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Elementi propedeutici di fisica




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Elementi propedeutici di fisica


Forze e strutture

La caratteristica forse più appariscente dell'universo sta nella grande varietà di oggetti che lo compongono. Dagli atomi alle galassie l'universo rivela una gerarchia di strutture e forme in continua evoluzione.

A ben guardare un universo amorfo, senza struttura potrebbe teoricamente esistere, costituito solo da particelle elementari e radiazione in moto caotico, senza possibilità di legami reciproci. Le strutture si producono infatti perché esiste un qualche genere di restrizione al movimento disordinato della materia. Possiamo allora affermare che l'esistenza nell'universo di materia strutturata rivela inequivocabilmente l'esistenza di restrizioni, di forze che costringono le particelle ed i corpi in genere ad aggregarsi in modo più o meno ordinato.


In fisica il concetto di forza viene descritto attraverso le tre leggi della dinamica (Newton).


1) Il principio di inerzia afferma che un corpo mantiene il suo stato di quiete o di moto uniforme lungo una linea retta se non esiste una forza ad esso applicata.


2) Quando una forza viene applicata ad un corpo libero di muoversi essa produce una variazione della velocità del corpo (accelerazione) per tutto il tempo durante il quale la forza agisce. Tale accelerazione risulta direttamente proporzionale alla forza applicata ed inversamente proporzionale alla massa del corpo ( F = ma). Naturalmente se la forza agisce su di un corpo già in movimento, essa può produrre un'accelerazione positiva se agisce nel senso del moto, negativa se agisce in senso opposto. Se infine una forza viene applicata perpendicolarmente alla direzione del moto essa non produce variazioni sul modulo della velocità, ma esclusivamente sulla direzione, costringendo il corpo a muoversi di moto circolare uniforme.


3) Se un corpo esercita una forza su di un secondo corpo, allora il secondo esercita sul primo una forza uguale e contraria.


Nel sistema internazionale di unità di misura (SI) l'unità di misura della forza è il newton (N). 1 newton è la forza che, applicata ad una massa di 1 kg, le imprime un'accelerazione di 1 m/s2.

Nel sistema cgs l'unità di misura delle forze è la dina (dyn). 1 dina è la forza che, applicata ad una massa di 1 g, le imprime un'accelerazione di 1cm/s2. I fisici ritengono oggi che in natura esistano 4 tipi fondamentali di forze o interazioni in grado di giustificare tutte le strutture esistenti.


Le 4 forze naturali


L'interazione gravitazionale

E' la forza che si esercita tra corpi in virtù della loro massa. E' una forza esclusivamente attrattiva che agisce in modo proporzionale alla massa dei corpi, mentre risulta inversamente proporzionale al quadrato della distanza che separa i corpi. Viene descritta dalla legge di gravitazione universale enunciata per la prima volta da Newton.

dove G è la costante di gravitazione universale.

L'esperienza dimostra che la forza gravitazionale tra corpi anche molto vicini è estremamente debole, a meno che non siano in gioco masse enormi. Per questo motivo l'interazione gravitazionale non può essere invocata per spiegare la stabilità dei corpi di piccole dimensioni. Essa diventa invece l'unica forza in grado di strutturare corpi molto massicci ed è quindi considerata la forza principale capace di governare le grandi strutture dell'universo, dai pianeti alle stelle, alle galassie. Il suo raggio d'azione è infinito, nonostante che alle grandi distanze la sua intensità diventi naturalmente molto piccola.


Interazione elettromagnetica

Mentre la forza gravitazionale è una proprietà della massa ed è quindi sempre presente tra due corpi qualsiasi, la forza elettromagnetica agisce solo tra corpi elettricamente carichi. In natura esistono due tipi di cariche elettriche, convenzionalmente designate come positive e negative. La forza elettromagnetica risulta attrattiva solo tra cariche di segno opposto, mentre diventa repulsiva per cariche dello stesso segno. L'intensità della forza varia in funzione dell'intensità delle cariche in gioco e della loro distanza con una legge analoga a quella di gravitazione universale, nota come legge di Coulomb.

dove K è una costante di proporzionalità pari a , con  costante dielettrica del vuoto.

Nel sistema SI la carica elettrica si misura in coulomb (C).

Poiché gli atomi di cui è composta la materia sono formati da un nucleo di protoni carichi positivamente, intorno al quale orbitano elettroni negativi, la forza coulombiana risulta essere responsabile della struttura atomica e molecolare, producendo tutti quei legami che noi definiamo 'chimici', i quali garantiscono la stabilità dei corpi ordinari. Le forze elettriche hanno come le forze gravitazionali raggio d'azione infinito, ma risultano circa 1036 volte più intense di queste ultime.


Interazione forte

Dopo aver verificato che la forza repulsiva che si esercita tra i protoni positivi è enormemente più intensa di quella attrattiva dovuta alla loro attrazione gravitazionale, diventa inevitabile postulare l'esistenza di un qualche altro tipo di forza capace di giustificare la stabilità dei nuclei atomici. L'esistenza di tale forza attrattiva estremamente intensa, chiamata interazione forte, venne confermata dopo che nel 1932 Chadwick ebbe scoperto il neutrone nei nuclei atomici. Successivi esperimenti durante i quali i neutroni vennero fatti collidere con protoni e con nuclei atomici dimostrarono infatti l'esistenza di una attrazione tra nucleoni (protoni e neutroni), che si rendeva efficace solo quando questi venivano portati a distanze inferiori a 10-13 cm. Oltre tale distanza l'interazione forte non è più in grado di far sentire i suoi effetti ed è per questo motivo che le dimensioni tipiche dei nuclei atomici sono tutte di questo ordine di grandezza (10-13 cm). Il minuscolo raggio di azione dell'interazione forte spiega anche perché sono richieste energie enormi per portare due protoni ad unirsi in un processo di fusione nucleare, come quello che avviene all'interno delle stelle.

Forza di colore

In realtà oggi i fisici ritengono che l'interazione forte non sia una forza fondamentale di natura ma una specie di residuo di una forza, detta forza di colore, che tiene uniti i quark all'interno di ciascun adrone.

Secondo tale modello ciascun adrone è formato da tre quark di colore diverso, rosso, verde e blu. Naturalmente i colori indicano semplicemente tre diversi tipi di cariche, nello stesso modo in cui i termini positivo e negativo indicano convenzionalmente i due tipi di carica elettrica. I tre quark all'interno di un adrone si attirano per la presenza delle tre cariche di colore, le quali complessivamente appaiono neutre, come un atomo appare neutro per il fatto di essere costituito da tanti protoni positivi quanti elettroni negativi. I fisici si riferiscono al fatto che gli adroni non possiedano complessivamente una carica di colore residua dicendo che gli adroni sono bianchi (la somma dei tre colori fondamentali, rosso verde e blu).

Ma quando due adroni sono sufficientemente vicini è possibile che il quark di un certo colore di un adrone attiri un quark di colore diverso dell'altro adrone. Tali interazioni tra quark di adroni diversi sarebbero dunque responsabili delle forze che tengono uniti protoni e neutroni nei nuclei atomici e che noi abbiamo finora descritto come interazione forte. L'interazione forte rappresenterebbe quindi un residuo della forza di colore, in modo analogo a quanto accade per le forze intermolecolari che rappresentano un residuo della più fondamentale attrazione elettromagnetica che tiene uniti protoni ed elettroni all'interno degli atomi e delle molecole.


Infatti solo quando due protoni possiedono un'energia cinetica (e quindi una temperatura) tale da vincere la repulsione elettrostatica fino a portarsi a distanze di 10-13 cm, l'interazione forte può produrre i suoi effetti attrattivi. L'interazione forte risulta 137 volte più intensa della interazione elettromagnetica. Tutte le particelle soggette ad interazione forte sono classificate come adroni


Interazione debole

L'interazione debole venne introdotta nel 1935 da Fermi per descrivere il fenomeno del decadimento beta. Si tratta dell'interazione naturale più sfuggente e difficile da descrivere Poiché i suoi effetti sono quelli di provocare particolari tipi di decadimenti a livello di particelle elementari. In generale possiamo affermare che l'interazione debole è responsabile di tutti quei decadimenti in cui sono implicati neutrini. L'esistenza del neutrino venne postulata nel 1930 da Pauli per salvare il principio di conservazione dell'energia che sembrava altrimenti violato nel decadimento beta, visto che la somma della quantità di moto del protone e dell'elettrone non era pari a quella iniziale del neutrone.



L'interazione debole presenta raggio d'azione dell'ordine di 10-16 cm ed è 1013 volte meno intensa dell'interazione forte. Tutte le particelle che non sentono l'interazione forte e che sono in grado di 'sentire' l'interazione debole sono dette leptoni (gli adroni sentono sia l'interazione forte che l'interazione debole). Sono leptoni l'elettrone, il muone (), il tauone () ed i rispettivi neutrini.


Le Particelle elementari e i quanti di forza

Le 4 forze naturali agiscono essenzialmente sulla materia. Attualmente i fisici possiedono un modello estremamente sintetico ed elegante che descrive la materia.

Quando una porzione di materia viene ritenuta non ulteriormente divisibile (l'atomo dei greci) prende il nome di particella elementare o quanto di materia. Si ritiene che esistano 2 tipi di particelle materiali elementari (non composte da altre particelle): Quark e Leptoni.

Si conoscono 6 Quark e 6 Leptoni, comunemente raggruppati in 3 famiglie, ciascuna contenente due Quark e due Leptoni secondo il seguente schema (la massa è espressa in MeV (l'elettronvolt è l'energia acquistata da un elettrone quando viene accelerato dalla differenza di potenziale di 1volt.    1 MeV = 106 eV) e la carica elettrica come frazione della carica unitaria dell'elettrone)


QUARK

I  famiglia


II  famiglia


III  famiglia


nome


sigla

carica

massa

nome

sigla

carica

massa

nome

sigla

carica

massa

up

u



charm

c



top

t



down

d



strange

s



bottom

b






I  famiglia


II  famiglia

III  famiglia

nome


sigla

carica

massa

nome

sigla

carica

massa

nome

sigla

carica

massa

elettrone

e



muone




tauone




neutrino

elettron.

e


< 0,0051

neutrino

muonico



< 0,27

neutrino tauonico



< 31


LEPTONI

La prima famiglia va a costituire la materia ordinaria con la quale è costruito l'intero universo materiale dagli atomi alle galassie. Le rimanenti due famiglie sono costituite da particelle instabili che si formano attualmente solo in condizioni termodinamiche particolari (ad esempio nei grandi acceleratori di particelle) e si trasformano (decadono) rapidamente nelle particelle stabili della prima famiglia.

Ciascuna delle 12 particelle presenta inoltre la sua antiparticella che si distingue solo per avere carica elettrica opposta. Le antiparticelle vengono rappresentate con il simbolo della particella con una barretta sopra. Ad esempio l'elettrone (e o e-) ha come antiparticella l'antielettrone o positrone ( o e+).


A differenza dei Leptoni, i Quark non esistono liberi in natura, ma si aggregano a gruppi di 2 o 3. Le particelle composte da 3 Quark sono chiamate barioni, quelle composte da 2 Quark sono dette mesoni. Barioni e mesoni costituiscono un unico gruppo di particelle note come adroni.

Gli unici due barioni stabili nelle attuali condizioni termiche dell'universo sono il protone (duu) formato da due Quark up ed un Quark down e il neutrone (ddu) formato da un quark up e due Quark down.

La carica elettrica degli adroni si ottiene come somma algebrica della carica elettrica dei singoli Quark che li compongono. Non esistono adroni con cariche elettriche frazionarie. I mesoni si formano dall'unione di un Quark e di un Antiquark. Ad esempio il pione negativo - presenta la seguente struttura . I mesoni presentano un quark di un colore ed un antiquark del rispettivo anticolore (antirosso = ciano; antiverde = magenta; antiblu = giallo), in modo che anch'essi si presentano globalmente neutri (bianchi) per quanto riguarda la carica di colore.



I barioni possiedono tutti spin semintero e sono perciò fermioni (ubbidiscono al principio di esclusione di Pauli), mentre i mesoni presentano spin intero e sono perciò bosoni (non ubbidiscono al principio di esclusione di Pauli).


Quark e Leptoni interagiscono attraverso i 4 tipi di forze fondamentali già descritte. Oggi però anche le forze o interazioni vengono descritte attraverso teorie quantistiche. Ciò significa che quando due particelle materiali interagiscono tramite una delle quattro forze di natura lo fanno, secondo le attuali vedute, scambiandosi un quanto di forza. I quanti associati alle quattro forze di natura possono a tutti gli effetti essere considerati come particelle portatrici di forza (vettori di forza

Le particelle che mediano le interazioni sono tutte bosoni (bosoni intermedi



interazione quanto spin carica elett.


gravitazionale gravitone (ipotetico) 2 0

elettromagnetica fotone 1 0

forte (di colore) 8 gluoni 1 0

debole 3 bosoni deboli

W+ 1 + 1

W- 1 - 1

Z° 1 0


L'interazione gravitazionale è una forza puramente attrattiva che agisce tra corpi dotati di massa tramite scambio di gravitoni. La descrizione quantistica di tale interazione non è ancora soddisfacente.


L'interazione elettromagnetica è una forza che agisce sia in modo attrattivo che repulsivo tra particelle dotate di carica elettrica tramite scambio di fotoni


L'interazione di colore agisce tra i Quark tramite scambio di 8 gluoni, mantenendo legati i Quark all'interno degli adroni. I leptoni non possiedono carica di colore e su di essi non agisce pertanto l'interazione forte.


L'interazione debole è alla base di tutti i processi tra particelle in cui sono coinvolti neutrini. Sia quark che leptoni presentano carica debole. In tutte le reazioni di interazione debole sono coinvolti 4 fermioni. Il decadimento del neutrone è una tipica interazione debole mediata dal bosone W-



I bosoni deboli elettricamente carichi (W+ e W-) sono in grado di trasformare i Quark l'uno nell'altro secondo il seguente schema


Così il decadimento beta del neutrone deve essere interpretato come una trasformazione di un Quark d in un Quark u per emissione di un bosone debole W- il quale decade poi in un elettrone e in un antineutrino elettronico



In modo analogo i leptoni possono trasformarsi l'uno nell'altro per interazione debole secondo il seguente schema



Ad esempio il muone decade in un elettrone, un neutrino muonico e in un antineutrino elettronico secondo la seguente reazione



Le 4 interazioni fondamentali presentano ovviamente una diversa intensità (o adesività).Tali differenze tendono però ad annullarsi con l'aumentare della temperatura.

L'intensità dell'interazione debole e di quella elettromagnetica diventano ad esempio paragonabili ad una temperatura di circa 1015°K, che corrisponde ad una energia cinetica media () delle particelle di circa 1011 eV.

L'ipotesi che l'interazione debole e l'interazione elettromagnetica potessero essere a tutti gli effetti indistinguibili ed unificarsi a tali energie ha trovato una conferma sperimentale nel 1983 ad opera dell'équipe del CERN guidata da C. Rubbia.

Al di sopra di 1015°K non ha quindi più senso distinguere fotoni e bosoni deboli e sarebbe più opportuno parlare di un unico tipo di vettori intermedi, i bosoni elettrodeboli che trasportano un'unica forza elettrodebole unificata.


Anche se non è ancora stato possibile effettuare una verifica sperimentale, pochi scienziati hanno oggi dei dubbi che anche l'interazione forte possa unificarsi con l'interazione elettrodebole. Vi sono diverse teorie che prevedono tale unificazione al di sopra di 1027°K (1023 eV) e che sono note come Teorie di Grande Unificazione (GUT).

Secondo la più semplice di tali teorie (SU5) al di sopra di tale temperatura risultano stabili 24 bosoni vettori intermedi, noti come bosoni X che trasportano un'unica forza grandunificata. Lo scambio di tali bosoni tra Quark e Leptoni trasforma gli uni negli altri. Sopra tale temperatura non avrebbe nemmeno più senso distinguere tra Quark e Leptoni che vengono spesso indicati come lepto-quark.

Al di sotto di tale temperatura 12 bosoni X decadono negli 8 gluoni e nei 4 bosoni elettrodeboli, mentre gli altri 12 bosoni X decadono in quark e leptoni stabili.


Esistono infine ipotesi teoriche, sulle quali non vi è ancora sufficiente convergenza da parte degli specialisti, che prevedono una completa unificazione di tutte e 4 le forze a 1032 °K (1028 eV). Tra queste sollevano particolare interesse tra i fisici le teorie supersimmetriche (SUSY) che prevedono che sopra una certa temperatura anche fermioni e bosoni diventino indistinguibili. Secondo tali teorie ogni particella elementare nota dovrebbe essere associata ad una particella supersimmetrica (superpartner) che differisce, oltre che per la massa molto elevata solo per mezza unità di spin. Così tutti i fermioni avrebbero dei bosoni per superpartners e viceversa. I fermioni supersimmetrici (tutti con spin 1/2 tranne il gravitino con spin 3/2) vengono indicati aggiungendo la desinenza -ino al nome del loro partner normale (fotino, gluino, Wino, Zino, gravitino), mentre i bosoni supersimmetrici (tutti con spin zero) vengono indicati anteponendo il prefisso s- al nome dei loro partners normali (selettrone, sneutrino, squark).



La radiazione elettromagnetica

La maggior parte delle informazioni che ci pervengono dallo spazio sono sotto forma di energia elettromagnetica. La conoscenza della natura e delle leggi che governano la radiazione elettromagnetica risulta quindi fondamentale nello studio dei corpi celesti.

Nel 1820 il fisico danese Hans Christian Oersted scoprì che un magnete ed un filo percorso da corrente elettrica si attirano reciprocamente.

Nel 1831 l'inglese Michael Faraday trovò che a sua volta un magnete in movimento esercita una forza su di una carica elettrica ferma costringendola a muoversi, fenomeno oggi noto come induzione elettromagnetica.

Divenne dunque presto evidente che la forza elettrica e la forza magnetica, fino ad allora ritenute separate, dovevano essere due aspetti di uno stesso fenomeno.

Qualche decennio più tardi lo scozzese James Clerck Maxwell sintetizzò tali risultati sperimentali con uno straordinario lavoro teorico. Servendosi esclusivamente del calcolo differenziale Maxwell dimostrò infatti che un campo elettrico di intensità variabile nel tempo produce nello spazio circostante un campo magnetico anch'esso di intensità variabile. Il campo magnetico indotto, variando di intensità, induce a sua volta un campo elettrico variabile e così via.

In conclusione l'iniziale perturbazione del campo (elettrico o magnetico che sia) non rimane confinata nello spazio, ma si propaga come una serie di campi magnetici ed elettrici concatenati di intensità variabili. Le variazioni di intensità si presentano con tipico andamento sinusoidale, tanto da meritare al fenomeno il nome di onda elettromagnetica.

La teoria di Maxwell permette anche di ottenere per via teorica la velocità di propagazione dell'onda, la quale risulta essere pari al reciproco della radice quadrata del prodotto della costante dielettrica del vuoto (o) per la permeabilità magnetica del vuoto (o).

v =  = 300.000 km/s

La straordinaria coincidenza numerica tra la velocità di propagazione dell'onda elettromagnetica e la velocità di propagazione della luce nel vuoto 'c', portò Maxwell a formulare l'ipotesi, in seguito confermata sperimentalmente da Hertz, che la luce non fosse altro che un onda elettromagnetica di particolare lunghezza d'onda.


Un'onda elettromagnetica, essendo un campo di forze di intensità variabile che si propaga nello spazio, agisce su tutte le particelle cariche e sui magneti che incontra costringendoli a vibrare al suo stesso ritmo, così come un sughero sull'acqua viene fatto oscillare dal passaggio di un'onda d'acqua.


Essendo la radiazione elettromagnetica un fenomeno ondulatorio, essa è descrivibile attraverso i caratteristici parametri associabili a qualsiasi onda:


1) il periodo T viene definito come il tempo impiegato dal campo elettromagnetico per eseguire una vibrazione completa o, il che è lo stesso, il tempo impiegato da una cresta d'onda per raggiungere la posizione precedentemente occupata dalla cresta che la precede.


2) viene definita frequenza , il reciproco del periodo (1/T). La frequenza misura il numero delle oscillazione nell'unità di tempo. Si misura in cicli al secondo o hertz.


3) Si definisce infine lunghezza d'onda , lo spazio tra due creste successive. La lunghezza d'onda rappresenta anche lo spazio percorso dall'onda nel tempo T.


Poiché la velocità di propagazione 'c' delle onde elettromagnetiche è costante ed essa è pari al rapporto tra lo spazio percorso  ed il tempo impiegato a percorrerlo T, se ne deduce che e T sono direttamente proporzionali

c = 

inoltre, poiché  = 1/T, la relazione si può scrivere

c =  

lunghezza d'onda e frequenza sono inversamente proporzionali.

L'onda elettromagnetica trasporta energia. Ce ne possiamo facilmente convincere pensando al fatto che le onde elettromagnetiche sono in grado di mettere in movimento le cariche elettriche investite, eseguendo su di esse un lavoro.

Quando però si prendono in considerazione fenomeni in cui sono coinvolti scambi energetici tra radiazione elettromagnetica e materia, il nostro modello ondulatorio diventa purtroppo inadeguato ed incapace di dar ragione di molti fatti sperimentali.

In tal caso viene utilizzato un modello corpuscolare in cui la radiazione risulta costituita da pacchetti di energia detti fotoni.

L'energia portata da ciascun fotone risulta direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione secondo una costante di proporzionalità 'h', detta costante di Planck


E = h 

Dunque la radiazione ad alta frequenza (e piccola lunghezza d'onda) risulta composta da fotoni altamente energetici, mentre la radiazione a bassa frequenza (ed elevata lunghezza d'onda) è costituita da fotoni poco energetici.


La classificazione delle radiazioni elettromagnetiche in base alla lunghezza d'onda (o, il che è lo stesso, in base alla frequenza) prende il nome di spettro elettromagnetico

Le onde elettromagnetiche che il nostro occhio riesce a percepire, indicate come frazione visibile dello spettro o spettro visibile, possiedono una lunghezza d'onda compresa tra 0,39 e 0,77 .

Noi percepiamo ciascuna lunghezza d'onda della radiazione visibile come un colore diverso. Alla radiazione di maggior lunghezza d'onda corrisponde il rosso (0,62 - 0,77 ). Al diminuire della lunghezza d'onda corrisponde l'arancione, il giallo, il verde, il blu ed infine, alla radiazione di minor lunghezza d'onda corrisponde il violetto ( 0,39 - 0,43 ).

Al di là del violetto troviamo radiazioni di minor lunghezza d'onda e di maggior energia, invisibili all'occhio umano, corrispondenti all'ultravioletto, ai raggi X ed ai raggi gamma.

Al di qua del rosso troviamo radiazioni di maggior lunghezza d'onda e di minor energia, corrispondenti all'infrarosso, alle microonde ed alle onde radio.


Attraverso una tecnica detta spettroscopia è possibile suddividere una radiazione proveniente da un corpo e composta da onde elettromagnetiche di diversa lunghezza d'onda nelle sue componenti, dette radiazioni monocromatiche. Si ottengono così una serie di righe colorate aventi ciascuna una particolare lunghezza d'onda, che definiscono lo spettro di quel corpo.

Esistono due tipi fondamentali di spettri: gli spettri di emissione e gli spettri di assorbimento.



Spettri di emissione

Gli spettri di emissione sono prodotti direttamente dai corpi e rappresentano una forma di emissione di energia da parte della materia. Trattandosi di un caso di interazione materia/radiazione tali fenomeni vanno trattati utilizzando il modello corpuscolare.

Esistono due tipi di spettri di emissione: spettri di emissione continui e spettri di emissione discontinui o 'a righe'.


1) Gli spettri di emissione continui vengono prodotti da corpi solidi o liquidi a qualsiasi temperatura al di sopra dello zero assoluto (0°K). La radiazione emessa è identica per qualsiasi tipo di corpo ad una stessa temperatura. In altre parole lo spettro che si forma non dipende dalla natura chimica del corpo emittente, ma è funzione esclusivamente della sua temperatura. Lo spettro che si forma si dice continuo in quanto sono presenti tutte le righe spettrali anche se con intensità diversa. L'intensità delle righe spettrali cresce da sinistra verso destra, raggiunge un massimo per poi decrescere. Affermare che ciascuna riga spettrale presenta una diversa intensità, significa dire che ciascuna riga trasporta una diversa quantità di energia. Se costruiamo il diagramma che mette in relazione la distribuzione di energia dello spettro in funzione della lunghezza d'onda si ottiene una curva di questo tipo



La lunghezza d'onda in corrispondenza con il massimo della curva trasporta la maggior quantità di energia ed è detta lunghezza d'onda di massima emissione (max), mentre le radiazioni di lunghezza d'onda minore e maggiore risultano meno intense e trasportano quindi una minor quantità di energia.

Si noti che l'intensità massima non è necessariamente situata in corrispondenza delle lunghezze d'onda più energetiche (lunghezze d'onda minori). Ciò perché queste ultime, pur essendo formate da fotoni più energetici, sono evidentemente costituite da un numero di fotoni molto esiguo rispetto a quello che costituisce le lunghezze d'onda in corrispondenza delle quali è situato il picco.

La posizione del picco di energia dipende dalla temperatura del corpo emittente. Diminuendo la temperatura il massimo si sposta verso lunghezze d'onda maggiori e contemporaneamente la curva si abbassa.       


Il valore della lunghezza d'onda di massima emissione è ricavabile in base alla legge dello spostamento di Wien

max T = K

Temperatura assoluta e lunghezza d'onda di massima emissione risultano dunque inversamente proporzionali. E' per questo motivo che un corpo portato ad alta temperatura ( ad esempio una sbarra di ferro) ci appare prima rosso, poi arancione, poi giallo, poi bianco-azzurro. Per lo stesso motivo vedremo che esistono stelle superficialmente 'più fredde' che ci appaiono rosse e stelle via via più calde che vediamo gialle, arancioni etc. Ciò non significa che emettono solo quella lunghezza d'onda, ma che le altre lunghezze d'onda emesse sono talmente deboli da essere sovrastate dalla lunghezza d'onda di massima emissione.


Per temperature molto basse il massimo di emissione non cade più nella banda della luce visibile, ma si sposta nella zona dell'infrarosso, fino a raggiungere, per temperature bassissime le microonde e le onde radio.


Naturalmente un corpo a maggior temperatura deve emettere complessivamente anche una maggior quantità di energia e viceversa. Infatti diminuendo la temperatura la curva non solo si sposta ma si abbassa. Si può dimostrare che l'area sottesa alla curva (integrale della funzione) rappresenta l'energia totale emessa nell'unità di tempo e per unità di superficie radiante.

La relazione che descrive la variazione di energia emessa in funzione della temperatura del corpo emittente è detta legge di Stefan-Boltzmann.


E = T4


Per inciso ricordiamo che la curva di spettro continuo è detta anche curva di corpo nero (così viene chiamato un radiatore integrale, cioè un corpo in grado di riemettere tutta l'energia che assorbe) e che tutti i tentativi di descrivere matematicamente tale curva applicando il modello ondulatorio di Maxwell rimasero infruttuosi fino all'inizio del '900, quando l'introduzione della costante di Planck 'h' aprì le porte ad un modello corpuscolare e quantizzato dell'emissione di energia radiante.


2) Gli spettri di emissione a righe si producono quando un gas o un vapore assorbe una opportuna quantità di energia che poi riemette sotto forma di particolari e caratteristiche righe spettrali.

Facendo attraversare la radiazione proveniente da un gas eccitato attraverso uno spettrografo non si ottengono tutte le righe spettrali, ma uno spettro composto da poche righe separate da spazi vuoti in cui le righe sono assenti.

L'interesse di tali spettri è dovuto al fatto che il tipo di righe emesse da ciascun elemento o composto chimico allo stato gassoso, dipende dalla sua particolare struttura atomica e quindi esiste uno spettro a righe specifico e caratteristico per ciascun elemento o composto. In tal modo analizzando le righe spettrali provenienti dai corpi celesti è spesso possibile risalire ai composti di cui sono costituiti, eseguendo una vera e propria analisi chimica a distanza.


Spettri di assorbimento

Quando una radiazione termica di corpo nero, dopo aver attraversato un vapore o un gas, viene analizzata allo spettrografo, si constata che dallo spettro continuo mancano alcune righe spettrali, le quali sono state assorbite dal gas interposto.

In pratica si osserva che i gas ed i vapori assorbono le stesse radiazioni che emettono quando vengono eccitati (legge di Kirchhoff - 1859), per cui lo spettro di assorbimento risulta l'esatto negativo dello spettro a righe. Le righe nere degli spettri di assorbimento vengono dette righe di Fraunhofer, dal nome del fisico che per primo le osservò nel 1815 nello spettro solare.



Effetto Doppler

Quando osserviamo gli spettri provenienti da corpi in moto relativo rispetto a noi essi ci appaiono deformati. In particolare le righe risultano spostate verso lunghezze d'onda maggiori se la sorgente luminosa possiede un moto relativo di allontanamento, mentre risultano spostate verso lunghezze d'onda minori se la sorgente è animata da un moto relativo di avvicinamento.

Poiché nello spettro visibile le lunghezze d'onda maggiori corrispondono al rosso, mentre le lunghezze d'onda minori corrispondono al blu, il fenomeno di 'dilatazione' della lunghezza d'onda proveniente da un corpo in allontanamento è indicato come spostamento verso il rosso o red-shift, mentre il fenomeno di 'compressione' della lunghezza d'onda proveniente da un corpo in avvicinamento è indicato come spostamento verso il blu o blu-shift.

Naturalmente ciò non significa che una radiazione che ha subito un red-shift o un blu-shift ci appaia effettivamente rossa o blu, significa solo che ci appare con una lunghezza d'onda rispettivamente maggiore o minore di quella che possedeva al momento di emissione.

L'intensità del fenomeno è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità radiale di allontanamento o di avvicinamento. Il fenomeno è analogo, come fece notare Doppler nel 1842 e come dimostrò sperimentalmente Fizeau nel 1848, a quello che si produce nelle onde acustiche. E' noto infatti che una sorgente sonora in avvicinamento produce un suono più acuto, mentre in allontanamento produce un suono più grave (effetto Doppler).

Supponiamo ora che una sorgente luminosa emetta onde elettromagnetiche di periodo Te e che la sorgente si stia allontanando dall'osservatore ad una velocità v.

Dopo aver emesso la prima cresta, la seconda verrà emessa dopo un tempo Te.

Ma nel tempo Te compreso tra un'emissione e la successiva la sorgente si allontana di uno spazio vTe. Questa distanza aumenta il tempo richiesto perché la seconda cresta raggiunga l'osservatore: alla velocità della luce c, lo spazio vTe verrà infatti percorso dalla seconda cresta in un tempo vTe/c.

L'osservatore dunque non misurerà più un periodo Te, ma un periodo più lungo. Il tempo compreso tra l'arrivo di una cresta e l'arrivo di quella successiva sarà infatti pari al periodo normale Te più il tempo necessario per percorrere il tratto vTe


To = Te + vTe/c


In base a tale nuovo periodo l'osservatore calcolerà una lunghezza d'onda pari a


o = cTo


mentre la lunghezza d'onda in partenza è in relazione con il periodo originario Te  


e = cTe


Dividendo membro a membro le due ultime relazioni si ottiene


da cui semplificando

ed infine

 viene comunemente indicato come 'z', parametro di red-shift. Si dimostra dunque che se z è dovuto ad effetto Doppler esso è pari al rapporto tra la velocità relativa del corpo emittente e la velocità della luce. Poiché è piuttosto semplice calcolare di quanto è aumentata o diminuita la lunghezza d'onda di uno spettro a righe, confrontandola con gli spettri standard dei vari elementi e composti ottenuti in laboratorio, rimane di conseguenza subito determinata la velocità di allontanamento o di avvicinamento espressa come percentuale della velocità della luce.

Se ad esempio misuriamo un aumento della lunghezza d'onda delle righe spettrali dell'idrogeno che costituisce una galassia dell'1%, possiamo dedurne che tra la terra e tale galassia esiste un movimento di allontanamento reciproco che avviene ad una velocità dell'1% di quella della luce (v/c = 0,01), pari a 3.000 km/s.

Determinando il parametro di red-shift (z) di alcuni corpi celesti sono stati calcolati valori superiori ad 1. Ciò non può naturalmente significare che tali corpi possiedono velocità superiori a quelle della luce. Significa invece che essi si allontanano con velocità talmente prossime a quelle della luce (velocità relativistiche) che è necessario utilizzare una relazione relativistica per il calcolo di z.

Nella relatività speciale z è legato alla velocità di allontanamento v dalle seguenti relazioni

              e


Si tenga presente che per valori di z < 0,01, cioè per velocità inferiori all'1% della velocità della luce, la relazione classica e quella relativistica forniscono valori praticamente coincidenti.



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