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SCHOPENHAUER - La forma del trattato Schopenhaueriano: filosofia e sistema




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SCHOPENHAUER


La forma del trattato Schopenhaueriano: filosofia e sistema


L'opera più importante di Schopenhauer è Il mondo come volontà e rappresentazione (che ebbe varie edizioni ma non prima d'oggi non fu mai riconosciuta come un'opera di valore), scritto sotto forma di sistema. Attraverso la forma di sistema Schopenhauer mostra di condividere:

che il sistema è la forma scientifica della filosofia;

il collegamento con Kant;

la tendenza a trasformare la filosofia negativa di Kant in una filosofia positiva.


Il sistema filosofico può essere, dice, di due tipi:

sistema organico: tutte le parti si sostengono a vicenda e hanno valore come "tutto". Questo sistema è proprio dei veri filosofi, quelli che si interessano al mondo per lo stupore che provano nell'osservarlo;

sistema architettonico: le parti si ordinanao su una astratta gerarchia. E' un sitema proprio dei filosofi che si interessano al mondo in modo indiretto ( cioè dopo aver letto un libro).

Il sitema di Schopenhauerpenhaue è organico. Questa scelta deriva dal bisogno metafisico dell'uomo. La metafisica, che ha il suo padre in Aristotele, dichiara che la filosofia nasce dalla meraviglia, ossia un atteggiamento contemplativo di fronte al mondo. Per Schopenhauer invece la filosofia nasce dallo stupore di fronte al dolore e al male del mondo.

L'opera del filosofo risponde alla domanda per cui ogni vivere è un soffrire (tema fondamentale del mondo). E' divisa in quattro libri, che cercano di tradurre il movimento del pensiero (a spirale) in un unico nucleo. I punti di vista della rappresentazione e della volontà sono le due prospettive che il pensiero può assumere di fronte al mondo.


Primo libro: prima considerazione del mondo come rappresentazione. Mostra come la scienza possa pensare che il mondo è un fenomeno globale sensato;

Secondo libro: prima considerazione del mondo come volontà. Mostra come dietro la forma sensata del mondo se ne trovi una oscura e irrazionale;

Terzo libro: seconda considerazione del mondo come rappresentazione. Mostra che attraverso l'arte si svela la presenza del fenomeno nella cosa in sé, ossia nella volontà.

Quarto libro: seconda considerazione del mondo come volontà. Espone la dialettica della volontà, attraverso cui la conoscenza si libera dalla servitù alla volontà e può superare il dolore.


Lo stile di Schopenhauer è chiaro e trasparente, in armonia con il suo pensiero per cui la filosofia debba essere espressione precisa dell'intuizione metafisica. Per questo critica molto lo stile torbido di Hegel e dei romantici.


Schopenhauer e l'eredità kantiana


A Kant Schopenhauer riconosce il merito di aver individuato il valore del cosiddetto principio di ragione sufficiente (cioè di aver scoperto le leggi di causalità che reggono il mondo fenomenico). Dopo Kant, egli crede, non si può più pensare che tutto esiste con una ragione, ma bisogna credere che questo è solo ciò che a noi appare osservando i fenomeni. Dunque non è possibile studiare la "cosa in sé", ma soltanto i modi in cui il soggetto si mette in rapporto con l'oggetto, ossia i modi attraverso cui il soggetto si crea un mondo.

Si formano così quattro classi di oggetti per il soggetto, che danno una spiegazione razionale del mondo come rappresentazione:

rappresentazioni intuitive, attraverso cui si forma la nozione di esperienza (insieme di fenomeni retti da leggi). L'esperienza si forma dalla relazione tra sensibilità, mediante cui conosciamo il nostro corpo, e intelletto, mediante il quale riferiamo ad un'azione una causa oggettiva: è così che si applica il principio di ragione sufficiente, che qui è una legge di causalità. Le rappresentazioni intuitive sono spazio, tempo e causa.

rappresentazioni astratte o concetti: formano il contenuto totale della ragione. In questo caso il principio di ragione sufficiente è principio del conoscere. La conoscenza astratta è subordinata a quella intuitiva perché solo questa le può dare un contenuto.

rappresentazioni di spazio e tempo, non applicate alla realtà ma intese in forma astratta. Per questo il principio di ragione sufficiente è principio dell'essere. Spazio e tempo sono applicate alla matematica, la cui pensabilità degli enti è condizionata da un'estensione nello spazio e da una successione temporale.

rappresentazioni delle azioni: il principio di ragione sufficiente diventa legge di motivazione. Come nella prima classe vigeva il principio di causa-effetto, qui eiste quello motivo-azione, che esplica un atto volontario del soggetto. A prima vista l'azione può sembrare determinata da circostanze esterne e non dalla volontà (libertà) del soggetto. Ma poiché la volontà non si esplica mai completamente nell'azione, non si può negare che esista una libertà relativa al carattere intellegibile dell'azione: l'uomo è libero nella scelta dell'azione, ma vincolato rispetto al modo di esplicarla.


Mentre con le quattro classi si spiega il mondo come rappresentazione, non si accede alla cosa in sé (risultato negativo, come Kant). Ma il bisogno dell'uomo di trovare una spiegazione totale della realtà spinge a cercare una soluzione positiva. Come?


La metafisica dell'esperienza di Schopenhauer


Con la sua opera Schopenhauer vuole costruire una metafisica dell'immanenza, che non vada al di là dell'esperienza. Dunque si tratta non di un sapere a priori, fatto di concetti, ma di un sapere concreto.

Il merito principale di Kant sta nella distinzione tra fenomeno e cosa in sé, che ha posto un muro invalicabile tra il conoscere obiettivo e il pensare soggettivo. Il suo errore principale, viceversa, è stato quello di precludere in questo modo la conoscenza della cosa in sé. Ciò ha portato alla fondazione di filosofie che, più che analizzare la conoscenza effettiva, si sono operare a studiare le possibilità del conoscere.

Schopenhauer crede di aver trovato una via d'accesso alla cosa in sé, identificata con la volontà: così crea una nuova metafisica, su basi kantiane.


Il mondo come rappresentazione e come volontà


Schopenhauer distingue fra mondo come rappresentazione e mondo come volontà. Se il soggetto si rivolge all'esterno vede il mondo solo come sua rappresentazione e gli conferisce validità applicandogli le forme a priori della sensibilità: spazio, tempo, causa. In tal modo viene conosciuto il fenomeno.

Egli accetta l'idea idealista che il mondo percepito dai sensi sia solo un'illusione. Tale idea è condivisa dai saggi indiani, che considerano i sensi come il velo di maya, il velo dell'illusione. Questo principio era stato posto alla base della filosofia kantiana.

Kant aveva però ignorato che per ridurre il mondo ad un semplice fenomeno conoscitivo c'era bisogno di astrazione, atto attraverso il quale si arriva all'esclusione della volontà.

Ma se il soggetto si rivolge all'interno, all'autocoscienza, scopre che il mondo è la sua volontà. Viene qui sostituito l'Io penso con l'Io voglio. Il soggetto è esso stesso una cosa in sé, perché può accedere al proprio essere (autocoscienza).

L'unione tra il mondo della volontà e il mondo come rappresentazione è rappresentata dal corpo, che può essere considerato in due modi: fenomeno, che ha il privilegio di costituire per il soggetto l'oggetto primo e immediato; movimento, all'interno dell'autocoscienza: basta un "io voglio" per tradurre un atto in movimento del corpo. Ma la volontà non è movimento: questo è un atto completamente distinto: noi non possiamo sapere cosa sia la volontà, ma solo come si manifesta.


I gradi di oggettivazione della volontà


Il mondo è studiato dalla natura in maniera eziologica, ricercandso cioè le cause del mutamento dei fenomeni. Tuttavia la spiegazione scientifica deve ammettere la presenza di forze che restano non spiegabili scientificamente: per non cadere nell'irrazionale deve ricorrere alla filosofia.

Questa metafisica empirica, della natura, parte dall'ipotesi che tali forze siano identiche alla volontà, che è conoscibile soltanto dal soggetto stesso nell'autocoscienza. Schopenhauer non dona la pietra di volontà, ma dà al suo movimento verso il basso causato dalla forza di gravità una spiegazione analoga a quella della volontà degli esseri organici.

La natura, in senso metafisico, sarà allora un'unica manifestazione di volontà, che è identica per tutti gli esseri viventi. Chi media fra le innumerervoli manifestazioni della volontà (i corpi) e la volontà stessa sono le idee.

Le idee sono gli archetipi a cui la volontà si riferisce per manifestarsi nella realtà. La legge naturale media tra l'idea e il fenomeno: essa determina l'esplicazione della forza.

I gradi dei oggettivazione della volontà sono rappresentati dalla natura inorganica, organica, il mondo vegetale, animale e l'uomo. Presetnata in questo modo, la volontà sembra caratterizzata dalla conflittualità: ogni livello della natura è mostra lotta e dolore. Le forze naturali lottano per quandagnarsi uno spazio di materia, le forme viventi sembrano poter vivere solo con l'eliminzaione di altre forme simili.

Sollevato il velo di maya, ecco mostrarsi una volontà irrazionale, che vuole solo sé stessa, vuole solo vivere e cerca ogni mezzo per riuscirci.


Dalla metafisica alla morale: servitù dell'intel-letto e liberazione estetica


Ultimo gradino a cui vuole arrivare Schopenhauer è l'identificazione di metafisica ed etica. Non vuole cadere nella solita divisione fra filosofia teoretica e pratica.

Come nella metafisica, anche nella morale si attiene al metodo dell'immanenza, che consiste nell'ibdicare come si svolge realmente la condotta umana, non come dovrebbe svolgersi.

E' assurdo prescrivere un comportamento tipo per l'uomo: si predica la libertà della volontà e poi gli si impone per legge di volere certe cose!

Dunque tutto il problema si risolve nella libertà di volere: se ci fosse, sarebbe possibile unire filosofia etica e metafisica. Ma esiste davvero?

Nel Mondo si sviluppa la teoria della servitù dell'intelletto alla volontà, la quale ci è incomprensibile ed è senza scopo, dunque irrazionale. Si oggettiva in singoli corpi e organismi, per cui anche nel cervello, al cui funzionamento è legata la coscienza. Dunque anche la coscienza è un fenomeno della volontà e comprende l'intelletto, ossia la capacità di trovare il nesso causale fra i fenomeni (dell'uomo e degli animali) e la ragione, ossia la capacità del pensiero astratto (dell'uomo).

L'intelletto offre alla volontà la possibilità di attuare razionalmente ciò che essa vuole a tutti i costi. La volontà è infatti irrazionale e non riuscirebbe da sola a farlo.

A questo punto Schopenhauer introduce il concetto di arte. Lìarte è una froma di conoscenza che si riassume nella nozione di genio. La conoscenza dell'uomo comune si rivolge ai sensi ed è al servizio della volontà; quella dell'artista è rivolta all'idea: l'artista dunque, ponendosi al di là del fenomeno, trova l'oggettività della volontà.

Scopo dell'arte è di esprimere la realtà come volontà trascurando il fenomeno. La conoscenza dell'arte è puramente contemplativa, e con questa affermazione Schopenhauer riprende da Kant la definizione di bello come oggetto di piacere disinteressato. Viene eliminato ogni rapporto con l'io e il resto del mondo, e per questo l'arte è considerata superiore della scienza. Di fronte all'arte, il corpo perde il suo senso, cosicchè il soggetto diventa un soggetto puro e universale, non più sottomesso alla volontà, allo spazio e al tempo, ma coincide con la volontà stessa.

In poche parole, l'arte è l'unico momento in cui l'intelletto può elevarsi sulla volontà.


Il problema della libertà e della liberazione dalla volontà


Il conceto di libertà è negativo, in quanto indica l'assenza di necessità.

L'uomo non è libero, ma si libera superando il mondo fenomenico e scoprendosi sempre più parte del mondo noumenico. Abbiamo già visto l'applicazione di questo concetto con l'identificazione, nell'estetica, del soggetto con la volontà. Solo la moralità può rendere perenne questa conquista enon limitarla all'ambito dell'arte.

L'azione morale consiste nella scelta etica fondamentale, quella che deciderà le nostre azioni future. L'uomo è libero solo se si identifica con la volontà, ma questa è sinonimo di vita. La scelta etica fondamentale sarà allora il vivere o non vovere.

Due sono allora gli atteggiamenti: quello di chi afferma la vita perché ha capito che il mondo è solo fenomeno e che la volontà è l'unica realtà e dunque decide di identificarsi con essa; l'atteggiamento di chi rinuncia alla vita, l'asceta, che ha compreso che l'essenza del mondo è la volontà, ha paura della realtà di dolore che tale affermazione porta e dunque non vuole identificarsi con la volontà.

Qual è l'atteggiamento da prendere?

La volontà si trova subito, fin dalla nascita, in lotta con sé stessa: essa è volontà di vivere, ma il vivere implica anche il morire e spesso provoca la morte di altri esseri viventi: la vita è sofferenza. L'uomo invece tende al piacere, ma per questo deve sentire un bisogno e dunque soffrire. Il bisogno può essere soddisfatto solo momentaneamente e subito dopo subentra la noia. Dunque bisogna affermare la vita, con il suo dolore e la sua noia, o negarla? La conoscenza deve essere un motivo di vita o un motivo per negarla?

La risposta a questa domanda si trova solo nell'ascetismo, che abolisce ogni distinzione tra l'io e l'altro e viene definito morale della compassione, perché soffre con l'altro (com-passione). L'ascetismo abolisce anche l'egoismo, in quanto forma tipica di cui si serve la volontà di vivere, e assolutamente non mira all'annullamento dell'uomo quanto alla sua trasformazione.

I gradi dell'ascesi sono diversi: castità, povertà volontaria, autoabnegazione, sacrificio eroico di sé.

La castità libera l'individuo dalla subordinazione alla volontà di vivere che usa le armi dell'amore per garantirsi vita attraverso la riproduzione.

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