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Veltroni e Berlusconi: due discorsi a confronto




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Veltroni e Berlusconi: due discorsi a confronto



Introduzione

Il panorama politico italiano in questi ultimi mesi ha subìto non pochi mutamenti. Abbiamo assistito infatti ad un forte cambiamento di rotta, dalla politica della lotta tra maggioranza ed opposizione, le contestazioni, le offese, i toni aspri, che hanno portato solo a disaccordo e a tensioni perfettamente evitabili, siamo passati al dialogo, alla distensione, agli accordi costruttivi. Questo sforzo si può dire sia dovuto prevalentemente ai grandi problemi cui la politica italiana e mondiale devono far fronte e inoltre al crescente sentimento di malcontento e di crisi verso la politica stessa e i politici, incarnato dai sempre più numerosi comizi e manifestazioni antipolitiche indette dal comico Beppe Grillo e i suoi collaboratori. Infatti quest'ultimo ha portato progressivamente molte persone a perdere la fiducia nei confronti dei i politici italiani, e la loro condotta, ritenuta eticamente molto scorretta, inducendo molte persone all'astensione dal voto. In seguito a ciò inevitabilmente la politica e i politici hanno ritenuto opportuno, e necessario, il rinnovamento. Rinnovamento non solo fisico della classe politico-parlamentare, ma anche dell'impalcatura stessa dell'impianto democratico italiano: i partiti. Infatti dopo la caduta del Governo Prodi avvenuta in gennaio sono nate due importanti forze politiche che rappresentano la maggior parte degli elettori italiani a livello istituzionale. Il parlamento stesso ora è composto da pochi partiti rispetto alla legislatura precedente, ma in proporzione molto più coesi e compatti, rendendo molto più stabile la governabilità e la legislazione. È un grande passo avanti rispetto al passato istituzionale italiano di fine novecento e primi anni del XXI secolo, dove la frammentazione a livello parlamentare e governativa era notevole, con ribaltoni e sconvolgimenti da parte di tutti e due gli schieramenti storicamente opposti. Invece oggi, come già detto, si assiste ad una netta inversione di tendenza, i partiti in parlamento sono cinque, due alla maggioranza e dunque al governo, Popolo della Libertà e Lega Nord, e tre all'opposizione: Partito Democratico, Italia dei Valori e UDC. In pochi mesi abbiamo assistito alla nascita dei due più grandi schieramenti presenti in Parlamento, il Partito Democratico, che nasce dalla fusione tra i due principali partiti di centrosinistra, protagonisti della passata legislatura, DS e Margherita e il cui segretario nazionale è il sindaco uscente di Roma On. Walter Veltroni. E il secondo, Il Popolo della Libertà, che nasce dalla fusione di due tra i principali partiti del centrodestra Forza Italia e Alleanza Nazionale, il cui leader è l'ex premier On. Silvio Berlusconi.  In occasione di tali eventi presenterò un'analisi dal punto di vista linguistico e retorico dei discorsi che ne decretarono rispettivamente la nascita, quello di Veltroni del 28 febbraio 2008 a Roma e quello di Berlusconi del 02 dicembre 2006 in Piazza S. Giovanni a Roma che ne anticipava la fondazione, avvenuta ufficialmente due anni dopo, sottolineandone rispettivamente analogie e differenze, e delineando progressivamente attraverso le loro parole le linee guida della nuova atmosfera di dialogo e tolleranza creatasi nel panorama politico italiano.


Discorso di Veltroni del 28 febbraio 2008 in occasione della nascita del Partito Democratico


Un anno e mezzo fa, un nostro grande amico, un maestro come Pietro Scoppola, si domandava, e domandava alla platea che lo ascoltava, cosa dovesse essere il nuovo Partito democratico che allora stava iniziando il suo cammino, quale dovesse essere il suo retroterra sociale e culturale, a quali riserve dovesse attingere e come si potesse riuscire a metterle in circolo. Storicamente, sottolineava Scoppola, i partiti nascono per rappresentare interessi e valori emergenti che non hanno spazio nella realtà sociale e politica e vogliono conquistarlo: così il partito liberale, così il partito socialista, così il partito popolare e poi i comunisti, la Democrazia cristiana, e più tardi gli ambientalisti, i verdi. Passando all'oggi, da storico Scoppola partiva dalle domande inevase lasciate dal tempo, dai problemi irrisolti lasciati dal secolo scorso, legati tutti a un intreccio di beni e interessi materiali e immateriali. In sostanza, diceva, il XX secolo ha segnato il fallimento delle ideologie di liberazione dell'uomo legate al mito dell'uomo nuovo costruito dal potere politico o dallo Stato. Ma ha segnato anche il fallimento del mito di una democrazia spontaneamente capace di assicurare le risposte giuste alle sfide della modernità. La nostra democrazia, diceva Scoppola, è riuscita a integrare le masse popolari nello Stato, ha prodotto maggiore benessere, ha distribuito in modo più equo la ricchezza. Ma non ha risposto fino in fondo alle domande, alle paure provocate dalla modernità. Una mancata risposta dovuta a una contraddizione non da poco, e cioè che nel momento in cui la complessità dei problemi avrebbe richiesto il massimo di apertura a nuove competenze e a nuove generazioni, il nostro sistema politico ha espresso il massimo di autoreferenzialità. Una mancata risposta legata anche a due rischi costanti, a due tendenze nemiche della ricerca capace di condurre alle soluzioni: da una parte la tentazione della rinuncia alla difesa della laicità dello Stato, dall'altra l'idea di escludere l'apporto dell'esperienza religiosa alla formazione del tessuto etico della società. Trascorso un anno e mezzo, questi rischi non sembrano essersi allontanati da noi. Al contrario. Affiora in particolare, in queste settimane, in questi giorni, la tentazione di dare per scontata nel nostro Paese una netta separazione e una nuova contrapposizione tra laici e cattolici. Unico caso in Europa, dove tutti i partiti a vocazione maggioritaria, a destra come a sinistra, sono "misti", per ispirazioni religiose e non, L'Italia sarebbe condannata a ripetere all'infinito la divisione di Porta Pia, superando all'indietro le stesse collaborazioni che si sono avute nella Prima Repubblica. Dovremmo ricadere, così, proprio in ciò che si era voluto evitare alla Costituente, quando si ricercavano sempre intese alte tra le forze politiche. Dovremmo rassegnarci a quei muri divisori, a quelle autosufficienze non comunicanti, che uomini come De Gasperi avevano già inteso superare, nelle forme allora possibili. Dovremmo essere costretti da una parte a minimizzare le conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori o dalla rivoluzione femminile o ancora i passi avanti compiuti sui grandi temi legati ai diritti civili. E dovremmo, dall'altra, non considerare, dimenticare, espungere dalla storia, il carattere grande e speciale del cattolicesimo politico italiano, che è stato quello di perseguire un disegno democratico al cui interno far valere l'apporto che la fede religiosa poteva fornire alla realizzazione di un paese più unito e aperto. Dovremmo, dovrebbe in particolare chi non è credente, ritenere di non aver nulla da imparare dall'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, dalla grande esperienza di libertà del Concilio, dall'esortazione della Gaudium et Spes affinché la Chiesa aprisse "porte e finestre", dall'inizio del lungo cammino dell'opzione per i poveri, per gli sfruttati, per ciò che la Chiesa chiamò un impegnarsi nel mondo e nella società a partire dagli ultimi. Dovremmo considerare prive di fondamento le preoccupazioni di quanti nella Chiesa si interrogano, e interrogano l'umanità contemporanea, sul valore della vita e su quello della famiglia, sul tema dell'educazione e sul valore della ricerca scientifica e i limiti alle sue applicazioni tecnologiche, limiti che l'uomo deve avere la saggezza di porsi. Si tratta di interrogativi profondi, che rendono inquiete le coscienze di credenti e non credenti. Solo una visione superficiale può ridurle a ingerenze o interferenze. "La società giusta - ha scritto Benedetto XVI nella sua prima enciclica dedicata alla carità cristiana - non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia, l'adoperarsi per la giustizia, lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente" Sono parole come queste, così chiare nella distinzione dei piani, che aprono la via del dialogo, che affermano nel modo più alto il valore della laicità, che allontano il rischio della separazione e rendono possibile la ricerca di un terreno su cui muoversi e incontrarsi in nome del bene comune. Uno dei rischi più grandi che oggi possiamo correre è quello di rinchiuderci in certezze assolute, dentro identità chiuse, esclusive ed escludenti. L'identità fa parte della vita degli uomini e dei popoli, che devono sapere dove affondano le proprie radici. Guai, però, se l'identità diventa un muro precario dietro il quale trincerarsi con ansia e preoccupazione, e non il terreno solido sul quale poggiare per potersi sporgere tranquillamente verso l'altro da sé. Si tratta dunque di superare la contrapposizione secca che divide, che bolla gli uni come "oscurantisti" e gli altri come "laicisti esasperati", per arrivare a una reciproca considerazione. E' proprio l'importanza e la complessità dei grandi temi che la modernità ci pone di fronte, a rendere essenziale la tensione verso una laicità eticamente esigente, una laicità che sappia sostituire al paradigma dell' "aut-aut" quello dell' "et-et". Nei momenti migliori della nostra storia è stato così. Ed è così che l'Italia è sempre andata avanti, ha superato i momenti più difficili, è cresciuta. Pensiamo proprio all'esempio della Costituente, a quando tra quei banchi si discusse se la nuova Costituzione dovesse avere un presupposto ideologico e un punto di incontro, e questo punto di incontro fu trovato nell'idea della dignità della persona umana. Ecco un esempio di sintesi, di reciproco arricchimento, di perseguimento concreto del bene comune: era una idea di matrice cristiana che, laicamente declinata, ha ispirato largamente il testo costituzionale. Allora io mi chiedo cosa debba mai impedire che quella straordinaria intuizione, il primato della dignità della persona umana, sia oggi principio animatore della vita associata. Mi domando cosa debba mai impedire che essa ispiri, ad esempio, una laicità e una libertà di coscienza e di religione che non neghino, anzi valorizzino, l'apporto delle esperienze religiose alla vita sociale. Sono domande che io credo sia giusto porsi soprattutto oggi, in un tempo così denso di cambiamenti e così insicuro. Chiunque si metta in ascolto con mente aperta e libera percepisce oggi, nelle nostre società, uno smarrimento diffuso. Individuale, ma anche collettivo. Una vera e propria "perdita di senso", sotto una fitta coltre di egoismo e di cinismo. Un deserto di valori, che conduce all'indifferenza verso ogni regola morale, che fa della vita e dei sentimenti degli altri una variabile che non conta, perché l'unica cosa importante è procedere a tutta velocità, e nel modo più facile possibile, nella ricerca del proprio ed esclusivo benessere. E in questa ricerca, che è poi ricerca del "successo", perché è l'approvazione esterna che conta mille volte di più della soddisfazione personale, è importante non "essere", ma "apparire". Non il cammino, ma il traguardo da tagliare per primi, se necessario anche deviando dal percorso, prendendo una scorciatoia non consentita. Questo è il messaggio che arriva, purtroppo soprattutto ai giovani, dalla cultura oggi predominante. Oggi la grande questione di fronte a noi è quella dei valori. Valori consumati dalla cultura predominante del nostro tempo, che è, "ingannevolmente, quella dello 'star bene' come principio assoluto", per riprendere le parole scelte in occasione della scorsa Pasqua dal Cardinal Martini. Valori senza i quali una società non può stare insieme, non è nemmeno più tale, e un individuo rischia di essere solo un viandante privo di meta, privo del senso stesso del suo cammino. Eppure. Eppure resta vero che le persone vogliono, ancora oggi, sentire di avere uno scopo. E' vero che vogliono essere riconosciute nella loro individualità e al tempo stesso sentirsi parte di qualcosa di più grande. Vogliono poter credere di non essere semplicemente destinate a percorrere una lunga strada verso il nulla. Non è, questa, una cosa che riguarda solo chi crede. E la politica non può chiamarsi fuori, non può essere indifferente. Il terreno degli ideali e dei valori morali che servono per tenere insieme una società è grandissimo. Le convinzioni di fede di ciascuno si possono e si devono conciliare con il bene di tutti, superando i reciproci sospetti, cercando un punto di incontro virtuoso, che non mortifichi i convincimenti degli uni o degli altri. Vedete, a volte le idee e le posizioni politiche vengono semplificate, a volte la comprensione profonda viene sacrificata sull'altare della notizia che fa colore e viene letta sui giornali con più facilità. Tutto si riduce, ad esempio, a identificare l'uno o l'altro dei candidati delle primarie americane con questo o quello degli esponenti politici del nostro Paese, cercando somiglianze o facili affinità. Ma se di Barack Obama, delle sue idee, io devo sottolineare una delle cose su cui più mi trovo d'accordo, anzi in piena sintonia, è proprio la novità del suo approccio, la capacità di superare gli schemi "classici" che separano rigidamente sfera privata e sfera pubblica. "Dire che uomini e donne non dovrebbero far confluire la loro morale personale, la loro fede, nel dibattito pubblico, è un assurdo pratico", dice Obama, che aggiunge: "se noi progressisti riuscissimo a disfarci dei pregiudizi, potremmo riconoscere l'esistenza di valori convergenti, condivisi da credenti e laici, quando si tratta della direzione morale e materiale del nostro Paese". Obama esprime con queste parole, in modo molto chiaro, una cosa molto profonda e preziosa: i laici sbagliano quando chiedono ai credenti di lasciare fuori dalla porta la religione prima di entrare nell'agone politico. Allo stesso modo, alle persone motivate dalla fede, una democrazia pluralista chiede di tradurre le proprie preoccupazioni in valori universali piuttosto che esclusivamente religiosi, e in proposte sottoposte alla discussione, aperte alla ragione. Io sono convinto che questi siano davvero temi alti, decisivi, oggi forse più di ieri. Di fronte ad essi una politica che non sia altrettanto alta e grande, che non sappia superare la separazione e ricercare la sintesi, è condannata a rimanere muta, senza risposte. E sono convinto che il Partito democratico abbia anche qui, in questo principio, in questo patrimonio di valori, la sua stella polare. Il Partito democratico ha il suo fondamento nel portare con sé, nella sua stessa identità, due idee precise: quella di un Paese non più separato da muri, da cortine di ferro, e quella di una politica non più ideologica. Una politica, cioè, che non sceglie di far suo un unico principio, un unico interesse, come se in una decisione si dovesse considerare un solo aspetto, un solo sguardo sul mondo, in un gioco a somma zero. Una politica che sceglie invece di equilibrare tutto questo, con ragionevolezza e potremmo dire con saggezza. La politica, per come la intendiamo noi, è questo. Ognuno di noi ha certamente un sistema di valori morali che ispirano e orientano, che danno senso e perfino gusto al suo impegno politico. Per molti questi valori sono di origine religiosa. Nessuno di noi potrebbe rinunciarci o farne a meno. Ma nessuno di noi può pensare di tradurli in modo diretto e immediato nell'attività e nella decisione politica. Voglio rifarmi ancora a Pietro Scoppola, a un articolo che scrisse il giorno della visita di Papa Giovanni Paolo II al Parlamento italiano, perché non saprei dir meglio: "La laicità dello Stato italiano non è indifferenza dello Stato al fattore religioso, non è ideologia di Stato alternativa a singole fedi religiose, ma riconoscimento del ruolo e degli spazi di ogni fede religiosa, come fattore che contribuisce al formarsi di un'etica collettiva nel quadro di un pluralismo e di una libertà a tutti garantiti". "I cattolici sanno - continuava Scoppola - quanto è difficile, in una società secolarizzata come la nostra, una testimonianza coerente al Vangelo; sanno di potere e dover concorrere democraticamente, come tutti i cittadini, a far sì che le leggi dello stato siano ispirate ai valori di cui sono portatori, ma sanno di non poter esigere la piena rispondenza delle leggi a questi valori: il formarsi della legge è necessariamente legato alla dialettica democratica fra posizioni diverse, talvolta contrastanti". La politica è questo. E' lo spazio della convivenza con altri che hanno diversi valori etici. Ed è tentativo di argomentare e convincere gli altri della bontà di un'idea, di una proposta, di una scelta. E' ricerca comune di soluzioni buone e condivisibili ai problemi di tutti. Altrimenti il confronto resta fermo allo scontro tra visioni incomponibili e inconciliabili, e la democrazia si riduce a registrazione dei rapporti di forza numerici. Il Partito democratico è nato con questa consapevolezza. E' nato per guardare in avanti anziché indietro, alla storia del XXI secolo anziché a quella del Novecento. Ed è per questo che tra le sue ambizioni e i suoi obiettivi ha quello di ripensare in modo nuovo, serio e adeguato ai problemi di oggi, la laicità e il rapporto tra etica e politica. E' stato scritto ieri, e io sono d'accordo: ci sono realtà sociali, culturali, confessionali, che possono, e che talora devono, rappresentare ottiche più parziali, esporre le proprie motivazioni in un modo assertivo, anche per lanciare messaggi di riconoscimento e di carattere educativo ai propri aderenti e nella società. Ma la politica che vuol far camminare un Paese ha un dovere in più, anche scontando il fatto di non poter ogni volta accontentare tutti: andare oltre ogni anacronistico steccato e costruire ponti. I ponti culturali su cui il Paese può correre. La laicità delle istituzioni, valore che accomuna credenti e non credenti, non va invocata a parole, più o meno polemiche, ma fatta vivere ogni giorno. La laicità si difende e si afferma rilanciando il ruolo della politica, che tutti deve ascoltare, da tutti deve raccogliere, per poi esercitare un prima persona il proprio inderogabile dovere di sintesi. E di responsabile decisione. Come noi faremo anche sui temi più sensibili e importanti, dal testamento biologico ai diritti delle persone che convivono stabilmente. Temi delicati, da sottrarre all'incendio della polemica elettorale. Perché ha ragione il direttore dell'Osservatore Romano quando dice, come ha fatto ancora ieri, che i temi etici non devono "diventare dei mezzi per raccogliere voti" e che "se si riesce a tenerli fuori dell'agone elettorale allora c'è qualche possibilità in più che su alcune questioni fondame si crei del consenso". Parole sagge. Anche perché chiunque abbia a cuore la dignità della persona umana sa che le grandi domande che il nostro tempo porta con sé sono uguali per tutti, sono spesso nuove e richiedono risposte ugualmente comuni e nuove. Non mi convince, in questo senso, l'idea che ci sarebbero domande costitutivamente diverse tra laici e cattolici. Pensiamo proprio alle questioni ormai definite "eticamente sensibili", pensiamo a tutto ciò che ha a che fare con la vita, il suo inizio, la sua fine, la sua trasmissione. Ma pensiamo anche al tema della democrazia, della crisi democratica di cui oggi soffre il nostro Paese, cosa che come sapete è uno degli "assilli" del Pd. Ricorderete certo tutti i molti interventi fatti ad esempio proprio dal Cardinal Martini, che da Arcivescovo da Milano, nelle sue lettere pastorali per la festa di Sant'Ambrogio chiedeva ai cattolici di farsi carico in politica non solo delle questioni di immediata rilevanza etica ma anche del buon funzionamento della democrazia e delle istituzioni. Usciamo allora dai vecchi cliché, dalle separazioni di comodo, dai compartimenti stagni che per alcuni dovrebbero continuare a dividere la politica. Ripeto: le domande sono le stesse per tutti. Non costruiamo caricature speculari e che si alimentano a vicenda: non ci sono da una parte i cosiddetti "laici" che si occuperebbero in modo semplicistico e ideologico dei diritti volendo affermare una neutralità ideologica assoluta dello Stato e dall'altra parte dei credenti che sarebbero contrari alla crescita dei diritti perché avversari della libertà della persona. Il Partito democratico, laici e cattolici insieme, come si vede da Statuto, Manifesto e Codice Etico, non ha mai assunto un approccio puramente individualistico, perché sappiamo bene che la singola persona è inserita in ambienti culturali e sociali che non le consentono di scegliere liberamente anche contro la volontà del gruppo o la sensibilità altrui. A volte si può e si deve limitare un diritto non solo perché ciò interagisce coi diritti altrui, ma anche a tutela della persona stessa. Questa mattina ho sentito che il leader dello schieramento a noi avverso ha definito il suo un partito "monarchico", e questo è innegabile, e al tempo stesso "anarchico", nel senso di indifferente rispetto alle questioni di "etica e morale", che si potrebbero risolvere esclusivamente con la libertà di coscienza. E' chiaro che la coscienza di ognuno è incomprimibile. Ma lo sforzo deve essere cercare la sintesi. Non l'agnosticismo. E' una visione che non ci appartiene. Per noi il rapporto tra etica e politica è un rapporto forte e vitale. Implica un rigore che si deve poter riconoscere anche nel momento della scelta delle donne e degli uomini chiamati a portare in Parlamento le nostre idee e i nostri programmi. Nei giorni scorsi autorevoli voci si sono levate dal mondo cattolico per chiedere una selezione attenta delle candidature. Sono preoccupazioni giuste, e sono anche le nostre, quelle che hanno dato vita al codice etico del Partito democratico, quelle che ci hanno spinto ad arricchire le nostre liste con figure rappresentative di una visione eticamente esigente della politica come quelle, che sono lieto di annunciare oggi, del professor Mauro Ceruti e del giornalista,e conduttore del programma "A sua immagine", Andrea Sarubbi. La proposta del Partito democratico è la proposta di chi sa che non è certo compito di un partito produrre catechismi laici, ma sa altrettanto bene che la politica non può dare soluzioni ai problemi senza farsi guidare da un sistema di valori e senza interpellare in profondità le coscienze. E' un equilibrio delicato, ma indispensabile. Quando nei giorni scorsi abbiamo scritto il nostro programma non abbiamo prodotto un punto a parte sui diritti, proponendo un elenco deduttivo e astorico di priorità tra valori e principi. Non è questa la via per coniugare etica e politica. Lo sforzo, continuo, deve essere quello della sintesi. Se affronto un valore alla volta è ovvio che io, prendendolo isolatamente, lo possa affermare come intangibile, incomprimibile, non negoziabile. Tuttavia quando il politico è chiamato a fare scelte e opera direttamente sulla complessità della realtà si trova di fronte, per fare alcuni esempi, al dovere di coniugare la difesa della vita e il rifiuto dell'accanimento terapeutico; la valorizzazione della particolare dignità della famiglia fondata sul matrimonio e i diritti delle persone che convivono stabilmente; gli obblighi di servizio del personale sanitario e l'obiezione di coscienza; la tutela della salute fisica e psichica della donna e quella della vita umana dal suo inizio. E a proposito della legge 194: dov'è la contraddizione tra la difesa di una legge che ha dimezzato il numero degli aborti e fatto uscire le donne dal buio della clandestinità e la volontà nostra di applicarla integralmente, valorizzandone gli aspetti di prevenzione e facendo leva sui progressi della scienza per rafforzare la tutela della vita e allontanare dalle donne quello che resta comunque un dramma? Dov'è la contraddizione? E' a partire da questi convincimenti profondi che abbiamo risposto alla richiesta dei radicali di schierarsi con noi. Se abbiamo detto loro non di apparentarsi con la nostra lista, come con insistenza ci hanno chiesto, ma di entrarci dentro, rinunciando a presentarsi col loro simbolo accanto al nostro, impegnandosi a sottoscrivere il nostro programma e a formare un unico gruppo parlamentare all'indomani delle elezioni, è perché anche a loro abbiamo chiesto di superare la pura cultura delle identità separate e autosufficienti e di mettersi in gioco e in discussione, a confronto con gli altri, assumendo il rischio e abbracciando l'opportunità di una ricerca comune. Noi abbiamo fatto, così, una grande operazione di coinvolgimento. Abbiamo portato dentro il nostro grande progetto, dentro la nostra visione politica e culturale, una forza che rimanendo sola, allora sì avrebbe finito per esprimere posizioni esasperatamente laiciste, per rimarcare il suo ruolo, per sottolineare i suoi obiettivi, per guadagnare un consenso di tipo esclusivamente identitario. Invece abbiamo chiesto, e abbiamo ottenuto, molto. Ad un partito che si chiama "radicale" e che quindi ha sempre fatto della nettezza delle sue posizioni la sua identità, abbiamo chiesto di accettare la cultura del dialogo e della mediazione. L'abbiamo fatto perché chi vuole venire con noi deve accettare di condividere questo nostro impegno. E perché, semplicemente, questo è quel che serve all'Italia, al nostro Paese. Il mondo sta cambiando attorno a noi. E l'Italia non ha a che fare con una crisi congiunturale, dalla quale potrà uscire più o meno come è entrata. Solo se sapremo chiamare a raccolta tutte le risorse intellettuali e morali del Paese, le straordinarie energie oggi sottoutilizzate, a cominciare dal talento delle donne e da quello dei giovani, potremo dare all'Italia un futuro di ripresa, di rilancio, di speranza. Solo se sapremo ascoltare le domande che arrivano dalle famiglie italiane, se sapremo sostenerle concretamente e farle essere serenamente quel luogo d'amore e di solidarietà che sono, proteggendo i bambini con leggi che puniscano nel modo più severo chi si macchia del più orrendo dei crimini; e ancora moltiplicando i posti negli asili nido e rendendo più flessibili gli orari e i tempi di lavoro, aiutando in modo significativo attraverso l'introduzione di una "Dote fiscale" le famiglie con figli. Ribaltando, in poche parole, l'attuale circolo vizioso tra bassi tassi di occupazione femminile, bassa natalità e alti tassi di povertà minorile, facendolo diventare un circolo virtuoso fatto di più donne occupate, più nascite e famiglie economicamente più sicure. Per tutto questo è nato il Partito Democratico: non per affiancare forze che restano divise, magari accomunate solo dal nemico da sconfiggere. Tutto il contrario: il Partito Democratico è nato per unire il Paese, per abbattere muri e steccati, per aprire porte e costruire ponti: tra impresa e lavoro, tra lavoratori dipendenti e autonomi, tra Nord e Sud, tra padri e figli, tra laici e cattolici. Perché solo insieme, lavorando insieme, pensando insieme, cercando insieme, ce la possiamo fare. Insieme, laici e cattolici del Partito democratico, noi rivendichiamo il valore della nostra responsabilità. Dell'etica della responsabilità. Alcide De Gasperi, pochi mesi dopo la fine della guerra, alla prima Settimana Sociale dei Cattolici italiani, richiamava il carattere inevitabilmente diverso dei due punti di vista: "Avvicinarsi a questa assise", disse, "è come eseguire una grande ascensione montana. Ci si trova in un'atmosfera ossigenata. Non sempre quando si scende dall'alta montagna è possibile mantenere la stessa atmosfera, e direi non sempre la stessa prospettiva può essere attuata quando si tratti di dover fissare una pratica di convivenza civile che tiene conto delle opinioni altrui e che deve cercare una via di mezzo fra quelle che possono essere le aspirazioni di principio e le possibilità di azione." Sono parole che testimoniano la grandezza dello statista e dell'uomo, del credente e del laico insieme. E che sono l'esempio di come larga parte della storia dell'impegno dei cattolici sia stata segnata, in Italia, da momenti in cui ad una astratta etica della testimonianza è stata privilegiata un'etica della responsabilità, per garantire la coesione sociale e culturale del Paese. Come non ripensare, ad esempio, all'atteggiamento di Aldo Moro, che ricorderemo domani, sul referendum sul divorzio e sulla solidarietà nazionale. Come non andare con la mente e col cuore a uno degli uomini che tra i primi ha indicato il cammino e ha lavorato per aprire la strada. "Aveva un fortissimo pudore e riserbo sulle cose intime e personali", ha detto Giovanni Bazoli ricordando Beniamino Andreatta, "ma è altrettanto vero che i valori del cattolicesimo informavano le sue scelte e i suoi comportamenti privati e pubblici". C'è un grande patrimonio che vive, attraverso le persone animate da fede vera e profonda, dentro il Partito democratico, e che contribuisce a dargli identità e forza. E' anche grazie a questa ricchezza che proseguiremo il nostro cammino e che cambieremo l'Italia. Insieme.


Discorso di Berlusconi del 2 dicembre 2006 che anticipa la nascita del Popolo della Libertà



Un grande, affettuoso, cordialissimo abbraccio a tutti voi e a tutti gli italiani che amano la libertà. Siete moltissimi voi e sono moltissimi quelli che ci stanno seguendo col cuore attraverso la radio e la televisione. Sono qui tra di voi perché dovevo e volevo esserci. Quando ho inciampato nella fatica, una cosa che può capitare a chi lavora troppo, siete stati tutti con me, vi ho sentiti tutti fisicamente vicini, fiduciosi, ottimisti come piace a me, pieni di voglia di vivere e di tenere duro. Grazie, grazie dal profondo del cuore a tutti voi. E grazie per essere venuti così in tanti da tutte le regioni d'Italia, da tutte le città d'Italia a portare qui, a questo corteo di libertà, a questa festa di libertà, oltre alla vostra protesta, la vostra fiducia, il vostro entusiasmo, la vostra speranza. Noi siamo oggi qui, in questa Roma, in questa piazza traboccante di entusiasmo che ha gli occhi del Paese puntati addosso, per motivi chiari: vogliamo mandare a casa un governo che distrugge la fiducia degli italiani nello Stato, che aumenta a dismisura il prelievo dalle nostre tasche, che spreca le nostre risorse e riduce la libertà di ciascuno di noi. Siamo qui perché non ci piacciono le vecchie ideologie punitive del secolo scorso, le concezioni dell'uomo che hanno prodotto lo Stato di polizia e il sistema totalitario, le guerre ingiuste e lo spirito di fazione, la delazione fiscale e il sequestro della ricchezza di chi lavora e chi risparmia. Siamo qui perché vogliamo opporci a una cultura che diffida degli individui liberi, che non vuole una società prospera e autonoma, capace di camminare sulle proprie gambe. Siamo qui perché non ci piace una mentalità che svaluta la famiglia fondata sul matrimonio e sull'amore tra un uomo e una donna, sull'educazione dei figli alla libertà e alla responsabilità. Siamo qui perché ci piace tutto quello che è nuovo, ma non accettiamo il disprezzo del passato, il disprezzo delle nostre radici, il disprezzo della nostra cultura. La nostra idea della politica è pienamente laica, ma ha qualcosa di sacro. "Chi crede non è mai solo", ha detto il Santo Padre nel suo viaggio in Germania. E ha ragione: guardatevi intorno, guardate quanti siamo. Siamo molti, siamo moltissimi a credere negli stessi ideali. Siamo un popolo operoso di donne e di uomini che sanno essere tenaci e pazienti, umili e fieri, che sperano, che credono nel futuro e che vogliono difendere la libertà. La Casa delle libertà, la nostra casa, è aperta e libera, ognuno ci sta con la propria dignità e con le proprie idee, e per questo motivo Roma e questa piazza sono così affollate e gioiose in uno straordinario pomeriggio italiano che ha bandito persino la malinconia del tramonto e che si farà ricordare negli anni a venire. Siamo un'onda che si gonfia in modo formidabile, una forza positiva, un'energia costruttiva al servizio del Paese che amiamo. Siamo qui perché vogliamo impedire alle sinistre di impoverire l'Italia, moralmente e materialmente. Sentiamo intorno a noi il calore di questa nostra comunione politica che ormai da molti anni, e per molti anni in futuro, si è fatta e si farà garante della libertà di tutti. La nostra opposizione è, e sarà, severa e intelligente. Vogliamo far pesare di più il voto espresso dagli italiani, vogliamo far contare di più l'opinione della maggioranza dei cittadini di questo Paese, nei confronti di questa assurda sinistra di lotta e di governo. Le questioni personali contano poco. Tutti insieme siamo una leadership forte e autorevole, siamo gente che ha affrontato con dignità e onore le conseguenze dell'11 settembre, nel rispetto delle alleanze e dei doveri morali di un grande Paese europeo e occidentale. Tutti insieme abbiamo ingaggiato la battaglia contro il terrorismo, tutti insieme abbiamo cercato le vie della pace in mezzo ai venti di guerra, tutti insieme abbiamo affrontato i rischi del fare e dell'esserci nel Paese e nel mondo. Abbiamo mantenuto le promesse con sincerità e con equilibrio, dando vita al più lungo governo del dopoguerra e al primo vero governo liberale che abbia avuto questo Paese. Noi siamo l'Italia umile e tenace, operosa e positiva, che è la maggioranza del Paese, che non accetta l'oppressione fiscale, l'oppressione burocratica, l'oppressione giudiziaria che le viene imposta da un governo di minoranza, un governo dominato da una sinistra estrema e fondamentalista, che affonda le sue radici nella perversa ideologia del comunismo. Siamo il popolo del centrodestra, un popolo che condivide gli stessi valori, la stessa visione del futuro. Ci accomuna la stessa visione della libertà, della democrazia, della patria, della persona, della famiglia, del lavoro, dell'impresa. Questa è la nostra grande forza. Siamo un popolo unito, non un insieme confuso e disordinato di gruppi sociali, di interessi, di ideologie, come sono oggi le sinistre, tenute insieme solo dal potere, dall'invidia e dall'odio sociale. Quando parliamo del nostro futuro dobbiamo sempre ricordarci che prima vengono gli elettori, prima viene il nostro popolo, prima vengono le nostre donne e i nostri uomini, e solo dopo vengono i partiti, i loro dirigenti e i loro leader. Nella nostra visione del mondo di liberali e di cristiani, i partiti nascono sulla base dei valori condivisi dai cittadini. I partiti esistono perché esistono i valori, perché esiste un'idea comune della persona, della società e dello Stato. In una democrazia è il popolo che sceglie i leader, non sono i leader che scelgono il popolo! Tutto questo lo sappiamo bene e dobbiamo sempre ricordarlo. Ma oggi siamo qui soprattutto per protestare contro questo governo che vuole saccheggiare i nostri redditi e i nostri risparmi impoverendo il Paese e impedendo la crescita dell'economia. Oggi, in questa piazza, potremmo ripetere quello che dissero, alla fine del Settecento, a Boston, i protagonisti della rivoluzione americana: 'No taxation without representation' 'Niente tasse senza rappresentanza'. Allora le tredici colonie si sollevarono contro le tasse decise a Londra, e imposte loro da un governo che non li rappresentava. Oggi, in Italia, siamo nella stessa situazione: c'è un governo che tassa gli italiani senza più rappresentarli. Noi siamo qui a rappresentare lo sdegno degli italiani. Questo è un 'governo contro': contro l'economia, contro il lavoro, contro il risparmio, contro la proprietà, contro l'impresa, contro le professioni, contro gli artigiani, contro il commercio, contro la scuola, contro l'università, contro la ricerca, contro la famiglia. È un governo 'contro' i cittadini.

Un governo che divide: divide gli italiani, divide l'Italia, instilla nelle vene del nostro Paese l'odio e l'invidia sociale, invece di promuovere la concordia e la solidarietà tra le classi sociali e le diverse generazioni. Siamo qui 'dunque' per protestare contro una Finanziaria che si riduce a una sola voce: più tasse per tutti. Più tasse sugli stipendi, più tasse sui Bot e sui Cct, più tasse sulla salute, più tasse sulla casa, più tasse sulle imprese. Hanno rimesso la tassa di successione. Hanno imposto una tassa odiosa perfino su chi si presenta al Pronto soccorso! In pochi mesi hanno gravato gli italiani di 67 nuove o maggiori tasse. Hanno gridato: 'Anche i ricchi piangano'. Li abbiamo visti manifestare in piazza, quelli che loro chiamano 'ricchi'. Gli artigiani accanto ai piccoli e ai medi imprenditori. I ricercatori e i precari dell'Università accanto ai rettori. I professionisti. I commercianti. I pensionati di ogni categoria, anche quelli che hanno sfilato con le bandiere rosse della Cgil. Il popolo dei piccoli risparmiatori, dei Bot, della prima casa conquistata con una vita di sacrifici. I cittadini che vivono di uno stipendio appena dignitoso. Sono riusciti persino a spingere per la prima volta alla protesta le forze dell'ordine e le forze armate alle quali invece tutta l'Italia deve riconoscenza. Sarebbero questi i ricchi che devono piangere? Per questa sinistra e per questo governo 'sì'. Per loro l'impresa è solo una macchina per sfruttare i lavoratori, per loro il profitto è una colpa, per loro il risparmio è un privilegio da colpire e da tassare, per loro l'elevazione sociale, la proprietà di una casa, ottenuta attraverso enormi sacrifici e una vita intera di lavoro, rappresentano un atto di superbia da punire. Farò solo un esempio: in campagna elettorale la sinistra, a caccia di voti, indicava gli artigiani come la spina dorsale del Paese, oggi, la stessa sinistra, al potere, li considera soltanto come degli evasori. Anche per questo noi oggi siamo qui. Siamo qui per dire no alla mostruosa macchina fiscale messa in opera dal governo per schedare tutti i cittadini, per controllarne i comportamenti, fino ad ogni minimo passaggio di denaro e addirittura con l'invito alla delazione fiscale. Per loro il popolo è sempre immaturo, è sempre immorale. Il loro Stato è il contrario dello Stato che vogliamo noi, il contrario di uno Stato liberale 'amico dei cittadini'. Ci dicono che bisogna aumentare le tasse per favorire lo sviluppo economico. È falso. Nella storia si sono visti molti Paesi impoverirsi a causa della tassazione eccessiva. Ma non si è mai visto un solo Paese diventare ricco, crescere economicamente attraverso l'aumento delle tasse. Ci dicono che vogliono ridistribuire la ricchezza, togliere ai ricchi per dare ai poveri. In realtà tolgono a tutti senza dare nulla a nessuno. Ci dicono che hanno ereditato da noi una situazione drammatica dei conti pubblici. Anche questo è falso e lo sanno bene anche loro! Noi abbiamo governato lasciando i conti dello Stato in ordine, in perfetto ordine. Ma soprattutto abbiamo governato con il fine di garantire e ampliare le libertà dei cittadini. Da Presidente del Consiglio, prima di approvare ogni provvedimento, mi sono sempre chiesto se quel provvedimento diminuisse la libertà dei cittadini, anche di uno solo. E se la risposta era sì, il provvedimento veniva cestinato. Ma c'è qualcosa di più. Noi oggi siamo qui anche per riaffermare che la sinistra ha rifiutato fino ad oggi di ricontare le schede elettorali. Anzi, con assoluta impudenza ci ha addirittura lanciato l'incredibile accusa di aver tentato un colpo di Stato la notte degli spogli e dei brogli. Se ci sono stati brogli, sono solo quelli fatti da loro che li hanno - come è storicamente provato - addirittura e sempre insegnati ai propri militanti. Oggi siamo qui anche per questo, per chiedere, per esigere che si ricontino tutte le schede elettorali, non solo le bianche e le nulle. Tutte. Lo abbiamo chiesto sin dal giorno dopo le elezioni. Noi non abbiamo paura della verità. Ci hanno deriso, dileggiato, boicottato.

Eppure lo abbiamo chiesto e lo chiediamo in difesa della democrazia, in nome della sovranità popolare, a tutela dei cittadini. Oggi, dopo le loro ultime accuse, ignobili, false e grottesche, lo vogliamo, lo esigiamo, lo pretendiamo anche a tutela della nostra onorabilità. Infine, siamo qui, oggi per affermare tutti insieme il nostro grande amore per la libertà. Noi siamo il popolo della libertà, noi crediamo in un sogno, in una prospettiva che può essere garantita solo con la realizzazione del nostro programma liberale fondato sui nostri valori di libertà. Nostri, perché non appartengono a un solo partito, nostri perché tutti insieme ci crediamo, nostri perché noi tutti insieme abbiamo voglia di cambiare questo Paese, di riprendere il cammino delle riforme e della crescita. Noi sappiamo che tutto ci separa e ci distingue da questa sinistra, ma sappiamo anche che c'è tra tutti noi un vincolo ancora più forte che ci unisce: noi crediamo negli stessi valori, noi negli anni del governo abbiamo lavorato insieme alla realizzazione dello stesso programma, noi, oggi, vogliamo lo stesso futuro di libertà e per questo lavoriamo insieme. Noi qui, oggi siamo già il partito unitario del centrodestra, siamo già il partito della libertà. E stanno nascendo in Italia, dovunque su impulso di tanti giovani, ma anche di chi è giovane nel cuore  quei circoli della libertà che hanno adottato come loro manifesto quello del Partito del Popolo Europeo, la grande famiglia della democrazia e della libertà in Europa. Certo, qui oggi, innalziamo le nostre bandiere, i nostri simboli di partito, giustamente orgogliosi della nostra storia, delle nostre battaglie, della nostra identità. Ma io sono convinto che il nostro cammino, il cammino del popolo della libertà, abbia un percorso segnato, perché siete voi, siamo noi l'anima di un unico, e solo, e grande partito della libertà. Quel partito che stasera è sceso in questa piazza, felice e gioiosa, a rappresentare l'Italia operosa e onesta, l'Italia che lavora e che produce, l'Italia che vuole unire e non dividere, l'Italia che rispetta i diritti di tutti, il lavoro di tutti, il patrimonio di tutti, la libertà di tutti. L'Italia che vogliamo. Noi proponiamo agli italiani una società fondata sulla libertà, sullo sviluppo economico, sulla solidarietà. Proponiamo una società basata sui valori del cristianesimo, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio, formata dall'unione di un uomo e di una donna, nella quale far nascere e far crescere i figli. Proponiamo un'Italia forte nel mondo, rispettata. Proponiamo una Patria nella quale tutti gli italiani si riconoscano e che tutti amino, perché è la casa comune di tutti, senza distinzioni. La sinistra sta preparando invece per l'Italia un futuro di incertezza, di divisioni, di invidia sociale, di povertà. La sinistra attua delle politiche che distruggono la famiglia e che non rispettano i valori morali del popolo italiano, i valori della nostra tradizione. La sinistra vuole dividere i lavoratori e gli imprenditori, gli uomini e le donne, i padri e i figli, i giovani e gli anziani, gli italiani del nord e gli italiani del sud. Noi vogliamo invece un'Italia di persone libere e responsabili, in grado di prendere in mano il loro futuro, di scegliere un buon lavoro, di far crescere i figli secondo i propri valori e le proprie idee. Noi vogliamo una società nella quale tutti i giovani possano frequentare una buona scuola, indipendentemente dalle proprie condizioni sociali, e possano conseguire un diploma o una laurea di qualità. Noi vogliamo una società nella quale i giovani abbiano un lavoro ben pagato, che permetta loro di essere subito indipendenti e di formarsi una famiglia. Vogliamo una società nella quale nessuno rimanga indietro. Perché ogni persona ha un valore inestimabile, e perché il benessere di ogni cittadino concorre al benessere di tutti gli altri, al benessere di tutta la società. Vogliamo uno Stato che sia al servizio dei cittadini e non vogliamo che siano i cittadini al servizio dello Stato. Vogliamo una economia forte e vitale, fondata su imprese moderne ed efficienti. Per queste ragioni noi ci opponiamo al governo delle sinistre, ci opponiamo alla peggiore Legge finanziaria della storia della Repubblica. Per questa ragione noi intendiamo tornare al più presto al governo dell'Italia. Per finire il lavoro che abbiamo fatto per cinque anni, e che abbiamo fatto bene. Per realizzare pienamente quell'Italia che noi tutti abbiamo in mente e sogniamo:

l'Italia profonda, vera, giusta,

l'Italia della solidarietà, della tolleranza e dell'amore,

in una parola, la nostra Italia della libertà.

Grazie di cuore un abbraccio affettuoso a tutti

W l'Italia.                                                                                                                                                               

W la libertà.


Analisi


Per quanto riguarda la struttura compositiva, il discorso di Veltroni si può qualificare come un testo argomentativo, infatti si svolge lungo uno schema di affermazioni rigorosamente supportate e su pochi temi attorno ai quali vengono proposte diverse idee e diversi spunti di riflessione. Si parla infatti del rapporto controverso tra laici e cattolici, tema caldo e fonte di grandi polemiche in seguito alla visita mancata del Papa alla Sapienza. Veltroni cita le affermazioni di importanti personalità tra cui lo storico Pietro Scoppola, o statisti come De Gasperi, o il Papa stesso. Non vi è un attacco vero e proprio nei confronti di nessuno,  anzi il discorso in tutte le sue parti si distingue per una grande apertura al dialogo e alla tolleranza, alla costituzione di un fronte comune per reagire costruttivamente ad un tempo "così denso di cambiamenti e così insicuro" come Veltroni stesso lo definisce. Dunque il discorso non può essere ripartito in sezioni così marcatamente distinguibili, poiché i temi presentati ricorrono in modo più o meno alternato. Nonostante ciò è possibile identificare in generale una prima parte nella quale Veltroni espone il problema molto attuale dell'equilibrio tra laicità e fede nelle istituzioni dello Stato, ipotizzando soluzioni di dialogo e di equilibrio. "L'identità fa parte della vita degli uomini e dei popoli, che devono sapere dove affondano le proprie radici"; da qui si deduce quanto sia importante per Veltroni che uno Stato, che una popolazione, non rinuncino alla loro identità, al loro background che li rendono tali e che consentono loro di trovare motivo di unione e concordia. Ma questa identità non deve diventare "un muro precario dietro il quale trincerarsi con ansia e preoccupazione" asserisce più tardi, altrimenti questo fenomeno porta a divisioni e contestazioni. Successivamente verso metà discorso si può identificare una seconda parte, infatti l'attenzione di Veltroni si sposta su temi di ordine etico politico, e sull'atteggiamento del suo partito verso la tutela della persona umana, che assume grandissimo valore all'interno della comunità. Lo scopo dell'intero discorso è di celebrare la nascita del Partito Democratico, "nato per unire il Paese, per abbattere muri e steccati, per aprire porte e costruire ponti". Così dice Veltroni in conclusione, auspicando grandi cambiamenti nello scenario politico nazionale da creare insieme, con l'aiuto di tutti, forti di un'identità storica importante.

Il testo di Berlusconi invece si struttura in modo molto differente. Infatti subito il leader del centrodestra parte all'attacco, criticando la politica del governo Prodi, ancora in carica all'epoca del suo discorso, contestando la legge finanziaria e tutte le conseguenze da essa causate. Non può essere tuttavia considerato un testo argomentativo, ma piuttosto esortativo, infatti Berlusconi tiene molto a ribadire in tutto il discorso il buon operato del suo passato governo (2001/2006), e a sottolineare l'esasperazione del popolo italiano oramai stufo di "una cultura che diffida degli individui liberi, che non vuole una società prospera e autonoma, capace di camminare sulle proprie gambe." Il temi toccati sono pochi a differenza di quanto accade nel discorso di Veltroni, ma la ripartizione anche qui non è così netta. Si può trovare nelle prime battute un forte richiamo ad un passato storico del secolo scorso comunemente giudicato negativo, attribuendolo anche al presente governo Prodi. Proseguendo anche Berlusconi tocca seppur marginalmente temi etici, e legati alla discussione tra laicità e fede, oppure parla di temi economici, rassicurando il popolo ed esortandolo a sostenere chi può garantirgli maggiore libertà e flessibilità. I toni sono spesso accesi, tipici di chi si oppone, e dunque perfettamente consoni al ruolo che in quel periodo la Casa delle libertà rivestiva all'interno delle istituzioni. E' forte e ricorrente la difesa del suo operato, come allo stesso tempo l'incitazione all'opposizione alla nuova realtà imposta dal governo Prodi. Come Veltroni cita grandi personalità, anche Berlusconi cita il Pontefice e riporta le parole storiche che caratterizzarono la rivoluzione americana, "Niente tassazione senza rappresentazione", utilizzate per enfatizzare il fatto che anche il popolo italiano è oppresso dalle troppe tasse della finanziaria. Allo stesso tempo, parallelamente alla denuncia delle ingiustizie subite, dai liberali, a cui si rivolge, Berlusconi inizia ad alludere all'idea di unirsi, per far fronte a problemi che accomunano il centro destra, dicendo "noi siamo il popolo della libertà noi crediamo in un sogno, in una prospettiva, che può essere garantita solo con la realizzazione del nostro programma liberale fondato sui nostri valori di libertà". Berlusconi annuncia lo scopo del suo discorso all'inizio "noi siamo qui, in questa Roma, in questa piazza traboccante di entusiasmo, che ha gli occhi del Paese puntati addosso, per motivi chiari: vogliamo mandare a casa un governo che distrugge la fiducia degli italiani nello Stato, che aumenta a dismisura il prelievo nelle nostre tasche, che spreca le nostre risorse, e riduce la libertà di ciascuno di noi". Il discorso si conclude con una sorta di inno alla libertà, tema ricorrente in tutto il testo, sebbene a più riprese e con più sfumature, ma comunque chiaramente veicolato.


Relativamente al lessico, i due discorsi sono molto diversi l'uno dall'altro, come del resto è molto differente il messaggio che vogliono comunicare. Partendo dal discorso di Veltroni, il lessico da lui utilizzato si avvale dell'uso prevalente del pronome personale "noi", infatti il messaggio di Veltroni è destinato al popolo del centrosinistra, ma non solo, perché questo noi identifica una nuova formazione, che va al di là dell'appartenenza politica di ciascuno, ma mira ad un riconoscimento più ampio basato sulla condivisione delle istanze di tolleranza, equilibrio, sintesi e dialogo, risonanti in tutto il testo. Il noi ha anche un risvolto politico ovviamente, infatti dà un senso di appartenenza, aspetto che nel periodo a cui risale il discorso, risulta abbastanza carente, senso di appartenenza abbastanza frammentato dalle diverse realtà governanti. Veltroni con questo "noi" che utilizza preferendolo all'uso dell' "io" che viene utilizzato soltanto una volta, vuole riallacciarsi all'idea di insieme, di gruppo coeso e compatto, vario ma allo stesso tempo unito e forte a cui auspica con la nascita del suo partito. Il nome del Partito Democratico viene menzionato solo due volte, la prima verso metà discorso, a sottolineare la forte argomentazione di Veltroni, che antepone questioni etiche a considerazioni di ordine politico-istituzionale, dando una priorità fortemente gerarchizzata agli argomenti presentati. Per questo il nome del partito figura soltanto a discorso inoltrato, e assolutamente non scindibile dal sua funzione cardine cioè "superare la separazione e ricercare la sintesi". Dunque è facilmente possibile riconoscere le parole chiave ripetute ed enfatizzate in tutto il testo, infatti la "sintesi" il "dialogo" "l'equilibrio" la "responsabilità" e la "moderazione" vengono spesso menzionate, trasformandosi nei principi fondamentali e imprescindibili per il partito nascente. Inoltre Veltroni impiega prevalentemente i congiuntivi e i condizionali, a testimonianza del fatto che la sua non è un'imposizione ideale perentoria ed incontestabile, bensì un suggerimento, un'analisi delle diverse possibilità a cui ci si può indirizzare per assolvere e concretizzare gli stessi principi da lui elencati. A tutto ciò si aggiunge che il fatto di usare i condizionali e i congiuntivi, modi verbali dell'ipotesi, della possibilità, identifica in modo chiaro il discorso come testo argomentativo, che in parte si discosta dalla tendenza di sottoporre all'elettorato discorsi piuttosto esortativi seppur conservando ancora una buona dose di retorica.


Per quanto riguarda Berlusconi, nel suo discorso l'uso delle parole e la loro collocazione sono diversi, seppur curati con la medesima attenzione e precisione. Le frasi sono introdotte dal pronome "noi" come nel discorso di Veltroni, ma con una funzione differente. Infatti qui il "noi" è sì mezzo d'identificazione verso una matrice comune unificatrice ma è anche in netta contrapposizione al "loro", pronome che Berlusconi sovente utilizza rivolgendosi alla sinistra e al Governo Prodi, a più riprese considerato nemico, ed ostile. Quindi qui il "noi" assume una forte valenza di vicinanza a testimoniare il fatto che in tutto il suo discorso Berlusconi asserisce la rinascita del nuovo "popolo della libertà" unito, coeso, vicino ad ogni realtà, da quella economica e sociale a quella etica, pronto a far fronte ai bisogni di chi è in difficoltà. Mentre al contrario il "loro" dà un'idea di straniamento, lontananza, diversità, quasi fisica tanto è enfatizzato in opposizione al noi. La parola chiave è una sola: libertà. Concetto che viene accuratamente spiegato e che si snoda attraverso tutti i temi più cari alla politica berlusconiana, dall'economia, alla contrapposizione tra laicità e fede, dalla difesa del suo governo alla critica alle ideologie del passato. Il discorso ruota intorno alla parola libertà introdotta per la prima volta subito all'inizio, quasi come punto ineludibile di riconoscimento che accomuna tutti gli elettori di siffatta parte politica. Chi desidera essere libero, ha trovato una dimora nella Casa delle libertà, la coalizione politica di cui Berlusconi era a capo fino a quel momento. Libertà, libertà celebrata a tal punto da incentrare su di essa pure la conclusione, con un inno vero e proprio "W la libertà" enfatico, generico, volto in maniera chiara a cavalcare l'onda del malcontento di quella parte degli italiani in piazza quel 2 dicembre 2006. A differenza di Veltroni, il quale nomina molto chiaramente il nome del Partito Democratico, Berlusconi rimane molto allusivo, infatti lancia soltanto delle idee, delle proposte che vanno colte tra le righe, in quanto egli manifesta solo il forte desiderio di creare una forza unica coesa ed uniforme, ma essendo un progetto alquanto rivoluzionario ed ambizioso, tale da dover riunire le diverse realtà facenti parte della sua coalizione, all'epoca Alleanza Nazionale, Lega Nord e Udc, i toni restano propositivi e si evidenziano dei richiami, piuttosto che delle affermazioni come la seguente "Noi siamo il popolo della libertà, noi crediamo in un sogno, in una prospettiva che può essere garantita solo con la realizzazione del nostro programma liberale fondato sui nostri valori di libertà". Il modo verbale principalmente utilizzato è l'indicativo, che si alterna con una concomitanza di tempi presenti e futuri, ad avvalorare la sua tesi, certezza, non solo nel presente ma anche nel futuro, infatti Berlusconi trovandosi in questo periodo a capo di una forte opposizione, dati i risultati elettorali del 2006, si fa carico di denunciare le avversità e delle ingiustizie, come da lui definite, firmate Prodi e sinistra. Certezza, identità, sicurezza, soprattutto espresse tramite l'indicativo presente e futuro, a dimostrare il fatto che non solo Berlusconi lancia delle idee, ma anche esprime ciò che chiaramente la folla di quel giorno voleva sentirsi dire, e voleva che le venisse proposto, dando una forte impronta di speranza e di ottimismo all'intero testo.

Naturalmente in un discorso proferito da un leader politico è forte la presenza di particolari accezioni tipiche della sua personalità, insomma in poche parole, anche se si cerca di rendere un testo più neutro ed imparziale possibile, la personalità e le inclinazioni di chi lo proferisce rimangono sempre visibili, dando a mio avviso, un tocco di umanità e di veridicità anche alle parole più utopiche mai espresse nella storia. Partendo da Veltroni, la sua presenza e la sua personalità nel discorso, non sono così chiare e limpide, ma in ogni caso ci sono, si leggono tra le righe, sono alle spalle di ogni singola affermazione ed argomentazione, a partire dal momento in cui esprime il compito di un buon politico, chiamato a fare delle scelte coniugando temi molto lontani tra loro, a quando esprime chiaramente la sua opinione dicendo "io sono convinto". Si mette in gioco, perché è lui che supporta quelle idee, è lui sino a quel momento ad averle asserite, è lui lì davanti alla folla a proporre il cambiamento. La sua è una presenza non invadente, ma chiara, chiara a voler sottolineare che ormai il tempo dei leader al centro del mondo è finito, per lasciare spazio ad una realtà politica più pragmatica e più programmatica. Veltroni così facendo si rivolge ad una larga fetta di elettorato, con la volontà logicamente di recuperare consensi, quei consensi che la caduta del governo Prodi ha perso, usando la storia come esempio e fonte di valori positivi da riprendere e soprattutto da attualizzare, per una politica che costruisce ponti e vie di comunicazione, perché comunicare e dialogare sono il grande tassello mancante della politica italiana di questi anni; qui sta la novità secondo Veltroni. I toni sono pacati, moderati, e sebbene anche Veltroni giochi con la retorica, elemento di circostanza in un discorso politico, questa retorica viene soltanto accennata, quasi con timidezza, per lasciare spazio al processo automatico di tesi e argomentazioni tipiche di un ragionamento, di un'analisi, piuttosto che di un comizio. Tuttavia, tenendo conto di tutti questi aspetti innovativi introdotti nel discorso, sembra che a Veltroni non interessi più cercare di essere persuasivo, dato che il suo ragionamento stesso dovrebbe portarlo all'apprezzamento e al consenso da parte della folla, o meglio all'approvazione non cercata ma guadagnata già di per sé dalle sue parole. Ma non è così, infatti anche Veltroni alla fine ha bisogno, o meglio cerca di essere persuasivo e lo fa attraverso la mera struttura grammaticale del suo discorso, infatti dovendo coniugare temi contrastanti, dovendo creare appunto un senso di equilibrio, di sintesi, tra di essi, ha bisogno di creare armonia a partire dalla struttura compositiva stessa del suo testo, per non rischiare di apparire contraddittorio. Se si osserva attentamente la sintassi, infatti, sovente Veltroni è solito esprimere una constatazione spesso concernente uno dei due aspetti contrastanti che vuole coniugare tra loro, avvalendosi di una frase principale, alla quale immediatamente dopo subordina un'avversativa cominciando il periodo con un "ma" o un "però", dando altrettanta veridicità alla seguente constatazione, opposta alla precedente. L'abilità di persuasione dunque sta nel fatto che chi ascolta non percepisce nessun senso di contraddizione, anzi, arriva al punto di considerare giuste entrambe le constatazioni, e ad accettarle, e a creare nella mente già quell'atmosfera di moderazione, di sintesi, che tramite il Partito Democratico andrà a valorizzare e sostenere. Un esempio: "La proposta del Partito Democratico è la proposta di chi sa che non è certo compito di un partito produrre catechismi laici, ma sa altrettanto bene che la politica non può dare soluzioni ai problemi senza farsi guidare da un sistema di valori e senza interpellare in profondità le coscienze"


In quanto a Berlusconi, il discorso da fare è diametralmente opposto, infatti la sua presenza nel testo è perentoria e perfettamente visibile, partendo sin dalle prime righe. Infatti subito il leader esprime la sua volontà, la sua forza, nel fatto stesso di essere presente a proferire tale discorso, nonostante qualche problema di salute l'abbia ostacolato. Ringrazia la folla per la partecipazione, ringrazia per il sostegno ricevuto. Fin da subito chi ascolta capisce quanto la personalità e la componente soggettiva saranno presenti e condizioneranno, positivamente o negativamente, il corso del discorso. Anche qui il testo ha un destinatario altrettanto chiaro quanto il mittente, il popolo delle libertà, al quale non viene precluso nessun allargamento anche a persone storicamente simpatizzanti per lo schieramento opposto. Come il popolo è libero è libera anche l'identificazione, mi si perdoni il gioco di parole, chi ama la libertà è libero di far parte del popolo della libertà, chiunque egli sia. I toni chiaramente sono accesi, accesi nella critica, tanto quanto accesi nell'elencare i principi cari al partito e al leader, quasi si voglia sbattere in faccia i principi di tale politica con altrettanta enfasi con cui l'ha fatto Prodi con le sue tasse, secondo Berlusconi. Le esclamazioni, le frasi brevi, tipiche del parlato, fanno del testo di Berlusconi un discorso animato, ma allo stesso tempo altrettanto propositivo, con uno sguardo forte al futuro e con proposte più o meno allusive, ma con il chiaro intento di renderle concrete. Dai toni, dalla struttura si capisce benissimo che il discorso ruota intorno non solo alla parola libertà, come già di primo acchito si può notare, ma anche alla persona stessa di Berlusconi, infatti vengono totalmente ripresi e rispecchiati gli atteggiamenti suoi tipici, a volte egocentrici, ma molto originali e stravaganti. Il suo discorso è una sua creatura, lo rispecchia, come il partito, creato da lui, aspetto che lo differenzia da Veltroni, rispecchia i suoi ideali, che allo stesso tempo vengono supportati da molte persone, tante quante negli anni hanno espresso fiducia nei suoi confronti. C'è Berlusconi in questo discorso, Berlusconi che si propone come leader a servizio degli elettori, addolorato dalle accuse rivolte alla sua persona da altri mosse, ma messe in conto, messe in conto perché quando un uomo si mette al servizio di tutti, si espone totalmente. Imperterrito continua, dando un valore quasi sociale alla sua leadership "tutti insieme siamo una leadership forte ed autorevole" , lasciando intendere che lui senza i suoi elettori non è nulla, e che anzi è solo per gli elettori e con gli elettori che prenderà le sue decisioni importanti. Va avanti e non si volta, se non per elogiare il buon operato del suo governo come punto di partenza, per assolvere tutti quei compiti, che in cinque anni per vari motivi non ha potuto fare, e per giustificare certe sue prese di posizione, come la scelta di lottare a fianco dell'America contro il terrorismo. E' questo che si vuole comunicare in questo testo. Logicamente la retorica abbonda, l'enfasi, parole di forte impatto, il tutto finalizzato a coinvolgere emotivamente chi ascolta. Le tecniche persuasive sono molte ed astutamente utilizzate, anche qui a supportare l'originalità del leader e delle sue idee. Infatti Berlusconi non solo vuole persuadere chi lo ascolta che la sinistra ha fallito, ma anche e soprattutto che la sinistra è di per sé fallimentare, avvalendosi della storia come esempio inconfutabile, che avvalora la sua tesi. Non solo critica lo schieramento a lui avverso, bensì lo vuole quasi annientare, non con armi sue, ma con schemi e valori tipici proprio della sinistra. Ad esempio, la parola "popolo" cara all'universo socialista, comunista, visto come massa di persone forti ma inascoltate, capaci di rivoluzionare il sistema, ebbene Berlusconi la adotta, la prende deliberatamente, per definire il suo elettorato, un popolo, libero, e non più schiavo a parer suo di queste ideologie distruttive. Basti pensare anche alle immagini da lui più volte evocate, l'idea del popolo che innalza le bandiere e che cammina insieme verso un futuro comune di luce e speranza, "Certo, qui oggi, innalziamo le nostre bandiere, i nostri simboli di partito, giustamente orgogliosi della nostra storia, delle nostre battaglie, della nostra identità. Ma io sono convinto che il nostro cammino, abbia un percorso segnato, perché siete voi, siamo noi, l'anima di un solo e grande partito della libertà"          richiama alla mente un quadro molto famoso, a sfondo politico, del simbolista italiano Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, dove appunto si vede in primo piano questa grande massa di persone che cammina insieme verso la luce, temi cari appunto ad un universo politico lontano dai principi di Berlusconi. Eppure egli li utilizza per sottolineare il fatto che non solo la sinistra ha fallito, ma ha fallito distrutta dai suoi stessi ideali, che non adeguatamente sostenuti, vengono ora ripresi da un'altra parte politica capace di abbracciare tutti, e capace sì di creare un popolo e di farlo camminare insieme, unito, seppur tutelando tutte le sue sfumature, e facendo di questa battaglia la propria e quella del proprio leader. Così Berlusconi persuade i suoi elettori, con forza e decisione, e senza mezzi termini. L'efficacia o meno è del tutto relativa, relativa a quanto le sue parole siano state in grado di smuovere le coscienze : su temi etici quanto economici, la libertà di ognuno è anteposta a tutto.

In conclusione, si può dire che i due discorsi siano quasi diametralmente opposti, sebbene le idee veicolate alla fine si rassomiglino. Il discorso di Veltroni è molto più difficile, più argomentato, più concreto. Infatti rispecchia l'esigenza di dare una reazione chiara, netta, alla realtà che vedeva in enorme svantaggio la coalizione di centrosinistra. Veltroni reagisce con il rinnovamento, e in quanto tale, un rinnovamento necessita di nuovi principi, nuovi ragionamenti nuove strade da percorrere. Quella di Veltroni è una mano tesa, un nuovo inizio di tolleranza apertura, dialogo in netta opposizione alla chiusura verificatasi in passato, la vecchia politica del muro contro muro. Dunque la difficoltà di interpretazione aumenta, i temi trattati sono molti e di difficile comprensione, il punto è che così facendo Veltroni vuole dimostrarsi più concreto, più pragmatico, limpidamente impegnato sui fronti che stanno a cuore al nuovo partito, con forti richiami al futuro, piuttosto che al passato. Al contrario Berlusconi dal canto suo, non ha nessun interesse a fare un discorso difficile, la situazione per lui è molto chiara, per tutti è molto chiara, infatti partendo dal presupposto che già i dati soli oggettivamente mostrino il fallimento della politica di Prodi, il suo compito si limita al fatto di cavalcare il malcontento e di dire ciò che già l'elettorato voleva sentirsi dire, nulla di più, qui si spiega il fatto di scegliere un discorso facile, propositivo e proiettato al futuro. Le idee lanciate sono molte, e anche qui si evidenzia un cambio di rotta verso una semplificazione dell'apparato partitico italiano, con la creazione del partito unico, il tono esortativo, lascia intendere che l'opposizione, nonostante in minoranza, è presente, e forte, quasi più forte del governo che ha fallito. Berlusconi è ovviamente in una posizione favorevole in quel momento, rispetto a Veltroni, quindi non ha bisogno di riscattarsi da nulla, anzi si sente in dovere di difendere addirittura l'operato del suo passato governo, alludendo ad un futuro bis. In modo semplice chiaro e comprensibile tratta anche temi controversi, con l'attenzione che meritano ma senza soffermarcisi eccessivamente. Il suo interesse è di chiarire la sua idea di libertà, di dare uno scossone alla politica italiana, aprendo la strada anche qui alla via del rinnovamento.






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