intervenirvi continuamente?
E poiché i mondi sono infiniti, la terra non occupa una posizione privilegiata nell'universo, né tantomeno gli uomini: Lucrezio è sicuro che il mondo non è stato preparato per gli uomini dagli dei. Perché essi che godevano da lungo tempo di serena beatitudine avrebbero ad un certo punto deciso di intraprendere qualcosa a nostro favore? E che favore era per noi nascere? E quale modello avrebbero potuto seguire per creare l'uomo?
Anche ignorando i principi delle cose, Lucrezio, dalla semplice osservazione dei fenomeni celesti, potrebbe dimostrare che la natura non è stata predisposta per noi dagli dei, tanto è colma di carenze. Solo un terzo della terra è adatto alla vita umana, ma anch'esso richiede l'assidua opera di coltivazione dell'uomo, che si vede poi minacciato da intemperie, animali feroci, malattia, morte precoce; il neonato è come un naufrago gettato sulla riva dai marosi, nudo, indifeso. Al contrario gli animali domestici selvatici nascono e crescono senza pene, perché a loro la natura offre tutto ciò di cui necessitano. L'uomo è fragile, una specie tra le altre specie viventi, nei desideri e nelle necessità, nelle difficoltà, nei dolori e nei drammi dell'esistenza. E' debole e vulnerabile -si pensi alle malattie, alle calamità naturali, alla morte- come gli altri animali, e come quelli è di istinto brutale e spietato.
L'uomo è nato dalla terra, cioè dalla materia, e il suo sviluppo è dovuto esclusivamente ai bisogni che via via si presentano: l'età dell'oro, i SATURNIA REGNA, gli interventi divini, non sono altro che belle favole.
Le divinità abitano gli spazi intermundia in sereno distacco dall'uomo e dal suo mondo. Essi sono estranei alla creazione del mondo, che esiste per i suoi intrinseci meccanismi atomici, non è destinato all'uomo (ben lontano dall'essere la creatura privilegiata) ed è soggetto a deperimento e morte come qualsiasi cosa naturale.
In Lucrezio, come negli atomisti, di cui è l'altoparlante, l'origine delle cose è dunque fisica: tutto è corpo, tutto si genera dalla natura, nulla finisce nel nulla poiché la materia è eterna, di cui il principio è l'atomo, che non ha colore, né odore, né sapore, né suono, né calore, né freddo. Quindi la sensibilità si genera dall'insensibilità, l'infinito è dovunque e infiniti sono i mondi che si formano e si dissolvono.
Pertanto la nostra terra come si è sviluppata così inevitabilmente perirà. Gli atomi si uniscono ed è la vita; si scompongono ed è la morte.
Il cosmo non è quindi soggetto ad alcun ordine provvidenzialistico, come invece lo sarà quello di Dante.
La nascita dell'universo
Dal "De Rerum Natura" di Lucrezio Caro, Liber quintus versi 416 - 448
Sed quibus ille modis coniectus materiai
fundarit terram et caelum pontique profunda,
solis lunai cursus, ex ordine ponam.
nam certe neque consilio primordia rerum
ordine se suo quaeque sagaci mente locarunt
nec quos quaeque darent motus pepigere profecto,
sed quia multa modis multis primordia rerum
ex infinito iam tempore percita plagis
ponderibusque suis consuerunt concita ferri
omnimodisque coire atque omnia pertemptare
quaecumque inter se possent congressa creare,
propterea fit uti magnum vulgata per aevum
omne genus coetus et motus experiundo
tandem conveniant ea quae convecta repente
magnarum rerum fiunt exordia saepe,
terrai maris et caeli generisque animantum;
Hic neque tum solis rota cerni lumine largo
altivolans poterat nec magni sidera mundi
nec mare nec caelum nec denique terra neque aer
nec simili nostris rebus res ulla videri,
sed nova tempestas quaedam molesque coorta
omne genus de principiis, discordia quorum
intervalla vias conexus pondera plagas
concursus motus turbabat proelia miscens,
propter dissimilis formas variasque figuras
quod non omnia sic poterant coniuncta manere
nec motus inter sese dare convenientis.
Diffugere inde loci partes coepere paresque
cum paribus iungi res et discludere mundum
membraque dividere et magnas disponere partis,
hoc est, a terris altum secernere caelum,
et sorsum mare, uti secreto umore pateret,
sorsus item puri secretique aetheris ignes".
("Come fu che da un cieco accozzo di atomi
nacque la terra e il cielo e il mare profondo
e il sole e la luna e il loro cammino
adesso ti spiego. Gli atomi certo
non si disposero in ordine
né per volere né per fisso disegno
né s'accordaron fra loro sui moti,
che avrebbe ciascuno impresso al suo corso.
Ma in mille maniere da tempo infinito
muovendosi, gli atomi urtati da colpi
e spinti e portati dallo stesso lor peso,
in mille maniere si unirono
tentando, aggruppati, forme di vita:
accadde così che agitati nel tempo,
provando ogni specie d'incontro e di moto,
pervennero infine a quel nesso improvviso,
a questa che fu la materia dei mondi,
cioè della terra e del mare e del cielo
e del genere umano e animale.
Il disco solare che incendia volando lo spazio
prima d'allora non c'era.
Il mare, il cielo, la terra, l'aria, le stelle
non c'erano: neppure una cosa di queste
che sono nel mondo. Ma un turbine uniforme
batteva il vuoto degli atomi, ne urtava
l'intreccio, i colpi, i pesi, i moti compatti:
come guerra discorde corpi sbandati
mischiava chiudeva le soste, le vie
a impossibili eventi: finché
da quel turbine irruppe una massa distinta
e il mondo si aperse:
il cielo si alzò sulla terra, il mare
si estese disciolto dagli atomi d'acqua,
i fuochi fissarono in alto i muti splendori")
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