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La fotometria studia e misura gli effetti delle radiazioni luminose sull'occhio umano, tentando di determinarne le relazioni (per lo più empiriche) con le grandezze energetiche che caratterizzano la radiazione luminosa.
Il problema si presenta complesso in quanto radiazioni luminose a diversa lunghezza d'onda e a diverso contenuto energetico possono produrre la medesima sensazione visiva.
Chiamiamo radiazione luminosa o luce l'intervallo dello spettro elettromagnetico compreso tra le lunghezze d'onda che vanno da 0,4 a 0,7m in grado di generare una sensazione visiva al nostro occhio.
L'intensità di emissione luminosa è la potenza emessa sotto forma di luce entro l'angolo solido unitario (1 steradiante = 1 radiante2).
Ricordiamo che 1 steradiante (sr) è l'angolo solido sotto il quale un osservatore posto al centro di una superficie sferica vede una calotta sferica di superficie R2. Essendo l'intera superficie sferica pari a 4pR2, l'intero angolo solido sarà pari a 4p steradianti.
Nel Sistema SI l'unità fotometrica fondamentale è la candela (cd), che misura l'intensità I di una sorgente luminosa. Essa viene naturalmente definita in funzione di un campione luminoso, convenzionalmente individuato. Un tempo la candela veniva definita come 1/60 dell'intensità luminosa prodotta da 1 cm2 di corpo nero a 2042°K (temperatura di fusione del platino). Nel 1979 la XVI Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure definì la candela come l'intensità luminosa di una sorgente di potenza 1/683 W/sr che emette una radiazione monocromatica di 5,40 1014 Hz (l = 555,016 nm)
Si definisce flusso luminoso F il prodotto dell'intensità luminosa per l'angolo solido W attraverso cui la luce diffonde. La sua unità di misura è la candela . steradiante (cd.sr) o lumen (lm).
Una sorgente luminosa puntiforme che diffonda luce in tutte le direzioni (sull'intero angolo solido) produce un flusso luminoso di 4p lumen.
Per sorgenti estese (non puntiformi) viene definita la brillanza B (o luminanza o splendore) come l'intensità di emissione dell'unità di superficie in direzione ortogonale alla superficie stessa. Nel caso la direzione di emissione formi un angolo j con la direzione normale alla superficie, la superficie emittente va moltiplicata per cosj. La sua unità di misura è la candela/m2 (o nit (nt), nel Sistema SI) o candela/cm2 (o stilb (sb), nel sistema cgs).
Per misurare gli effetti della luce che colpisce una superficie S si definisce l'illuminamento E, come il flusso che colpisce l'unità di superficie S, disposta perpendicolarmente ai raggi luminosi. La sua unità di misura è il lumen/m2 (o lux (lx), nel sistema SI) o lumen/cm2 (nel sistema cgs). Nel caso il flusso formi un angolo q con la direzione normale alla superficie, il suo valore va moltiplicato per cosq
Una sorgente puntiforme di intensità I posta al centro di una superficie sferica di raggio R incide su di essa con un flusso pari a 4pI lumen. L'unità di area di tale superficie viene perciò illuminata da
Possiamo definire quindi 1 lux come l'illuminamento a cui è sottoposta una superficie di 1 m2 posta alla distanza di 1 m da una sorgente di 1 candela che la illumini ortogonalmente con un flusso di 1 lumen.
La relazione precedente mostra anche come l'illuminamento a cui è sottoposta una superficie è direttamente proporzionale all'intensità luminosa della sorgente ed inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza.
Se due sorgenti luminose di diversa intensità ( I1 e I2) e a diversa distanza (R1 e R2) illuminano una superficie allo stesso modo (E = cost) allora deve valere
e anche
Come è già stato detto uno degli scopi della fotometria è quello di correlare il flusso luminoso alla potenza (energia per unità di tempo) trasportata dal fascio di radiazione ottica.
Il primo problema che si presenta è legato al fatto che il nostro occhio non è egualmente sensibile a tutte le lunghezze d'onda ottiche, ma presenta un massimo di sensibilità per la luce di 0,555 m (giallo-verde).
Si definisce a tal proposito il coefficiente di visibilità Kl come il rapporto tra il flusso luminoso ed il corrispondente flusso energetico (in watt) portati da una radiazione monocromatica di lunghezza l
Il valore massimo di tale coefficiente si ha appunto per la radiazione di 0,555m e vale
A parità di energia trasportata dal raggio luminoso la sensazione ottica diminuisce di intensità man mano che ci discostiamo da tale lunghezza d'onda. Per determinare l'entità di tale diminuzione si calcola il cosiddetto fattore di visibilità relativa (Vl) di una radiazione ottica di lunghezza d'onda l
Per determinare il valore di tale fattore per le diverse lunghezze d'onda visibili è possibile misurare e rapportare l'energia portata da un fascio di radiazione a 0,555m e l'energia trasportata da un fascio di radiazione di lunghezza d'onda l, stimato di egual intensità luminosa (in grado di generare cioè la medesima sensazione ottica).
Il fattore di visibilità relativa varrà dunque 1 per la radiazione di lunghezza 0,555m e assumerà valori via via inferiori per le altre lunghezze d'onda ottiche, azzerandosi intorno a 0,4 e 0,7m
Possiamo provare a stimare la visibilità media sovrapponendo alla curva una gaussiana normalizzata (media M = 0, scarto quadratico medio s = 1, ordinata massima F(M) = = 0,39894, area totale = 1) in cui i valori estremi (0,4 - 0,7) coincidano con i valori standardizzati -3,5 e +3,5 corrispondenti ad una area praticamente pari ad 1 (> 0,999).
L'ordinata media è pari all'area (1) diviso l'ascissa relativa (+3,5 - (-3,5) = 7) e vale quindi 1/7. Possiamo ora impostare una proporzione tra la gaussiana e la curva di visibilità tra le corrispondenti ordinate massime e medie
0,39894 : 1 = 1/7 : x
che ci fornisce una visibilità media di circa il 35,8 %
La relazione che lega il flusso luminoso alla potenza P del fascio per unità di area ed alla sezione trasversale S del fascio è
dove l'integrale viene esteso per consuetudine da zero ad infinito, ma si azzera al di fuori dell'intervallo di visibilità poiché in tal caso si annulla Vl
Integrando l'equazione di Planck per un corpo nero alla temperatura di 5778 °K (temperatura efficace del sole) da 0,39m a 0,72m si ottiene l'emissione ottica unitaria del sole, pari a 2,52 107 watt/m2.
Calcoliamo ora l'emissione ottica totale moltiplicando per la superficie solare (6,087 1018 m2), ottenendo 1,534 1026 watt. Essendo l'energia portata su tutte le lunghezze d'onda del visibile, utilizziamo il fattore medio di visibilità relativa pari a 0,37 per calcolare il fattore di visibilità solare
il flusso del sole varrà allora
La sua intensità luminosa sarà
la sua brillanza
mentre, ricordando che la terra dista dal sole R = 1,496 1011 m, l'illuminamento solare cui è sottoposta la terra (al di fuori dell'atmosfera) sarà
La prima misura dell'intensità luminosa delle stelle fu naturalmente eseguita confrontando le stelle per mezzo dell'occhio (luminosità visuale). Così Ipparco, nel II sec. a.C., aveva fissato una scala empirica, detta delle magnitudini apparenti (m), comprendente 6 gradi di luminosità. Secondo tale scala la stella più luminosa del cielo risultava essere di prima magnitudine (m = 1) ed era 5 volte più luminosa di una (appena visibile) di sesta magnitudine (m = 6).
Le magnitudini sono dette apparenti poiché il loro valore, a parità di intensità luminosa, dipende anche dalle distanza delle stelle.
Una profonda revisione si ebbe nella seconda metà dell'ottocento quando si scoprì che la sensazione visiva (S) non è direttamente proporzionale all'intensità (l) dello stimolo luminoso percepito, ma al suo logaritmo. Tale relazione viene espressa dalla legge di Fechner e Weber.
che, nel caso di una stella, lega la magnitudine apparente m, alla luminosità apparente l (misurata in genere in lux)
C è una costante (costante di zero) il cui valore dipende dalle unità di misura usate per esprimere la luminosità e dal valore assunto convenzionalmente come zero per la scala delle magnitudini
Poichè tramite registrazioni fotometriche (Herschel) una stella di prima magnitudine risultò essere in realtà 100 volte più luminosa di una di 6 magnitudine, la costante k assume il valore -2,5. Infatti
e quindi
k = -2,5
La relazione fondamentale della fotometria stellare diventa quindi (relazione di Pogson)
e quindi
passando infine all'antilogaritmo
Se dobbiamo ad esempio confrontare la luminosità di Sirio m = - 1,45 con quella di Aldebaran (m = 0,85) troveremo
Sirio dunque è apparentemente circa 8,3 volte più luminoso di Aldebaran.
Per ogni grado di magnitudine (m2 - m1 = 1) la luminosità apparente aumenta di circa 2,512 volte. Come per ogni scala convenzionale anche nel caso delle magnitudini apparenti è necessario fissare un punto zero.
Viene dunque definita di magnitudine visuale apparente zero (mvis = 0) una stella che produca (al di fuori dell'atmosfera) un illuminamento di 2,67 10-6 lux.
La costante di zero assume in tal caso il valore
CV = -13,934
Ricordando che il sole fornisce un illuminamento di 1,34 105 lux, possiamo allora calcolarne facilmente la magnitudine apparente (visuale)
La magnitudine visuale è naturalmente correlata al flusso ottico (spettro visibile) che ci proviene dalle stelle. Quando invece si misura il flusso energetico su tutte le lunghezze d'onda, si ottiene la magnitudine bolometrica. Anche in questo caso è necessario fissare un punto zero. Viene definita di magnitudine bolometrica apparente zero (mbol = 0) una stella che produca (al di fuori dell'atmosfera) una potenza unitaria di 2,56 10-5 erg/(s cm2).
La costante di zero assume in tal caso il valore
Cb = -11,48
Ricordando che il sole fornisce una potenza unitaria (costante solare) di 1,368 106 erg/(s cm2), possiamo calcolarne la magnitudine apparente (bolometrica)
Qualora si conosca la distanza R di una stella dalla terra se ne può calcolare anche la luminosità intrinseca L (espressa come intensità luminosa o come flusso luminoso)
Sapendo ad esempio che Sirio dista 8,6 al (8,136 1016 m) e che la sua magnitudine apparente vale m = - 1,45 determiniamo:
- l'illuminamento, che è 2,5121,45 = 3,8 volte superiore a Eo e pari quindi a circa 10-5 lux
- il flusso, pari a
- l'intensità luminosa, pari a
scopriamo così che Sirio è 21,6 volte più luminoso del sole
Come si vede è scomodo confrontare le luminosità intrinseche delle stelle utilizzando lumen e candele. Si è perciò convenuto di misurare la luminosità intrinseca di una stella utilizzando la scala di Ipparco, dopo aver azzerato le differenze di distanza portando tutte le stelle a 10 parsec.
La magnitudine apparente che una stella verrebbe a possedere se fosse posta a 10 parsec è detta magnitudine assoluta M.
Così una stella di luminosità intrinseca L (flusso) e distanza R, che presenta un luminosità apparente l (illuminamento) pari a
posta a 10 parsec presenterebbe una luminosità apparente l10 pari a
dove k è un coefficiente (pari a 3,0857 1016 m/pc) che trasforma i parsec in m
Applicando la formula di Pogson a questi due valori di luminosità apparente, si ottiene
Essendo R/k la distanza della stella espressa in parsec, la relazione diventa
Essendo la quantità (m-M) correlata alla distanza della stella, essa viene detta modulo di distanza.
Sapendo che il sole dista dalla terra 1,496 1011 m pari a 4,848 10-6 parsec, possiamo determinarne la magnitudine assoluta visuale e bolometrica
La magnitudine assoluta di Sirio (m = - 1,45 ; R = 2,64 pc) sarà
La magnitudine assoluta di Aldebaran (m = 0,85 ; R = 18,4 pc) sarà
Così la differenza di magnitudine assoluta tra Sirio e il Aldebaran è 1,44 - (-0,47) = 1,91
Scopriamo così che Sirio è in realtà circa 2,5121,91 = 5,8 volte meno luminoso di Aldebaran.
Tenendo poi conto che la luminosità apparente che segna il punto zero della scala delle magnitudini apparenti è 2,67 10-6 lux (lumen/m2), possiamo trovare il corrispondente valore (M = 0) per la scala delle magnitudini assolute, calcolando la corrispondente luminosità intrinseca visuale a 10 parsec
corrispondenti ad un'intensità luminosa di 2,54 1029 candele
Mentre, ricordando che il punto zero delle magnitudini apparenti bolometriche è 2,56 10-5 erg/(s cm2), la corrispondente luminosità intrinseca bolometrica a 10 parsec sarà
In questo modo la relazione di Pogson
può essere utilizzata anche per calcolare la magnitudine assoluta, sostituendo alle luminosità apparenti le luminosità intrinseche della stella e del punto zero
Magnitudine assoluta di 1 candela
Magnitudine apparente di 1 lux
Formula di Russell
La relazione di Pogson può essere utilizzata per ottenere una relazione tra la Magnitudine, la Temperatura ed il Raggio (in unità solari R) di una stella. Indicando rispettivamente con MV e MV la magnitudine visuale assoluta di una stella e del sole possiamo scrivere
Per determinare l'emissione di una stella in corrispondenza di una certa lunghezza d'onda l possiamo ricorrere all'equazione di Planck che descrive il comportamento emissivo di un radiatore perfetto (corpo nero), fornendoci la quantità di energia (erg) emessa, per unità di tempo (s) e di superficie radiante (cm2), da un corpo alla temperatura T (K) in corrispondenza della lunghezza d'onda l (cm).
Possiamo ora stimare l'energia emessa nell'intorno della lunghezza d'onda l, calcolando l'area sottesa all'intervallo Dl centrato in l. In prima approssimazione esso è pari all'area del rettangolo avente base Dl e altezza W(lT)
Nel nostro caso, dovendo valutare l'emissione nel visibile l = 5,5 10-10 cm, la relazione diventa
La luminosità assoluta visuale della stella sarà pari all'energia emessa nel visibile dall'intera superficie.
Sostituendo nella relazione di Pogson, otteniamo
Ricordando che T 5778 °K, la relazione diventa
e assegnando al sole magnitudine visuale assoluta 4,82 otteniamo
o, esplicitando il raggio,
Se ora, in prima approssimazione, trascuriamo l'unità nella differenza dell'argomento del logaritmo otteniamo la classica relazione di Russell
o, esplicitando il raggio,
E' possibile costruire una relazione analoga che leghi la magnitudine bolometrica al raggio ed alla temperatura. Indicando rispettivamente con Mbol e Mbol la magnitudine bolometrica assoluta di una stella e del sole possiamo scrivere
Per determinare l'emissione di una stella in corrispondenza di tutte le lunghezze d'onda possiamo ricorrere all'equazione di Stefan-Boltzmann. che descrive il comportamento emissivo di un radiatore perfetto (corpo nero), fornendoci la quantità di energia (erg) emessa, per unità di tempo (s) e di superficie radiante (cm2), da un corpo alla temperatura T (°K) in corrispondenza di tutte le lunghezze d'onda e moltiplicarla per la superficie della stella 4pR2. Essendo dunque
potremo scrivere
Assumendo infine per la temperatura e la magnitudine assoluta bolometrica del sole i valori T 5780 °K e Mbol = 4,75 si ottiene
Confrontiamo ora tale relazione con la relazione
Eguagliando i due secondi membri ed esplicitando la differenza tra Mbol e MV si ottiene
o, trascurando ancora l'unità nella differenza,
Il valore così ottenuto viene definito correzione bolometrica BC.
La correzione bolometrica viene in realtà calcolata tramite modelli più sofisticati relativi alle atmosfere stellari. Il valore zero della scala è stato convenzionalmente fissato in modo che sia BC = 0 per stelle con Te = 6580 °K (tipo spettrale F5).
Quando in astronomia iniziarono ad essere utilizzate le emulsioni fotografiche fu possibile ottenere anche valori di magnitudine fotografica (Mpg). I valori ottenuti sono in genere tra loro diversi in quanto l'occhio presenta un massimo di sensibilità nel giallo-verde, mentre la lastra fotografica nel blu-violetto. Applicando ad una macchina fotografica un filtro giallo si riesce a simulare la sensibilità dell'occhio umano e le magnitudini così ottenute sono dette fotovisuali (Mpv).
Le magnitudini ottenute con un fotometro sono dette fotoelettriche. Le magnitudini fotoelettriche vengono determinate in corrispondenza di particolari intervalli di lunghezze d'onda. In genere si ottengono per l'ultravioletto (MU o U) per il blu (MB o B) e per il giallo (visuali) (MVo V) .
La magnitudine fotoelettrica B è correlabile alla magnitudine fotografica (MB = Mpg + 0,11), mentre la magnitudine fotoelettrica V corrisponde alla magnitudine visuale o fotovisuale.
Le differenze nei valori di magnitudine misurati nei diversi intervalli di lunghezze d'onda sono importanti poiché sono correlabili alla temperatura superficiale di una stella. Infatti per la legge di Wien un corpo nero che aumenta la sua temperatura emette in proporzione sempre più energia verso le regioni a minor lunghezza d'onda (blu violetto). Così una stella molto calda presenterà una magnitudine nel blu minore della sua magnitudine visuale, mentre per una stella molto fredda avverrà l'opposto (valori minori di magnitudine corrispondono infatti a luminosità più elevate).
Un indice di colore molto usato è proprio fornito dalla differenza tra la magnitudine fotografica e la magnitudine visuale (o fotovisuale).
C = Mpg - Mpv = mpg - mpv
Un altro indice spesso utilizzato è l'indice B-V, dato dalla differenza della magnitudine fotoelettrica nel blu e nel visuale.
La relazione tra questi due indici è approssimativamente
C + 0,11 B-V
L'indice di colore ha il vantaggio di fornire i valori di temperatura di una stella (nell'ipotesi che essa irradi come un corpo nero) indipendentemente dalla conoscenza della distanza della stella e del suo raggio (e quindi del valore della sua superficie emittente).
Più basso è il valore di tale indice, più la stella emette nel blu e più elevata è la sua temperatura. L'indice di colore del sole è + 0,55, mentre l'indice di colore di una stella a 15.000°K è - 0,27.
Per costruire l'indice di colore si ricorre ad una formulazione approssimata della funzione di Planck che descrive il comportamento emissivo di un radiatore perfetto (corpo nero).
Poichè l'indice di colore viene costruito su lunghezze d'onda del visibile, intorno a 5 10-10 cm, la relazione diventa
ed in tal caso è dunque possibile, per temperature inferiori ai 20.000 °K, trascurare l'unità nella differenza a denominatore ed utilizzare la seguente planckiana approssimata (approssimazione di Wien, per le basse temperature)
Siano ora ml ed Ml la magnitudine apparente ed assoluta di una stella di raggio R e distanza D, misurate nella radiazione di lunghezza d'onda l
La luminosità assoluta della stella sarà pari a
e la sua magnitudine assoluta
La luminosità apparente della stella sarà pari a
e la sua magnitudine apparente
Se ora costruiamo l'indice di colore, come differenza tra le magnitudini (apparenti o assolute) a diverse lunghezze d'onda l e l , otteniamo
E' ora facile verificare che costruendo l'indice di colore con le magnitudini assolute si ottiene lo stesso risultato, indipendente sia da R che da D.
Sostituiamo ora la planckiana approssimata ed otteniamo
Se usiamo ad esempio
l = 4,25 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nel blu
l = 5,48 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nella banda del visibile
la relazione diventa
L'indice di colore viene poi tarato fissando la costante di zero in modo che IC = 0 per stelle di classe spettrale A0 (T 10.000°K). La costante di zero varrà quindi
cost = + 0,555
e la relazione diventa
ed in definitiva la temperatura di colore è pari a
Se invece utilizziamo
l = 4,4 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nel blu
l = 5,5 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nella banda del visibile
Si ottiene l'indice B-V del sistema fotoelettrico U-B-V di Morgan-Johnson
Anche in questo caso la taratura viene effettuata fissando la costante di zero in modo che B-V = 0 per stelle di classe spettrale A0 (T 10.000°K). La costante di zero varrà quindi cost = + 0,5 e la relazione diventa
ed in definitiva la temperatura di colore è pari a
Ipotizziamo che il Pianeta si comporti come un disco di raggio R perfettamente riflettente. Per tener eventualmente conto della forma ellissoidale del Pianeta possiamo usare il raggio di un cerchio avente la stessa aerea dell'ellisse planetario. L'area di un ellisse è pari a pab, con a semiasse maggiore (raggio equatoriale) e b semiasse minore (raggio polare). Per cui il raggio del cerchio avente la stessa area è pari a e, ricordando che , avremo anche .
Il flusso luminoso φ che colpisce la Terra proveniente da una sorgente estesa (il disco planetario o il disco solare) è direttamente proporzionale al flusso emesso per unità di superficie w (luminosità unitaria) del corpo emittente e all'angolo solido θ sotto il quale viene vista la superficie emittente da un osservatore posto sulla Terra.
φ = k w θ
Un Pianeta di raggio R posto a distanza D dal Sole intercetta una frazione di energia solare () pari all'area del suo disco planetario pR2 fratto l'area totale della superficie sferica 4pD2 investita dal flusso solare.
Se il Pianeta si comporta come uno specchio piano perfettamente riflettente (albedo A = 1) la sua luminosità totale sarà e la luminosità unitaria . La luminosità unitaria della superficie solare sarà invece pari alla luminosità totale del Sole () diviso la sua superficie .
Il rapporto tra luminosità intrinseca unitaria Pianeta/Sole sarà dunque pari a
L'angolo solido (in steradianti[2]) sotto il quale osserviamo la superficie del disco planetario è , dove DTP è la distanza Terra-Pianeta. In modo analogo l'angolo solido sotto il quale osserviamo il disco solare è , dove DTS è la distanza Terra-Sole (unità astronomica) pari a circa 149,6 milioni di km.
Dunque il flusso luminoso che colpisce la Terra proveniente dal Pianeta è
poiché tuttavia il Pianeta non riflette integralmente la radiazione proveniente dal Sole, ma solo una frazione di essa, definita albedo A del pianeta, il flusso in arrivo deve essere moltiplicato per tale frazione
mentre il flusso luminoso che colpisce la terra proveniente dal Sole è
Infine, il rapporto tra i due flussi vale
Possiamo ora calcolare la magnitudine apparente del pianeta utilizzando la relazione di Pogson che lega la differenza di magnitudine tra due corpi celesti al rapporto dei loro flussi luminosi ricevuti sulla Terra
Sapendo che la magnitudine apparente del Sole , la relazione diventa
dalla quale è possibile esplicitare l'albedo A del Pianeta, detta albedo geometrica
Calcoliamo, ad esempio, l'albedo di Nettuno sapendo che:
la sua massima luminosità (in corrispondenza della sua massima vicinanza al Sole ed alla Terra) corrisponde ad una magnitudine apparente pari a m = 7,8
il suo raggio medio è R = 24624 km = 1,646 10-4 UA
la sua distanza minima dal Sole (al perielio) è 29,811 UA
la sua distanza minima dalla Terra è 28,783 UA
Nettuno riflette circa il 41% della luce solare incidente
Fasi planetarie
Nel caso dei pianeti interni (Mercurio e Venere) e di Marte è necessario tener conto delle fasi, cioè del fatto che, come avviene per la Luna, il disco planetario osservabile dalla Terra non è sempre completamente illuminato. Il circolo di illuminazione (perpendicolare alla direzione Sole-Pianeta), proiettato sul disco planetario osservabile dalla Terra, traccia su di esso una semiellisse di semiassi a = R e b = R cos j, dove j è l'angolo di fase, cioè l'angolo Sole-Terra visto dal Pianeta.
La distanza angolare del Pianeta dal Sole (vista dalla Terra) si definisce invece elongazione e
L'area illuminata del disco planetario osservabile dalla Terra sarà dunque pari all'area del semidisco planetario () più l'area della semiellisse ()
dove rappresenta la frazione illuminata del disco planetario in funzione dell'angolo di fase j
In definitiva, per un pianeta che presenti il fenomeno delle fasi, l'angolo solido sarà pari a
ed il flusso
Durante una rivoluzione sinodica dei pianeti interni l'angolo di fase può assumere tutti i valori compresi tra 0 e 2p. Possiamo considerare, in prima approssimazione, costante la distanza Terra-Sole e la distanza Pianeta-Sole, ma non la distanza tra la Terra ed il Pianeta.
Scriviamo allora la distanza Terra-Pianeta in funzione dell'angolo di fase usando il teorema di Carnot
da cui
Il flusso luminoso proveniente dal pianeta diventa allora
ed il rapporto tra il flusso luminoso del Pianeta ed il flusso luminoso del Sole
la magnitudine del Pianeta diventa così
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