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La disciplina dell'Unione sulla concorrenza non regola solo i comportamenti tra imprese, ma può investire anche taluni comportamenti degli Stati.
In base alla lettura congiunta degli artt. 4, n.3 TUE e 101 TFUE, nonché sull'art.3 n.3 TUE, la Corte di Giustizia ha fondato l'obbligo per gli Stati membri di non adottare o mantenere misure che possano rendere inefficaci le norme di concorrenza applicabili alle imprese.
La Corte ha sintetizzato la sua giurisprudenza con la formula secondo cui è precluso agli Stati membri di imporre, agevolare o rafforzare la conclusione di accordi in contrasto con l'articolo 101 TFUE; nonché di privare del carattere pubblico una normativa, attribuendo ai privati la responsabilità di adottare decisioni di interventi in materia economica.
Le condizioni perché una legislazione nazionale possa essere sottoposta alla verifica di compatibilità con il diritto dell'Unione sono, l'esistenza di un accordo vietato dall'art. 101 e l'esistenza di una misura statale che ne impone o agevola la conclusione ovvero ne impone l'osservanza o ancora ne estende o ne rafforza gli effetti.
Gli articoli 101 102 restano invece applicabili nelle ipotesi in cui la normativa nazionale lasci sussistere la possibilità di una concorrenza che possa essere ostacolata, ristretta o falsata da comportamenti autonomi delle imprese.
Resta da chiarire se una normativa nazionale del tutto scollegata da un effettivo e palese comportamento delle imprese possono determinare una violazione del diritto dell'unione. Il riferimento è a quelle normative che producono sulle condizioni di concorrenza l'effetto pari o equivalente a quello di un'intesa vietata, ma senza che un comportamento anticoncorrenziali delle imprese si colleghi in qualche modo alla misura statale in questione.
Risposta della corte è stata nel senso che l'incompatibilità della normativa statale resta ancorata alla presenza di un comportamento delle imprese, non importa se favorito, rafforzato o addirittura imposto dalla normativa stessa.
È utile ricordare che lo stesso articolo 101 non considera incompatibile con il mercato comune ogni alterazione della concorrenza, ma solo quelle alterazioni che siano il risultato di un comportamento delle imprese. È necessario quindi che l'effetto anticoncorrenziale di una normativa statale sia in qualche modo collegato ad un comportamento delle imprese e ne costituisca la diretta o indiretta copertura, sia cioè collegato al dettato dell'articolo 101.
Quando quest'ultimo collegamento non sussiste, non rimangono che il parametro dell'articolo 4 e il principio generale della concorrenza libera e non falsata.
Il primo impone si un dovere di collaborazione, ma si tratta di un dovere che, se collegato ad una norma materiale che a sua volta impone un obbligo, non ha una sua autonomia rispetto all'osservanza di quell'obbligo. Ne consegue che è un parametro che ancora una volta non può essere utilizzato in assenza di un comportamento delle imprese.
A sua volta l'obiettivo della creazione del regime che garantisca la concorrenza non falsata è collegato alle condizioni e ai ritmi previsti dai trattati. La conseguenza è che non è sufficiente il principio quale parametro per valutare la legittimità delle condotte rilevanti, ma occorre riferirsi agli articoli 101-109. Ancora una volta risulta indispensabile il comportamento delle imprese.
Situazione ad oggi è tuttavia mutata notevolmente. L'articolo 119 prevede che l'azione di Stati membri comprenda l'adozione di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche dell'insieme degli Stati membri e condotta in conformità al principio dell'economia di mercato aperta alla libera concorrenza. Inoltre l'articolo 120 ripete ancora una volta il vincolo degli Stati membri di agire nel rispetto dei principi dell'economia di mercato aperta alla libera concorrenza.
Per quanto riguarda la legittimità del comportamento delle imprese nel caso in cui il comportamento anticoncorrenziali sia consentito o agevolato dalla misura statale o sia addirittura imposto:
- quando la normativa nazionale lascia sufficiente autonomia all'impresa, il comportamento di questa resta sottoposto alla disciplina degli articoli 101 e 102 ed è passabile di censura e di sanzione, salvo graduarne la misura e far valere anche la responsabilità dello Stato
- quando la normativa nazionale impone alle imprese un comportamento in violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza, tale comportamento non può essere sanzionato, mancando presupposto per l'applicazione degli articoli 101 e 102, con la conseguenza che sarà eventualmente solo lo Stato a rispondere.
L'art. 106 vieta agli Stati membri di adottare nei confronti delle imprese pubbliche o imprese titolari di diritto esclusivi, misure che siano contrarie al Trattato, specialmente al divieto di discriminazione in base alla nazionalità e alle norme sulla concorrenza.
L'art. 106, c. 2° sancisce che le imprese incaricate della gestione dei servizi di interesse economico generale possono essere sottratte alle regole della concorrenza, nei limiti in cui si renda necessario all'adempimento della loro funzione.
Lo scopo della norma è di conciliare l'interesse dell'Unione per le regole della concorrenza con le esigenze di politica economica degli Stati membri.
Le violazioni più frequenti al Trattato nell'intervento pubblico sono quelle che si risolvono in ostacoli agli scambi ed alla libera prestazione di servizi e nell'abuso di posizione dominante.
La giurisprudenza è costante nel senso che, mentre la creazione da parte dello Stato membro di una posizione dominante tramite l'attribuzione di diritti esclusivi non è incompatibile con l'articolo 106, non è consentito invece adottare o mantenere in vigore misure che possano pregiudicare l'effetto utile dello stesso art. 106.
Ormai incontestata è l'illegittimità dei diritti esclusivi che abbiano ad oggetto l'importazione o la commercializzazione di beni o servizi; il diritto esclusivo per importazione di tabacchi o di apparecchi terminali di telecomunicazioni.
Più complessa e incerta è la questione se ed entro quali limiti l'articolo 106 induca a ritenere illegittimi i diritti esclusivi di produzione di beni o servizi: la giurisprudenza si fonda sulla premessa che gli Stati membri non possono pregiudicare l'effetto utile delle norme a cui di volta in volta l'articolo 106 n.1 rinvia.
Il fatto di poter leggere congiuntamente l'articolo 106 n.1 e n.2 significa che la concessione e il mantenimento di diritti esclusivi sono sostanzialmente leciti solo rispetto ad imprese che svolgono un ruolo di interesse generale o servizio pubblico esclusivamente nella misura in cui i limiti alla concorrenza che derivano siano funzionali all'assolvimento di quegli stessi obblighi di servizio pubblico.
Così ad esempio, si è considerato giustificato il monopolio legale del servizio postale ordinario, in quanto costituisce un servizio di interesse generale che necessariamente deve coprire anche settori non redditizi.
Invece si è rilevata l'incompatibilità del monopolio del servizio di corriere espresso, in quanto l'esclusione della concorrenza che ne consegue non è giustificabile in base a motivi di interesse generale.
L'art. 106 , n. 3° , recita : "La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni "
Esso attribuisce alla Commissione poteri di controllo.
Le decisioni e le direttive che la Commissione può adottare sono atti vincolanti, devono pertanto essere impugnati nei termini di rito e possono dare luogo ad una procedura di infrazione per inadempimento.
Il potere attribuito alla Commissione dall'art. 106 n.3 è stato oggetto di numerose discussioni soprattutto riguardo due questioni:
Rapporto tra poteri della Commissione e quelli normativi del Consiglio: innanzitutto si specifica che , a norma dell'art. 106 n.3, la competenza attribuita alla Commissione si limita alle direttive e alle decisioni necessarie al fine di espletare il dovere di vigilanza. Diversamente la competenza attribuita dall'articolo 109 al Consiglio, gli consente di stabilire tutti i regolamenti utili ai fini dell'applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE.
In seguito la Corte ha rilevato la portata generale dei poteri attribuiti al Consiglio sottolineando in particolare la competenza ad adottare tutti i regolamenti e le direttive utili ai fini dell'applicazione delle norme sulla concorrenza.
Viceversa l'art. 106 riguarda l'ipotesi di misure statali adottate dagli Stati membri nei confronti delle imprese con le quali sussistono relazioni economiche particolari, con la conseguenza che le direttive e le decisioni di cui al n. 3 sono finalizzate esclusivamente al controllo di tali misure.
Ciò significa che la competenza della Commissione è più ristretta e specifica di quella conferita al Consiglio. Solo di recente si è finito col riconoscere l'esistenza di una sovrapposizione e dunque l'eventualità che il Consiglio eserciti le competenze con riguardo al tema specifico delle imprese titolari di diritti esclusivi, non precludendo comunque alla Commissione di esercitare poteri che le derivano dall'art.106 n.3 .
Rapporto tra potere della Commissione di adottare direttive nel contesto regolato dall'art. 106 e quello di avviare una procedura d'infrazione ex art. 258.
La Corte ha affermato che la Commissione ha il potere di precisare in generale le obbligazioni che derivano dal trattato. E consegue che l'atto previsto dall'art. 106 n. 3, senza prendere in considerazione la posizione particolare in cui si trovano i singoli Stati, concretizza gli obblighi che sono loro imposti. Tale orientamento è stato successivamente confermato e si può considerare consolidato.
La Corte ha infine riconosciuto che la Commissione ha in forza dell'articolo 106 n.3, il potere di accertare e dichiarare incompatibilità rispetto diritto comunitario di una normativa statale e di indicare i provvedimenti necessari per eliminare la violazione: né più né meno di quanto contenuto in un parere motivato all'interno della procedura d'infrazione.
La giurisprudenza ha quindi esteso al controllo relativo alle imprese pubbliche il tipo di procedura previsto espressamente dall'articolo 108 in tema di controllo sugli aiuti pubblici alle imprese, ipotesi che costituisce una deroga all'articolo 258.
Inoltre non si può pretendere dalla Commissione di motivare in modo specifico la scelta tra l'esercizio dei poteri di cui all'art. 106 n.3 e la procedura d'infrazione di cui all'art. 258.
Le norme comunitarie sugli aiuti di Stato sono dirette ad evitare che il sostegno finanziario pubblico possa alterare la competizione.
Secondo l'art. 107 sono incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi dagli Stati sotto forma di qualsiasi utilità che, favorendo talune imprese, alterino o minaccino di alterare la concorrenza.
Il principio sul quale si fonda il disposto è che gli aiuti di stato sono incompatibili con il mercato comune, cosicché vanno sottoposti ad un sistema obbligatorio di autorizzazione previa.
L'art. 108 disciplina la procedura di controllo preventivo della compatibilità di aiuti nuovi, nonché quella di controllo permanente su quelli esistenti.
L'art. 109, infine, prefigura il potere del Consiglio di fissare in via generale, con regolamento, le condizioni di applicazione dell'art. 108, nonché le categorie di aiuti che possono essere dichiarati compatibili.
Solo tardivamente il Consiglio ha esercitato questa competenza adottando il regolamento n.994/98 e n.659/99. Essi affermano l'esigenza che il processo di produzione delle norme di diritto derivato non sia unicamente affidato ad atti della Commissione, ma avvenga mediante atti regolamentari assunti dal Consiglio.
Il regolamento 994/98 abilita la Commissione ad adottare appositi regolamenti di esecuzione finalizzati a disciplinare taluni interventi di sostegno pubblico dell'economia.
Nel 2008 la Commissione ha adottato il regolamento generale di esenzione per categoria n.800/2008 che in parte sostituisce precedenti regolamenti e introduce nuove categorie di aiuto esentabili. Tra le categorie che non beneficiavano dell'esenzione: gli aiuti per la tutela ambientale, per l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo a favore delle grandi imprese, gli aiuti per le imprese di nuova creazione da parte di imprenditrici donne.
Il regolamento 659/99 procede ad un riordino organico dei principi e regole procedurali.
L'importanza di questi atti normativi del Consiglio non deve portare a sottovalutare grande ruolo svolto dalla Commissione e dal giudice dell'Unione che hanno saputo dare concreta ed efficace attuazione alle disposizioni del Trattato in materia di aiuti di Stato.
Art.107: "sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza."
La nozione è dunque molto ampia.
In linea generale può considerarsi aiuto di Stato ogni forma di vantaggio economicamente apprezzabile fatta ad una impresa mediante intervento pubblico.
Vi rientra qualsiasi misura direttamente o indirettamente capace di produrre per l'impresa un beneficio economico.
Il Trattato non distingue gli interventi a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definisce in funzione dei loro effetti.
L'aiuto designa non solo le prestazioni positive come le sovvenzioni, ma anche interventi che alleviano gli oneri che gravano sul bilancio di una impresa.
Gli aiuti incompatibili sono quelli concessi dagli Stati, e sono considerati tali non solo quelli erogati direttamente, ma anche quelli erogati da Ente terzo formalmente distinto dallo Stato.
Tra le ipotesi più rilevanti vanno annoverate le assunzioni di partecipazione dello Stato o di un ente pubblico nelle imprese. Il controllo può portare alla dichiarazione di incompatibilità quando l'apporto pubblico non corrisponde a quello di investitore privato che operi un conferimento di capitali in normali condizioni di un'economia di mercato.
Quindi per esempio una holding pubblica può si sopportare e ripianare le perdite di una controllata, ma solo quando si possa prevedere un miglioramento della redditività; costituiscono aiuti incompatibili i conferimenti di capitale che prescindono da qualsiasi prospettiva di redditività anche a lungo termine.
Nell'ipotesi di operazioni di privatizzazione di imprese pubbliche la commissione verifica:
- che la privatizzazione non si accompagni ad interventi finanziari dell'azionista pubblico volti a riequilibrare la situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa ceduta
- che il prezzo di cessione rifletta correttamente il valore delle attività privatizzate e non comporti un indebito vantaggio per il soggetto acquirente
Sempre con riferimento al rapporto tra lo Stato e le imprese pubbliche sono state adottate alcune normative per assicurarne la trasparenza.
La prima direttiva imponeva agli Stati membri di comunicare periodicamente i dati relativi alle relazioni con imprese pubbliche, successivamente la commissione ha modificato e integrato la direttiva.
La Corte ha escluso dalla nozione di aiuto l'ipotesi di erogazione di risorse pubbliche a esclusivo compenso degli oneri aggiuntivi di servizio pubblico, in quanto inidonea a favorire l'impresa beneficiaria e ad alterare le condizioni concorrenziali. Di conseguenza l'erogazione non va neppure notificata ed è sottratta al controllo preventivo della commissione, restando soggetta solo controllo successivo del giudice nazionale ed all'occorrenza della corte attraverso rinvio pregiudiziale.
La corte nella sentenza Altmark ha precisato le condizioni che devono ricorrere perché la compensazione degli oneri di servizio pubblico possa sottrarsi alla qualificazione di aiuto:
a) l'impresa beneficiaria deve effettivamente essere stata incaricata dall'assolvimento di obblighi di servizio pubblico
b) criteri di calcolo della compensazione devono essere determinati in via generale preventiva e trasparente
c) La compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire costi
d) quando la scelta dell'impresa non sia stata operata con procedura di appalto pubblico, la compensazione deve essere determinata sulla base dei costi di un'impresa media
2. Per quanto concerne l'origine dell'aiuto, va rilevato che l'aiuto deve poter essere imputato allo Stato.
L'imputabilità è sicura quando l'aiuto sia stato concesso da un ente pubblico o direttamente dall'amministrazione ma anche dal soggetto privato sottoposto a controllo pubblico. Meno pacifico se l'aiuto concesso da un soggetto distinto dallo Stato debba anche essere a carico dello Stato. La giurisprudenza su questo aspetto non è stata sempre lineare anche se commissione e corte hanno la tendenza a cercare comunque un legame tra le risorse impiegate e un'articolazione dell'apparato statale.
In definitiva due sono i presupposti della nozione di aiuto ai sensi e per gli effetti dell'art. 107 sotto il profilo dell'origine dell'aiuto:
- Deve trattarsi di risorse statali, cioè strumenti finanziari che siano nella disponibilità delle autorità pubbliche per essere destinate a sostenere le imprese e che lo Stato possa controllare l'utilizzazione e la destinazione
- la misura deve essere imputabile allo Stato ovvero ad una sua articolazione
3. Beneficiario dell'aiuto deve essere un'impresa, cioè qualsiasi entità che eserciti un'attività economicamente rilevante e sia presente nel mercato dei beni e dei servizi. Sono esclusi gli enti che non esercitano attività economiche ad esempio gli enti di ricerca, le università o le scuole di formazione.
4. Condizione della rilevanza dell'aiuto che esso favorisca talune imprese ovvero talune produzioni rispetto ad altre che si trovino nella stessa situazione di fatto e giuridica, si parla di selettività.
Occorre di volta in volta verificare se la misura può essere giustificato in base ad una logica di sviluppo del sistema economico nel suo insieme ovvero rappresenti una deviazione rispetto all'assetto del sistema diretta ridurre gli oneri finanziari a vantaggio di specifici attori.
5. La valutazione degli effetti dell'aiuto è facilitata dalla presunzione che in ogni caso un aiuto produce effetti distorsivi. L'aiuto inoltre sottrae risorse pubbliche ad altre destinazioni e più in generale alimenta la cultura dell'assistenzialismo.
6. Anche in materia di aiuti di Stato vale il criterio de minimis. Scarsa consistenza dell'aiuto o la dimensione modesta dell'impresa beneficiaria non possono far escludere a priori la possibilità che siano influenzati gli scambi tra paesi membri.
Sono statuite dall'art. 107 del TFUE, si suddividono in deroghe de iure e deroghe sottoposte alla valutazione della Commissione o del Consiglio.
Quelle de iure sono riconducibili:
agli aiuti concessi ai singoli consumatori;
quelli conferito per rimediare a calamità naturali;
quelli concessi alla economia delle Regioni tedesche dopo la riunificazione.
Quelle sottoposte alla valutazione della Commissione o del Consiglio sono:
aiuti per lo sviluppo di regioni con basso tenore di vita;
aiuti per la realizzazione di un progetto comune o per rimediare a un grave turbamento dell'economia in uno Stato membro;
aiuti per lo sviluppo di talune attività o talune regioni;
aiuti destinati alla cultura ed alla conservazione di beni culturali.
Dalla prassi della Commissione possono trarsi due principi che ne hanno informato l'azione relativamente alle deroghe:
a) principio della contropartita: l'aiuto è compatibile se non è possibile realizzare diversamente l'obiettivo di interesse comunitario;
b) principio della trasparenza: impone di verificare natura e portata dell'aiuto rispetto agli scambi intracomunitari ed alla concorrenza sulla base di tutti gli elementi necessari.
Particolarmente importanti sono anche le deroghe concesse dalla Commissione sulla base degli Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà. Gli aiuti per il salvataggio possono essere autorizzati solo in casi eccezionali connotati da gravi difficoltà sociali; che siano concessi sotto forma di garanzia dei crediti o di crediti rimborsabili gravati da un tasso d'interesse equivalente a quello di mercato; gli aiuti siano limitati a quanto necessario per mantenere l'impresa in attività; lo Stato si impegni a presentare alla commissione un piano di ristrutturazione, piano di liquidazione o la prova che il prestito è stato integralmente rimborsato.
Da menzionare è la disciplina comunitaria relativa all'aiuti settoriali che sono ammessi quando consentano di ripristinare condizioni di efficienza e di competitività a lungo termine.
Lo scopo del controllo preventivo statuito dall'art. 108 è quello di evitare che un pregiudizio distorsivo delle regole della concorrenza abbia a consumarsi.
Gli stati membri hanno, dunque, due obblighi:
a) l'obbligo di notifica alla Commissione del progetto di aiuto o di modifica dello stesso;
b) l'obbligo di standstill (arresto) di non dare corso al progetto di aiuto prima che la Commissione si sia pronunciata.
Il divieto di attuare il provvedimento è provvisto di effetto diretto.
Pertanto, il singolo che subisca un pregiudizio dall'aiuto erogato può far valere dinanzi al giudice nazionale, anche in via cautelare, il contrasto con il diritto comunitario.
In ogni caso, il singolo può far valere l'illegittimità degli atti di esecuzione del provvedimento.
Ne consegue:
che il giudice, se adito per il rispetto dell'art. 108, c. 3, deve tutelare i singoli rispetto al previo obbligo di notifica alla Commissione. Egli ha il potere di accertare se l'aiuto concesso rientri nella nozione comunitaria e, se del caso, può operare un rinvio pregiudiziale alla Corte in caso di dubbio interpretativo. Tuttavia, né il giudice, né la Corte sono competenti a valutare nel merito la compatibilità dell'aiuto in quanto tale compito spetta in prima battuta esclusivamente alla Commissione sotto controllo della Corte.
L'inosservanza dell'obbligo di notifica e/o di sospensione dell'erogazione dell'aiuto determina la sua illegittimità insanabile; viceversa non ne determina di per sé l'incompatibilità sostanziale con il mercato comune.
La pretesa della commissione di considerare di per sé illegittimi aiuti eseguiti in violazione dell'obbligo di notifica e/o di standstill , senza bisogno di seguire la procedura di controllo, è stata respinta dalla corte, con la conseguenza che la commissione ha l'obbligo di procedere in ogni caso alla verifica della compatibilità dell'aiuto.
La procedura di controllo si articola in due fasi:
la prima fase consiste in un esame sommario del progetto di aiuto. Tale fase deve concludersi rapidamente, la Corte fissa in due mesi il tempo massimo. Essa non integra l'obbligo di trasparenza, data la sommarietà della valutazione.
la seconda fase, cioè la procedura di controllo, consiste in un esame approfondito della natura ed implicazioni del progetto. Tale fase è accompagnata da garanzie di pubblicità e di rito alquanto rigorose.
Regime relativo agli aiuti fin qui considerato si riferisce agli aiuti nuovi, cioè decisi ex novo.
Per gli aiuti già esistenti l'art. 108 del Trattato prefigura un esame permanente della Commissione, che può anche proporre modifiche allo Stato erogatore e all'occorrenza aprire nuovamente la procedura in contraddittorio.
La differenza fondamentale rispetto ai nuovi aiuti è costituita dal fatto che per tutta la durata del controllo non vige l'obbligo di standstill.
Quando la commissione dichiara l'aiuto incompatibile con il mercato comune all'esito della procedura, essa ne può imporre allo Stato membro la soppressione ovvero prescrive determinate modificazioni al progetto notificato.
Se l'aiuto è stato in tutto o in parte erogato, la commissione può imporre allo Stato membro di esigerne la restituzione, che ha dunque lo scopo di eliminare la distorsione di concorrenza causata dall'aiuto illegittimo.
Molto spesso si verificano difficoltà nel recupero. Tuttavia va ricordato il principio secondo cui lo Stato non può porre a giustificazione del proprio inadempimento disposizioni o pratiche o situazioni interne.
È stato più volte ribadito che può essere presa in considerazione esclusivamente una impossibilità assoluta di eseguire correttamente la decisione. In ogni caso quando lo Stato incontri delle difficoltà, dovrà consultare la commissione e con essa convenire eventuali rimedi anche in funzione del dovere di collaborazione.
Il recupero dell'aiuto deve comunque realizzarsi attraverso i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri sempre che non sia reso praticamente impossibile il recupero stesso.
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