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Appunti scientifiche |
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Un giorno senza un sorriso è un giorno perso
Sorriso: riso leggero, appena accennato: sorriso dolce, amabile, mesto, malinconico; sorriso di gioia, sdegno, compassione, fare, abbozzare un sorriso; avere un bel sorriso; Avere sempre il sorriso sulle labbra; avere un sorriso per tutti.
Riso: dimostrazione di ilarità, di allegria, o, talvolta, di scherno.[.] il riso fa buon sangue.
Sono partito dall'idea che, per quanto difficile fosse, il modo migliore per iniziare il mio esame e - spero - la mia vita sia con un:
E questo e' il tema sul quale ho impostato il mio lavoro, basandomi non gia' sulla vita degli autori o sulla specificità dei fatti, ma sugli effetti e le emozioni che il loro pensiero mi hanno trasmesso e le note distintive di un accaduto.........
Il primo ''sorriso'' sul quale ho intenzione di porre attenzione è del tutto naturale, perché è il sorriso enigmatico, e affascinante, della luna. L'unico satellite, appunto naturale, non gode di luce propria, ma è costituito di materiali solidi che riflettono la luce del sole. Ha forma pressoché sferica, caratteristica non comune almeno nel nostro sistema solare (potrebbe definirsi sistema terra-luna, quindi bi-planetario), raggio ¼ di quello medio terrestre, e massa corrispondente ad 1/81; la densità della roccia è leggermente maggiore di quella terrestre, sebbene quella totale sia inferiore alla densità della terra. Sulla superficie lunare possiamo notare l'assenza di atmosfera gassosa, che porta a diverse conseguenze, quali l'assenza di fenomeni crepuscolari (alba,tramonto), per cui l'alternanza tra giorno e notte è molto brusca, e il cambiamento repentino e considerevole delle temperature (si passa dai 110° il dì e -150° la notte),e idrosfera, causa evaporazione costante e bassa velocità di fuga; possiamo, inoltre, osservarne la scarsa luminosità, anche nelle fasi dette di ''luna piena'', in cui solo il 7% della luce solare viene riflessa mentre il restante 93% viene assorbito e poi espulso per irraggiamento (sempre a causa della mancanza di atmosfera).
Come
la terra, anche la luna compie i movimenti di rotazione, di rivoluzione e,
insieme alla terra, quello di traslazione. Il moto di rotazione lunare è molto
lento - poco più di 27 giorni - effettuato nello stesso senso della rotazione
terrestre. La rotazione non è uniforme, data la forma ellissoidale e
l'attrazione della terra, che provoca lievi oscillazioni, dette librazioni; grazie
a queste librazioni e a quelle dette apparenti, dovute a fattori come lo
spostamento della terra nello spazio e il punto da dove la ammiriamo, riusciremo
a scorgere circa il 59% del suolo lunare. Il moto di rivoluzione implica,
invece, il movimento della luna intorno alla terra: esso si effettua in senso
antiorario se lo osserviamo dal polo nord celeste. Come anche la terra (ma
ovviamente nei confronti del sole), la luna non si trova sempre alla stessa
distanza dal pianeta attorno a cui ruota: il punto più vicino, detto perigeo, è
a
Sebbene la luna ci rivolga sempre la stessa faccia, le condizioni di illuminazione non sono sempre le stesse, a causa del moto che essa compie intorno alla terra e nei confronti del sole, che, la illumina. Possiamo schematizzare quattro fasi lunari principali: quando la luna si trova dalla stessa parte del sole l'emisfero a noi rivolto non sarà illuminato, e avremo così la fase di novilunio (durante questa fase la superficie lunare non sarà totalmente oscurata poiché la terra riflette i raggi solari su di essa, che li riflette tenuemente indietro); quando la luna si trova a formare con la terra e il sole un triangolo rettangolo ideale si individueranno due fasi distinte nominate primo e ultimo quarto, durante le quali la metà che vediamo verso di noi sarà illuminata; l'ultima fase, detta plenilunio, corrisponde al fenomeno della ''luna piena'', e si ha quando la luna si trova in opposizione al sole rispetto alla terra. Sorge spontanea la domanda: se la luna si trova in opposizione al sole, e quindi dall'altra parte della terra, come fa ad essere illuminata? La risposta è data dall'inclinazione del piano dell'orbita lunare rispetto a quella terrestre: quando la luna si trova infatti in fase di plenilunio, avrà rispetto alla terra un'inclinazione tale che possa essere illuminata dai raggi solari. Questa risposta sposta l'obiettivo sulle eclissi. Innanzitutto la risposta alla precedente domanda deve essere completata dalla definizione della cosiddetta ''linea dei nodi'', che corrisponde ad una ideale linea di intersezione dei piani lunari e terrestri, che evidentemente non sono paralleli, altrimenti le cause sarebbero frequenti oscurazioni lunari o di una porzione di superficie terrestre nelle fasi rispettive di plenilunio e novilunio. Le eclissi possono essere lunari o solari, parziali o totali a seconda della posizione dei due corpi: le eclissi di luna si verificano quando la luna si trova in uno dei nodi (o in prossimità, considerato che il cono d'ombra della terra molto più ampio delle dimensioni della luna) durante la fase di plenilunio, poiché il nodo corrisponde al punto di intersezione col piano orbitale della terra, per cui terra e luna si troveranno allineate. Le eclissi lunari sono spesso totali e si possono osservare da tutti i luoghi in cui la luna si trova sopra l'orizzonte. Le eclissi parziali sono meno frequenti e per essere definite tali devono essere interessati i ¾ della superficie: queste saranno visibili qualora la parte di penombra che si allarga dietro la terra investe la luna. Le eclissi solari si hanno durante la fase di novilunio, più precisamente quando la luna è su uno dei nodi: in questo caso si ha una situazione di eclisse totale quando la luna è particolarmente vicina alla terra, e può essere vista come totale solo in una porzione ristretta di superficie terrestre (mentre le altre zone investite dalla penombra hanno solo la percezione di un'eclisse parziale). Particolare rilevanza hanno poi le eclissi anulari di sole che si verificano quando la luna si trova in uno dei nodi alla massima distanza dalla terra (apogeo): l'effetto anulare sarà dovuto alle dimensioni notevolmente minori del satellite terrestre rispetto alla grandezza del sole, che oscurerà solo la parte centrale della Stella, lasciando appunto un ''anello'' luminoso in vista.
Grazie alle moderne apparecchiature sismografiche, si è scoperto che la luna ha un'attività ridotta ma non assente. I terremoti lunari possono avere cause diverse: frane, assestamenti della crosta, altri motivi spiegabili con l'influenza dell'attrazione terrestre, come succede con le maree sulla terra.
Nella esistenza di questo corpo celeste sono stati individuati sei stati fondamentali:
1) l'origine della luna, con quattro diverse ipotesi: a) la fissione darwiniana, per la quale un tempo la terra ad uno stato fuso ruotava molto velocemente, così da potersi scindere in due corpi a causa dell'azione gravitazionale del sole, che avrebbe prodotto maree sempre più frequenti fino alla scissione di una parte di materiale terrestre. Se in un primo momento questa teoria riscosse molte adesioni venne in seguito abbandonata per essere poi ripresa e ritrattata: la nuova teoria spiega che alla formazione del nucleo con materiale più pesante, la terra aumentò la velocità di rotazione con conseguente fissione di quel materiale che sarebbe diventato un nuovo corpo celeste. Questa teoria spiegherebbe la minore densità della luna rispetto al suo ''pianeta d'origine'', sebbene resti da risolvere il problema dell'inclinazione dell'orbita lunare; b) l'ipotesi della cattura, secondo alcuni infatti la luna viaggiava liberamente nel sistema solare, sarebbe poi giunta molto vicina alla terra tanto da esserne attratta. Questa seconda teoria ammette un'improbabile diminuzione della velocità lunare, che, però, potrebbe essere stata causata dalla dissipazione dell'energia dovuta all'attrito delle maree. Rispetto alla teoria della fissione questa spiegherebbe il dilemma sulla diversa composizione della terra, sebbene abbia diversi punti ancora da risolvere per essere accettata come vera; c) la formazione per accrescimento, che non esclude l'ipotesi di una specie di ''cattura'' dopo la genesi, dovuta ai materiali diversi che erano in orbita intorno al nostro pianeta; d) infine la teoria dell'impatto, in cui studiosi ricondurrebbero la creazione della terra ad un impatto violentissimo con un corpo di enormi dimensioni (teoria che si è fatta strada specialmente dopo le missioni Apollo);
2) la separazione della primitiva crosta lunare, avvenuta all'incirca 4.5 miliardi d'anni fa;
3) la prima epoca vulcanica, durante la quale con gigantesche eruzioni si sono formate le brecce, particolari rocce presenti sul suolo lunare;
4) il bombardamento meteoritico, periodo quasi contemporaneo alla prime eruzioni;
5) la seconda parte dell'attività vulcanica, mentre il bombardamento meteoritico andava diminuendo la fuoriuscita di lava dai bacini scavati dall'impatto dei meteoriti creava solidificandosi i basalti, presenti anche nella crosta oceanica terrestre;
6) la quiescenza: mentre l'attività vulcanica è ormai terminata e i bombardamenti meteoritici sono diminuiti lo spessore della crosta lunare è aumentato in maniera tale che le fratture non possano più manifestarsi. Dopo un periodo d'attività durato circa 4 miliardi di anni la luna può considerarsi oggi un corpo morto.
L'ultima parte riguarda la luna vista in superficie, ai giorni nostri. I mari lunari sono distese ampie e piatte di polvere, cenere e detriti di provenienza incerta, che si differenziano in frammenti di rocce magmatiche simili a quelle terrestri, frammenti di sostanza vetrose e sferule tondeggianti ma che rientrano nel gruppo denominato regolite. Al passaggio in prossimità dei mari, i satelliti artificiali subiscono delle perturbazioni dovute probabilmente ad un maggior effetto gravitazionale: queste aree sono dette mascon (dall'inglese mass concentrations).
La
''faccia'' a noi rivolta si presenta con il 70% di terre alte, o altopiani (sebbene
la struttura non sia uniforme), che sulla superficie totale ricoprono quasi l'80%;
i rilievi possono arrivare a
In a period when there was the so-named cold war, characterised by conflict without arms, the two presidents of Usa and Urss, J.F. Kennedy and Nikita Kruscev and their runners, tried to overcome the opposite nation with innovations or technological inventions. So years by years they spent money and money especially for space's industry : in 1961 was launched the first man in the universe, Yurij Gagarin, and the supremacy of Urss seemed to be absolute: there was of course the perfect way to show to the world the strength of a winning economical model. The American answer was ready, and just 8 years later, Neil Armstrong and other two spacemen get the first moon landing on the Eagle with mission named Apollo 11. At the 20.17 of the 20th of July the Eagle (so named because this bird is the image of united states) had the lunar landing, but only at 2.56 Armstrong made his descent to the moon's surface and is remembered because he said a famous line 'That's one small step for a man, one giant leap for mankind'. All the world could see the magnificence and the greatness of the moon in tv and spacemen took photos of the moon land. But is this the real story of the moon landing? Is man really arrived on moon surface? Or is it just a film? Some people studied photos of the great conquest and demonstrated those are just a fake, due to the will of Usa to be superior on Urss and distract people from Vietnam war:
1. We know Armstrong was the first man that take the first step on the moon. So who took the photo? A robot? Then there is no atmosphere on the moon and the contrast between black and white is clean: so
why the gloom?
2. if the sun shines all with their rays why behind this spaceman in the sky is all dark?
3. Who took this photo if the spaceman on the moon were just 2?and why the men's shades are not parallel and one is littler then the other?
4. why the spacecraft ''legs'' are not full of powder? And why the rocket didn't produce a hole in the moon land? Above all why we can't see any star in the sky? without atmosphere we should see the milky way too.
At the end the moon landing is justified for Us supremacy, and of course the smile represents the success of America against Soviets. Although there are many reasons to believe the moon landing is not true, people like dreaming. So let people dream..
Il popolo romano, sebbene di grande cultura e magnifica storia, riuscì negli anni del suo glorioso impero a portare alle massime espressioni forme di ingegneria, arte, e tecnica che però avevano ereditato dalle genti confinanti prima o poi inglobate. Di loro iniziativa inventarono ben poco, sebbene poi andarono in giro orgogliosamente dicendo: ''Tota nostra est''(Quintiliano). Si parla ovviamente della satira (letteraria), genere letterario talmente nuovo che i romani non furono mai del tutto consci nemmeno del significato etimologico: il termine può essere collegato alla satura lanx, vassoio di cibarie differenti in offerta agli dei, o all'aggettivo satura, che indica un ripieno di condimenti, oppure alla lex satura, proposta di legge che faceva riferimenti ad argomenti scollegati tra loro, o magari ai satiri, figure mitiche caratterizzate da un comportamento burlesco. Il termine sembra così ricondurre alla varietà, che si riscontrerà poi con i temi trattati, e alla spiritosaggine, spesso aggressiva. La storia della satira appare così delineata: un primo periodo in cui scrittori come Ennio trattavano una vastità di temi, passando dal serio al faceto con estrema semplicità; Lucilio, che getterà le reali basi su quella che sarà la vera e propria satira letteraria latina (varietà tematica, aggressività spesso ad personam , fine educativo-riflessivo); e l'età augustea, durante la quale si avrà la possibilità di trattare temi critici anche rispetto al potere (la repubblica consentiva una certa libertà di scrittura per fattori molto importanti: SPQR, la famosa sigla Senatus PopulusQue Romanorum, implicava una certa importanza del senato anzitutto, che aveva molti poteri, e certamente del popolo, che, data l'esistenza di cariche annuali, aveva la facoltà di eleggere i propri rappresentanti), e in cui maggior esponente è Orazio, che avrà l'abilità, con il suo labor limae, di elevare ad un linguaggio medio il lavoro precedente svolto da Lucilio (che sarà criticato per il modo di scrivere); infine l'età imperiale, in cui senato e popolo avevano ormai perso il proprio potere e la loro importanza (divenne senatore un cavallo, mentre il popolo fu tenuto lontano dalle questioni politiche con giochi e spettacoli), caratterizzata dalla ''persecuzione letteraria''. I letterati non erano certo stupidi, e sapevano che una parola contraria al potere li avrebbe condannati alla morte: trovarono così diversi modi di operare nell'epoca imperiale.
Seneca
visse un'esperienza di vita difficile: nell'anno
Il contesto politico non sembrava dei migliori poiché Agrippina era ancora molto vicina al potere, ma basti pensare che fu lei stessa a favorire l'ascesa al trono del figlio servendo all'ormai ex marito funghi velenosi.
Persio fu forse il più grande ed importante autore di satire in epoca imperiale: ne scrisse 6, spazianti dai malcostumi dell'epoca alla filosofia, dallo stoico modello alla ricchezza. Lo stile si presenta ''anticlassico'' dalla forzatura del linguaggio (sempre dialogico, riprende il modello oraziano) e da metafore impavide, passaggi logici e grotteschi quadretti: al linguaggio familiare si accosta una raffinatezza stilistica e lessicale, forse perché era consapevole di dover diffondere un messaggio morale e di riflessione. Sebbene parte dei suoi scritti fu censurata ed eliminata per gli aggressivi e diretti attacchi all'imperatore, nell'opera di Persio si può distinguere il prologo (o epilogo), in cui esplica quella che sarà la sua poetica, non condita da sogni divini o investiture di divinità protettrici nè con la pretesa di diventare poeta-vate (portatore di verità), non comune alla letteratura del tempo, in grado di ricevere applausi solo grazie alla raffinatezza esteriore. Questo sarà anche il tema della prima satira, nella quale alla fine esprimerà la necessità di ''parlare'', ossia mettere a nudo la società. Passa poi ad esaminare una religiosità che punta all'interesse proprio dell'uomo, dalla ricchezza alla salute, fino all'augurio per la morte di un parente ricco per poterne evidentemente ereditare la proprietà. La terza e la quarta satira trattano argomenti intrecciati tra loro: prima vengono illustrati i vantaggi nel dedicarsi alla filosofia in un quadro originale in cui un uomo ubriaco viene esortato a cambiare vita -ma lo stesso prima teme per la propria esistenza e poi ricomincia a bere e mangiare a più non posso-poi ad allontanarsi dalla politica per dedicarsi alla contemplazione di se stesso, per continuare a cercare quella saggezza che sta perdendo pian piano; infine si diverge sul cattivo comportamento della gente che giudica gli altri, invece di fare un esame di coscienza. Le ultime due satire fanno riflettere sulla libertà morale - intesa come indipendenza da quelle passioni e quei vizi che ostacolano l'uomo nel raggiungimento della saggezza stoica- e sulla ricchezza, che induce gli uomini a comportamenti riprovevoli (il quadro ironico del vecchio ricco che non si concede un ''lusso'' nemmeno al suo compleanno e il giovane ereditiere che aspetta bramando la morte del vecchio e ne rimprovera ogni minima spesa, rappresenta il modo più diretto per evidenziare i comportamenti umani). Politicamente, Persio si trovava in un contesto che pian piano andava evolvendosi: dopo una prima parte di ''regno illuminato'' l'uccisione della madre Agrippina e l'allontanamento di Seneca e Burro, con conseguente avvicinamento di Tigellino, frenarono gli intenti positivi dell'allora giovane Nerone, che cambiò il suo modo di regnare: possiamo ricondurre solo al cambiamento non radicale ma graduale della politica neroniana e quindi all'incoscienza di Persio l'impegno assiduo in un genere che avrebbe potuto portarlo alla morte.
Con una società sempre più corrotta e degradata, la satira raggiunse l'apice con il poeta Giovenale. La scelta del genere satirico appare obbligata (''difficile est saturam non scribere'') dal dilagare di vizi sempre più presenti in un popolo che si avviava al declino, politico e sociale; gli imperatori d'altra parte, esercitando il controllo totale, non permettevano un attacco diretto al potere, motivo in più per evitare una morte certa, sorvolando apparentante sul presente. L'autore d'origine laziale per ovvi motivi di prudenza si troverà così a trattare ironicamente argomenti di un passato recente (come altri suoi amici letterati), tali da proiettare i problemi cronologicamente nel suo presente. È importante sottolineare che Giovenale non ha radici filosofiche, non prenderà così ad esempio i suoi ideali, ma si ispirerà alla tradizione morale romana con un atteggiamento altamente conservatore (saranno presi di mira i ricchi, i ''diversi'', le donne e la nobiltà che si disinteressa dell'arte) ed aggressivo che farà pensare ad un risentimento personale più che ad una messa in luce oggettiva della società. La sua aggressività, che sarà alla base della poetica, potrebbe infatti dipendere dalla sfortunata esperienza biografica causata da un mancato aggancio ad un potente padrone, che potesse garantirgli sostentamento. I suoi 5 libri di satire trattano tutti gli argomenti con una spiccata indignatio: la satira è la sola forma letteraria adatta ad esprimere lo sdegno dell'autore (''si natura negat, facit indingnatio versus''), che vede lo sfacelo morale dei suoi tempi, laddove i suoi coetanei vedono l'approssimarsi di una nuova 'età dell'oro' dopo la buia epoca di Domiziano; mentre però Persio credeva nella capacità umana di risollevarsi dopo un periodo buio, Giovenale critica aspramente senza nemmeno cercare di proporre correttivi. Questo astio sociale, che in un primo momento può sembrare oggettivo, richiama la sua condizione di cliens emarginato: un poeta, diventato tale dopo una carriera sfortunata da avvocato, che non riuscirà mai ad affermarsi veramente nel panorama letterario romano. Sotto il profilo linguistico e stilistico la svolta di Giovenale: da un lato egli saprà sfruttare a pieno gli insegnamenti di Quintiliano (''da, Quintiliano, colorem''), proponendo un linguaggio ''aulico'' rispetto al sermo familiaris a cui eravamo stati precedentemente abituati, perdendo così il gusto del vero e proprio comico ridicolo, dall'altro il suo realismo sarà così esasperato da annullare quasi la componente satirica, dipingendo i personaggi delle sue satire come dei mostri dai quali è meglio fuggire. L'unica satira che si differenzia realmente dagli argomenti in precedenza trattati dagli altri autori è quella sulle donne: Giovenale presenta all'amico Postumo, destinatario della satira, una serie di ritratti femminili, ovviamente negativi, che dovrebbero far desistere l'amico dall'intenzione di prendere moglie: mogli infedeli, disposte finanche a prostituirsi, avide di ricchezze o sicure di sé, ma anche tutte coloro che non rispettavano i canoni della matrona repubblicana.
Uno degli ultimi autori romani studiati nell'epoca imperiale è Marziale, che fece dell'umorismo l'arma tagliente con la quale mettere in risalto il comportamento umano (i componimenti di Marziale tratteranno sempre la realtà, ''hominem nostra pagina sapit''). Sempre convinto che l'epigramma potesse diventare un genere letterario a sé stante (cosa che peraltro riuscì a fare), scrisse circa diecimila versi: mentre alcuni (liber de spectaculis) celebrano l'imperatore per la costruzione dell'anfiteatro flavio (ricordiamo che Marziale ebbe sempre ottimi rapporti con il potere, e non mancò di elogiare coloro i quali gli permettevano di svolgere liberamente l'attività) o servono per essere regalati durante banchetti e feste (xenia e aphophoreta), altri senza alcun pregiudizio moralistico attaccano sfacciatamente vizi e debolezze umane, comportamenti inadeguati o avversari letterari, senza mai tralasciare quel pizzico di umorismo con il quale riesce ad affrontare, con magistrale destrezza, qualsiasi tema. La peculiarità fondamentale dell'umorismo di Marziale sta nel fulmen in clausula, metafora di una battuta piacevole che disorienta il lettore, lo sorprende anche dopo un testo di raffinata eleganza, ma solo nella parte finale dell'epigramma. Possiamo individuare in Marziale una duplice finalità realizzativa: mentre, da una parte, mette in risalto comportamenti e vizi senza alcun pudore (tant'è che verrà definito volgare, ma saprà difendersi distinguendo poesia e poeta, ''lasciva est nobis pagina, vita proba''), inducendo l'uomo al semplice riso (quindi l'ironia), dall'altra parte il suo era un modo per far riflettere sulle condizioni del tempo (quindi l'umorismo): una Roma ormai malandata e indebolita da un impero così grande da essere quasi incontrollato, stava sempre di più perdendo il suo potere e la sua moralità. Marziale cercherà di far riflettere l'uomo sulle condizioni in cui vive, ma forse a causa del suo continuo voler far ridere, o magari perché gli uomini del tempo plaudivano solo gli elogianti, non ci riuscirà mai pienamente, lasciando intendere che i suoi epigrammi fossero solo uno sfogo personale contro la società e niente di più.
La componente del ridere negli ultimi argomenti trattati è chiara: in epoca romana, a meno che non si parli di età repubblicana, fare ridere era l'unico modo per portare a riflettere sulle problematiche del tempo; una riflessione che forse, avrebbe giovato allo stesso popolo Romano.
Con
il ''nuovo corso'', gli Stati Uniti
d'America e tutto il popolo americano ritrovarono il sorriso dopo un periodo
economicamente depresso: la crisi del 1929 aveva infatti recato un danno
ingente al nuovo continente, portandolo ad
una recessione economica senza paragoni. Ma andiamo per gradi. Negli anni '20,
la produzione statunitense conobbe una crescita sproporzionata, tale da introdurre
per la prima volta la produzione di massa, e le politiche repubblicane
sembravano favorire il commercio con interventi a favore degli investimenti, ma
contro i ceti più bassi e poveri. Sperando in ricchezze facili e veloci, gli
americani investirono in borsa i propri guadagni, acquistando (e prendendo in
prestito) azioni che sarebbero state rivendute poco dopo; mentre le fasce
povere continuavano ad esistere, problemi come l'aumento di salari non pari
all'aumento di produzione, l'impossibilità di cambio frequente dei beni
durevoli e i successivi crolli in borsa (si ricordino il giovedì e il martedì
nero) produssero effetti a catena tali da aumentare disoccupazione e
diminuzione della liquidità. Dopo i ''ruggenti'' anni '20, si affacciava alla
porta degli Stati Uniti il primo vero problema, che sarebbe poi divenuto
la prima dimostrazione vera del potere
statunitense. Per la cronaca, anche altri paesi, economicamente vicini e aiutati
dagli Stati Uniti, quali Gran Bretagna, Francia, Italia e specialmente Germania, subirono una flessione che causò
anche rivoluzioni del sistema politico (si veda
L'arte del ridere riflettendo sposa
in pieno il progetto Dada. Tendenza, e non movimento, nata dalla protesta contro
la prima guerra mondiale, accomunava tutti gli esponenti per due importanti
fattori, entrambi legati alla guerra: la volontà di fare arte anche in questi
momenti sicuramente non felici e la necessità di sfuggire all'arruolamento. Trovò
posto in quel piccolo stato del centro Europa,
Come già accennato, uno dei movimenti successivi al Dada è il Surrealismo, pura arte psichica, che sarà indirizzata dalla scoperta dell'inconscio di Freud, manifestata in vario modo. L'artista Magritte sfrutta le sue conoscenze artistiche e letterarie per la creazione di un quadro apparentemente contraddittorio e ironico, ma, nei fatti, di profonda riflessione: l'uso della parola. Il quadro prende di mira una delle convenzioni estetiche più antiche, quella secondo cui il pregio di un'opera starebbe nel rappresentare nel modo più illusionistico possibile la realtà. Magritte avverte lo spettatore che ciò che è rappresentato è, appunto, solo rappresentato, come sono rappresentazioni una parola o un pensiero; l'arte non copia la natura né, tanto meno, la ricrea. La pittura infatti è un linguaggio convenzionale esattamente come la scrittura; quel che è raffigurato con mezzi pittorici è un ragionamento e non un'emozione, lo straniamento del pensiero di fronte alla negazione di qualcosa che si dava per scontato. In questo quadro, è importante il rapporto visione-linguaggio: l'oggetto rappresentato non corrisponde infatti all'oggetto reale. Esaminando il quadro, notiamo subito nella parte superiore una pipa e, sotto, una apparentemente equivoca scritta, con caratteri scolastici in francese: Ceci n'est pas une pipe (questa non è una pipa). Questa contraddizione crea uno stato di shock e riso, ma se si riflette sull'opera, si capirà bene che l'oggetto è solo rappresentato. La peculiarità di Magritte nel panorama artistico del suo tempo è la veglia, contro l'usuale rappresentazione inconscia (e quindi del sogno) degli altri artisti surrealisti: una veglia fin troppo vera, nella quale gli oggetti accomunati fra loro avranno una nitidezza di colori e linee che ce li farà sembrare più veri del vero.
Alla base della visione pirandelliana del mondo vi è una concezione vitalistica: infatti, secondo questa idea, la realtà tutta è "vita", "perpetuo movimento vitale", inteso come flusso continuo, come lo scorrere di un magma vulcanico. Tutto ciò che si stacca dal flusso, per Pirandello, assumendo forma distinta e individuale, si irrigidisce e comincia a morire. L'uomo è parte indistinta dell'eterno fluire della vita, ma tende ad assumere forme individuali; non solo un individuo si dà una "forma", ma anche gli altri, vedendolo ciascuno dalla propria prospettiva. Pertanto, si crede di essere "uno", mentre si viene concepiti come tanti individui diversi. Questa frantumazione dell'io è un dato molto importante, poiché nel Novecento entrano in crisi l'idea di una realtà oggettiva, organica, definita, e il soggetto forte, coerente. L'io si disgrega, si smarrisce e questa crisi dell'idea di identità risente delle mutazioni in atto nella realtà contemporanea. L'idea classica dell'individuo creatore del proprio destino ora tramonta: l'individuo, infatti, non conta più, si indebolisce, e diventa nessuno.
L'avvertire di essere "nessuno" provoca nell'uomo un senso di angoscia e orrore, generando un senso di solitudine. Pertanto l'uomo "si vede vivere", si esamina dall'esterno, imponendo una sua maschera, una sua parte. Tutte queste forme sembrano vere e proprie trappole, come un carcere, e in questo contesto Pirandello pensa che la società sia come un'enorme "pupazzata", una costruzione fittizia che impoverisce l'uomo. Le maschere di tutti gli uomini tendono a creare così una differenza fra "persona" - ossia essere umano cosciente di sé, con personalità intera e coerente, fondata su passione e ragione, insomma integrità dell'individuo - e "personaggio", che recita una parte a seconda dell'esigenza, per le convenzioni che sono imposte in ogni contesto. Questa duplicità dell'essere umano evidenza il contrasto fra forma e vita: la forma è quell'insieme di regole e convenzioni che l'uomo si dà per credere che la vita abbia un senso; egli organizza la propria vita secondo questi certi parametri e quindi non vive più in quanto integro, ma è cangiante secondo necessità. Si intersecano così maschera e forma, poiché la maschera diventa la parte recitata e la forma la determinazione della maschera per tutta la vita. La forma blocca lo slancio vitale, che è alla base dell'esistenza umana. Qualsiasi personaggio ha davanti a sé due scelte: la prima è quella di vivere nell'ipocrisia e nell'adeguamento alle forme, la seconda, vivere consapevolmente e autoironicamente la distinzione tra forma e vita, che, inevitabilmente, porta ad avere una visione della vita piuttosto che a vivere la vita. Da qui scaturisce la riflessione, che sarà sempre alla base dell'umorismo, e sarà carattere distintivo della poetica pirandelliana. L'esempio più famoso sulla riflessione umoristica è il seguente: << Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s'inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico>>. Pirandello, dunque, sottolinea la differenza fondamentale tra i diversi modi di fare ridere, il comico e l'umoristico: nel comico, il riso scaturisce da semplice avvertimento del contrario, poiché, appunto, quella situazione o quell'individuo sono il contrario di come dovrebbero essere; nell'umorismo si cerca di andare oltre l'apparente motivo del riso con la riflessione, dalla quale nasce il sentimento del contrario (che è superamento del comico attraverso il comico): riflettendo infatti sulle ragioni per le quali una situazione o un uomo sono il ''contrario''di quel che dovrebbero essere, al riso subentra un sentimento amaro, corrispondente quasi alla pietà. Questa concezione del riso si differenzia anche dalla satira e dall'ironia: nella satira, con la riflessione cesserebbe lo sdegno, ossia l'avversità alla realtà che ogni satira propone (nelle satire, infatti, si mettono in evidenza i difetti degli uomini, cogliendone gli aspetti più negativi, con l'intento di riportare gli uomini sulla retta via); nell'ironia, la differenza tra momento comico e drammatico sta solo nell'accento dato alle parole, in quanto se fosse effettiva, la battuta perderebbe la naturalezza che la caratterizza, assumendo un significato completamente diverso dal proponimento.
Un'altra importante correlazione tra battuta e sorriso potrebbe condurci al circuito di Faraday: possiamo paragonare la corrente elettrica che parte dal primo circuito ad una battuta, e l'effetto che produce ad un sorriso come reazione della stessa. Ponendo come punto di riferimento il disegno (sopra), abbiamo nel circuito primario una batteria, un interruttore e una resistenza per variare la corrente, ed al termine del circuito una bobina con una serie di avvolgimenti intorno ad una barretta di ferro; il secondo circuito comincia, invece, dagli avvolgimenti della bobina attorno alla barretta, per terminare in un amperometro, strumento che troveremo di particolare importanza nella rilevazione del cambiamento di corrente. Chiudendo ora l'interruttore nel primo circuito, avvieremo la corrente che, sebbene non ci sia contatto fisico, passerà nel circuito secondario attraverso la barretta di metallo; la variazione avvenuta sarà rivelata dallo strumento misuratore, prima che la lancetta torni nuovamente sul valore nullo iniziale. Questo effetto momentaneo è dovuto appunto alla variazione, che permette poi al flusso di corrente d'essere costante; la lancetta dell'amperometro resterà sul valore nullo fino ad un'altra, qualsiasi, variazione. Aprendo l'interruttore e interrompendo così la corrente, avremo una seconda variazione di corrente, che permetterà alla lancetta di spostarsi nuovamente, questa volta nella direzione opposta alla variazione precedente, prima di tornare alla posizione iniziale. Da questo semplice esempio, ricaviamo che la corrente nel secondo circuito sarà sempre nulla finchè la corrente nel circuito primario sarà costante (sebbene nulla) e che, al passaggio di corrente (quando ci sarà una variazione), la lancetta dell'amperometro si muoverà in sensi diversi a seconda di un aumento o diminuzione di corrente. L'esempio di Faraday è importante per la scoperta della corrente indotta, ossia quando non vi è contatto tra due circuiti e, più specificatamente, della forza elettromotrice indotta, creata da un campo magnetico variabile. Esiste chiaramente una formula per quantificare la variazione del campo magnetico, ma prima di arrivarci abbiamo bisogno di una considerazione sul flusso del campo magnetico. Prendiamo per convenzione un solo avvolgimento di una bobina (con superficie indeterminata A) e il campo magnetico B che lo attraversa; potremo avere tre modalità di attraversamento, dipendenti dall'inclinazione della superficie che deve essere attraversata: infatti, se la superficie sarà attraversata perpendicolarmente dal campo magnetico, avremo la formula semplice Ф=BA, mentre se la superficie sarà parallela alla direzione del campo magnetico il flusso sarà nullo. Questa dimostrazione può essere spiegata se consideriamo che nella formula semplice è stato annullato il fattore coseno dell'angolo, che ci permette di conoscere l'inclinazione della superficie rispetto al campo magnetico: sapendo i valori massimo e minimo del coseno (1 e -1) concluderemo che quando la superficie è perpendicolare il coseno sarà uguale a 1, diventando così la formula semplice, mentre quando la superficie è parallela la componente sarà 0, annullando gli altri valori. Sarà così importante rilevare sempre la componente coseno di un angolo per conoscere la quantità di flusso attraverso la superficie presa in considerazione (che per convenzione sarà, come abbiamo detto, un unico avvolgimento di una bobina). Dalle due importanti dimostrazioni sulla quantificazione del flusso magnetico e sulla variazione di esso, ricaviamo la legge di Faraday, dovuta al flusso del campo magnetico (componente ΔФ) e alla rapidità di variazione nel tempo (con la componente Δt). Per un solo avvolgimento della bobina la formula sarà: - ΔФ/ Δt (nella prima sarà calcolato il valore del flusso finale sottratto a quello iniziale, nella seconda sarà la componente finale meno quella iniziale del tempo). Sottolineando che nella precedente formula Ф è il flusso che attraversa un singolo avvolgimento, e che una bobina ha invece più avvolgimenti, per calcolare la forza elettromotrice indotta in una bobina si userà la lettera maiuscola N per indicare il numero di giri.
Anche il filosofo Henry Bergson teorizzò il riso in uno dei suoi saggi. Le riflessioni sulla natura della comicità in generale sono esplicitate nel libro ''Il riso. Saggio sul significato del comico''; punti chiave del testo sono chiari e semplici: funzione del ridere, relazione tra riso e diavolo a molla, comicità morale e funzione della commedia, il riso nella metafisica. Bergson collega magistralmente questi punti, in modo tale da esistere uno in funzione dell'altro. Il primo punto verte sull'idea del riso nella società, più particolarmente quale fine lo anima e le occasioni in cui accade; sottolinea tre punti fondamentali: il primo tratta la comicità che fa riferimento puramente all'ambito umano (''non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano''), nel quale ambito riconduciamo anche oggetti che apparentemente non ne fanno parte, come un cappello o di un burattino di legno. Se, però, non ci fermiamo alla constatazione ovvia che siano degli oggetti, ma che il cappello possa far riferimento ad un vizio estetico umano e un burattino ad un uomo che compie gesti impacciati, possiamo aggiungere alla massima antica, secondo la quale l'uomo è l'animale che ride, una moderna: l'uomo è un animale che fa ridere; il secondo punto tratta l'emotività e il disinteressamento nell'azione che porta al riso: l'uomo, secondo il filosofo, potrà ridere di una piccola disgrazia solo quando riuscirà a far tacere per un attimo i sentimenti di pietà o simpatia, porgendosi come semplici spettatori disinteressati (''il comico esige, per produrre tutto il suo effetto, qualcosa come un'anestesia momentanea del cuore''); infine il terzo punto parla dell'attività sociale del ridere, esperienza assolutamente migliore quando si è con altri; Bergson intenderà il riso in queste occasioni come il cemento che tiene unito un gruppo di persone (''il riso cela sempre un pensiero nascosto di intesa, direi quasi di complicità, con altre persone che ridono''). Potremmo in definitiva riunire questi tre punti in un'unica tesi: il comico, e quindi la comicità, nascono quando un gruppo di persone porge l'attenzione su un solo uomo, facendo momentaneamente tacere la propria sensibilità.
Per individuare i motivi del ridere non basta scoprire quando ridiamo, ma dobbiamo scoprirne il perché: è il caso dell'esempio del diavolo a molla, un giocattolo che fa tanto ridere i bambini; Bergson ne esplicita la funzione - lo si schiaccia ed ecco che si raddrizza, lo si ricaccia più in basso ed esso rimbalza più in alto, lo si scaccia sotto il coperchio ed ecco che fa saltare tutto - commentando questa azione come ''conflitto di due ostinazioni, di cui una puramente meccanica finisce ordinariamente per cedere all'altra, che se ne prende gioco''. Un comportamento rigidamente meccanico applicato alla realtà umana: potremmo paragonare, ad esempio, una marionetta che compie gesti goffi e meccanici con un uomo che - arrivato alla fine delle scale - tenta di scendere un ultimo gradino inesistente, con un gesto non motivato, se non dal meccanismo acquisito nella discesa. La comicità sorge anche dalla ripetizione, e dalla staticità, di azioni e pensieri: un tic o una ripetizione di una frase può essere causa di ilarità, così come una frase ripetuta troppe volte, due facce rassomiglianti che però - ammette Bergson - prese singolarmente non fanno ridere, o anche una caricatura che, nella sua staticità, porta al ridere se se ne evidenziano tratti espressivi particolari. Commentando il pensiero bergsoniano, potremmo concludere che nella vita le cose che portano al ridere sono senz'altro quelle frutto di una meccanizzazione della realtà. Da qui, secondo il filosofo, la differenza tra attori tragici, che devono stare attenti ai gesti perché non tradiscano le esigenze della corporeità, e attori comici, che invece potranno servirsi di un singhiozzo fastidioso o un malanno per condurre al riso.
Dalle considerazioni in precedenza fatte possiamo tornare alla domanda sul fine del riso. Bergson ha osservato che esso ha una funzione sociale, sottolineando che si tratta di una sorta di contraddizione che deve essere sanata: al riso spetta il compito di richiamare una parte della società a causa di un atteggiamento rigido, mentre essa si ostina ad avere un comportamento più elastico: ''è comico un qualunque individuo che segua automaticamente il suo cammino senza darsi pensiero di prendere contatto con gli altri.[.] Bisogna che ciascuno dei membri della società stia attento a ciò che gli è intorno, si modelli su quello che lo circonda, eviti di rinchiudersi nel suo carattere. Perciò essa fa dominare su ciascuno, se non la minaccia di una correzione, almeno la prospettiva di una umiliazione.[.] Tale si presenta la funzione del riso. Sempre un po' umiliante per chi ne è l'oggetto, il riso è una specie di castigo sociale''. Bergson trova tra commedia e sfera sociale un rapporto strettissimo, che sfocia nella comicità morale. Spesso i sentimenti ci coinvolgono tanto da diventare nostri burattinai,da comandare ogni nostro singolo gesto: così appare nella commedia, dove un personaggio è mosso da un'unica passione, riusciamo così a prevederne i movimenti, e quindi ridiamo. Da qui nasce la commedia non dei soliti personaggi che entrano in scena per recitare, ma delle passioni che li governano: queste dovrebbero portare a correggere i costumi, perché al contrario delle forme artistiche pure, si contrappone questa forma, assolutamente spuria, che entra nella vita dell'uomo con una precisa finalità. L'uomo - secondo Bergson - ha sempre una intenzione non confessata di umiliare, comunque per correggere: solo il riso appare come una momentanea negazione della vita per sanarne i problemi.
Il grande filosofo tratta, nell'ultima parte del suo libro, un argomento alquanto imprevedibile: si chiede se possa esistere un addestramento che, fin da piccoli, ci insegni di cosa e quando è giusto ridere. Anzitutto, anteponiamo al discorso il già trattato pensiero per cui quando viene suscitato il riso è per castigo sociale, in contrapposizione al ridere di una faccia buffa: il riso castiga anche quando non ce n'è bisogno. In secondo luogo l'autore tratta la diversità di porsi nelle eventuale situazioni comiche: una passione - avarizia, gelosia, per citarne alcune - può talvolta suscitare il riso, talvolta il disprezzo, a seconda del modo in cui essa ci si palesa, e dal momento in cui essa ci viene presentata.
Il riso diventa un gesto sociale, immediato nell'animo umano, che - a detta di Bergson - ''non ha tempo di osservare sempre dove tocca, talvolta castiga certi difetti come la malattia castiga certi eccessi, colpendo gli innocenti, risparmiando i colpevoli, mirando verso un risultato generale, senza preoccuparsi del singolo''. Da qui, la finale considerazione che il riso non sia il frutto di un allenamento, di un addestramento al riso, ma faccia parte di una autentica metafisica della vita.
Dopo aver esaminato in modo interdisciplinare l'argomento mi corre l'obbligo di concludere questo lavoro con considerazioni oltremodo personali, e riportare quindi, in particolar modo, "il sorriso" nella vita quotidiana. Oramai tutti i rapporti personali sono pressocché freddi; la rapidità del succedersi degli eventi non ci da il tempo di soffermarci sui gesti e sui comportamenti che potrebbero dare conforto e coraggio. L'essere pieni di noi stessi non lascia spazio alle emozioni che un sorriso suscita. Eppure basterebbe soffermarsi un momento a riflettere, come durante un dialogo, tra le parole: il sorriso può rafforzare un concetto o un sentimento. E' opinione comune che un sorriso aiuta ad affrontare meglio un momento di difficoltà ed a far volgere al meglio un episodio sgradevole. Il calore che un sorriso procura a chi è ammalato e quello intrigante tra due persone che si vogliono bene non può essere compensato in alcun modo da parole. Non è possibile considerare il sorriso come una forma di compiacimento, il suo valore è enorme se spontaneo; non è difficile interpretare un sorriso, il difficile è mascherare una finalità diversa.
La testimonianza vivente è il tenero sorriso che un bambino restituisce alla sua mamma.
Per concludere questa tesina, ho scelto una poesia di Gino Mazzella, molto profonda e concreta, per rafforzare l'idea che il sorriso nella vita sia tanto importante quanto il vivere stesso.
Un sorriso non costa niente e produce molto arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo da.
Dura un solo istante,
ma talvolta il suo ricordo è eterno.
Nessuno è così ricco da poter farne a meno,
nessuno è abbastanza povero da non meritarlo.
Crea la felicità in casa,
è il segno tangibile dell'amicizia,
un sorriso dà riposo a chi è stanco,
rende coraggio ai più scoraggiati,
non può essere comprato, nè prestato, nè rubato,
perché è qualcosa di valore solo nel momento in cui viene dato.
E se qualche volta incontrate qualcuno
che non sa più sorridere,
siate generoso,dategli il vostro,
perché nessuno ha mai bisogno di un sorriso
quanto colui che non può regalarne ad altri.
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