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Il sole, le stelle, le nebulose, gli ammassi stellari sono raggruppati dalla forza di gravità in una struttura alla quale diamo il nome di Galassia. La nostra non è l'unica galassia a popolare l'universo, ma questa certezza ci deriva da scoperte relativamente recenti.
Agli inizi del nostro secolo si riteneva che la nostra galassia rappresentasse da sola l'intero cosmo o addirittura, per una certa ripugnanza a considerarla completamente circondata dallo spazio vuoto, che le stelle fossero distribuite in modo uniforme per tutto l'universo.
Il primo a concepire l'idea che le stelle possedessero una qualche particolare distribuzione nel cosmo fu T. Wright. Nel 1750 Wright ipotizzò che le stelle fossero disposte su di una lastra circolare di spessore finito. Herschel dette verso la fine del '700 consistenza scientifica a tale ipotesi, attraverso un lungo e paziente conteggio delle stelle che giunse a dimostrare come esse fossero più frequenti nella direzione del disco galattico che nella direzione ad esso perpendicolare. Egli propose correttamente di interpretare la Via Lattea come una zona di cielo in cui le stelle apparivano più concentrate essendo disposte sul piano galattico e suggerì un rapporto spessore/diametro di 1/5.
All'inizio del '900 l'olandese Jacobus Kapteyn (1901), utilizzando e perfezionando le tecniche di conteggio stellare introdotte da Herschel stimò per la prima volta le dimensioni del disco galattico (26.000 x 6.500 al), ponendo però il sole quasi al centro del sistema.
Un'idea più concreta sulla reale struttura della galassia, sulle sue dimensioni e sulla posizione del sole al suo interno si iniziò ad avere solo nel 1918 quando H. Shapley, utilizzando le cefeidi presenti negli ammassi globulari, ne determinò la distanza e scoprì che presentavano una distribuzione sferica. Egli propose correttamente che il centro della galassia dovesse coincidere con il baricentro dell'alone galattico costituito dagli ammassi globulari. Emerse allora che il sole non si trovava, come molti ritenevano, al centro della galassia, ma a circa 3/5 del raggio.
Shapley non poteva però sapere che le cefeidi degli ammassi globulari erano RR Lyrae, molto meno luminose delle cefeidi classiche. In tal modo egli sovrastimò le distanze degli ammassi globulari e la nostra galassia risultò erroneamente possedere dimensioni eccessive (250.000 al). In questo modo sembrava che tutti gli oggetti osservabili rientrassero nei limiti della galassia ed in definitiva che quest'ultima fosse l'unica struttura dell'universo.
A tale ipotesi era nettamente contrario H.D.Curtis, il quale aveva stimato in un milione di anni luce la distanza della nebulosa di Andromeda e riteneva pertanto che si trattasse di una struttura che, come molte altre, si trovasse al di fuori della nostra galassia.
Si accese una grande disputa che divise in due fazioni il mondo accademico sulla unicità o meno della nostra galassia nell'universo.
Il primo a congetturare che alcune nebulose osservate nella nostra galassia fossero in realtà esse stesse galassie esterne alla nostra (universi-isola) fu Kant nel 1755. Naturalmente ciò rimase per molto tempo una pura supposizione fino a quando nel 1923 Hubble riuscì a risolvere, con il telescopio di 2,5 metri di Monte Wilson, la nebulosa di Andromeda in stelle separate ed identificò nelle sue spire alcune Cefeidi che gli permisero di calcolarne la distanza. Essa si rivelò di gran lunga maggiore di quella di qualsiasi altro corpo celeste fino ad allora osservato all'interno della nostra galassia. La nebulosa di Andromeda era diventata la galassia di Andromeda, la prima galassia ad essere osservata. Una galassia a spirale con la materia che si concentrava in spire su di un disco galattico.
Nel 1927 Lindblad e Oort dimostrarono, attraverso l'analisi dei red-shift e dei blu-shift stellari, che la nostra galassia ruotava intorno al centro galattico.
Il sole ad esempio compie una rivoluzione completa intorno al centro galattico in circa 200 milioni di anni con una velocità di circa 250 km/s.
Il moto delle stelle nella galassia
Il moto rispetto al sole delle stelle appartenenti alla nostra galassia può essere evidenziato misurandone separatamente la componente radiale e la componente tangenziale. La componente radiale (Vr = cz) è la più semplice da misurare in quanto produce uno spostamento delle righe spettrali osservate (red o blu-shift). La componente trasversale (moto proprio) è evidenziabile solo per stelle sufficientemente vicine a noi da produrre spostamenti significativi sulla volta celeste.
Tale componente si misura in frazioni di secondi d'arco all'anno (moto proprio m in arcsec/anno) e solo conoscendo anche la distanza della stella d è possibile convertire tale velocità angolare in una velocità lineare trasversale (Vt = m d). Si tenga presente che è necessario convertire l'unità di misura del moto proprio da arcsec/anno in rad/s e la distanza d da parsec in km in modo che la velocità trasversale venga data in km/s.
dove, 206.265 è il numero di secondi di grado contenuti in un radiante (ed anche il numero di unità astronomiche contenute in un parsec) e 31.557.600 è il numero di secondi di tempo contenuti in un anno giuliano di 365,25 giorni. In definitiva si avrà
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Quando sono note entrambe queste componenti sarà evidentemente possibile calcolare la velocità risultante (Vs = Velocità spaziale). Si tenga presente comunque che, poiché sia il sole che le stelle sono in movimento rispetto al centro galattico, la velocità spaziale rappresenta la velocità della stella rispetto al sole (supposto fermo).La velocità spaziale rappresenta quindi la differenza tra la velocità della stella (Vst) e la velocità del sole (Vso) misurate rispetto al centro della galassia.
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Se prendiamo in considerazione le velocità spaziali delle stelle che si trovano nelle immediate vicinanze del sole, abbiamo l'impressione che il sole presenti un moto di traslazione verso un punto della costellazione di Ercole detto apice solare (di coordinate equatoriali a d = + 30°), alla velocità di circa 19,5 km/s. Tale moto si manifesta tramite la sola componente radiale: un blu-shift per le stelle prossime alla posizione dell'apice ed un red-shift per le stelle in posizione opposta (anti-apice), mentre le stelle che si trovano in posizione laterale non presentano alcuna componente radiale, ma solo dei moti propri.
Nel 1951 venne infine la conferma che anche la nostra è una galassia a spirale come Andromeda. Il risultato fu acquisito grazie ad un lavoro di mappatura dell'idrogeno neutro presente nel disco galattico (iniziato da Edward Purcell e Harold Ewen). L'idrogeno è infatti l'elemento di gran lunga più diffuso nell'universo. Negli spazi interstellari esso si trova a bassissima temperatura come idrogeno neutro. Nel suo stato fondamentale il protone e l'elettrone dell'idrogeno si presentano con spin antiparalleli. Assorbendo una minima quantità di energia l'idrogeno passa in uno stato eccitato, in cui protone ed elettrone possiedono spin paralleli. Quando infine l'idrogeno ritorna nel suo stato fondamentale emette una caratteristica riga spettrale di 21 cm (come previsto nel 1944 dall'olandese Hendrik van de Hulst).
Tale radiazione non è naturalmente osservabile con un normale telescopio ottico, ma con un radiotelescopio opportunamente sintonizzato. Inoltre su tale lunghezza d'onda non si hanno fortunatamente i fenomeni di diffusione ed interferenza da parte della enorme quantità di polveri concentrati nel disco galattico che rendono ardua l'osservazione ottica.
L'idrogeno neutro del disco galattico è stato in tal modo accuratamente mappato e se ne è potuta osservare una caratteristica distribuzione in spire.
Negli anni '60 e '70 sono stati scoperti gli spettri di altre molecole nello spazio interstellare, come quello dell'ammoniaca (NH3), della formaldeide (H2CO), dell'ossido di carbonio (CO) etc.
Ma probabilmente la scoperta che fece più scalpore fu quella dell'acido formico (HCOOH) e della metilammina (CH3NH2), le quali reagendo sono in grado di formare il più semplice degli aminoacidi, la glicina.
Tutti i dati raccolti fino ad oggi ci permettono di tracciare un modello galattico piuttosto attendibile.
La nostra galassia ha dunque la forma di un disco del diametro di circa 100.000 anni luce. Lo spessore del disco è mediamente di 1500 anni luce, ma in prossimità del centro è presente un rigonfiamento detto bulbo (bulge) o nucleo galattico che presenta uno spessore di circa 15.000 anni luce. Il disco galattico è racchiuso in un guscio sferico di ammassi globulari, in cui la materia interstellare (gas e polveri) è estremamente rarefatta.
La maggior parte della materia (stelle, ammassi aperti, materia interstellare) è infatti distribuita in spire all'interno del disco galattico.
Le spire ruotano sul piano galattico nella stessa direzione delle stelle, ma con velocità inferiore (circa la metà) rispetto ad esse. Secondo i modelli attuali le spire sarebbero quindi delle semplici onde di densità della materia, luoghi in cui il 'traffico stellare' risulta momentaneamente rallentato e quindi più intenso. Il modo in cui i bracci a spirale si formano e sopravvivono è tuttavia ancora oggetto di studio e l'esistenza di molti modelli alternativi che tentano di risolvere il problema dimostra come la soluzione non appaia ancora a portata di mano.
Gli astrofisici hanno stimato la massa galattica in 200 miliardi di M. Conoscendo infatti la massa del sole, la sua distanza dal centro galattico e trattando la galassia come un sistema kepleriano è possibile utilizzare la terza legge di Keplero.
Data l'incertezza dei dati a disposizione possiamo effettuare un'analisi dimensionale, limitandoci agli ordini di grandezza.
La massa del sole è pari a Ms 2 1033 g
La sua distanza dal centro galattico è D 3 104 al 3 1022 cm
Il suo periodo di rivoluzione è Ps 2 108 anni 6 1015 s
applicando la terza di Keplero
esplicitiamo la massa della galassia MG
Dividendo infine per la massa del sole si ottiene appunto la massa galattica in masse solari, pari 2 1011 M
Ciò naturalmente non significa che la galassia possieda 200 miliardi di stelle, poiché molta materia non si trova concentrata nelle stelle, ma nelle polveri e nei gas interstellari. Si stima quindi che la galassia contenga circa 100 miliardi di stelle e che la massa rimanente sia presente sotto forma di materia diffusa o collassata.
Recentemente alcuni dati sembrano indicare la presenza intorno alla galassia di un enorme alone di materia oscura (non luminosa) che manifesta i suoi effetti gravitazionali modificando il comportamento dinamico della rotazione galattica.
Le misure effettuate sulla massa luminosa di molte galassie indicano un rapporto medio M/L dell'ordine di 10 - 20 M/L. Il che significa che mediamente la porzione luminosa di una galassia che emette la stessa quantità di luce prodotta dal nostro sole, possiede una massa da 10 a 20 volte superiore. La nostra galassia dovrebbe pertanto avere una luminosità pari a circa 1010 L.
La densità media delle stelle nella nostra galassia è stimata attorno a 10-2 al-3, pari a circa 1 stella per ogni 100 anni-luce cubici, che equivale ad una distanza media di circa 5 anni-luce tra stella e stella. Se infatti la distanza media tra due stelle è d, il numero di stelle per unità di lunghezza è 1/d, il numero di stelle per unità di superficie è 1/d2 ed il numero di stelle per unità di volume (rS) è 1/d3. Se ne deduce pertanto che in un aggregato tridimensionale di elementi la distanza che media che li separa è pari a
La misura della parallasse ha permesso di individuare circa 6700 stelle in un raggio di 55 al. Utilizzando tale dato è possibile stimare la densità delle stelle comprese in una sfera di 55 al di raggio.
Approssimando ora la galassia con un disco di raggio R = 50.000 al e spessore medio h = 1.500 al, il volume galattico sarà R2h ed il numero totale N di stelle contenute nella nostra galassia sarà dunque pari al volume galattico per il numero di stelle contenute nell'unità di volume
In ottimo accordo con le stime dinamiche.
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