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Ulisse:pascoli
L'astuto e inarrestabile eroe greco, una volta tornato a casa dal celebre viaggio, trascorre la vita invecchiando accanto all'amata moglie. Ma in lui rimane acceso un qualcosa difficilmente decifrabile, l'attesa di un qualcosa di indefinito, un'inesauribile sete di conoscenza. . .
Passati dieci anni, decide di colmare il vuoto creatosi nella sua anima con un ultimo viaggio, una seconda odissea verso i luoghi visitati la prima volta, da consumarsi con i vecchi compagni superstiti. L'Odisseo pascoliano è triste e deluso, vecchio e stanco, pieno di dubbi, dominato dall'ansia di cogliere il vero senso delle cose.
Dopo tante peregrinazioni ritorna ai luoghi del passato, vivi ancora nella sua memoria, non per compiere nuove audaci imprese, ma per ritrovare le emozioni passate. Il suo ultimo viaggio è un vano errare, ben lontano dal coraggio e dalla sicurezza dell'Ulisse omerico, dalla sua volontà di accettare la sorte e di sopportare le sofferenze. La sua sete di conoscenza si è mutata nell'impossibilità di acquisire certezze, anzi, ha sollecitato in lui ulteriori dubbi e interrogativi.
«Son io! Son io, che torno per sapere! / Chè molto io vidi, come voi vedete / me. Sì; ma tutto ch'io guardai nel mondo, mi riguardò; mi domandò: Chi sono?»
Così Ulisse lancia alle due immobili Sirene la sua domanda. Vuole capire quale sia il significato dell'esistenza, ma le Sirene non rispondono, e lasciano schiantare la nave nera dell'eroe tra gli scogli. Come in Dante, l'ultimo viaggio si conclude con il naufragio: «tra i due scogli si spezzò la nave» e il corpo dell'eroe approda all'isola di Calypso. «Giaceva in terra, fuori / del mare, al pié della spelonca, un uomo / . Era Odisseo: lo riportava il mare / alla sua dea: lo riportava morto».
Sarà Calypso a fornirci la tragica risposta all'interrogativo di Ulisse: «Non esser mai! Non esser mai! Più nulla ma meno morto, che non esser più!». Il senso delle parole della dea è drammatico: meglio per l'uomo non nascere, dato che deve inevitabilmente morire. Ulisse perde così le sue certezze per diventare il simbolo della crisi di valori che caratterizza il Decadentismo. L'eroe non accetta consapevolmente la fine delle sue avventure: non trova soddisfazione in una vita semplice, non può accettare limiti, né confini che non si possano superare.
Affascinante l'interpretazione di Pascoli dell'Ulisse, anche se non la condividiamo. Siamo banalmente convinti che rivangare nel passato volontariamente sia un atto da evitare. Le esperienze sono preziose in quanto devono rimanere intrappolate nella propria memoria.
MMKNK
E' Ulisse quel ragazzino spocchioso intelligente curioso intraprendente che vuole sapere del mondo vivere le avventure che tanti sognano immaginano leggono cantano dipingono riprendono registrano guardano in un tubo catodico destinato a scomparire con l'avvento di quelle tecnologie nuove che non sono piu' future.
Jimmy, il tuo Leopold Bloom, ebreo dublinese per giunta non credente o praticante, nasce gia' nella condizione di esule, inetto alla maniera di Svevo, straniero tra la sua gente: come puo' essere lui l'Ulisse moderno?
Fin dal primo mito omerico, Ulisse ha rappresentato simbolicamente il viaggiatore, colui che si muove per soddisfare la propria conoscenza del mondo, uomo dominato dallo spirito di avventura e dall'irrequietezza di vita. Con Pascoli l'Ulisse diventera' piu' intimista, rivolto all'ascolto di se'; D'Annunzio incontra l'eroe ormai vecchio, ma sempre con la tempra del giovane avventuriero, incarnatasi ora nel superuomo; lo stesso Saba e' colui che ha navigato e attraversato molte terre, sentendosi sempre spaesato ed ovunque anelante al viaggio, richiamato continuamente dal mare. Alle esperienze di costoro deve aver attinto Baglioni, viaggiatore fermo dentro un Hangar, autore del brano che apre, in contrapposizione ed a completamento dell'incipit dell'Odissea di Pindemonte, questo breve articolo. Ah, si, stiamo parlando di quel Claudio Baglioni delle canzonette perche' e' dalla musica che inizia il viaggio nel mondo dei ragazzi di oggi.
Ecco quindi che il personaggio-tema Ulisse si trasforma nel tempo e nello spazio, compiendo un lungo percorso, acquisendo connotati piu' profondi e complessi, assumendo su di se' un'inquietudine esistenziale problematica, rappresentando uno stato interiore che va al di la' del semplice anelito al cambiamento: una condizione di vita, l'aspirazione alla ricerca di un senso dell'esistenza iniziato trai consiglieri fraudolenti e mai sopito.
E se e' vero, come e' vero, che neanche Dante Alighieri uomo del suo tempo, viaggiatore curioso e attento, comprende appieno l'odissea di Odisseo, personaggio dell'epica antica che sopravvive a se stesso, a lui possono far riferimento i lettori di tutte le epoche. Ed ecco che l'opera si eleva ben l'oltre la cronistoria degli eventi per divenire spunto di continua riflessione e confronto. Non ha piu' senso la sequenza temporale perche' tutto si dematerializza liberando il flusso di coscienza, il monologo interiore tanto caro al moderno figlio di Joyce, privandoci delle maschere pirandelliane, avvicinandoci alla destrutturazione stilistica del romanzo sveviano.
Lo maggior corno de la fiamma antica, che parte avendo come meta la sua casa, ci fa rendere presto conto che l'importante non e' dove si sta andando ma come si va. Ecco che l'attenzione si sposta dalla destinazione al viaggio per poi arrivare al viaggiatore perche' se stai fuggendo da un luogo e' perche' vuoi fuggire da te stesso e da te stesso non puoi scappare mai.
Ulisse vive un'esistenza immortale da secoli, attraversa ogni spazio ed ogni tempo; la sua avventura si ripete ed il viaggio continua ancora: ha toccato le terre piu' lontane e sconosciute, e' salito verso l'infinito dello spazio, ha visitato le pieghe misteriose dell'universo, cammina con gli uomini di tutti i tempi, viaggiatori del loro destino, verso mete sempre nuove. Da lontano ci insegna a non fuggire i problemi, a saper accettare le verita', perche' spesso conoscere e' soffrire, ma ci ammonisce a non rinunciare mai alla consapevolezza di se' e del mondo circostante. E' la grande lezione di chi seppe diventare eroe perche' seppe essere uomo.
L'uomo che cerca la strada del ritorno affrontando un percorso interiore alla scoperta di se stesso: molti dentro del cor sofferse affanni, come Foscolo cantore, che ricorda Ulisse lontano dalla sua Zante, anelando a raggiungerne le sponde senza arrivare mai, perche' e' durante il viaggio che nel cor gli parlera' lo spirto delle vergini Muse e dell'amore, unico spirto a vita raminga, causa di cotanta eredita' meravigliosa. Eredita' di noi, ragazzi di domani.
Eredita' arricchita dal contributo unico di Primo Levi, finito senza colpa nell'inferno di Auschwitz, che fa parlare Ulisse da un diverso inferno come fosse uno squillo di tromba, la voce di Dio. La possibilita' di opporre al perverso tentativo nazista di distruggere la dignita' umana, un ideale alto e nobile di uomo, dimostra come la letteratura conservi valore di consolazione ed anche di sfida alla bestialita' umana.
Se troppo spesso vedendo cio' che non ci piace vorremmo fuggire, l'Ulisse di Levi ci dice di cambiare il mondo per cambiare il nostro destino. Non si parla di rivoluzioni, guerre o azioni estreme ma di un percorso interiore alla ricerca di noi stessi. Percorso che Primo Levi fa con il compagno Pikolo (Jean Samuel) sforzandosi di ricordare a memoria i versi di Dante per conservare la propria identita' di essere umano: il Lager, infatti, cancella ogni traccia della personalita' dei prigionieri, annulla il loro esistere come uomini, li abbassa a bestie. Nel dialogo con Pikolo, il Nostro scopre significati e sfumature che leggendo il libro nella vita civile gli erano sfuggiti e rimane sorpreso dal senso universale dei versi
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e canoscenza.
Nelle parole di Dante, nei pensieri di Ulisse, Primo e' finalmente tornato a casa, almeno per un istante, tornato ad essere uomo.
Questo ci riporta al momento in cui Odisseo mette piede sulla sua isola: un lieto fine che non e' un lieto fine perche' tornare in quella casa non e' concludere ma iniziare, combattere per riconquistare cio' ch'e' nostro di diritto. Vincere la spersonalizzazione cui porta la burocrazia degli interessi economici e delle liberta' violate. Ed e' qui che appare, in tutto il suo splendore, il Kafka del Processo, ebreo anch'egli; e se nella costituzione europea si volevano riconosciute le radici religiose e' perche' viviamo dove si ripete all'infinito che i valori crollano, mentre sono piu' spesso le persone a crollare sotto il peso di una societa' creata per migliorare le condizioni di vita ma che denota l'incapacita' umana di organizzare il proprio autogoverno.
Abitanti di una modernita' senza luce, dobbiamo rifiutarci di essere i visitatori piu' spenti nella storia del mondo; in tutti noi c'e' qualcosa di speciale ma spesso e' cosi' sepolto dalla vita che ce ne dimentichiamo e sprechiamo tempo a cercarlo in mete somiglianti a cio' cui aneliamo, somiglianti in apparenza ma diverse nella sostanza, somiglianti ma non uguali, come una lacrima ad una goccia di pioggia.
MITO DI ULISSE
Il mito di Ulisse, dell'uomo errante che arricchisce sempre più la sua conoscenza è un elemento costante di riferimento e paragone nel cammino culturale e artistico dell'uomo; esso, assieme alla cultura e alla letteratura classica è alla base di molti sbocchi artistici intesi nella loro connotazione più ampia. I vari rappresentanti, infatti, hanno preso spunto e argomentato a partire dalla figura di Ulisse o in ogni caso trovando in essa un punto fermo o una metafora per dare consistenza alle proprie idee. Il viaggio, la sete di conoscenza, il travaglio dell'esule, sono tematiche molto ampie e voler affrontare l'argomento in ogni suo aspetto sarebbe troppo ambizioso.
Ulisse è il nome italianizzato dell'eroe della mitologia greca Odisseo descritto da Omero con il suo travaglio (743-713 a.c.). Egli è presente anche nell'Eneide, opera di Virgilio, che riflette l'influenza del mito; e da Virgilio prende spunto Dante che lo colloca nell'Inferno (canto XXVI, 1321) sotto una rilettura cristiana; poi in Foscolo con 'A Zacinto' (1802-3) dove 'l'esule' autore si scontra con il mito in una contrapposizione romantico-classico che avrà com'esito la distinzione dei rispettivi tipi d'eroe e come sfogo la più 'classica' delle concezioni romantiche foscoliane. Passando in Inghilterra, prendiamo in considerazione il lavoro di Tennyson con 'Ulysses' (1842) e poi, quello sicuramente innovativo di Joyce (1922) che unisce delle importanti innovazioni formali una rappresentazione originale dell'Odissea, facendo si che i diversi piani temporali ci rimandino ad essa stessa e facendoci così notare il chiaro parallelo tra questa e le correnti pittoriche come cubismo e surrealismo; passato-presente-futuro e atmosfere oniriche e del subconscio. Anche Pascoli nei 'poemi conviviali' ci dà un chiaro esempio di come la figura di Ulisse sia conforme alla nuova condizione dell'uomo (1904), in pieno decadentismo italiano. D'Annunzio nelle Laudi (1903) lo vede come il superuomo sprezzante del pericolo; invece Saba con 'Ulisse in mediterranee' ci fa riflettere sui vari risvolti ideologici e particolari del mito con un'attenta analisi; Primo Levi in 'Se questo è un uomo' attraverso la figura dell'esule ricrea un inferno dantesco in un situazione storicamente e ideologicamente diverso affrontando pensieri di implicita denuncia. La fantascienza dei tardi anni '60 (1968) si riallaccia coerentemente alla 'ricerca' in una cornice 'futuristica' per l'epoca, seguita dalla sua trasposizione sul grande schermo diretta da Kubrick.
A Zacinto-Ugo foscolo
Composto fra il settembre 1802 e gli inizi d'aprile del 1803 e pubblicato per la prima volta nell'edizione Destefanis delle Poesie (1803), questo sonetto fonde i dati della cultura e del gusto del tempo (cioè (orientamento neoclassico) con la 'materia affettiva', con i sentimenti più profondamente vissuti dal poeta. Ne consegue che la celebrazione dell'isola natale Zacinto è realizzata mediante il ricorso a dati culturali-mitologici che non restano ornamentazione ma sono vissuti dal poeta come elementi della propria esperienza umana, paradigmi coi quali confrontarsi: il mito di Ulisse può essere letto dal Foscolo in una dimensione autobiografica. È questa la dimensione con la quale il sonetto si conclude, e (ossessione della morte in esilio e illacrimata lo collega al sonetto In morte del fratello Giovanni.
Nota metrica: sonetto, con schema ABAB nelle quartine e ME CED nelle terzine.
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Né più mai: è un incipit di particolare efficacia; «pare che il poeta, cominciando, continui un discorso fatto tra sé e sé, e dia sfogo a una commozione già piena» (De Robertis).
Le sponde di Zacinto sono oggettivamente sacre, perché - come verrà chiarito in seguito - in quei luoghi nacque Venere, e perché sono state celebrate dalla poesia di Omero; e inoltre, sul piano soggettivo, perché Zacinto è la patria del poeta, la terra madre «che lo raccolse infante e lo nutriva» (Sepolcri, v. 34).
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito versò di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Venere, dea della bellezza nacque, secondo la mitologia, dalla spuma del mare Jonio e con la sua benevola disposizione (ma col suo primo sorriso suggerisce immagini di gioiosa luminosità e grazia) rese fertili e rigogliose quelle terre, sì che (onde) la poesia di Omero (l'inclito verso, soggetto) non poté fare a meno di celebrare (non tacque) la serenità del suo clima e lo splendore della sua vegetazione; la poesia di Omero è poi definita come il poema famoso (inclito verso), l'Odissea, di colui che celebrò le peregrinazioni per mare (acque) di Ulisse volute dai fati (fatali) e il suo errare in luoghi diversi (diverso esiglio), in seguito a cui (per cui) egli, reso celebre dalle sventure sopportate, approdò alla sua patria, la petrosa Itaca, e ne baciò il suolo.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
A Zacinto toccherà una sorte diversa da quella di Itaca, che ha visto il ritorno del 'figlio' Ulisse, in quanto il fato ha decretato (prescrisse) per il poeta una sepoltura non confortata dalle lacrime (illacrimata) dei superstiti, cioè in terra d'esilio, tra straniere gemi (cfr. In morte del fratello Giovanni, v. 13). Il plurale a noi sottolinea un'enfatizzazione della personalità del poeta, qui in posizione agonistica contro il fato come nei Sepolcri (v. 145) lo sarà contro lo squallore morale del vulgo.
Questo sonetto è stato oggetto di particolare interesse e di indagini critiche condotte con le più diverse metodologie. Ci limitiamo per ora a mettere in evidenza alcuni dati 'oggettivi', fermo restando che sulla loro valutazione e interpretazione si può poi discutere.
1) Il sonetto ha una particolare (insolita, si direbbe) struttura. Inizia e si conclude con dei versi che pongono in primo piano la condizione, la figura del poeta: i vv. 1-2 (con il vocativo «Zacinto mia» del v. 3) che perentoriamente («Né più mai») enunciano la sorte che poeta sente incombere su di lui, e i vv. 12-14 che la ribadiscono. C'è quindi un ricongiungimento tra l'inizio e la fine, una sorta di circolarità (sottolineata anche dalla simmetria fra i due vocativi: v. 3 «Zacinto mia», v. 13 «o materna mia terra»).
Tra questo inizio e questa fine, tra questi due estremi, c'è tutta la parte centrale del sonetto (ben 9 versi su 14), dedicata a una tematica mitologico-classica che si dipana con u procedimento per così dire ad incastro, o a scatole cinesi: Zacinto suggerisce il ricordo c Venere, Venere quello di Omero, Omero quello di Ulisse, Ulisse quello di Itaca.
Ulisse di dantecanto XXVI
Omero concluse l'Odissea con il ritorno di Ulisse ad Itaca, e la successiva vendetta sanguinaria, che lo restituirà alla vita familiare. Dante Alighieri nella Divina Commedia, affascinato dalla figura di questo straordinario eroe, iniziò la sua storia, nel Canto XXVI dell'Inferno, laddove Omero invece l'aveva conclusa.
Ulisse e i suoi uomini, ormai vecchi e stanchi, ripartirono da Itaca per soddisfare il loro spirito:'Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza'', oltrepassarono le colonne di Ercole, oltre le quali il mondo era sconosciuto, e perirono in un naufragio, scatenato dalla mano divina, nel bel mezzo dell'oceano Atlantico, e tutto ciò in vista del monte su cui aveva sede il Purgatorio. Quindi nella visione dantesca, Ulisse è colui che si è spinto, da uomo, oltre ogni limite, fino ad arrivare ai piedi della dimora di Dio (secondo l'Ulisse dantesco il Purgatorio è una montagna con il Paradiso sulla vetta e l'Inferno nel sottosuolo).
Testi analizzati:figura di Ulisse
Omero: (Odissea 'Ulisse controNessuno'): lo chiama Odisseo e già l'etimologia del nome, che significa 'colui che è odiato', contiene gran parte del destino di Ulisse, fatto di cinismo, di inganni, di crudeltà tali da diventare oggetto di esecrazione per intere generazioni. Eppure l'Odisseo omerico conosce anche tutti quelli che sono i valori del mondo greco: la nostalgia, il dolore, il senso della famiglia, il coraggio ma soprattutto il desiderio di conoscere, che lo porta a sfidare e sopraffare, con la sola arma dell'intelligenza umana, la forza bruta di Polifemo.
Dante: (Divina Commedia - Inferno): che nel XXVI Canto dell'Inferno incontra Ulisse nel cerchio dei 'consiglieri fraudolenti', affronta con questo personaggio il problema della coscienza, che sente centrale nella vita dell'uomo e di conseguenza costituisce il nodo essenziale del suo poema. E' proprio la sete di conoscenza, l''ardore' di svelare con la propria intelligenza ogni mistero della natura e del creato, a dare all'impresa di Ulisse il sigillo della grandezza e allo stesso tempo dell'insufficienza dell'umanità pagana.
Foscolo: (Sonetti 'A Zacinto'): riprende in 'A Zacinto' l'antico mito di Ulisse, a cui si sente unito da un comune destino di esule. Ulisse diventa, in Foscolo, un romantico eroe dell'esilio che, dopo un lungo peregrinare, riuscirà a tornare in patria 'bello di fama e di sventura' a differenza del poeta che un amaro fato ha destinato a non ricongiungersi più con la terra madre.
Saba: (Canzoniere 'Ulisse'): Ulisse diviene l'eroe del non ritorno, simbolo della tensione dell'uomo verso l'infinito. Il poeta, ormai vecchio, vede nel viaggio senza fine di Ulisse un messaggio morale per l'uomo di tutti i tempi, che nel mare, metaforica rappresentazione della vita, non deve eludere i rischi, né porsi l'obiettivo di arrivare in porto. Il mito antico dell'Ulisse di Dante, che si spinge nel 'folle volo', diventa così il 'non domato spirito' dell'uomo moderno, che fino all'ultimo deve salpare verso nuove e solitarie avventure, sospinto dal doloroso amore della vita.
Saba: "Ulisse"
A partire dal capolavoro di Joyce, la figura di Ulisse diviene simbolo dell'inquietudine morale e filosofica dell'uomo contemporaneo, accompagnandosi ai motivi del viaggio e della ricerca della verità. Il mare rappresenta la vita; lo spingersi al largo le scelte coraggiose di chi non si accontenta dei risultati raggiunti; il porto la tranquillità comoda di coloro che preferiscono non porsi domande, accettando servilmente la realtà, i conformisti. Il poeta cerca i sensi riposti e segreti delle cose, è una ricerca che non si arresta di fronte al negativo dell'esistenza, anche a costo di metterne a nudo gli aspetti più sgradevoli. Egli non si attende riconoscenza e consolazione.
Joyce: (Ulisse - brani a scelta): la figura di Ulisse diventa con Joyce il simbolo dell'inquietudine morale dell'uomo moderno. La storia, ambientata a Dublino in un solo giorno del 1904, rimanda continuamente alla vicenda dell'epos omerico, ma, nell'implicito confronto tra la grandezza eroica della vita dei personaggi dell'Odissea e la banalità degli avvenimenti vissuti dai personaggi di Joyce, risalta la meschinità, lo squallore, la caduta dei valori della vita moderna.
ULISSE è IL SIMBOLO DELLA RICERCA SI Sè STESSI,DELLA SCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITA'.uN MITO CHE HA INTERPRETATO ATTRAVERSO I SECOLI L'INQUIETUDINE DELL'UOMO,LE CONTRADDIZIONI,I VALORI,LA MESCHINITà,MA SOPRATTUTTO IL TENTATIVO DI ESSERE SOLO TENDENZIALMENTE SE STESSO.
Ulisse in Dante
Ulisse compare nel Canto XXVI dell'Inferno dantesco, tra i consiglieri fraudolenti. Dante non aveva letto l'Odissea e la figura di Ulisse gli giungeva perciò solo attraverso la grande fama di lui sopravvissuta nel Medioevo.
Due erano i suoi caratteri essenziali: l'astuzia, esplicata tramite la sopraffina arte della parola, e l'inesauribile sete di conoscenza. Cicerone, Seneca e Orazio vedevano in questo eroe un «exemplar» dell'ardore di conoscenza.
Ulisse era figura nella quale Dante poteva specchiarsi: egli che, pur di non tradire sé stesso rinnegando il suo passato, aveva rinunciato a tornare in patria, pur sapendo che nella sua disgrazia sarebbero stati coinvolti i figli. Come Ulisse aveva posposto gli affetti al suo dovere di «seguir virtute e canoscenza», così aveva fatto Dante.
L'ardimento di Ulisse si esplica non soltanto nell'affrontare l'oceano sconosciuto, ma anche nella precedente esplorazione del Mediterraneo Occidentale, a cui non rinuncia pur dopo tanti pericoli già corsi, e mentre la vecchiaia avanza. Egli è l'iniziatore e il persuasore, ma l'ansia di conoscere è di tutti, non solo dei compagni, ma di tutti gli uomini. Ulisse non incita i compagni con la prospettiva di gloria nascente da un'eccezionale impresa, bensì richiamandoli al loro dovere di uomini. Solo il desiderio di conoscere distingue gli uomini dai bruti, per i quali il problema della conoscenza non esiste, in quanto vivono solo per conservare sé stessi e la loro specie. E' dunque un carattere primordiale dell'essere umano, che negli uomini più alti raggiunge un grado eroico. Dante lo avverte motore primo del suo essere, egli che nella conquista della conoscenza assoluta faceva consistere la beatitudine celeste.
Il problema per Dante è essenziale: dovere di conoscere, ma di rispettare i limiti. Quest'ultimo viaggio di Ulisse è considerato «folle» dal poeta: idea di un eccesso, di un andare oltre il lecito non tenendo conto di limiti o divieti, di una troppo grande fiducia in se stessi, di un travalicare i confini delle umane possibilità di conoscenza. Anche il viaggio di Dante sarebbe stato folle se lo avesse tentato fidando nelle sue sole forze. Ulisse sarebbe peccatore in quanto superbo: varcando le colonne d'Ercole non avrebbe commesso nulla di peccaminoso, ma non era assistito dalla Grazia, e quindi il suo viaggio non poteva concludersi se non con un naufragio. La presenza di Dio è misteriosamente ma chiaramente richiamata nel momento supremo: «com'altrui piacque», come superiore ed invincibile potenza. In Ulisse l'umanità è vinta ma non umiliata; il suo naufragio non è una punizione, ma riaffermazione di limiti non violabili.
Tutto l'episodio è un monito all'umiltà. Dante, sceso nell'ottava bolgia in compagnia di Virgilio, la trova ricoperta di fiamme, ognuna delle quali cela un'anima peccatrice. La sua attenzione viene ben presto attratta da una fiamma diversa da tutte le altre, poiché era divisa in alto in due punte di diversa grandezza. Virgilio spiega che si tratta di Ulisse e Diomede, i due celebri eroi greci uniti durante la guerra di Troia in famose imprese, e ne ricorda due: quella del cavallo di legno che nascondeva al suo interno un gruppo di soldati e quella per cui Achille, nascosto a Sciro travestito da donna per sfuggire alla guerra, venne convinto dai due a seguirli a Troia dopo aver abbandonato Deidamia, la figlia del re di Sciro. Virgilio chiede quindi alla fiamma di narrare la propria morte. Ulisse racconta che una volta tornato in patria dopo il suo lungo peregrinare, non fu in grado di placare la sua sete di conoscenza («l'ardore ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore »), e che con una nave e i suoi fedeli compagni arriva alle cosiddette Colonne d'Ercole (l'attuale Stretto di Gibilterra), dove una scritta ammoniva a non procedere oltre. Ulisse tiene allora la famosa orazion picciola, un capolavoro di retorica: si apre con una captatio benevolentiae, a cui segue l'incitamento all'impresa, che fa perno sui sentimenti più profondi del cuore dell'uomo, e in particolare l'orgoglio per la sua superiorità sugli altri esseri. Decidono di procedere, e avanzano per altri 5 mesi circa, finchè giungono in vista della montagna del Paradiso terrestre, dove naufragano per volere divino.
SABA-ULISSE
La poesia "Ulisse" è stata composta da Saba nel 1946 e chiude la raccolta "Mediterranee" del "Canzoniere".
E' questa una lirica ispirata da un sentimento di serena e coraggiosa accettazione della vita che ha sì i suoi punti fermi (simboleggiati dal porto illuminato), ma nella sua essenza è ricerca incessante, navigazione verso l'ignoto.
I temi della poesia sono quello della solitudine (il poeta preferisce infatti isolarsi e affrontare da solo con coraggio la vita) e quello del rifiuto del conformismo inteso come un voler essere necessariamente come gli altri.
Il poeta, come un novello Ulisse, rifiuta la sicurezza del porto e si lascia trascinare al largo dal doloroso amore per la vita. Questa sua scelta di vita appare meglio nella seconda parte del brano, la quale segna un netto contrasto tra gli uomini che si fermano alle facili sicurezze che il porto può offrire e il poeta che è al largo e si spinge verso l'ignoto (simboleggiato dall'immensità del mare). Il suo viaggio, come la vita, non può conoscere soste e tende all'infinito. Neanche ora che è vecchio, e che potrebbe ormai cedere al richiamo delle luci del porto, intende fermarsi ma continua a vivere nella "terra di nessuno" animato dallo stesso spirito di conoscenza che guidò Ulisse nella sua avventura.
Saba, come l'eroe greco, ha percorso nella sua giovinezza le coste della Dalmazia dalle cui acque affioravano isolotti pericolosi alla navigazione. Quegli isolotti pericolosi sono la metafora su cui si incentra tutta la lirica: la vita è piena di ostacoli a volte "scivolosi" e di difficoltà di ogni genere, ma non bisogna lasciarsi scoraggiare: le difficoltà sono il senso della vita, esse ci spingono a perseverare, ci spronano a lottare in cerca della vittoria.
Il suo messaggio lascia intendere che la vita non ha un punto di arrivo ben definito, quindi l'uomo non può e non deve porsi l'obiettivo di arrivare al porto della vita ma deve, fino alla fine, vestirsi da "moderni Ulissi" e salpare verso nuove e sempre più avvincenti avventure in cerca dell'infinito.
dANTE:CANTO XXVI
Vasto e orrido, l'ottavo cerchio dell'Inferno dantesco scende verso il basso, diviso in dieci bolgie, cioè in dieci fosse concentriche. Dante e Virgilio, i personaggi dell'opera, sono fermi sul ponte che sovrasta l'ottava bolgia da dove, guardando in basso, vedono uno spettacolo di fiamme vaganti come lucciole nel fondo oscuro della fossa: sono le fiamme dei 'consiglieri fraudolenti', cioè di coloro che operarono in vita con perfida astuzia infiammando gli animi alla lite e alla frode e che per la legge del contrappasso si ritrovano ora avvolti in lingue di fuoco.
Dante vede avanzare una fiamma più grossa delle altre, divisa in due lingue di fuoco di diversa lunghezza. Incuriosito, chiede notizie a Virgilio il quale gli dice che
'là dentro si martira Ulisse e Diomede1'
uniti nella pena come lo furono in vita quando insieme ordirono frodi e tramarono inganni. Dante, preso dalla curiosità, chiede di poter parlare con i due greci e subito viene accontentato dal suo accompagnatore Virgilio. Gli risponde Ulisse narrandogli la grande avventura con cui si concluse la sua vita: partito da Circe2, egli non ritornò in patria, come è raccontato da Omero nell'Odissea, ma con dei compagni riprese le vie del mare animato dal desiderio di conoscere nuove genti e nuovi costumima fu un viaggio senza ritorno.
In Dante la figura di Ulisse risplende di una luce nuova. Non è più il classico eroe greco, astuto e generoso, amante della vita familiare, ma assume la sagoma dell'uomo moderno che ardisce con tutte le sue forze ad allargare la sua esperienza vitale, l'uomo appassionato del conoscere che animato da uno spirito inquieto ed ardito diventa il simbolo di tutti i tempi.
Questo è il canto dell'audacia umana che, per 'seguir virtute e conoscenza', osa l'inosabile, si butta in imprese leggendarie e spesso impossibili. In Ulisse tremenda è la voglia di sapere che lo consuma da dentro e che distrugge in lui anche gli affetti più cari, persino la sua vita. Ed eccolo allora pronto a navigare nell'oceano verso esperienze fino ad allora sconosciute. E quando finalmente nell'immensa solitudine del mare scorge la montagna del Purgatorio, il suo animo è colmo di gioia, ma è una breve emozione che si dissolve con il turbine che avvolge la nave e la trascina via con sé. La sua brama di sapere non è accompagnata dalla volontà di Dio e perciò l'impresa diventa follia, è destinata a naufragare proprio come l'eroe al quale viene negata la 'salvezza eterna' a causa dei suoi molteplici inganni.
L'Ulisse dantesco assume quindi la figura dell'intrepido eroe lanciato verso l'ignoto della vita e quella di tutti coloro che, insofferenti dei limiti imposti all'uomo da Dio, cercano invano la perfezione. Dante riesce in questo canto a cogliere i limiti della vita mostrandoceli attraverso il dramma personale del personaggio Ulisse.
A ZACINTO-FOSCOLO
La poesia 'A Zacinto' è stata scritta da Foscolo negli anni 1802-'03 e rappresenta un'ode verso la sua madre patria da cui ormai si sente diviso per sempre. Le traversie di una vita errabonda, infatti, non hanno cancellato dal cuore dell'autore il caro ricordo dell'isola natia.
Il tema ispiratore della poesia è l'amore verso l'isola greca, sua terra natia, accompagnato dalle tematiche profondamente romantiche della morte e della 'illacrimata sepoltura' in suolo straniero accettata con dignità e sottomissione dall'autore.
La prima parte della poesia sviluppa il motivo principale che abbraccia quasi tutto il sonetto: esso è un canto d'amore e di rimpianti per una dimensione umana perduta. Il poeta, consapevole della impossibilità di un ritorno a Zacinto, si limita a salutarla da lontano, esule e disperato, rievocando la bellezza del mare che circonda l'isola, del cielo e dei boschi ricchi di reminescenze di miti antichi. Zacinto, per il poeta, non è soltanto un luogo materiale da cui è lontano, ma soprattutto un luogo dello spirito, da cui si sente per sempre diviso e verso cui è sempre nostalgicamente proteso. La sua terra materna sembra riaffiorargli alla mente come un'oasi pacata di bellezza, ma proprio mentre la sua fantasia naviga nel fascino di quel mondo antico il mito di Ulisse lo riporta alla realtà aprendogli gli occhi sul dramma della propria vita.
Ulisse è definito "bello di fama e di sventura", segni di distinzione per questo eroe che chiude la prima parte del sonetto, accomunandosi ed opponendosi a Foscolo stesso: entrambi sono eroi, entrambi vivono l'esperienza della peregrinazione, tuttavia mentre Ulisse rappresenta l'eroe classico, che riesce a tornare a casa dopo la sua terribile esperienza, Foscolo rappresenta l'eroe romantico, impossibilitato a realizzare felicemente la sua speranza, destinato a vagare e a tormentarsi per tutta la vita.
Foscolo si sentì esule per tutta la sua vita, non solo materialmente ma anche spiritualmente, un esilio proprio di tutti gli autori romantici alla ricerca del loro io. Già dai primi versi del sonetto, notiamo la rassegnazione dell'autore al suo amaro destino di eterno ramingo che gli nega anche solo di intravedere le sponde della sua incantevole Zacinto descritta ed evocata con immagini classiche suggeritigli dalla memoria.
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