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I valori cui si ispira il sistema comunitario sono quelli "liberali" dell'economia di mercato.
Il regime della concorrenza disegnato dai Trattati è funzionale all'obiettivo di unificare i diversi mercati nazionali in un unico mercato dell'Unione.
La politica di tutela della concorrenza non rimane isolata rispetto ad altri valori ed altre politiche pure promosse dall'Unione tra le quali, come indicato dall'art. 3 par. 3 La politica di coesione sociale, di ricerca e sviluppo e quella ambientale.
Ne consegue la possibilità di accordare deroghe quando le restrizioni si rivelino idonee a contribuire allo sviluppo armonioso delle attività economiche dell'Unione.
Il sistema che attribuiva alla sola Commissione la competenza a concedere esenzioni è stato modificato con l'attribuzione della competenza anche alle autorità di concorrenza e alle giurisdizioni degli Stati membri; introduzione di un regime c.d. di eccezione legale, in base ai quali intese restrittive della concorrenza sono lecite e valide ab initio laddove siano soddisfatte le condizioni previste dal n.3.
Nel campo degli aiuti di Stato l'azione dell'unione si è sviluppata con strumenti diretti e indiretti. Alcuni riguardano comportamenti delle imprese che tende ad evitare che siano vanificati gli effetti della libera circolazione delle merci e dei servizi o alterate le condizioni di concorrenza. Altri mirano ad evitare la concentrazione di potere economico e commerciale. Altri sono diretti a far sì che le imprese di un determinato Stato membro non si vengano a trovare in una situazione privilegiata per effetto di una politica di intervento pubblico.
Gli Stati membri sono tenuti a non mantenere e adottare misure legislative o regolamentari suscettibili di eliminare l'effetto utile delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese. Inoltre la disposizione dell'art. 106, stabilisce che gli Stati membri non adottano nei confronti delle imprese pubbliche o titolari di diritti esclusivi alcuna misura contraria alle norme del trattato. Completano la disciplina della concorrenza le norme sugli aiuti di Stato (art.107-109).
La nostra ricognizione sul regime comunitario della concorrenza si basa sulle norme destinate all'imprese, norme relative alle imprese pubbliche e norme sugli aiuti.
La sfera di applicazione materiale delle norme comunitarie sulla concorrenza si estende a tutte le attività economicamente rilevanti che non siano espressamente sottratte.
Sono sottoposte a tale disciplina le attività di produzione dei beni, quelle di prestazione di servizi, comprese quelle del settore bancario, delle assicurazioni e dei trasporti.
Possono, invece, non rientrare nella sfera di applicazione dell'art. 101 del TFUE, gli accordi collettivi di lavoro che si prefissino obiettivi socialmente rilevanti.
Inoltre possono essere sottratte all'applicazione della disciplina in parola le attività di produzione e commercio dei prodotti agricoli nella misura in cui tale esclusione sia funzionale al perseguimento di obiettivi di politica agricola comune.
È, infine, sottratto il settore della difesa e della sicurezza nazionale.
Le norme del Trattato specificatamente indirizzate alle imprese sono quelle di cui:
all'art. 101: intese tra imprese.
all'art. 102: abuso di posizione dominante.
Sono norme provviste di effetto diretto, azionabili dal singolo avanti il giudice nazionale.
La nozione comunitaria di impresa comprende qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, che svolga un'attività economicamente rilevante, industriale, commerciale, di servizi, compreso lo sfruttamento di opere di ingegno o l'esercizio di una professione liberale.
Ai fini dell'applicazione dell'art. 101, la nozione di gruppo, considerato complessivamente e nelle singole articolazioni, risulta rilevante ai fini della sussistenza di una posizione dominante.
Per la sussistenza di una posizione dominante è necessario che la società sia interamente posseduta da altra società e che oltre al controllo totalitario, vi siano collegamenti funzionali nella composizione degli organi societari, con , ad esempio, la presenza di stesse persone negli organi di controllo.
Ai fini dell'applicazione delle norme sulla concorrenza non è rilevante la forma giuridica assunta dall'impresa o le modalità di finanziamento, ne che vi sia assenza di fine di lucro.
Viceversa sono escluse le attività svolte da ente che concorra a svolgere un pubblico servizio di carattere sociale.
Esclusioni: un organismo di previdenza sociale di categoria, la cui attività è ispirata al principio di solidarietà a livello nazionale ed è esercitata senza fini di lucro; ente che gestisce il sistema sanitario nazionale di un Paese; ente incaricato di gestire il servizio di controllo della navigazione aerea.
Ai sensi dell'art. 101 TFUE sono vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto di impedire, restringere, falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune.
Insomma l'articolo vieta tutti quei comportamenti o accordi di due o più imprese finalizzati ad alterare la libera concorrenza sul mercato interno.
L'intesa rilevante ai fini della disciplina comunitaria riguarda i rapporti concorrenziali tra imprese, sia che queste si trovino allo stesso stadio di produzione o commercializzazione e intendano dividersi il mercato (rapporti orizzontali), sia che si trovino a stadi diversi della produzione e commercializzazione, ad esempio, azienda produttrice e azienda che commercializza lo stesso prodotto (rapporti verticali).
Essa può assumere qualsiasi forma, e anche essere implicita. La nozione di intesa comprende tutti quei comportamenti di due o più imprese finalizzati a realizzare iniziative comunque idonee ad alterare la concorrenza.
Ipotesi di intesa rilevante sono: accordo, pratica concordata e decisione di associazione di imprese.
Accordo
Nozione di accordo è molto ampia e privilegia la sostanza rispetto alla forma. E' sufficiente che sia stata manifestata l'intenzione comune di due o più imprese indipendenti di comportarsi sul mercato in un modo piuttosto che in un altro. Può trattarsi di accordo sia scritto che verbale, non necessario che l'accordo si traduca in un vero e proprio contratto.
Le aziende non stipulano direttamente accordi, ma partecipi di una associazione, ne seguono le decisioni, le quali ultime hanno l'effetto di alterare la concorrenza.
Il termine decisioni, va letto in modo sostanziale, comprende sia le raccomandazioni, sia gli accordi.
Tutte le aziende sono responsabili solidalmente, a meno che non dimostrino di essersi esplicitamente opposti alla decisione relativa alla pratica vietata.
Consiste in una qualsiasi forma di comportamento coordinato tra imprese che rappresenti una cooperazione consapevole a danno della concorrenza.
La Corte di Giustizia ha precisato che i criteri del coordinamento non richiedono l'elaborazione di un piano, ma vanno intesi ala luce della ratio del Trattato in materia di concorrenza secondo la quale ogni operatore economico deve autonomamente determinare la propria condotta nel mercato comune.
Il compito di accertare la pratica vietata è affidato sia alla Commissione che al Giudice nazionale.
In particolare la Commissione, ai sensi dell'art. 105 TFUE, sulla base di elementi di fatto e anche su presunzioni , nonché con qualunque altro mezzo di prova deve provare la sussistenza della violazione.
Allorché abbia accertato il comportamento vietato, propone ex art. 105, c.1 , i mezzi per farvi fronte.
Qualora non sia posto termine all'infrazione, la Commissione constata l'infrazione con decisione motivata e può autorizzare gli Stati membri ad adottare le misure necessarie.
Gli elementi che rilevano ai fini dell'art. 101 sono:
a) pregiudizio al commercio tra Stati membri;
b) alterazione delle condizioni di concorrenza del mercato interno.
Le regole di concorrenza si applicano, in presenza di una normativa nazionale, solo nella misura in cui quest'ultima lasci sussistere la possibilità di comportamenti autonomi delle imprese.
Secondo la Corte di Giustizia è suscettibile di pregiudicare gli scambi intracomunitari l'accordo che eserciti un'influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale sulle correnti di scambio in misura che potrebbe nuocere al mercato unico.
La disciplina comunitaria si applica alle intese che interessino il territorio dell'Unione complessivamente considerato.
Va segnalato però che anche accordi nazionali possono pregiudicare il commercio intracomunitario, nella misura in cui chiudono il mercato nazionale o rendano maggiormente difficile il penetrarvi.
L'accertamento del pregiudizio va operato caso per caso.
Per aversi l'ipotesi di cui all'art. 101 è comunque sufficiente che il pregiudizio sia potenziale e che investa direttamente o indirettamente il volume degli scambi, i prezzi praticati, la qualità dei prodotti o dei servizi.
A seguito del Regolamento 1/2003, la Commissione ha fornito i parametri di interpretazione della nozione di pregiudizio al commercio.
Si esclude un pregiudizio al commercio laddove:
la quota di mercato detenuta dalle parti su qualsiasi mercato non sia superiore al 5%;
nel caso di intese orizzontali (imprese dello stesso settore), quando il fatturato comunitario annuo delle imprese interessate non sia superiore ai 40 milioni di euro;
nel caso di intese verticali(operano sullo stesso prodotto nelle diverse fasi di produzione e distribuzione) quando il fatturato comunitario annuo delle imprese interessate non sia superiore ai 40 milioni di euro.
Per stabilire se un'intesa ricada nell'ambito di applicazione del divieto ex art. 101, occorre procedere ad uno scrutinio articolato in due fasi successive.
In una prima fase si dovrà verificare se intesa comporti, per il suo oggetto, una restrizione della concorrenza.
Se l'intesa ha la finalità di restringere la concorrenza, è sempre vietata.
Se, invece, l'intesa ha un oggetto che non è anticoncorrenziale, occorre considerare gli effetti che essa in concreto è idonea a produrre.
L'intesa sarà considerata vietata qualora emerga che essa è suscettibile di restringere la concorrenza in modo sensibile.
Il forza di questo schema saranno considerate vietate, le intese che, non hanno altra funzione se non quella di restringere la libertà di concorrenza tra le parti, ovvero tra le parti ed i terzi concorrenti in modo ritenuto incompatibile con il mercato comune.
Per contro dovrà ritenersi che non abbiano oggetto anticompetitivo le intese che sono idonee a svolgere una più complessa funzione: ciò vale per le clausole che fanno parte integrante del contenuto di un determinato contratto e che contribuiscono a determinare l'assetto e l'equilibrio dei rapporti giuridici tra le parti.
Non violano, ad esempio, l'art. 101 n.1, per il loro oggetto salvo che non risultino, in funzione di circostanze concrete, effetti anticompetitivi:
il patto di non concorrenza inserito nel contratto di cessione di azienda in quanto può ritenersi necessario ad assicurare l'effettività della cessione
- la clausola di approvvigionamento esclusivo e la clausola di non concorrenza inserito in un contratto di franchising, in quanto necessari a far sì che tale contratto possa pienamente realizzare la sua funzione tipica
- La clausola di non contestazione inserita in un contratto di licenza di brevetto, in quanto determinante per l'equilibrio di un accordo che non ha né l'oggetto, né l'effetto di impedire di restringere o di falsare il gioco della concorrenza
In sintesi, l'analisi dell'oggetto è destinata a valutare, in astratto, la funzione obiettiva di una determinata pattuizione nel contesto contrattuale in cui si inserisce.
L'analisi dell'effetto viceversa, mira stabilire se, in concreto, un'intesa che non ha oggetto anticompetitivo sia comunque idonea, per la specifica situazione di mercato in cui viene ad operare, a restringere in modo sensibile la concorrenza nel mercato comune. Gli effetti devono prodursi all'interno del Mercato Comune.
Sono escluse dal divieto ex art. 101 quelle intese aventi effetti minimi sul mercato comune.
Tuttavia, non si può escludere che un'intesa anche se minima possa essere incompatibile con il mercato unico.
La Commissione, al proposito, ha differenziato le soglie di sensibilità relative alle quote di mercato detenute dalle imprese partecipanti:
- se si tratta di accordi tra imprese concorrenti effettive o potenziali su uno dei mercati rilevanti la soglia applicabile fissata al 10%
- se si tratta invece di accordi tra imprese non concorrenti la soglia è del 15%
- qualora risulti difficile determinare se l'accordo si è concluso tra concorrenti o non concorrenti è prevista la soglia del 10%.
L'art. 101 è comunque applicabile sempre quando l'accordo sia suscettibile di provocare effetti distorsivi della concorrenza.
L'art. 101, indica ipotesi tipizzate.
a) intese volte a regolare i prezzi o altre condizioni di vendita;
b) intese volte a limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) intese volte a ripartire i mercati e le fonti di approvvigionamento;
d) intese che applicano nei rapporti commerciali condizioni diverse.
La regola generale è che il mercato comune non può essere ripartito né alterato.
Nella sentenza Consten e Grunding, relativa ad un accordo di distribuzione esclusiva in Francia, la Corte affermò il principio che un accordo inteso a mantenere artificialmente dei mercati nazionali distinti è, come tale, diretto a falsare il mercato.
Alla luce di tale sentenza, rientrano nel divieto ex art. 101, quegli accordi di distribuzione esclusiva che stabiliscano una protezione territoriale assoluta a favore del distributore.
È invece lecito il sistema di distribuzione selettiva quando sia caratterizzato dall'obiettivo di riservare la vendita dei propri prodotti solo ad alcuni rivenditori scelti in base a criteri oggettivi d'ordine qualitativo. Esso può divenire un elemento importante per il mantenimento dell'immagine di marchio di prestigio e quindi per la reputazione commerciale del prodotto.
Per quanto riguarda la selezione dei distributori è ritenuto invece incompatibile con l'art. 101 la selezione c.d quantitativa, cioè la selezione che, oltre a prevedere criteri oggettivi di qualificazione dei distributori, limita altresì numero totale degli operatori ammessi ad agire all'interno di determinate aree territoriali.
Più volte è stato ribadito che un sistema di distribuzione che riduca o escluda la possibilità di importazioni parallele integra una delle ipotesi vietate dall'art. 101 in particolare quando dall'intesa risulti idoneità produrre una ripartizione dei mercati e quindi un pregiudizio agli scambi tra Stati membri.
Un problema peculiare si pone in relazione alle modalità di sfruttamento dei diritti sulla proprietà intellettuale: nella materia ha prevalso ed è stato applicato il criterio del c.d esaurimento comunitario, nel senso che in via di principio il diritto di esclusiva termina con lo sfruttamento (messa sul mercato, contratto di licenza) in un paese membro laddove avvenga con il legittimo consenso del titolare del diritto.
Una volta quindi che il prodotto sia stato legalmente commercializzato in uno Stato membro non può essere impedita la circolazione e quindi la rivendita negli altri Stati membri.
L'art. 101, n.2, stabilisce che gli accordi vietati sono nulli.
Tale nullità è assoluta, nel senso che il giudice o l'organo amministrativo possono rilevarla anche d'ufficio.
La nullità ha efficacia ex tunc, l'accordo resta privo di effetto tra le parti ed è inopponibile a terzi, con l'ulteriore conseguenza che sono travolti da nullità tutti gli effetti passati e futuri.
La nullità del contratto, o delle sole clausole vietate, può essere accertata dal giudice nazionale, in quanto si tratta di norme provviste di effetto diretto, oppure dalla Commissione che al riguardo gode di ampi poteri di indagine.
In genere è l'impresa concorrente che ha subito il pregiudizio a richiamare l'attenzione della Commissione o del giudice nazionale.
In tal caso il ricorrente può far valere il suo diritto sia attraverso un esposto alla Commissione, sia con una azione avanti il giudice nazionale.; sia percorrendo contestualmente le due strade.
Quanto al diritto del singolo al risarcimento del danno, la possibilità del suo esercizio in sede giudiziaria è considerato un elemento che rafforza l'operatività delle norme e che perciò stesso contribuisce al mantenimento di un'effettiva concorrenza.
La possibilità di esenzione alle intese vietate ex art. 101 comma 1°, si fondano sugli elementi indicati nel successivo comma 3°, essi debbono essere tutti presenti:
Il regolamento 1/2003 prevede che le intese vietate al n. 1, ma rispondenti alle condizioni di cui al n. 3 dello stesso art. 101, sono lecite dall'inizio e non necessitano di decisione preventiva.
La competenza ad accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'art. 101/3 è stata attribuita, alla Commissione, al giudice nazionale, all'Autorità nazionale della concorrenza.
Tuttavia alla sola Commissione la competenza d'Ufficio a valutare la compatibilità di un'intesa con il diritto antitrust.
In passato l'attribuzione alla Commissione della competenza esclusiva a concedere delle esenzioni ai sensi dell'art. 101 n.3 aveva posto gravi problemi di funzionalità del sistema in considerazione del numero sempre crescente di accordi notificati.
Per fare fronte alle suddette difficoltà il Consiglio aveva autorizzato la Commissione ad emanare dei regolamenti che concedevano l'esenzione dal divieto ex art. 101 a determinate categorie di accordi.
Fra quelli attualmente in vigore, di rilievo sono regolamento relativo alle restrizioni verticali, i regolamenti di trasferimento di tecnologia, di specializzazione e di ricerca e sviluppo, quelli adottati nel settore del trasporto aereo, del trasporto marittimo e delle assicurazioni.
Nel quadro normativo precedente all'adozione del regolamento 1/2003 gli accordi che soddisfacevano le condizioni indicate nei regolamenti di esenzione beneficiavano automaticamente dell'esenzione senza che fosse necessario procedere alla loro notifica. Erano invece soggette all'obbligo di notifica le intese che non rientravano nelle categorie ivi disciplinate.
Con il passaggio al regime di eccezione legale lo strumento del regolamento di esenzione ha cambiato natura acquisendo una natura solo dichiarativa. I regolamenti rappresentano lo strumento di orientamento dell'applicazione del diritto comunitario a livello nazionale, forniscono certezza giuridica e garantiscono l'uniforme applicazione dell'art. 101 n.3 .
Sulla base dell'impostazione seguita fino al 1999 ogni regolamento conteneva un elenco sia delle clausole contrattuali che potevano beneficiare dell'esenzione per categoria, c.d. white list, sia di quelle che escludevano l'applicabilità del beneficio, c.d. black list: l'accordo che le prevedeva poteva dunque essere eventualmente esentato solo a seguito dell'adozione di una decisione ad hoc.
Una modifica sotto molti aspetti anche radicale, dell'approccio fino ad allora seguito dalla Commissione con riguardo l'esenzione per categoria, ha caratterizzato anzitutto la riforma in materia di accordi verticali.
Sulla base di questo, il regolamento 2790/1999 ha previsto un regime legale di esenzione per tutti gli accordi verticali, a condizione che la quota di mercato detenuta dal fornitore non superi il 30%, questo perché tali accordi sono ritenuti idonei a incrementare l'efficienza economica di una catena produttiva.
Resta salva la possibilità della Commissione di revocare il beneficio quando l'accordo produca effetti gravemente distorsivi.
Sono state enucleate tra le molteplici ipotesi di intese vietate e non, i seguenti casi:
a) intese vietate: rientrano una serie di accordi che hanno una spiccata valenza anticompetitiva:
a. fra le intese orizzontali, i cartelli, le collusioni sui prezzi di vendita, o su volumi e quote di mercato; inoltre le intese, che pur disciplinando apparentemente forme di cooperazione fra imprese, si configurano in realtà per il loro specifico contenuto o per le circostanze economiche in cui vengono attuate, come meri cartelli fra imprese concorrenti.
b. fra le intese verticali, sono vietati gli accordi che ostacolano gli scambi all'interno del mercato comune.
b) Intese autorizzate: vi rientra un'ampia tipologia di accordi orizzontali e verticali. Tra i primi: accordi di specializzazione, accordi per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie di prodotto o di processo produttivo, accordi per la produzione in comune di determinati prodotti o servizi che richiedono impegni in termini di risorse, accordi inerenti allo sfruttamento di diritti di proprietà intellettuale. Quanto agli accordi verticali autorizzati: accordi di agenzia, di concessione esclusiva di vendita, di fornitura esclusiva, di distribuzione selettiva, di subfornitura.
L'art. 102 TFUE sancisce l'incompatibilità col mercato comune dello sfruttamento abusivo di posizione dominante, da parte di una o più imprese, sul mercato comune o su una parte significativa di esso.
Non è vietato detenere una posizione dominante, ma abusarne tanto da alterare le normali condizioni di mercato e della concorrenza.
La posizione dominante consiste in una posizione di potenza economica grazie alla quale l'impresa è in grado di ostacolare il permanere di una concorrenza effettiva ed ha la possibilità di avere comportamenti non condizionati dai concorrenti, dai clienti e dai consumatori.
Si distingue dal monopolio in quanto non esclude il permanere di una certa concorrenza; così come dall'oligopolio in quanto il suo comportamento non è condiviso e condizionato reciprocamente da altre imprese.
In via generale l'impresa in posizione dominante riduce il grado di concorrenza anche quando il comportamento è non censurabile, ciò significa che uno stesso comportamento è pienamente legittimo se posto in essere da azienda non in posizione dominate, mentre può essere illegittimo se compiuto da impresa in posizione dominante.
La posizione dominante è un dato relativo, in quanto va misurato rispetto al c.d. mercato interno che va definito:
da un punto di vista geografico: comprende l'area in cui le imprese vendono o acquistano prodotti e servizi, ed in cui le condizioni di concorrenza sono omogenee;
da un punto di vista del prodotto: comprende tutti i prodotti e servizi fungibili e sostituibili
Occorre fare riferimento non solo al mercato del prodotto in discussione, ma anche a quello dei prodotti equivalenti.
Indizi inducono a rilevare l'esistenza di una posizione dominante sono numerosi e di diversa natura. La quota di mercato è senza dubbio l'elemento di grande rilievo così come possono esserlo rapporto con le quote rispettive delle imprese concorrenti più importanti, vantaggio tecnologico rispetto ai concorrenti, una rete di distribuzione efficiente, l'assenza di concorrenza potenziale.
La situazione va comunque valutata sulla base di un insieme di elementi di fatto e di diritto concomitanti.
Altro profilo rilevante è costituito dalle barriere all'ingresso che possono facilitare l'acquisizione o il consolidamento della posizione dominante.
Le barriere possono derivare da vincoli legali, prassi amministrative, privative industriali o intellettuali etc.
Secondo la Commissione e la giurisprudenza sussiste anche la posizione dominante collettiva, che ha luogo quando più imprese sufficientemente collegate fra loro detengano quote rilevanti di mercato.
Lo sfruttamento abusivo della posizione dominante ha luogo quando, praticando misure diverse da quelle normali, una azienda incida sulla struttura del mercato alterando il profilo della libera concorrenza.
La Corte di Giustizia nel caso Continental Can ha affermato che l'abuso può derivare anche dal semplice consolidarsi della posizione dominante, anche quando questo avvenga senza colpa o dolo.
La posizione dominante è abusiva per il solo fatto che determina una modifica in negativo dell'offerta ledendo gravemente il diritto del consumatore.
Può consistere in un comportamento che mira ad escludere dal mercato ovvero marginalizzare un'impresa concorrente; una politica commerciale che pregiudica direttamente i consumatori.
La giurisprudenza ha altresì precisato che oggetto di censura può anche essere un abuso di posizione dominante che attua i suoi effetti su un mercato diverso da quello dominato.
Particolare rilievo ha l'ipotesi di abuso che ruota intorno alla politica dei prezzi. Ad esempio il fatto di praticare prezzi eccessivi e privi di rapporto con il valore economico della prestazione fornita; la pratica di prezzi inferiori alla media dei costi variabili; l'applicazione di prezzi discriminatori da parte dell'impresa in posizione dominante, vale a dire prezzi differenziati per prestazioni identiche o prezzi uguali per prestazioni diverse.
Altro esempio di abuso quello dell'esclusiva di fornitura che l'impresa dominante impone ai clienti.
Una specifica ipotesi di abuso è quella del rifiuto di fornire un prodotto se non congiuntamente ad un altro che non gli sia oggettivamente connesso per natura o secondo gli usi commerciali.
Problema particolare è quello posto nel caso Magill delle guide programmi radiotelevisivi, del rapporto tra sfruttamento abusivo di una posizione dominante e sfruttamento dei diritti d'autore. Es. pag 704.
Viene quindi estesa ai diritti di proprietà intellettuale la dottrina delle c.d. essential facilities per cui l'impresa in posizione dominante, titolare di un'infrastruttura essenziale per l'esercizio dell'attività economica, non può rifiutarne l'accesso o l'utilizzo ad imprese concorrenti. Si pensi al caso delle rete ferroviaria, elettrica o telefonica.
La giurisprudenza è stata molto prudente nell'accogliere tale teoria precisando che una violazione dell'art. 102 potrebbe individuarsi unicamente nell'ipotesi che per il concorrente non vi sia alcuna alternativa possibile all'utilizzo della infrastruttura in questione e che non sarebbe economicamente e/o tecnicamente ragionevole una sua duplicazione.
Questione di grande rilievo è quella dell'applicazione cumulativa degli artt. 101 e 102, ad esempio quando la situazione di soggezione di più imprese rispetto ad un'altra dominante venga formalizzata con un accordo.
Se è vero che sono disposizioni tra loro collegate e complementari, investono però profili diversi della stessa situazione economica e hanno presupposti di applicazione e disciplina non perfettamente analoghi.
E' stato precisato dal Tribunale che l'applicabilità dell'art.102 non era esclusa né da una pregressa decisione individuale di esenzione né da un esenzione per categoria.
La giurisprudenza è nel senso che l'accertamento dell'abuso apre la strada ai rimedi giurisdizionali previsti negli Stati membri, ad esempio un'azione di risarcimento del danno ovvero, in caso di contratti, l'azione diretta a far dichiarare la nullità.
L'intervento della Commissione può essere sollecitato con un esposto denuncia.
Legittimati sono gli Stati membri e i singoli, persone fisiche e giuridiche che vi abbiano interesse.
La procedura di verifica può essere iniziata anche d'ufficio dalla Commissione.
Se, sulla base degli elementi di prova, la Commissione ritiene che non sussistano motivi per una sua azione, invia una lettera al richiedente indicando i motivi della sua valutazione e fissando un termine per eventuali osservazioni.
Se il richiedente non presenta osservazioni, o se non sono accolte, la Commissione adotta una decisione formale di rigetto della denuncia.
La Commissione ha il diritto di assegnare diversi gradi di priorità alle denunce che le sono presentate.
La Commissione può archiviare una denuncia quando la fattispecie è già all'esame dell'Autorità di concorrenza di uno Stato, in questo caso indica al ricorrente quale sia l'autorità procedente.
Sulla base delle risultanze dell'indagine preliminare, la Commissione da avvio alla fase formale della procedura, che si svolge in contraddittorio.
La fase formale ha inizio con l'invio alle imprese interessate degli addebiti, con gli elementi del fatto e la valutazione giuridica, precisando se il comportamento è passibile di ammenda.
Le imprese possono accedere alla visione dei fascicoli che le riguardano e, se lo richiedono, possono essere sentite dalla Commissione procedente.
La Commissione gode di ampi poteri di indagine.
Può chiedere ed ha il diritto di ottenere le informazioni che ritiene necessarie ed utili, sia dai governi dei paesi membri sia dalle imprese o dalle associazioni di imprese coinvolte o ancora da terzi.
La Commissione può assumere direttamente la decisione di richiesta di informazioni senza il previo invio di una domanda.
Si prevede la possibilità di comminare sanzioni e penalità di mora non solo per informazioni inesatte, ma anche per informazioni fuorvianti fornite in risposta ad una domanda o a una decisione della Commissione.
Può procedere alle necessarie verifiche anche presso le sedi delle imprese interessate.
La Commissione deve informare l'Autorità nazionale della concorrenza dello Stato membro in cui si trovano le aziende sottoposte ad indagine.
La Commissione può anche accedere ai domicili privati del personale di aziende sottoposte ad indagine per violazione dei divieti ex art. 101 e 102, ma deve emettere motivata ordinanza e presentarla al giudice nazionale perché questi autorizzi la visita ispettiva.
Nel procedere alla verifica del carattere non arbitrario o sproporzionato dell'ordinanza ispettiva, il giudice nazionale deve tenere conto della gravità della presunta infrazione, della rilevanza della prova cercata, della natura del coinvolgimento e della probabilità di trovare i documenti cercati.
I funzionari e gli agenti della Commissione hanno ampi poteri, ma non possono chiedere spiegazioni su fatti e documenti relativi all'oggetto e allo scopo dell'accertamento, ne procedere all'apposizione dei sigilli.
L'esercizio dei poteri di controllo da parte della Commissione è stato spesso esaminato sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali.
Premesso che le modalità con cui si realizza la collaborazione tra la Commissione e le autorità nazionali sono regolate dal diritto dello Stato membro interessato, resta che l'autorità devono da un lato, assicurare l'efficacia dell'azione della Commissione e dall'altro verificare che l'intervento non sia né arbitrario né sproporzionato.
Per quanto riguarda la tutela dei diritti della difesa, se è vero che la Commissione è solo un organo amministrativo e non giudiziario, così come la procedura di accertamento che essa svolge, è pur vero che anche in un procedimento di tale natura vanno rispettate le garanzie procedimentali contemplate dal diritto comunitario. Si tratta di un procedimento che può concludersi con l'applicazione di una sanzione e comunque con una lesione degli interessi dell'impresa.
Certi diritti devono essere tutelati anche nel corso di indagini e di procedure precontenziose, quali quelle in tema di violazione delle norme sulla concorrenza nei quali l'onere di provare la violazione è a carico della Commissione.
Il regolamento 1/2003 individua i quattro tipi di decisione che la Commissione può assumere a seguito dell'avvio di una procedura formale per l'applicazione degli articoli 101 e 102 del Trattato.
Le decisioni in particolare sono: 1) decisioni di constatazione ed eliminazione delle infrazioni; 2) decisioni che rendono obbligatori impegni presentati dalle parti; 3) decisioni di constatazione di inapplicabilità dei divieti di cui agli articoli 101 e 102 per ragioni di interesse pubblico comunitario; 4) decisioni di adozione di misure cautelari
1) La Commissione, al termine del procedimento, quando abbia constato una infrazione, può adottare una decisione che obblighi l'impresa a porre fine all'infrazione e ,se del caso, commina un'ammenda che può arrivare fino al 1% del fatturato dell'anno precedente.
La Commissione può imporre l'adozione di rimedi comportamentali o strutturali, proporzionati all' infrazione commessa e necessari a far cessare effettivamente l'infrazione.
La Commissione ha poi introdotto, esclusivamente con riguardo ai procedimenti avviati nei confronti di cartelli, una speciale procedura di transazione. In forza di tale procedura le imprese che ne facciano richiesta possono decidere di riconoscere la loro partecipazione ad un intesa anticompetitiva e la loro responsabilità per i fatti contestati. Come ricompensa, la Commissione potrà ridurre del 10% l'importo dell'ammenda da irrogare.
2) Laddove le parti presentino degli impegni al fine di rimuovere le preoccupazioni espresse nella valutazione preliminare dalla Commissione, il regolamento ha introdotto la possibilità per quest'ultima di adottare una decisione di accettazione degli impegni proposti. Tale decisione rende impegni vincolanti per le parti e pone termine al procedimento.
3) Il regolamento esclude la possibilità per le imprese di ottenere dalla Commissione, dietro notifica, decisioni di compatibilità dei propri accordi o comportamenti con l'articolo 101 del trattato. Tuttavia è prevista la possibilità eccezionale della Commissione, per ragioni di interesse pubblico comunitario, d'ufficio di stabilire mediante decisione che gli articoli 101 e 102 non siano applicabili a determinate condotte anticompetitive.
La Commissione si è impegnata a fornire orientamenti su questioni nuove relative all'applicazione degli articoli 101 e 102 con una dichiarazione scritta ( lettera di orientamento).
4) Il regolamento ha disciplinato la possibilità per la Commissione di adottare misure cautelari. In particolare i provvedimenti cautelari devono essere adottate soltanto in caso di indiscussa urgenza, per far fronte ad una situazione tale da causare un danno grave e irreparabile; devono avere carattere provvisorio e cautelare, ed essere conformi al principio di proporzionalità; devono garantire il rispetto dei diritti di difesa. Il pregiudizio dev'essere attuale e non un eventuale ed aleatorio.
Per quanto riguarda i poteri sanzionatori la Commissione può infliggere sanzioni fino al 10% del fatturato realizzato durante l'esercizio sociale precedente. L'ammenda va determinata su due parametri, la gravità e la durata della violazione: nell'ipotesi in cui guadagni illeciti siano ingenti la commissione può aumentare l'importo della sanzione.
Altri elementi vanno considerati quali intenzionalità, i precedenti dell'impresa, contesto economico in cui si colloca la violazione. È prevista invece la riduzione della sanzione o anche una totale immunità per quelle imprese che abbiano dato un contributo significativo all'avvio di una indagine o alla sua definizione.
Particolare rilevanza assumono le modifiche in materia di sanzioni alle associazioni di imprese. L'ammenda a carico dell'associazione non può eccedere il limite massimo del 10% del fatturato totale di ciascun membro attivo sul mercato interessato dalla violazione posta in essere dall'associazione stessa.
Una concentrazione si realizza quando un'impresa si fonde con un'altra, ovvero ne acquisisce il controllo.
Si ha altresì concentrazione quando due o più imprese creano un'impresa comune da entrambe controllata.
Le norme comunitarie sulle concentrazioni hanno lo scopo di evitare che i processi di concentrazione tra imprese producano una riduzione sostanziale della concorrenza attraverso , in particolare, la creazione o il consolidamento e il rafforzamento di una posizione dominante.
L'ipotesi di concentrazione tra imprese è stata considerata come rilevante fino al varo del regolamento 4064/89 ora sostituito dal regolamento 139/2004.
Ben noto è il caso Continental Can dove per la prima volta fu fatto valere che l'articolo 102 potesse comprendere un'ipotesi di acquisizione del controllo di imprese concorrenti da parte di un'impresa in posizione dominante.
In un'altra occasione poi la Corte ha riconosciuto la possibilità di fare applicazione dell'art. 101 nel caso dell'acquisto da parte di un'impresa di una partecipazione anche minoritaria in una impresa concorrente ritenendo che tale operazione potesse comportare un condizionamento delle strategie commerciali dell'impresa controllata.
Il regolamento 139/2004 si applica alle concentrazioni che abbiano una dimensione comunitaria i cui criteri sono legati al fatturato delle imprese interessate dall'operazione. Ai sensi dell'articolo 1 del regolamento, si ha riguardo ad un fatturato a livello mondiale di oltre 5 miliardi di euro e ad un fatturato, raggiunto da almeno due delle imprese interessate, che superi nella Comunità i 250 milioni di euro.
Il regolamento considera dimensione comunitaria un'operazione di concentrazione qualora, pur non essendo raggiunte le suddette soglie:
- il fatturato totale realizzato a livello mondiale da tutte le imprese interessate sia superiore a 2,5 miliardi di euro
- in ciascuno di almeno tre Stati membri fatturato totale realizzato dall'insieme delle imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro
- in ciascuno degli stessi tre Stati membri, il fatturato totale realizzato individualmente da almeno due delle imprese interessate sia superiore a 25 milioni di euro
- il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro
Il regolamento ha introdotto condizioni di maggiore flessibilità in relazione ai criteri ed alle procedure di rinvio. In particolare può essere oggetto di rinvio ad un'autorità nazionale una concentrazione che incide in misura significativa sulla concorrenza nel mercato all'interno dello Stato membro interessato.
L'art.22 prevede la possibilità di un rinvio da parte di una o più autorità nazionali alla Commissione di operazioni che, pur non raggiungendo le soglie di fatturato fissate dall'art. 1, siano suscettibili di incidere in maniera significativa sulla concorrenza nel territorio dello Stato membro o degli Stati membri che effettuano la richiesta ed abbiano impatto sul commercio intracomunitario.
Il regolamento definisce l'operazione di concentrazione sottoposto alla sua disciplina. Si tratta in particolare:
a) dell'ipotesi di fusione tra due o più imprese prima indipendenti;
b) dell'ipotesi di acquisto del controllo totale o parziale di una o più imprese da parte di soggetti che controllano già un'impresa o da parte di una o più imprese;
c) dell'ipotesi di costituzione di un'impresa comune che esercita stabilmente tutte le funzioni di un'entità economica autonoma.
Le operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria vanno obbligatoriamente notificate alla Commissione. La notifica a effetti sospensivi e l'operazione non può essere realizzata fino a che non intervenga la decisione di compatibilità o siano decorsi termini per adottarla.
Commissione apre la procedura di verifica entro 25 giorni e deve poi concludersi entro 90 giorni lavorativi dalla decisione di avvio dell'istruttoria trascorsi i quali l'operazione va considerata compatibile.
Nel caso di mancata notifica, anche nel caso in cui le imprese procedono all'operazione nonostante la decisione negativa, la Commissione dispone di un potere sanzionatorio: alle parti può essere inflitta l'ammenda fino a 10% del fatturato totale dell'impresa interessata. Inoltre la Commissione ha potere di ordinare lo scioglimento dell'entità risultante dall'operazione.
La maggior parte dei casi la notifica è preceduta da un incontro con la Commissione che ha lo scopo di informare quest'ultima dei negoziati in corso, di individuare gli elementi di conoscenza necessari per un corretto controllo e di avere un primo scambio di idee sulle questioni più rilevanti.
All'esito della prima fase, la Commissione decide se la concentrazione compatibile con il mercato comune; oppure che non rientra nella sfera di applicazione del regolamento; oppure che va aperta la seconda fase della procedura di controllo in quanto sono necessari ulteriori approfondimenti.
La Commissione può anche decidere di rimettere la trattazione del caso, o parte di esso, all'autorità nazionale di concorrenza.
Seconda fase si apre con la decisione con cui la Commissione comunica alle parti che sulla base degli elementi in suo possesso, la concentrazione solleva seri dubbi di compatibilità con il mercato comune. Commissione deve comunicare per iscritto le sue obiezioni alle parti notificanti, impartendo un termine per la presentazione di osservazioni. Le parti notificanti, nonché le altre parti interessate, hanno il diritto e l'onere di rispondere, sia con memorie scritte, sia partecipando ad una audizione orale.
Quando la Commissione ritiene concentrazione incompatibile è ancora possibile autorizzarla qualora le parti propongano rimedi sufficienti.
Quanto al criterio sostanziale di valutazione delle concentrazioni è stato sostanzialmente ridefinito dal regolamento 139/2004, ed è espresso con la formula " riduzione sostanziale della concorrenza".
Il nuovo test è basato su valutazioni di natura economica e permette di vietare tutte le concentrazioni che hanno effetti anticompetitivi, ovvero che determinano l'aumento dei prezzi e diminuiscono la scelta dei consumatori o l'innovazione. Il nuovo criterio di valutazione deve essere interpretato alla luce e nei limiti di quanto precisato nel considerando 25, in cui con riferimento alla nozione di ostacolo significativo ad una concorrenza effettiva, si precisa che tale nozione dovrebbe essere interpretata come riguardante, al di là del concetto di posizione dominante, solo gli effetti anticoncorrenziali di una concentrazione risultanti dal comportamento non coordinato di imprese che non avrebbero una posizione dominante sul mercato in questione.
Ne consegue che l'ambito di applicazione del divieto continua ad essere definito misura largamente prevalente in corrispondenza della nozione di dominanza e che l'utilizzo del nuovo criterio di valutazione si configura in linea di principio come una ipotesi residuale.
Il regolamento 139/2004 consente di vietare anche un'operazione di concentrazione che dia luogo alla creazione di una posizione dominante collettiva, quella di una situazione in cui due o più imprese indipendenti sono, relativamente ad uno specifico mercato, unite da vincoli economici tali da detenere insieme una posizione dominante rispetto ad altri operatori sullo stesso mercato.
Particolare rilevanza assume considerando 29, che espressamente indica l'opportunità di una valutazione delle concentrazioni che tenga conto degli eventuali incrementi di efficienza generati da una concentrazione, prevedendo che spetta alle imprese l'onere di addurre, motivare e documentare l'esistenza o la probabilità di tali incrementi, così come la loro idoneità a compensare qualunque possibile pregiudizio concorrenziale.
All'esito della procedura, progetto di decisione viene trasmesso alle autorità di concorrenza di Stati membri e discusso dal comitato consultivo. La decisione viene infine pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione.
Una procedura semplificata di esame è prevista per determinate categorie di concentrazioni che sono generalmente ritenute non problematiche per la concorrenza:
a) due o più imprese acquisiscono congiuntamente il controllo di un'impresa comune che non svolge alcuna attività o solo un'attività di minima entità
b) acquisiscono il controllo esclusivo o congiunto di una impresa, e nessuna delle parti opera nel medesimo mercato del prodotto
c) due o più imprese procedono ad una fusione, o una o più imprese acquisiscono controllo esclusivo o congiunto di un'altra impresa, ma la loro quota congiunta non è superiore al 15% in caso di rapporti orizzontali o al 25% in caso di rapporti verticali
d) una parte acquisisce il controllo esclusivo dell'impresa di cui detiene già controllo congiunto.
Il regolamento 1/2003 interviene a disciplinare la materia dei rapporti tra normativa comunitaria e normative nazionali di concorrenza, prevedendo a carico di giudici e autorità nazionali l'esplicito obbligo di applicazione del diritto comunitario ai comportamenti d'impresa che siano tali da incidere sui scambi tra Stati membri.
L'obbligo è diretto anche a garantire che i procedimenti delle autorità nazionali di concorrenza siano soggetti alle procedure di informazione e consultazione preventiva della Commissione, lasciando in questo modo aperta la possibilità di un'applicazione parallela delle legislazioni nazionali.
Relativamente alle intese questa possibilità è soggetta a un vincolo di convergenza che preclude l'applicazione di norme nazionali di concorrenza più severe ad accordi, decisioni e pratiche concordate suscettibili di influenzare gli scambi intracomunitari, ma che non integrino una violazione dell'articolo 101 del Trattato. Se così non fosse, uno stesso accordo potrebbe risultare trattato in maniera diversa a seconda del regime nazionale in cui è valutato, dunque risulterebbe compromessa l'esigenza di applicazione uniforme del diritto comunitario. Portata del vincolo di convergenza è limitata alle sole fattispecie d'intesa.
Esso non preclude l'applicabilità di discipline nazionali più severe là dove queste abbiano ad oggetto condotte unilaterali d'impresa, come tali non rientranti nell'ambito di applicazione dell'articolo 101.
La espressa possibilità per l'autorità nazionali competenti in materia di concorrenza di fare diretta applicazione degli articoli 101 e 102 del Trattato è un passaggio di grande rilievo ai fini del processo di decentramento.
I giudici e le amministrazioni nazionali possono e anzi devono fare applicazione delle norme provviste di effetto diretto incluse le norme del trattato che qui sono in questione. Tali norme sono evocabili direttamente davanti al giudice e, in caso di conflitto tra norma comunitaria e norma nazionale, la seconda va disapplicata.
L'idea di un'apposita abilitazione interna ad applicare direttamente le norme comunitarie appare priva di senso logico e sotto il profilo della teoria giuridica generale, assolutamente errata.
I giudici e le amministrazioni nazionali costituiscono infatti l'essenza del decentramento dell'applicazione di tutte le norme comunitarie e quelle sulla concorrenza non fanno eccezione.
Inoltre regolamento 1/2003 mantiene in capo alla Commissione un ruolo rilevante nella determinazione della politica comunitaria della concorrenza.
L'autorità nazionali sono competenti ad applicare gli articoli 101 e 102 del trattato in casi individuali, quindi escluso che tale autorità abbiano potere di adottare atti generali, quali regolamenti di esenzione per categoria.
I poteri attribuiti alle autorità nazionali coincidono con quelli della Commissione tranne che per le decisioni di constatazione di inapplicabilità: ordinare la cessazione dell'infrazione, disporre misure cautelari, accettare impegni, comminare ammende, penalità di mora o altra sanzione.
A fronte di questa equivalenza di poteri, le autorità nazionali continuano a svolgere un ruolo diverso rispetto alla Commissione:
- in primo luogo perché all'istituzione comunitaria resta la competenza esclusiva di orientamento della politica antitrust comunitaria
- in secondo luogo perché l'avvio di un procedimento da parte della Commissione per l'adozione della decisione, priva tutte le autorità nazionali garante della concorrenza della competenza ad applicare gli articoli 101 e 102.
In particolare una volta che la Commissione abbia avviato un procedimento, l'autorità non possono più iniziare un loro procedimento sullo stesso caso ovvero devono chiudere il procedimento.
Di grande rilievo pratico è la definizione delle rispettive sfere di azione e di competenza della commissione e del giudice nazionale. La competenza dei tribunali nazionali, concorrente con quella della commissione, deriva dall'efficacia diretta dei divieti sanciti dagli articoli 101 e 102 che incidono direttamente sulla posizione giuridica dei privati e attribuiscono loro diritti ed obblighi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare.
La decisione del giudice nazionale non vincola la commissione che resta libera di decidere eventualmente in modo diverso. In forza del principio di leale collaborazione con le istituzioni comunitarie giudice nazionale deve astenersi dal prendere provvedimenti idonei a compromettere la realizzazione del trattato ed evitare l'adozione di provvedimenti in contrasto con decisioni della Commissione.
Il sistema di applicazione delle regole della concorrenza comunitaria comprende anche la rete delle autorità di concorrenza composta dalle istituzioni pubbliche dei Paesi membri.
Il regolamento 1/2003 prevede che l'autorità nazionali hanno l'obbligo di informare preventivamente la Commissione sull'esito di procedimenti attivati e prima di adottare taluni tipi di decisione.
Un accordo o una pratica abusiva sono di pertinenza della rete se pregiudicano il commercio tra gli Stati membri.
Se il caso è stato identificato di pertinenza della rete, il primo obbligo consiste nell'informare la Commissione dell'avvio del procedimento.
La comunicazione conferisce un periodo di attribuzione del caso di 2 mesi entro il quale ciascuna autorità deve valutare se desidera intervenire.
Laddove possibile la preferenza è accordata all'intervento della singola autorità.
L'intervento della Commissione sarà ritenuto necessario quando l'accordo o la pratica incida sulla concorrenza di 3 o più Stati membri, oppure quando un caso sia strettamente collegato con altre disposizioni comunitarie, per la cui applicazione la commissione ha competenza esclusiva o si trova meglio posizionata.
Si possono verificare tre situazioni diverse. In primo luogo è possibile che una o più autorità decidano di agire in parallelo a quella che ha comunicato il caso per prima: sarà possibile individuare un'autorità responsabile del coordinamento delle misure di indagine. In secondo luogo, l'autorità che ha comunicato originariamente le informazioni alla rete decide di chiudere procedimento in quanto un altra autorità intende occuparsi del caso. Infine la commissione può avocare a sé il caso e dunque privare l'autorità nazionale della sua competenza.
L'art. 11 del Regolamento 1/2003 prevede che l'avvio di un procedimento da parte della Commissione priva le autorità nazionali della competenza ad applicare gli artt. 101 e 102.
Se l'autorità nazionale sta già trattando il caso, la Commissione lo avocherà a se.
L'articolo 12 del regolamento stabilisce che la commissione e le autorità nazionali hanno la facoltà di scambiare ed utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto e di diritto, comprese le informazioni riservate, a condizione che siano state legalmente raccolte dall'autorità trasmittente.
Il principio del segreto d'ufficio comporta che i segreti aziendali e le altre informazioni riservate appartenenti ad imprese non possono essere divulgati all'esterno della rete.
Nel caso di scambio d'informazioni fornite a un'autorità di concorrenza nell'ambito di un programma di clemenza, al fine di preservare l'efficacia di tali programmi nell'individuazione dei cartelli e incentivi alla collaborazione da parte delle imprese coinvolte, la Comunicazione della Commissione, prevede, in deroga a quanto consentito dall'articolo 12, che in questi casi le informazioni trasmesse alla rete non possono essere utilizzate dagli altri membri per avviare proprie indagini.
L'art.22 del Regolamento, consente l'autorità nazionale, di raccogliere informazioni in base alla legislazione interna per conto di un'altra autorità. La richiesta di assistenza deve essere formale, scritte e motivata.
In particolare viene in rilievo in maniera specifica l'obbligo di leale collaborazione tra le istituzioni comunitarie e i giudici nazionali chiamati alla reciproca assistenza nell'applicazione delle regole antitrust.
Appunti su: riassunto la disciplina della concorrenza in ambito assicurativo, |
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