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L'edificio teatrale greco, all'aperto e sprovvisto di tetto, constava di tre parti: orchestra, cavea, scena; una struttura che si ripete pressoché costante in Grecia, in Asia Minore, in Sicilia.
L'orchestra, ossia il luogo deputato per le danze, del diametro in media di 20 metri aveva forma semicircolare; intorno ad essa un canale fungeva da scolo per le acque piovane. Il piano era in terra battuta; sotto l'orchestra si sono rinvenuti deambulacri che avevano ragioni sceniche: sono esempi delle scale di Caronte, adibite per le improvvise apparizioni di fantasmi. Ai lati dell'ochestra due passaggi laterali, chiusi da porte, consentivano l'accesso degli spettatori a teatro. Di norma da destra entravano i personaggi provenienti dalla città o porto, da sinistra i personaggi provenienti dal contado.
La cavea (il cui nome originario era Theatron, luogo in cui si vede), cioè le scalinate dove sedevano gli spettatori, fu all'inizio trapezoidale; poi prevalse, perché più razionale per guardare, e più efficace per accogliere i suoni, la forma a semicerchio abbondante. Nel teatro di Epidauro, celebre per la sua perfetta acustica (ancora oggi le guide dei turisti fanno constatare che il rumore di un pezzo di carta strappato nell'orchestra arriva fino alle ultime file), la cavea che fu costruita in più tempi, è più avvolgente. Come appoggi per la cavea si sfruttavano declini naturali, creando un rapporto organico con il panorama. Era attraversata verticalmente da scalette e in orizzontale da corridoi. In origine i sedili erano banchi di legno, poi furono sostituiti con gradini di pietra.
La scena fu in partenza una costruzione precaria in legno e tendaggi adibita anche a camerino per gli attori. Poi, pur restando di legno divenne una costruzione architettonica più elaborata, in modo da fare da sfondo inserendosi nella struttura dello spettacolo. Nella seconda metà del quarto secolo si adibì la pietra come materiale anche per la scena, fu rialzata e spinta in avanti con un proscenio con porticato a colonne e tavole di legno dipinte. Le quinte girevoli sui pali permettevano rapidi mutamenti di scena. Non esistono in nessun teatro greco tracce di servizi igienici; ma erano teatri all'aperto con ampi spazi liberi intorno.
L'enciclema, una sorta di girevole o di scorrevole, serviva a proiettare in primo piano gli interni di una casa. I fatti di sangue non venivano mostrati al pubblico nel loro
svolgersi specifico. O le riferiva un messo o le loro tragiche conseguenza venivano mostrate con un cambiamento improvviso di scena.
La gru, grazie a un sistema di cavi, carrucole e gancio serviva, sia per tenere sollevato in aria un personaggio, sia per fargli percorrere un tragitto aereo.
Gli dei intervengono spesso di persona nei drammi greci, spesso si presentano alla fine; Platone scherzosamente nota che quando i poeti tragici sono in difficoltà ricorrono alle macchine e tirano su degli dei.
Non entra in gioco, invece, nel teatro greco all'aperto la luce come fatto scenico; l'autore diceva "è buio" e per il pubblico era "buio". Certo in qualche pezzo l'alba che si menziona avrà coinciso con quella vera, il dramma o la commedia sarà cominciato nella fantasia e nel concreto col sorgere del giorno; ma i Greci, a teatro, subivano la magia della parola, accettavano le illusioni verbali.
La scena greca è piuttosto spoglia: pochissimi sono gli arredi propri dell'ambientazione, ma le poche cose che compaiono assumono una forte importanza. Sono scarsi anche gli accessori personali; anche una parte dell'acconciatura, le ghirlande o il mantello possono gettare luce ulteriore su una situazione
Attori e coro portavano una maschera che copriva di solito volto e testa. Forse essa assolveva anche un compito pratico di amplificazione, con una specie di piccolo imbutino posto davanti alla bocca, ma l'effetto megafono non è così certo. Improvvisi cambiamenti di stati d'animo non trovavano rispondenza negli immodificabili tratti della maschera: così i drammaturghi si trovavano spesso costretti a fornire spiegazioni sull'impassibilità di un personaggi in una situazione per lui sconvolgente.
Nel IV secolo si verifica anche una proliferazione di maschere comiche buffonesche in modo generico.
Gli attori tragici indossavano il chitone, una veste che scendeva fino alle caviglie, con maniche lunghe adottate da Eschilo per impedire che una bella fanciulla rivelasse braccia da lottatore, dato che gli attori erano uomini. Altro capo essenziale è il mantello ampio e avvolto intorno al corpo, si rinserra e nasconde il volto.
Per la donna un capo di abbigliamento era costituito anche dal peplo, un abito lungo fino ai piedi, di lana.
La calzatura abituale della tragedia fu il coturno, un calzare a mezza gamba, basso e largo. Più tardi fu fornito di suole alte, e gli attori accrebbero così la propria statuarietà a scapito della scioltezza dei movimento.
In testa l'attore aveva un diadema o una ghirlanda o un berretto frigio ( se troiano). Le donne, se sprovviste di velo tenevano i capelli raccolti.
Il coro, non si distaccava dal vestire dell'uso quotidiano, cittadino o contadino.
Il più scatenato e cattivo dei nostri loggioni, si potrebbe definire tranquillo al confronto delle platee ateniesi del V e del IV secolo. Lasciando stare le clamorose contestazioni conto un attore, la gente esprimeva la sua antipatia anche contro chi entrava a teatro e non era gradito. In segno di disapprovazione si masticavano rumorosamente i cibi, si tiravano proiettili di ogni genere, fichi, olive, verdure (non pomodori: i greci lo avrebbero anche fatto, ma non li avevano), sassi. Ci si alzava in piedi a protestare, a chiedere spiegazioni: lo stesso Socrate, che non aveva ben afferrato l'inizio dell'Oreste di Euripide, interruppe l'attore e gli chiese di ripetere i primi tre versi. Come sempre succede, a teatro c'era lo spettacolo nello spettacolo: il maleducato applaudiva quando gli altri fischiavano, e ruttava per far voltare la gente dalla sua parte.
Anche gli schiavi avevano diritto di accedere a teatro. Teofrasto cita l'individuo che quando compra i posti a sedere per i suoi ospiti ci fa scappare il biglietto per sé, e il giorno dopo si posta dietro anche i figli col loro pedagogo, appunto una schiavo.
Il teatro Ateniese era alimentato, finanziariamente, da sovvenzioni statali e private. Per pagari l'ingresso ai cittadini il denaro veniva attinto da un fondo speciale, nel quale affluivano le eccedenze della varie casse.
Ai cittadini più ricchi toccava il compito di trovare e pagare i componenti del coro, i costumi, e il ricevimento.
Anche in Atene, il biglietto non lo presentavano i furbi e le autorità: i primi tentavano di entrare a spettacolo già iniziate, alle altre erano riservati i posti migliori. Erano molti a rivendicare il diritto alla bella sistemazione, minacciando ritorsioni se non venivano accontentati
utilizzarne più di tre per spettacolo dovevano incarnare in uno stesso pezzo due o tra parti maschili o femminili. L'assenza di donne attrici non può stupire: è un fenomeno sociale molto diffuso che troviamo anche nel teatro rinascimentale di corte. Ad Atene la donna per tutto il quinto secolo visse in condizioni di semi-clausura: lavorava in casa, usciva solo in occasioni solenni (matrimoni e funerali)e, pare, per assistere alle rappresentazioni teatrali.
Sugli attori greci non si abbatté mai il peso del disprezzo sociale, come succederà a Roma: esibirsi in pubblico non era considerato contrario ai principi della dignità. Scelti e istruiti dai poeti, gli attori del V secoli conobbero il contratto diretto con lo
stato: tra il 449 e il 440 fu la città ad assegnarlo agli autori, e a dar loro un premio per
l'interpretazione. Sui testi gli attori si permettevano aggiustamenti, trasponevano versi, semplificavano o rendevano più carica una battuta, miglioravano una frase che non avevano inteso bene
Accanto alle voci soliste, esiste nel teatro attico fino alla fine del V secolo una voce collettiva: il coro. (15 persone per la tragedia, 24 per la commedia)
Lavorare nei cori pare facesse bene alla salute, l'esercizio fisico a cui erano sottoposti li rendeva abili a combattere. All'allenamento, comunque, i coreuti trovavano gradevole compenso nei pranzetti ad essi riservati, che veniva defraudato del pranzo finale se ne lamentava. Nella tragedia il coro prendeva posto nell'orchestra disponendosi in cinque file, l'ingresso avveniva con una certa compostezza a passo cadenzato. Nel corso della tragedia nei momenti più dolorosi il coro intona una melodia trista facendo eco al parlato gemente di un personaggio. Quando il coro tragico non era attivo forse si disponeva ai limiti dell'orchestra rimanendo immobile sul fondo; in alcuni casi il coro si allontanava con un personaggi dalla scena, e dopo rientrava.
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