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Buddismo
Il fondatore
Il principe di cui abbiamo posto 'il' problema di fondo è realmente esistito e solo dopo le vicende della sua avventura spirituale venne chiamato Buddha, che propriamente significa 'illuminato'.
Ma almeno nelle intenzioni del fondatore e dei suoi più antichi seguaci, questo nome non dovrebbe essere un nome proprio, bensì una qualità di ogni singolo essere umano (donne comprese) che segua la via della liberazione che lo trasforma in Buddha. I Buddha perciò dovrebbero e potrebbero essere un numero incalcolabile.
Ilprimo Buddha nacque nell' India settentrionale al confine con il Nepal nel 560 a.C., nel piccolo regno di suo padre. La maturità di Gautama inizia con la rottura della famiglia che lo costudiva in modo ovattato.
Si taglia barba e capelli, indossa le vesti gialle dell' asceta indù e, senza protezione di sorta lascia il 'sogno' per affrontare la realtà. per Gautama, però 'distacco dalla famiglia' non era affatto 'distacco dalla religione familiare': egli vive e muore pensandosi come uomo indù e non ritiene affatto di avere fondato una nuova religione.
ero viziato, molto viziato. Mi ungevo solo con sandalo di Benares e mi abbigliavo solo con tessuti di Benares. Giorno e notte un bianco parasole era tenuto sopra di me. Avevo un palazzo per l'inverno e uno per l'estate e uno per la stagione delle piogge. Nei quattro mesi della stagine delle piogge non abbandonavo mai il palazzo e donne musicanti mi circondavano. Sebbene tanto viziato, mi venne questo pensiero: 'Nonostante l'uomo comune, dal pensiero profano, sia anche lui soggetto alla vecchiaia, alla malattia, allla morte, tuttavia prova disgusto quando vede un altro invecchiato, ammalato o morto. anch'io sono così e questo non è degno di me'. Considerando ciò, svanì per me ogni gioia per la gioventù, la salute e la vita
Allora pensai: 'e se io, che ho riconosciuto questi mali, la vecchiaia, la malattia e la morte, cercassi ciò che ne è esente, la pace suprema, il Nirvana?'.
Ed io, giovane da capelli neri, mi rasai capelli e barba, sebbene i miei genitori ne piangessero, indossai le vesti gialle dell' asceta e partii dalla patria verso luoghi che non mi erano patria
Pellegrino e ricercatore della verità, Gautama trova cinque brahmani che per sette lunghi anni gli insegnano l'ascesi. Sotto la loro guida egli impara il disprezzo di ogni piacere terreno, impara a non dipendere dai desideri e dagli istinti del corpo. E' diventato ormai magrissimo, pelle e ossa, e vive quasi di nulla. Eppure questa non è la vita che egli cerca.
In fondo, grazie all' ascetismo indù egli sta cercando l'auto dominio, il suo 'sè sottili', ma sempre e ancora il suo io: il suo corpo è ormai domato e obbediente, le sue capacità percettive e paranormali sono enormemente aumentate.
Ma egli è ancora prigioniero di se stesso.
Una notte, però, sotto un grande albero consegue la 'illuminazione', cioè arriva al cuore delle quattro verità che poi saranno le colonne della sua dottrina. la radice della sofferenza è il rimanere legati al mondo e all'io, come se esso avesse una entità propria, fosse saldo nell'esistere, avesse consistenza e durata. Tutto ciò che mi appare non è che ingannevole, illusorio, inconsistente ed è questo inganno che perpetua la mia sofferenza.
Dalle parole di Buddha:
Io, figlio di re, finita la maledizione e la concentrazione, conquistai la calma interiore, l'unificazione dell'animo, una pace beata, libera da riflessioni e pensieri, nata nell'unità, l'inaugurazione della seconda visione.
Sereno e nella quiete più profonda, io, figlio di re, meditai imperturbabile, saggio, perfettamente consapevole e sentii in corpo una felicità di cui i santi direbbero: il saggio imperturbabile vive beato; così ebbi accesso alla terza visione. Dopo essermi staccato dalla gioia e dal dolore e dopo aver superato lo stato precedente di felicità ed infelicità, raggiunsi la condizione di perfetta purezza, senza dolore e senza gioia, la quarta visione
E io, in tale stato d'animo,
qusto io compresi. Ora io, figli di re, consolidato in questa terza certezza nelle ultime ore della notte, dopo aver vinto l'ignoranza e conquistato la conoscenza, dissolto il buio e guadagnata la luce, solerte e instancabile, meditavo profondamente.
A questo punto la grande tentezione lo colse: tenere per sè questa illuminazione. Eppure lo stesso Buddha sentì che ogni verità non può essere rinchiusa e privatizzata e si dispose perciò ad esporre la 'ruota della dottrina'. La prima esposizione, avvenne in un parco di cervi a nord di Benares; Buddha aveva 35 anni. Continuò a pellegrinare per altri 45 anni, facendo numerosi discepoli, tra cui i cinque brahmani che furono i suoi primi maestri. Un giorno, con la sua ciotola di mendicante, arrivò anche al regno di suo padre e lo seguirono il figlio e la moglie.
Man mano che le forze gli venivano meno, quelli che gli erano più vicini- i monaci che vivevano come lui di elemosina e che si erano ormai organizzati in sangha (comunità)- diffondevano la sua dottrina.
All'età di ottant'anni mangiò cibo avvelenato e sentì venire la morte: si coricò serenamente ed ai discepoli che si sentivano già orfani disse: 'Ogni cosa è destinata a perire: lottate con coraggio!'. E si addormentò nella pace del nirvana.
Confronto tra le altre religioni
L'aspetto più importante del buddismo, che si pensa sia anche la maggiore causa dell'attrazione esercitatata da questa dottrina sugli occidentali, è che a differenza di molte altre religioni, non richiede di avere fede in una divinità, inoltre è una delle poche religioni che offre un metodo di autoguarigione semplice ed accessibile capace di portare alla serenità spirituale. Altra differenza di questa credenza è che è anche una filosofia, poichè richiede ai suoi adepti non una fede cieca, bensì una convinzione acquisita e confermata dal proprio lavoro e di riflessione seria: infatti a differenza di molte religioni (fra cui anche quelle occidentali), risulta positiva per coloro che la praticano e non per coloro che vi credono e basta. C'è da sottolineare inoltre il fatto che il buddismo, diversamente da alcune dottrine orientali, non conosce un codice formale di proibizioni e chiunque può diventare seguace di Buddha, sebbene ne faccia parte di un'altra per nascita.
Per quanto riguarda i comandamenti, essi sono presenti, come da noi, anche nel buddismo. Un buon credente, deve rispettare almeno i primi 'cinque comandamenti', attraverso i quali, una persona si impegna a rispettare la vita altrui, a non chiedere di più di quanto gli è stato dato, a non bere liquori che provochino intossicazione, insomma, tutte regole per alcuni versi simili alle nostre, per altre diverse, ma nonostante ciò, cercano di indicare ai seguaci una vita spirituale e non materiale o terrena. Infine nel buddismo a differenza di altre dottrine non vi è una sistematizzazione teorica sui concetti di creazione del mondo o intorno alla divinità. Infatti ai monaci che chiedevano spiegazioni su ciò, Buddha rispondeva con il 'nobile silenzio'.
Non bisogna inoltre dimenticare, che sia il giorno di riposo buddista, cioè il sabato, sia le feste, sono delle vere e proprie giornate di devozione, durante le quali la meditazione e le preghiere vengono al primo posto.
Pensiamo che questo sia un fatto da sottolineare, perchè per molti di noi, per esempio, il Natale o la Pasqua sono solo dei giorni per incontrarsi con i parenti e scambiarsi regali.
La condizione della donna
A causa della forma della donna, gli esseri sono avvinti e arsi nel fuoco della brama e della passione e gemono a lungo sotto l'incendio della forma femminile.
Buddha non condanna la donna in se, ma la donna come fonte di piacere. Condanna il sesso maschile e femminile, e quindi anche il potere di seduzione della donna, non perchè lo consideri impuro, contaminante e osceno, ma perchè lo ritiene la radice principale dell'attaccamento alla vita.
L'amore e l'unione sessuale sono le forme più evidenti in cui si manifesta la sete di vita, che la dottrina di Buddha intende distruggere per porre il praticante sulla via della salvezza. Il Buddhismo tradizionale nega alla donna la possibilità di accedervi e di giungere al Nirvana, se prima non ha annullato in se tutto ciò che è femminile.
Attraverso i secoli, i rigidi principi iniziali si sono attenuati, ma l'avversione di fondo alla donna rimane. Dopo molte discussioni Buddha aveva consentito ad ammettere donne fra i suoi disepoli.
Anche nel Buddhismo moderno la donna deve continuare a sentirsi inferiore secondo il detto 'ho ottenuto un corpo di donna perchè ho commesso il male in una passata esistenza'.
Il Buddhismo non interviene nella vita quotidiana e nemmeno nelle vicende fondamentali dell'esistenza femminile come il matrimonio o la nascita dei figli, che vengono celebrate o festeggiate secondo le varie usanze locali.
Il Buddhismo non comporta alcun rito, alcun sacramento, alcuna formula che conferisca la qualità di buddhista. Il laico, donna o uomo che sia, è buddhista per il solo fatto che accetta come veridico l'insegnamento di Buddha.
Le regole insegnate dai monaci ai fedeli indugiano a lungo sui rapporti tra gli esseri umani. Per ciò che riguarda il matrimonio, la moglie deve manifestare la sua tenerezza al marito, mostrarsi casta, tenere in ordine la casa, dar prova di ospitalità verso i parenti e gli amici del marito, mostrare abilità e zelo in tutto ciò che ha da fare.
Il monachesimo femminile
Ai tempi del Buddha, nella società indiana anche tra le donne c'erano asceti e predicatori, ma in numero assai esiguo.
Il Buddha aveva alcune riserve sulla questione poichè la società aveva difficoltà ad accettare le donne in posizione di particolare rispetto.
Dopo la morte del padre, cedette alle suppliche della madre adottiva che lo pregava di rispondere affermativamente al fedele Ananda che gli aveva chiesto se anche una donna era in grado di 'entrare nella corrente' e diventare Arahat. Così il Buddha istituì l'ordine delle bhikkhuni, le quali, però, dovevano osservare otto regole speciali, una delle quali imponeva che si inchinassero sempre in segno di rispetto davanti ai monaci, anche se più giovani di loro.
Altre regole imponevano la loro dipendenza dai monaci per molte cerimonie che le riguardavano. Esse venivano assistite da un consigliere spirituale, scelto tra i monaci anziani più saggi in base alla mitezza del carattere, alla buona reputazione e alla sua abilità di predicatore.
Al giorno d'oggi, l'ordine monacale femminile sopravvive soltanto nel buddhismo orientale, dove il successo ottenuto dal buddhismo è in buona parte conseguenza del suo contributo al miglioramento della posizione sociale della donna.
Il Sangha
Nella Corea del sud le monache danno maggior risalto al Vinaya e sono più disponibili nei confronti del laicato. In Giappone, le monache sono state sempre considerate di rango inferiore ai monaci e di conseguenza non hanno mai potuto vivere nei templi, inoltre non è stato concesoo loro il diritto di celebrare funerali nè di diventare maestri Zen. Dal 1945, in Tibet, la linea di ordinazione femminile non è stata introdotta dall'India, ma, dal 12 secolo in poi, le monache sono state ordinate dai monaci e attulmente le aspiranti monache assumono i dieci normali precetti del noviziato più altri venticinque, invece di seguire la completa disciplina delle bhiksuni.
Attualmente le monache Theravada debbono assumere gli otto o dieci precetti e, come i monaci si radono la testa, prendono un nome pali, e indossano una tunica di colore bianco, marrone o giallo.
Inoltre le monache debbono attendere alle faccende domestiche che il monastero richiede e, di conseguenza, rispetto ai monaci hanno meno tempo da dedicare agli studi. Vivono, in parte contando sull'aiuto delle loro famiglie o di qualche laico, in parte coltivando la terra e in parte coi loro risparmi.
Al giorno d'oggi si dedicano di più allo studio della lingua pali e del Dhamma, insegnano nelle scuole annesse ai monasteri, prestano servizio negli ospedali e fanno opera di assistenza sociale alle giovani disadattate. L'aiuto alla popolazione civile invece si manifesta attraverso la celebrazione dei riti e l'insegnamento del Dhamma agli adulti e ai bambini.
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