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Percorso sull'estetismo di Ocar Wilde, superomismo Di Nietsche e D'Annunzio, nazismo, Hitler, la Germania per i latini




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Percorso sull'estetismo di Ocar Wilde, superomismo Di Nietsche e D'Annunzio, nazismo, Hitler, la Germania per i latini



PREFAZIONE


Il percorso che ho intenzione di intraprendere con il presente lavoro ha lo scopo innanzitutto di inquadrare le caratteristiche di quattro personalità molto forti, che hanno profondamente influenzato, sia pur in modi diversi, la società del loro tempo.


Da Wilde, il dandy libero ed anticonformista, per la cui presentazione non occorre altro che una delle sue famose espressioni: ' I have not to declare except my genius!', a D'Annunzio, il cui egocentrismo si manifesta soprattutto nelle sue folli azioni politiche, nel suo 'vivere inimitabile', nel suo superomismo , che mette in rilievo solo l'aspetto estetico del ben più complesso pensiero del tedesco Nietzsche: il filosofo della liberazione o del nazismo?


Purtroppo l'ambiguità della sua concezione ha dato sfogo alla cultura nazista, che identifica il soggetto della liberazione con un'elite, o peggio ancora con 'la razza ariana'.


Ma la curiosità mi ha spinto oltre, fino ai meandri più oscuri della personalità più influente del nazionalsocialismo: Hitler, le cui fattezze non saranno mai dimenticate dall'umanità, il cui fanatismo ha prodotto solo violenza, intolleranza e ben 18 milioni di vittime.


Forse, analizzando le sue idee, la sua vita,speravo di trovare almeno una motivazione per l'ingente genocidio a cui sono stati sottoposti gli ebrei, ma in realtà ne occorrebbero ben 18 milioni ed, ahimè, non ne ho trovata nemmeno una che possa giustificare un tale massacro.


' Razza inferiore', ' diavolo', ' bacillo' rappresentano alcune delle tante assurde qualificazioni attribuite agli ebrei e quel che è peggio è che tutto ciò che tale popolo ha dovuto subire è stato pianificato, organizzato, deciso come obiettivo finale di un programma politico.


Come si può parlare di inferiorità nei confronti di un altro essere umano? Da che cosa nasce tanto odio e rancore?


Beh, quel che è certo, è che da tale orribile esperienza il mondo ha imparato una dura lezione: l'uomo è l'unico essere vivente dotato di intelligenza, eppure, talovolta, viene completamente rapito dal fanatismo di un personaggio carismatico e agisce in modo 'selvaggio' e 'disumano'.


Anche Einstein era un ebreo, ma fortunatamente la sua fuga negli Stati Uniti gli ha evitato la tragica sorte del suo popolo, e così, con la sua grande intelligenza e creatività, ha potuto dare un ingente contributo alla fisica moderna.


In particolare, con la formulazione della teoria della relatività, ha permesso agli astronomi di fare importanti scoperte sull'origine dell'Universo e soprattutto sulle modalità con cui il Sole irradia la sua energia in tutti i punti del cosmo, permettendo così la vita sul Nostro pianeta. L'azione di tale astro sulla Terra è riscontrabile continuamente, ma una delle manifestazioni più spettacolari è rappresentata senz'altro dalle aurore boreali, dovute all'interazione delle particelle ioniche provenienti del Sole con la magnetosfera, cioè la zona che è sede di un intenso campo geomagnetico.


In ultima analisi, ho voluto porre l'attenzione sull'importanza di tale astro, anche in letteratura, ed in particolare nel 'Paradiso di Dante', dove il Sole domina il quarto cielo, dimora celeste degli spiriti sapienti.




INTRODUCTION: THE AESTHETICISM.


The term ' aestheticism' derives from Greek and means: 'Perceiving through senses'. It was also for the Romantic culture, in fact the movement has its roots in the Romanticism, but, at the same time, it signs a turn: now tartist, or better the aesthete, has to feel the sensations but also live them in his life. The message of the aestheticism is: 'Living the beauty!' The figure of the aesthete presents some corrispondences with the French figure, 'the poete maudit', who refuses all the values and the conventions of the society, he chooses the evil, he conduces a dissolute, unregulated life, till the extreme limit of the destruction through the vice of the flesh, the use of alcohol and drugs. Both of them refuses bourgeois normality: Also the 'poete maudit' follows the mystic cult of the art and exalts the evil for its aesthetic value, for its sublime and horrid beauty. The aesthete too refuses the moral rules and the conventions, he arrives to accept the crime because it indicates free action without rules. The movement evocates a return to the art of Middle Ages, when the artist is a sort of craftman, who creates his art- work with his creativity, he is free from any rules (while the academic art of the Victorian society is characterized by a rigid respect of the rules),he creates entirely his work, not only a piece of it.


We can consider as forerunners of the movement John Keats, who belonged to te second generation of Romantic poets, D.G.Rossetti and the Pre-Raphaelithes, who wanted an art closer to the primitive beauty. In France the best representative of Aesteticism is J.K.Huysman with 'A ribour' (1884), whose protagonist Des Esseintes becomes the ideal incarnation of the aesthete. In Italy G.D'Annunzio creates another important model of the aesthetic movement with Andrea Sperelli in 'Il piacere' (1889).


OSCAR FINGAL O'FLAHERTIE WILLS WILDE:


A major spokesman for the Aesthetic movement in the late 19th century and an advocate of 'Art for art's sake', which proposes that beauty has no utilitarian value and is independent of morality, is Oscar Fingal O'Flahertie Wills Wilde. He was born in Dublin, Ireland, on October 16, 1854, of professional and literary, but also very eccentric parents: his father, Sir William Wilde, is a known eye and ear surgeon, he gives him several names, which are a concentrate of ideas ( for example 'Fingal' is the name of a legendary Irish figure, a sort of ossianic poet , 'O'Flahertie' is the name of a warrior tribe of Ireland), his mother, Jane Elgee, is a fervent nationalist poet, and she, for her desire to have a daughter, dresses little Oscar in girl's clothes. After attending Porpora Royal School (1864-71), Wilde goes, on successive scholarship, to Trinity College, Dublin (1871-74), where he studies Latin and Greek literature. Here he first reveales his unconventional personality and thanks to his love for classics he wins a Gold Medal for Greek and a scholarship for Madgalen College, Oxford (1874-78), which awards him a degree with honours. Soon he becomes famous as poet winning the Newdigate Prize in 1878 with a long poem, 'Ravenna'. During these four years he is well known for his wit, his ostentatious dresses and his eccentric behaviour as well as for his aestheticism. He is an anticonformist , a wonderful entertainer and a brilliant talker; his conversation is a provocative combination of satire, paradox and epigram through which every Victorian institution and value is criticized and ridiculed. He is deeply impressed by the teachings of the English writers John Ruskin, a critic of art, and Walter Pater, the theorist of aestheticism, on the central importance of art in life and particularly on the aesthetic intensity by which life should be lived ( the life imitated the art and not vice versa). Like many in his generation, Wilde is determined to follow Pater's urging 'to burn always with a hard, gemlike flame'. But Wilde also delights in affecting an aesthetic pose; this, combined with rooms at Oxford decorated with 'objects d'art', results in his famous remark: 'Oh, would that I could live up to my blue China!' ( However, Japanese and other oriental art, eighteenth-century furniture, distempers walls in pastel colours, stylised floral motifs have all made their appearance in English art before Wilde becomes their advocate; in fact in 1885 the essayist and cartoonist Max Beerbohm affirms: 'Beauty had existed long before 1880. It was Mr Oscar Wilde who managed her debut').


In the early 1880s, when the Aestheticism is the rage and despair of literary London,(where he inherites from father) Wilde establishes himself in social and artistic circles by his wit and flamboyance. Soon the periodical 'Punch' makes him the satirical object of its antagonism to the Aesthetes for what is considered their unmasculine devotion to art; and in their comic opera 'Patience', Gilbert and Sullivan base the character Bunthorne, a 'fleshly poet', partly on Wilde. His caricature is provoked above all by his eccentric way of dressing and behaviour : he wear an aesthetic costume of velvet jacket, knee breeches, black silk stockings, strange tie and exotic flowers in the buttonhole, and he uses to walk up and down Piccadilly with a sunflower in his hands. In constant need of money to live up to his worldly life, Wilde acceptes an invitation to lecture in the United States and Canada in 1882,pronuncing on his arrival in New York his famous sentence: 'I have nothing to declare except my genius!' , in reply to the Customs officer's routine question. On his return to Europe, he spends three months in Paris, where he meets writers and painters like Flaubert and Huysmans. In 1884 he marries Constance Lloyd, who bears him two children. Their style of life is beyond their means and Wilde is obliged to work as a reviewer for the 'Pall Mall Gazette' and then as editor of 'Woman's world' (1887-89).


In 1889 Wilde produces his anti-realistic manifesto 'The decay of Lying' which asserts that 'Art is our spirited protest, our attempt to teach Nature its proper place'. Art's aim is to offer man pleasures and sensations without regard to any preconceived standard of morality and utility. The life has to be similar to an art-work and so his same life is an example of it in its reckless pursuit of pleasure. In addition, his homosexual relationship with Lord Alfred Douglas, whom he meets in 1891, infuriated the Marquess of Queensberry, Douglas' father. Accused, finally by the Marquess of being a sodomite, Wilde, urged by Douglas, sues for criminal libel. Unfortunately the accusations are proved true, and Wilde is arrested, tried and sentenced to two years' hard labour. After the prison, which provokes him many sufferings, because of public opinion against him and the impediment to read and write, he adopts a new name: Sebastian Melmoth. 'Sebastian' remembers the Christian martyr transfixed with arrows, but also the arrows printed on his prison uniform and 'Melmoth' is inspired by Maturin's Gothic novel ' Melmoth, the Wanderer' . He spends some time in Naples and Switzerland, writing against the brutality of prison life. Then he settles in Paris, where he dies suddenly on November 30, 1900, from an attack of meningitis. In his semiconscious final moments, he is received into the Roman Catholic Church, which he has long admired.


THE PICTURE OF DORIAN GRAY


It is the only novel written by Wilde. When it is first published in 1890 in the 'Lippincott's Monthly magazine', it is fiercely attacked by critics who judges it immoral. To reply to these accusations the next year Wilde publishes another edition, with the addition of six chapters and its famous 'Preface' which becomes the Manifesto of the Aestheticism. The novel challenges all the fundamental values and beliefs of Victorian society and probes deeply into the shadow world behind the respectable social façade. The novel is the story of Dorian Gray, a typical dandy, that's to say a heroic figure, created by Wilde, that is the living protest against this democratic levelling, he is at his ease everywhere and in every situation. He is against any social convention. Nothing can surprise him. He is never vulgar. He presents all the canons of the classical beauty: handsome, young, aristocratic, refined. His sex is ambiguous: he unites the feminine grace and the male virility. On his lips there is a smile of a stoic philosopher. He is the last romantic hero, the last manifestation of heroism in a moment of decline, like the sunset, the last ray of sunlight of human pride, for his elegance in dressing and his intellectual honesty. His only ideal is to realize an inimitable life. And proper this ideal conduces him to the perversion. When his friend painter Basil Hallward paints his picture he can translate on it even the soul of Dorian, the young is enchanted by it and together Hanry Watton, an elegant and cynic man, whose principles have corrupted him, makes a reflection on the fugacity of the time and desires intensely to transfer the passing of the time on the picture and to remaine always beautiful and young. His desire is so strong that it really happens. So he lives a dissolute life, in search of the most unrestrained pleasures: he despises the love of Sybil Vane, a kind actress because an evening her performance, for a bodily discomfort, isn't perfect as always. It will conduce her to suicide. At this point the decadence of Dorian's soul begins, he becomes a criminal, his physical aspect remains beautiful, but inside he becomes cruel and cruel. The signs of the time and of his decadence appear on the picture, where his face becomes evil and it is furrowed with wrinkles, so, to appease his conscience he collocates the picture in the attic even if every evening he goes to look it :every day the signs of the decline increases. A day Dorian shows the picture to his friend Basil but he recognizes it only for his signature, painted in red; the painter, who is a sincere and integral man, reproaches him for his shameful conduct, but the cruel Dorian kills him, because he is the creator of the picture, and dissolves his body in the nitrile acid. Then he has also a dispute with Sybil Vane's brother. But, better than every word, the picture remembers to Dorian the deception of his double life, showing him his real face, unknown to everyone in its own cruel eloquence up to, overcome by unhappiness, he brakes the picture with a knife and he immediately falls down dead, as if he has stabbed himself. The servitude rush to the place and they look a wonderful picture of their master and on the floor a dead man with an evening dress, with a knife in the heart, with an old and cruel face. They understand that he is their master only for his rings. The life, broken the charm, prevails over Dorian, who wants to oppose to his necessary pain another life, fictitious and mysterious.


The allegoric meaning of this novel exalts the absolute and eternal value of art, which triumphs over all the ugliness and lowness of the life. In this work the author states that for obtaining the essential detaching from the life, for looking himself in third person it is necessary to invent, to lie, to wear a mask. And the mask is deliberately formed by himself, because it is different from his imperfect nature and because it is the product of his intellect; it really is the only reality of the man. His behaviour is more important than his nature. 'To be artificial!' is the real saying of the aesthete, who understands this reality. 'The truthfulness is a pose; and the most irritating one that I know.' Says Lord Henry at the beginning of the story. Then he observes: 'I like the theatre. It is truer than the life!' and he praises the hypocrisy, typical of the good society, where the manners are most important than the moral, and then, like in the art, the form is all. The mask makes the life richer, flooder. It permits to the aesthete to feel pleasure for every kind of experiences and it permits to the thinker to play with the ideas, to sustain different point of view for the love of speaking. In fact the primary concern of Wilde in his novel is the exploration of the power of the language. It is rich, elaborated and ornamented as the embroideries, the jewels and the works of art it so accurately describes. Similes and metaphors compare things in the real world to the products of art and craftsmanship, to the materials and effects created by artists. The novel is mostly written in an intensely poetic style that does not only describe, but communicates sensuous pleasure by the richness and musicality of its language. Words produce in the reader the same hypnotic effect, the same 'form of reverie' and 'malady of dreaming' that Dorian experiences at the sound of Lord Henry's voice and while reading his book. The novel 'The picture of Dorian Gray' derives from the influence of different sources:


-The novel 'A Rebours' (1884) by the Belgian writer J.K.Huysmans, a mannered portrait of aristocratic decadence whose protagonist Des Esseintes becomes the prototype of the aesthete of fin de siecle literature. This book is read by Dorian and produces in him ' a form of reverie, a malady of dreaming', and from whose influence he can not free himself for years.


- The psychological horror stories, such as 'The strange case of Dr Jekill and Mr Hyde' (1886) by the Scottish novelist R.T.Stevenson and 'Frankestein' (1818) by Mary Shelley. He draws inspiration from the Stevenson's way of describing the characters of his work: he looks inside 'the haunted house of Victorian values' and he speaks about the 'homo duplex', that's to say a man with a double personality, a respectable public one and a hidden, violent and animal one. (Since the beginning of his friendship with Lord Alfred Douglas the Wilde himself had led a double life).


-The British and German stories about a character selling his soul to the devil, such as Chistopher Marlow's 'The Tragical History of Doctor Faustus' (1588-89), Charles Robert Maturin's 'Melmoth the Wanderer' (1820) and Goethe's 'Faust (1808-32). However, in Wilde's novel there is no real devil and no contract with it. Dorian manages to remain young and beautiful by the force of his narcissism. Lord Henry Wotton has diabolical connotations and exercises a powerful and wicked influence on him. His familiar name 'Harry' is an allusion to the expression 'Old Harry', a common and familiar name for the devil. His low, languid voice has seductive power that is characteristic of representations of the devil in literature. The scene in which he delivers his panegyric on youth and beauty takes place in the garden and borrows several images from the episode between Eve and the serpent in Milton's 'Paradise Lost' (1667).Dorin Gray and Sybil Vane are also meaningful names. 'Dorian' means of Doria, a part of Ancient Greek. It suggests both the young man's classical beauty and Lord Henry's 'Hellenic ideal' to which he aspired to return. 'Gray' indicates the contrast between the good and evil. 'Sibyl', according to the ancient Greek mythology, was a prophetess who was thought to know the future. The pronunciation of 'Vane' suggests, on the one hand, that her words and her truth are spoken 'in vain' because Dorian rejects and abandons her, and on the other, that the girl herself may be vain, empty and superficial.


-The romances by Dickens, for the realistic part of the novel, for example the detailed description of night London.


-The 'dandy' romances written in the first part of the century, such as 'Tremaine' (1825) by Robert Plumer Ward, 'Pelham' by E.G.Bulwer Lytton and in particular 'Vivian Gray' by Bejamin Disraeli, the story of the political and amorous ambitions of a young man, whose name is remembered by Wilde in the protagonist of his novel.


THE PREFACE OF DORIAN GRAY:


The artist is the creator of beautiful things.


To reveal art and conceal the artist is art's aim.


The critic is he who can translate into another manner or a new material his impression of beautiful things.


The highest, as the lowest, form of criticism is a mode of autobiography.


Those who find ugly meanings in beautiful things are corrupt without being charming. This is a fault.


Those who find beautiful meanings in beautiful things are the cultivated. For these there is hope.


They are the elect to whom beautiful things mean only Beauty. There is no such thing as a moral or an immoral book. Books are well written, or badly written. That is all.


The nineteenth-century dislike of Realism is the rage of Caliban seeing his own face in a glass.


The nineteenth-century dislike of Romanticism is the rage of Caliban not seeing his own face in a glass.


The moral life of man forms part of the subject-matter of the artist, but the morality of the art consists in the perfect use of an imperfect medium. No artist desires to prove anything. Even things that are true can be proved.


No artist has ethical sympathies. An ethical sympaty in an artist is an unpardonable manerism of style.


No artist is ever morbid. The artist can express everything.


Thought and language are to the artist instruments of an art.


Vice and virtue are to the artist materials for an art.


From the point of view of form, the type of all the arts is the art of the musician. From the point of view of feeling, the actor's craft is the type.


All art is at once surface and symbol.


Those who go beneath the surface do so at their peril.


Those who read the symbol do so at their peril.


It is the spectator, and not life, that art really mirrors.


Diversity of opinion about a work of art shows that the work is new, complex, and vital.


When critics disagree, the artist is in accord with himself.


We can forgive a man for making a useful thing as long as he does not admire it. The only excuse for making a useless thing is that one admires it intensely.


All art is quite useless.


GABRIELE D'ANNUNZIO:


In Italia D'Annunzio creò un altro importante modello dell'estetismo i cui atteggiamenti, l'arte, le idee, o meglio i miti, appaiono il risultato dell'incontro di un temperamento nativamente sensuale, irrazionale, egotistico, antidemocratico con la particolare situazione storico-sociale 'fin de siecle' ( di fine secolo) e con le tendenze del decadentismo europeo.


Nella prefazione del suo romanzo, 'Il ritratto di Dorian Gray', pubblicato nel 1890, Oscar Wilde affermava: 'Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti mali: questo è tutto.' Ebbene, per Gabriele D'Annunzio la vita è come un libro; nè morale, nè immorale:scritto bene o scritto male. Il suo ritenne di averlo scritto bene. È sostanzialmente questo il suo estetismo. D'Annunzio, infatti a differenza di tanti altri scrittori, pare non avere una storia, un lento graduale evolversi verso atteggiamenti spirituali ed artistici sempre più maturi e complessi: pare invece che egli giunga d'un tratto, giovanissimo, dopo pochi anni, alla scoperta di sè, di quel motivo che resterà poi sempre centrale in tutta la sua opera, e che da allora in poi non faccia che intrecciare a quel motivo centrale motivi sempre diversi, che tentare, in modi sempre diversi di evaderne, senza mai riuscirci, che, in una formula semplice, variarlo delle variazioni più varie, senza però mai sopraffarlo. Questo motivo centrale, cuore della sua opera e, nello stesso tempo, della sua vita di uomo è una capacità singolarmente dotata di cogliere il mondo ( il mondo tutto delle cose dello spirito ) con la sensibilità estremamente raffinata ma, appunto per questo, disgregatrice, atta a partecipare sensazioni, espressioni , momenti, incapace di collegare in una trama organica e umana, incapace quindi di rappresentare gli uomini e le loro vicende. E così D'Annunzio scrive di sè: 'Sempre qualcosa di carnale, qualcosa che assomiglia ad una violenza carnale, un misto d'atrocità e d'ebbrietà, accompagna l'atto generativo del mio pensiero'; quando pensiamo a questa ed altrettanti affermazioni il suo estetismo non può non apparire torbido e ambiguo. Per lui l'estetismo fu dunque il suo primo tentativo di superare la bestialità inconsapevole e perché inconsapevole pura, del naturalismo e del senso: 'Ed ebbi così nel mio sguardo l'inconsapevolezza de la purità bestiale' scriverà una volta nelle Laudi. L'estetismo rappresenta lo sforzo di spiritualizzare la sensualità redimendola nel culto della bellezza, anzi della Bellezza e si esprime nella formula: 'Il verso è tutto '. L'arte è il valore supremo, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. La vita si sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello trasformandosi in opera d'arte.


Sono gli anni romani (1881-91) che vedono D'Annunzio astro nascente non solo del firmamento letterario, ma anche di quello mondano della capitale, un personaggio ricercato nei salotti dell'aristocrazia, nelle redazioni dei giornali, al centro di amori teatrali, (come quello contrastato per la duchessina Maria Hordouin di Gallese, che si apre con una fuga sensazionale, quasi un rapimento, e si conclude con un matrimonio modesto ma memorabile,) duelli clamorosi , imprese sportive, che fanno notizia, scandalo e tanta pubblicità allo scrittore e alle sue opere; insomma vita e letteratura cominciano a fondersi insieme secondo la logica sia pur provinciale di quello che in seguito sarà detto il divismo. Pronto a rispondere ai miti del giorno e a sua volta a suscitarli, dà in pasto al pubblico nobile e alto borghese i miti dell'eros e del nazionalismo. (Basta pensare alla grande forza retorica con cui, durante un comizio interventista a Roma del 1915, incitava gli italiani alla violenza). Ed è qui che emerge, per la prima volta, l'ambiguità della sua personalità, che non riuscirà mai a superare: egli si è creato la maschera dell'esteta, dell'individuo superiore, dalla squisita sensibilità, che rifugge inorridito dalla mediocrità borghese, ma in realtà il culto della bellezza e il 'vivere inimitabile' superomistico in cui si rifugia risultano finalizzati a ciò che D'Annunzio ostentava di disprezzare, il denaro, le esigenze di mercato; proprio lo scrittore più ostile al mondo borghese, era in realtà il più legato alle sue leggi; proprio lo scrittore che più spregiava la massa, era costretto a sollecitarla ed a lusingarla. La fase estetizzante di D'Annunzio si conclude con il romanzo: 'Il piacere' (1889):


La vicenda si svolge sul finire dell'Ottocento nel mondo dell'alta aristocrazia romana, tra concerti, balli, corse di cavalli, aste di raffinati oggetti antichi, pranzi ornati di fiori e di donne, frivole discussioni salottiere. Protagonista è il conte Andrea Sperelli Fieschi d'Ugenta, ultimo discendente di un'antica e nobile famiglia, tutto penetrato e imbevuto di Arte, avido di amore e di piacere, amante raffinato, elegantissimo, circondato di lusso, ma pieno di contraddizioni, senza alcuna forza morale e volontà. Innamoratosi dell'affascinante duchessa Elena Muti, vive con lei un'intensa avventura. Ma quando la donna abbandona improvvisamente Roma, Andrea cerca invano di dimenticarla passando con incredibile leggerezza attraverso altre avventure erotiche e vagheggiando nel medesimo tempo diversi amori. Rimasto ferito in duello, il giovane conte trascorre nella villa di Schifanoja una lunga convalescenza, durante la quale sembra ritrovare le sue risorse nell'Arte e nell'incontro con Maria Ferres che lo conquista con la squisitezza della sua sensibilità, la raffinatezza della sua educazione, la larghezza della sua cultura, alimentando l'illusione di un amore finalmente sano. Ma Andrea in cui la voce del volere è sempre soverchiata da quella degli istinti, una volta rientrato a Roma, è subito ripreso nel gran cerchio mondano, si rituffa nel Piacere, si getta nella vita come in una grande avventura senza scopo, alla ricerca del godimento, dell'occasione, dell'attimo felice, affidandosi al destino, alle vicende, al caso. A due anni dal primo incontro riappare Elena, ormai sposata per denaro con un ricco inglese; ella accetta di rivedere Andrea, ma lo rifiuta sprezzantemente. La passione per quella donna non più sua lo riavvolge nuovamente, i ricordi del possesso lo torturano. Esasperato per l'inganno e la menzogna, sembra trovare rifugio e consolazione nell'amore di Maria; ma in una morbosa complicazione, non fa che sfogare coscientemente su di lei la libidine che ancora gli desta il ricordo di Elena, giungendo a non poter più separare, nell'idea di voluttà, le due donne. Questo ambiguo ed equivoco rapporto viene troncato allorché Andrea, nel trasporto erotico con Maria, si lascia inconsciamente sfuggire il nome di Elena. Maria fugge sconvolta e abbandona definitivamente Andrea che resta solo nella stanza a gridare e a supplicare invano.


Il romanzo presenta alcune novità: Andrea Sperelli diventa il modello dell'estetismo decadente in Italia, aristocratico, raffinato, freddo, senza la tumultuosa e calda vita interiore dell'eroe romantico, individualista, teso solo al gusto del bello e del piacere, a fare della propria vita un'opera d'arte; la dimensione aristocratica del protagonista, passando attraverso il rifiuto della volgarità, della mediocrità e della bassezza del mondo moderno, si risolve in una posizione antidemocratica di dileggio verso il grigio diluvio democratico odierno che tante belle cose e rare, sommerge miseramente la sensualità istintiva e immediata della giovane produzione dannunziana che viene, nel romanzo, mediata psicologicamente (con un'analisi degli stati d'animo) e intellettualmente in un complicato gioco di conflitti estetici, erotici e spirituali della vicenda amorosa. Ardrea vive un rituale estetico-mondano che implica 'certi giochi voluttuosi, impiegandovi ora l'amante proterva e ora l'amante materna'; l'amore diviene allora artificio, intellettualistico e tortuoso esercizio di sovrapposizione psicologica delle due amanti. È una prima forma di superomismo estetizzante, di vivere inimitabile, che però si risolve, come nel romanzo di Huysmans, nella sconfitta e nell'inettitudine a vivere.L'esteta Andrea Sperelli è il simbolo dell'aridità morale e del vuoto interiore di un mondo elegante e corrotto, quello dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romana di 'fine de siecle', tuttavia D'Annunzio, pur intuendo la crisi di valori di questo mondo, di esso descrive solo gli aspetti esteriori, rifiutando di comprendere il senso profondo degli avvenimenti che incalzano e quindi di enunciare la censura morale di un modello di esistenza corrotta, condannata ineludibilmente a sfociare nel fallimento. L'autore non manca di sottolineare con frequenza i vari aspetti negativi della condotta di Andrea: '. l'ambiguità, la simulazione, la falsità, l'ipocrisia, tutte le forme di menzogna e della frode nella vita del sentimento, tutte aderivano al suo cuore come un vischio tenace', e tutta la sua debolezza era identificabile in una 'potenza volitiva debolissima'.Il Piacere quindi non è da interpretarsi solo come l'epopea dell'eroe decadente, poiché svela simultaneamente un risvolto di giudizio critico nei confronti del modello morale avallato dalla mitologia decadente. D'Annunzio si rende conto dell'intima debolezza della figura dell'esteta e della costruzione ideologica che essa presuppone perché non è in grado di opporsi realmente alla borghesia in ascesa. Egli avverte tutta la fragilità dell'esteta in un mondo lacerto da forze e conflitti così brutali: il suo isolamento sdegnato non è un privilegio ma sterilità ed impotenza, il culto della bellezza si trasforma in menzogna.


L 'estetismo entra allora in crisi, così D'Annunzio, soggiogato dal suo temperamento sensuale si indirizza verso una concezione super umana che avrebbe dovuto, in un certo senso, giustificare questo suo mondo irregolare, peccaminoso e tormentato della sua natura. Secondo il critico Carlo Salinari (che si rifà a presupposti metodologici marxisti) l'idea del superuomo non ha solo origine nella psicologia individuale di D'Annunzio, ma anche in un preciso terreno storico, negli atteggiamenti della classe dirigente e degli intellettuali di fine secolo, che a loro volta si inserivano in una data situazione sociale ed economica. Il superuomo dannunziano , al suo primo apparire, presenta alcune caratteristiche che potrebbero così riassumersi: culto dell'energia dominatrice sia che si manifesti come forza (e violenza)o come capacità di godimento o come bellezza; ricerca della propria tradizione storica nella civiltà pagana, greco-romana, e in quella rinascimentale; concezione aristocratica del mondo e conseguente disprezzo della massa, della plebe e del regime parlamentare che su di essa è fondato; l'idea di una missione di potenza e di grandezza della nazione italiana da realizzarsi soprattutto attraverso la gloria militare; giudizio totalmente negativo sull'Italia post-unitaria e necessità di energie nuove che la sollevino dal fango; concetto naturalistico, basato sul sangue e sulla stirpe ed altri elementi fisici, sia della nazione che del superuomo destinato a incarnarla e a guidarla. Bisogna riconoscere che questo superuomo non ha avuto molta fortuna presso i critici. È vero che esso è servito di pretesto alle esercitazioni encomiastiche e patriottiche di tanta parte della critica e della agiografia dannunziane, specie nel periodo fascista, ma è anche vero che proprio in quel periodo venne scoperto un nuovo profilo del poeta abruzzese meno eroico e solare, più intimo e discreto e notturno, congeniale insomma alle esperienze ed al gusto della nostra letteratura più recente. Nei momenti di stanchezza, in cui la tentazione superomistica si allenta e il poeta si ripiega su di sè e prende provvisoriamente coscienza del suo velleitarismo e sente 'dalle profonde viscere l'amarezza, con una nausea improvvisa, e rimane ad assaporarla con una specie di rassegnazione cupa'; allora si rifugia 'nelle memorie dell'infanzia, in un vacheggiamento non più panico ma nostalgico della natura, in una tristezza 'umana nutrita d'insoddisfatta delusione'; allora, in uno stile da taccuino, modesto e quasi nudo, eppure profondamente musicale, scrive le sue pagine più suggestive ed umane. È questo il D'Annunzio 'notturno', il descrittore sobrio di quei momenti che pure 'non sorgerebbero senza la presenza del superuomo, perché fanno parte integrante della dialettica della personalità dannunziana'. Questa la conclusione a cui è giunta la critica più avanzata del dopoguerra (soprattutto Croce, Gargiulo e Flora) Al contrario, oggi, la critica non considera più il superuomo una sorta di capriccio letterario, di sovrapposizione esterna, di astrazione intellettualistica, ma si accinge a una valutazione storica e scientifica dell'opera dannunziana; essa è portata ad esaminare da vicino gli elementi che lo compongono, per rendersi conto della loro reale portata nella personalità del D'Annunzio. Ed è messa sull'avviso dal fatto che lo scrittore abruzzese considerava apertamente questo periodo come il punto d'arrivo della sua evoluzione e dei suoi esperimenti precedenti, che il periodo superomistico non si esaurisce rapidamente come altri momenti ma abbraccia la totalità della produzione posteriore del Nostro, che a questo periodo appartengono, accanto ad opere definitivamente condannate, alcune opere che la critica, concordemente, è portata a salvare, anzi ad ammirare, che il superuomo non nasce isolato ma all'interno di un movimento che comprende le due riviste più importanti degli ultimi anni del secolo, il 'Convito' di Roma e il 'Marzocco' di Firenze, che esso corrisponde evidentemente ad orientamenti profondi dello spirito pubblico italiano del tempo e non a caso sorge in un momento di crisi acuta della società italiana, alla fine del governo di tipo autoritario instaurato da Crispi e alla vigilia della sconfitta di Adua. Dei vari elementi che concorrono a formare il superuomo è proprio quest'ultimo quello che maggiormente colpisce lo storico oggi: l'aderenza delle posizioni dannunziane ad atteggiamenti ch'erano venuti maturando in alcuni gruppi della classe dirigente e degli intellettuali nei decenni successivi all'unità d'Italia. È dunque in questo sviluppo della realtà italiana e di quella parte dello spirito pubblico che ad essa si opponeva e da essa veniva alimentato, è nell'intreccio dei sentimenti delle generazioni posteriori all'unità d'Italia, nella corruzione operatasi con le vicende della storia nostra ed europea dei grandi miti risorgimentali che possiamo ora riconoscere, senza sforzo, una delle componenti di quei motivi che stanno alla base del superuomo dannunziana : la potenza, la guerra, la gloria, il disprezzo per le plebi, la concezione aristocratica del mondo, l'idea di Roma e della missione dell'Italia, il culto della bellezza.


Suggestioni nietzscheane si mescolano con occasioni nazionalistiche e con il consueto estetismo della parola nel romanzo 'Il trionfo della morte' (1894); ma il manifesto del Superuomo dannunziano è il romanzo 'Le vergini delle rocce' (1896), dove il pensiero di Nietzsche, svuotato dei suoi motivi più profondi, è ridotto all'egotismo, al disprezzo della plebe e al compiacimento della violenza e della guerra. Dal messaggio politico delle 'Vergini delle rocce' si passa, con 'Il fuoco' (1900), al messaggio poetico de superuomo, che si intreccia con il motivo dello sfiorire della bellezza della Foscarina , sullo sfondo decadente di una Venezia autunnale. Il motivo del Superuomo domina anche nella prima produzione teatrale di D'Annunzio, da 'La città morta'(1898), una tragedia pervasa da un incubo oppressivo sullo sfondo di una 'Argolide sitibonda', a 'La gioconda'(1898) e 'La gloria' (1899). Ma l'esito più significativo di tale ideologia è costituito da 'Maia o Laus vitae' (1903), primo libro delle 'Laudi del Cielo del Mare della Terra e degli eroi': è un carme di 8400 versi, che narra il pellegrinaggio del poeta, moderno ulisside, in Grecia; nell'ispirazione panica del poema, l'esaltazione dell'Ellade si congiunge con la celebrazione della civiltà borghese e della macchine e con il disprezzo verso la 'sterile plebe'. la retorica politica pervade anche il secondo libro delle Laudi, 'Elettra'(1904), dove si celebrano, nell'ottica della 'romanità' , le 'città del silenzio' e gli eroi del pensiero, dell'azione e dell'arte, e si esalta la pace sociale.


Dai personaggi del poeta, protagonisti di tali opere, emerge chiaramente che il Superuomo è il dominatore di un mondo al di là del bene e del male, che l'istinto è la sola verità, che la morale è una menzogna, che il dominio è l'unica legge, che avvicinandosi alla belva l'uomo supera l'uomo, si accosta all'eroe .,e come dunque sia necessario oltrepassare l'umano, cioè andare oltre il cristianesimo che afferma la coscienza del male. Bisogna liberarsi insomma di quella etica, che vieta la lussuria, porre l'arbitrio di poter osare tutto ciò che risuona come piacere. Idee queste che ritroviamo espresse arbitrariamente nelle opere del D'Annunzio, attraverso lunghe dissertazioni dei suoi personaggi, che celano una tremenda aridità interiore, diremo del cuore, dal momento che il poeta e lo scrittore non riesce ad ammetterle nella sostanza viva di ciò che vorrebbe concretamente rappresentare. Fu questa, come è stata osservata, una via di uscita del poeta che credette di poter fare della morale eroica il proprio mondo come, per esempio, la mitologia greca fu il mondo di Omero e la dottrina cattolica costituì il mondo di Dante. Da questo modo eversivo di concepire l'esistenza a giustificare l'amoralità della lotta dei sensi, il poeta doveva prendere lo spunto non soltanto per modellare i suoi personaggi, ma anche per ricavarne un significato estetizzante che troveremo sparsamente in quasi tutta la sua produzione lirica del periodo maturo, che va dalla Laus Vitae, a Merope, ai Canti della guerra latina. Egli stesso, infatti, confessava : 'Io ho per temperamento, per istinto, il bisogno del superfluo L'educazione estetica del mio spirito mi trascina irresistibilmente al desiderio dell'acquisto di cose belle. Io avrei potuto benissimo vivere in una casa modesta, sedere in seggiole di Vienna, mangiare in piatti comuni, camminare su un tappeto di fabbrica nazionale, prendere il thè in una tazza di tre soldi, soffiarmi il naso con fazzoletti di due lire alla mezza dozzina, portare camicie di Schostall o di Longoni. Invece, fatalmente, ho voluto divani, stoffe preziose, tappeti della Persia, piatti giapponesi, bronzi, avori, ninnoli, tutte quelle cose inutili che io amo con una passione profonda e rovinosa.'.D'Annunzio, infatti, fu una presenza più che significativa nella società e nel costume del suo tempo: il 9 agosto 1918 gli abitanti di Vienna furono sottoposti ad un bombardamento aereo veramente singolare. Il cielo si coprì di fogli di carta dipinta con i colori della bandiera italiana, bianco, rosso, verde, erano volantini propagandistici il cui testo si apriva con parole veramente inusitate: 'Viennesi! Noi potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto'.


L'appello, che è un capolavoro di propaganda bellica, suona oggi proprio come un documento contemporaneo. 'Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne - lessero i viennesi - noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali.' Questa distinzione, in cui si insinuava che il governo era indegno del popolo che pretendeva di guidare, è diventata in seguito molto comune nei tentativi di provocare nell'opinione pubblica un malcontento di massa. A quei tempi era però qualcosa di nuovo, così come lo era l'eloquente chiusa del manifesto : 'ormai lo vedete, tutto il mondo si è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela. È il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali


prussiani? La loro decisiva è come il pane dell'Ucraina : si muore mordendolo.' I piloti che lanciarono il messaggio su Vienna avevano rischiato la vita solo per fare quello che in fin dei conti non era altro che un gesto eroico. Era un'impresa che si differenziava nettamente dalla maggior parte delle attività belliche della Grande Guerra, che, come si usa, fu una guerra senza eroi, un'anonima guerra di trincea in cui masse di soldati si massacravano a vicenda per piccoli lembi di territori, ma cui raramente il coraggio e l'eroismo individuale avevano occasione di manifestarsi. Gabriele D'Annunzio, autore del messaggio lanciato su Vienna il 9 agosto, e comandante dello squadrone che rischiò la vita per fare bella figura, fu un personaggio che sovrastò questo spettacolo dalla trincea. Il suo campo d'azione non si limitò al cielo, egli lanciò un'impronta anche in azioni navali e di terra.


Sia che si trattasse di bombardare dal cielo Trieste per due volte nella stessa giornata (prima con volantini, poi con bombe) o di andare all'assalto delle trincee austriache nel cuore della notte con pistole e pugnali e avvolto in uno svolazzante mantello, o di guidare motosiluranti nel bel mezzo della flotta austriaca all'ancora e di far saltare un caccia torpediniere nella baia di Buccali, D'Annunzio si conquistò la fama di essere grande poeta - soldato della guerra.


E tuttavia le sue azioni da grande soldato sono altrettante espressioni di un superomismo principale, velleitario. Di un velleitarismo alimentato nelle cose dal contrasto fra un'illusione storica propria dei vasti gruppi di intellettuali e la realtà italiana. Un velleitarismo che in D'Annunzio si nutre anche del contrasto tra l'infinito proiettarsi della sensualità e il suo soddisfacimento, fra la tensione dello stile e il raggiungimento dell'espressione. Questa sproporzione è, innanzi tutto, un fatto storico, reale, che si incarna nel nazionalismo passionale e retorico di cui Crispi fu la prima espressione politica. Ed è, inoltre, una caratteristica della sensualità dannunziana imprigionata in una spirale senza fine in cui il vagheggiamento di sempre nuove sensazioni supera continuamente il desiderio e mai lo appaga; è nella struttura intellettuale di D'Annunzio così povera (anche rispetto a Nietzsche) di ragioni ideali, di pathos morale, di polemica culturale. In lui di determina quel fenomeno che Lukacs considera caratteristico della letteratura decadente: lo smarrimento della differenziazione (nella categoria della possibilità) fra possibilità astratta e concreta. Così i suoi superuomini sono stranamente divisi fra l'altezza degli scopi che si propongono e l'incertezza di poterli raggiungere, fra la tensione spasmodica della volontà e un desiderio di tregua. Infatti al mito del superuomo è congiunta una speciale Weltanschauung, una certa concezione della vita: il D'Annunzio ricorse al Superuomo per formarsi un senso della vita, che sentiva mancargli. Egli non si contentava, come uomo, di essere un sensuale, senz'altro, o meglio solo una voce destinata ad esprimere particolarmente la vita del mondo fisico. Aveva bisogno di una più alta, più comprensiva, più larga concezione del mondo. Il Superuomo dannunziano sa che il mondo è il suo giardino, di cui egli può cogliere tutti i frutti: i frutti son proprio fatti apposta per lui, disposti per la soddisfazione del suo infinito desiderio. Così scrive, infatti, D'Annunzio: 'La vita è una specie di sensualità diffusa, una conoscenza offerta a tutti i sensi, una sostanza buona da fiutare, da palpare, da mangiare. Gli uomini di intelletto, educati al culto della bellezza, conservano sempre una specie di ordine, anche nelle peggiori depravazioni.'


Infatti il Superuomo dannunziano sa un'altra cosa (e in ciò si vede come il Nostro faceva una tradizione estetica del Superuomo nietzscheano, la più adatta alla sua indole): egli sa che la sua natura, tutto ciò che esiste, è fatto per essere configurato da lui in forme di bellezza, e l'opera del poeta continua quella della natura. Il Superuomo è onnipotente e non ha legami di sorta intorno a sè; il mondo in cui egli vive non è il nostro o simile al nostro; è una costruzione particolare in cui sono aboliti i rapporti delle cose; vi domina con l'antistoricità, l'astrazione, e l'arbitrio. L'unica armonia che il poeta avesse potuto recarvi dentro era una subordinazione d'ogni cosa al punto di vista del Superuomo stesso. Ecco perché Benedetto Croce affermava che un concorde giudizio nega l'umanità D'Annunzio e alla sua opera. Il critico abruzzese, infatti, così scrive: 'Il Flora, che ottimamente osserva come al D'Annunzio sia affatto ignoto il senso del peccato, e, d'altra parte, come la sua arte manchidi 'cordialità', di 'domestica intimità', e sia un'arte senza amicizia, non ha dubitato di tradurre la formula negativa dell'umanità di lui nel suo rovescio positivo, che è la presenza dell'animalità o bestialità.'


Alla radice della riserva crociana, o addirittura della disistima che la critica di ieri e di oggi suole generalmente avanzare nei riguardi dell'opera dannunziana, è anche la inadempiezza moralistica dello scrittore. Gabriele D'Annunzio sperimenta l'etica dell'intellettuale che ha esautorato i rapporti tra coscienza e realtà e intende vivere le possibilità della vita come altrettanti esperimenti di se stesso e prove incondizionate dell'inesausta capacità a tentarle e nel contempo a eluderle, a farne insieme un miraggio e una smentita, oggetto di brama e di ripudio, d'idolatria e di scetticismo. Il maleficio fascinoso del mondo dannunziano s'annida in quest'assiduo processo di contaminazione a cui risulta sottoposta l'esperienza umana. E, noi, invece, siamo soliti chiedere all'arte soluzioni decise e scelte responsabili. Essa dovrebbe darci la passione e la sua liberazione, la colpa e il suo riscatto. Gli scrittori ideali noi li vagheggiamo simili a Dante o a Manzoni. Essi, cioè, dovrebbero rappresentare il mondo reale nei suoi aspetti più obiettivi e più sconcertanti, magari come denunzia di verità tradite e di promesse mancate, ma con l'obbligo simultaneo di indicare una redenzione o una speranza metafisica. E se non lo fanno, cioè se non riescono a darci nella stessa pagina il veleno e l'antidoto, noi li definiamo 'decadenti', vale a dire vittime di se stessi e della loro debolezza. Gabriele D'Annunzio ha infranto ostentatamente questa garanzia, cercando di far convivere la sofferenza all'egoismo, l'intimità nell'ambizione estetica, la purezza nel vizio, la fiducia e l'esaltazione nella dichiarata o sottintesa abulia del vivere, e ancora, il raro nel volgare, l'oblio nel velleitarismo, l'innocenza nella raffinatezza, la semplicità nella barocca complicatezza. Alla fine l'arte del D'annunzio, tanto nella lirica, quanto nella narrativa, arriva a disporsi in una prospettiva che può risultare contraddittoria, e meglio si direbbe ambigua, come quella che ha presunto di costruire una realtà con la segreta intenzione di demolirla, d'istituire un costume per vederlo immediatamente dissolto, di edificare una coscienza armata e sovrastante eppure intrinsecamente passiva e fatalmente fallimentare.


In effetti nella visione umana (che si concretizza sulla strada del nichilismo nietzscheano) ed artistica di D'Annunzio è rilevabile una sostanziale debolezza ideologica, unitamente alla mancanza di un'autentica profondità interiore.


La scoperta di Nietzsche costituisce per il Nostro la conclusione quasi necessaria di tutta la sua avventura estetica. Si potrebbe persino dire che il suo nietzscheanesimo preesiste, come un fatto istintivo, alla conoscenza del filosofo e delle sue opere. Come ammette del resto lo stesso D'Annunzio, le concordanze del pensiero nietzscheano derivano 'dal fondo della sua natura' e si trovano già 'in germe' nel libro della sua adolescenza. Ma allorché si riconosce che l'esperienza del Superuomo dà al D'Annunzio la rivelazione definitiva di se stesso, e in modo tale poi che sarà impossibile, anche nei momenti della poesia vera, distinguere le immagini della sua umanità sensuale dal segno di Zarathustra, occorre pure precisare che la lezione di Nietzsche non si esaurisce in un manifesto di deliri aristocratici e di titanismi teatrali. Lo scrittore del 'Fuoco' rimane estraneo alla tragicità metafisica della 'gaia scienza', quantunque la rivendichi anche per sè; ma ricava però da Nietzsche, rivendicandola nella forma più immediata e carnale, la certezza di una natura che è semplice divenire, flusso e riflusso di una materia perenne abitata dal nulla. ed è una percezione, questa, che non abbandonerà mai il D'Annunzio, dal 'Trionfo della morte', dove si proclama con Eraclito in cui 'le cose passano dalla nascita all'essere visibile e quindi al non essere' con un 'movimento senza principio e senza fine', in un continuo processo di formazione e di trasformazione, al 'Libro segreto', c'è, accantonata la maschera della finzione romanzesca, conclude: 'la vita conosce un solo destino, esercita un solo ufficio: è soltanto intesa a perpetuarsi e a maturarsi. Non v'è scopo, non v'è meta, non fine è nell'Universo; e non v'è Dio'. Anche nel D'Annunzio, insomma, alle radici stesse della sua esaltazione della vita, una disposizione nichilistica, la quale non può trascendere se stessa se non trasfigurando la realtà dell'istante in un'apparenza assoluta; e ciò spiega perchè, indipendentemente dalle sue dichiarazioni programmatiche, che puntano se mai sugli aspetti più chiassosi del nietzscheanesimo e sulla loro degradazione a mistica politica, egli si trova di fatto d'accordo con il profeta di Zarathustra nell'attribuire all'arte, una volta scomparso ogni residuo di mondo soprasensibile, il ruolo unico di uno stimolo vitale, che si afferma come valore supremo dell'uomo. Così l'atto poetico, eretto sulla coscienza più o meno chiara del nulla, crea alla volontà un sistema di forme possibili, a partire dalle quali la 'volontà di potenza' si libera solo verso se stessa. D'altro canto, allorchè si ragiona della poesia dannunziana, il pensiero di Nietzsche può servire al lettore di oggi non solo per individuare le matrici profonde di una letteratura che si converte in azione perchè non esiste nulla al di fuori di essa, ma anche per coglierne certe strutture fondamentali, certi modi di essere. Ha scritto Nietzsche in un frammento dell'opera postuma che va sotto il nome di Wille zur Macht, che l'arte o nasce dall'insoddisfazione verso il reale o l'espressione di gratitudine per una gioia fruita: nel primo caso si ha il Romanticismo, cioè il sogno; nel secondo, il ditirambo, l'apoteosi. Ebbene, l'indicazione può subito essere applicate al mondo lirico del D'Annunzio, dove i due momenti, poi, risultano come fusi insieme, unificati dalla ricerca di un mito da riscoprire e da celebrare nella purezza di una natura che restituisca alla sensazione la sua fluidità, la sua forza di incanto primitivo e di contatto magico. C'è da aggiungere, però, che il mito dannunziano, ove non si risolva in un'astratta declamazione di fantasmagorie verbali, rimane sempre un tentativo intimamente problematico, anche se gioioso, di trasferire la coscienza moderna, riducendola ad acre energia animale, in una presenza sciolta dal tempo: i gesti antichi riemergono come modelli di un'altra vita ed insinuano nella memoria una suggestione ritmica, un'ebbrezza che tiene un po' del rito, sino a creare come è detto nel 'Fuoco', ' una rispondenza ideale tra le nostre anime e una qualche cosa terrena, in modo che a poco a poco questa impregnandosi della nostra assenza e magnificandosi della nostra illusioneassume quasi una figura di mistero'. Il mito confina anche, così, con il gioco, risvegliando un 'demone mimetico' di cui, si badi bene, il D'Annunzio è ben consapevole.


Ma analizziamo ora, più da vicino, la figura nietzscheana:


IL SUPERUOMO


Il Superuomo, che caratterizza lo sbocco finale, la parola conclusiva del pensiero di Nietzsche, affonda, secondo alcuni filosofi, le proprie radici nel darwinismo, liberamente interpretato dal nostro autore. Il Superuomo viene, infatti, concepito come il frutto più alto dell'evoluzione, l'esponente più elevato della specie umana, formatosi attraverso la lotta per l'esistenza: lotta che porta necessariamente alla vittoria del più forte contro gli inetti, contro i deboli e gli impotenti. Il Superuomo esprime il progetto di un nuovo essere qualificato da una serie di caratteristiche, che emergono oggettivamente dall' opera nietzscheana: egli è colui che è in grado di accettare la vita, vincere le repressioni morali e sociali, superare le contraddizioni e le lacerazioni in cui è costretto da tutta una tradizione di pensiero idealistica e cristiana, operare una trasmutazione di valori che rifiuti ogni giustificazione della vita che non venga dalla vita stessa, reggere la morte di Dio, presenza invadente ed ossessiva, guardare in faccia alla realtà al di la delle illusioni metafisiche, cioè con la libertà e la creatività che un cosmo di valori già fissati gli negava, vivere e superare l'eterno ritorno e porsi come volontà di potenza. Da ciò emerge la visione del Superuomo in una prospettiva futura, tant'è vero che la traduzione del termine tedesco 'Ubermensch' può essere resa anche con 'oltre-uomo'.


La teoria, o meglio il mito, del Superuomo è presentato da Nietzsche nel suo scritto più importante, 'Così parlò Zarathustra' in cui è narrata l'auspicata trasformazione dell'uomo in Superuomo. Zarathustra, antico filosofo persiano vissuto nel VII secolo a.C., e fondatore dell'antica religione precristiana, diventa, nella trasfigurazione compiutane da Nietzsche, il profeta del Superuomo. Egli, infatti, dopo un lungo periodo di solitaria meditazione, si reca nella città più vicina ed aiuta l'uomo a liberarsi dai legami che lo tengono avvinto alla 'preistoria', annunciando un nuovo messaggio:


'Io vi insegnerò cos'è il Superuomo.L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto per superarlo?


Tutti gli esseri fino ad oggi hanno creato qualcosa che andava al di là di loro stessi: e voi invece volete essere la bassa marea di questa grande ondata e tornare ad esser bestie piuttosto che superare l'uomo?


Che cos'è la scimmia per l'uomo? Qualcosa che fa ridere, oppure suscita un doloroso senso di vergogna. La stessa cosa sarà quindi l'uomo per il Superuomo: un motivo di risa o di dolorosa vergogna.


Avete percorso il cammino del verme dell'uomo, ma in voi c'è ancora molto del verme. Una volta eravate scimmie, e anche adesso l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia del mondo.


Ma anche il più saggio di voi non è che un essere ibrido, qualcosa di mezzo fra la pianta e lo spettro. È questo forse ch'io vi comando di essere? Fantasmi o piante?


Guardate, io invece vi insegno a diventare Superuomini!


Il Superuomo, ecco il vero senso della terra. La vostra volontà quindi dica: il Superuomo diventi il senso della terra.


Vi scongiuro, o fratelli, siate fedeli alla terra e non credete a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Essi sono dei manipolatori di veleni, sia che lo sappiano, o no .


Sono degli spregiatori della vita, dei moribondi, degli intossicati dei quali la terra è stanca: se ne vadano in pace!


Una volta il peccato contro Dio era il peggiore sacrilegio; ma Dio è morto, e perciò sono morti anche questi esseri sacrileghi. Peccare contro la terra, ecco la cosa più terribile che si può fare oggi; stimare di più le viscere dell'imperscrutabile che non il senso della terra!


Un tempo l'anima guardava con disprezzo al corpo: e allora questo disprezzo era la cosa più alta: essa voleva che fosse magro, affamato, orribile. Così pensava di sfuggire a lui e alla terra.


Oh, quell'anima era essa stessa orribile, magra, affamata: e la gioia di quell'anima era la crudeltà!


Ma anche voi, fratelli miei, ditemi: che cosa vi dice il corpo a proposito di questa vostra anima? Non è essa povertà, sporcizia e un miserabile benessere?


In verità, l'anima è un sudicio fiume. Bisogna essere un mare per accogliere in sé un sudicio fiume senza diventare impuri.


Ecco, io vi insegnerò a diventare Superuomini; il Superuomo è appunto quel mare, in cui si può perdere il vostro grande disprezzo.


Qual'è la cosa maggiore che può toccarvi? È l'ora del grande disprezzo. L'ora in cui anche la vostra felicità vi ripugnerà, come pure la vostra ragione e la vostra virtù.


L'ora in cui: 'Che importa la mia felicità? Essa è povertà e sudiciume e misera soddisfazione di sè. Eppure la mia felicità doveva giustificare la sua esistenza!'


L'ora in cui mi direte: 'Che importa la mia ragione? È essa avida di scienza come di cibo il leone? Essa è povertà e sudiciume e misero appagamento di sè'.


L'ora in cui direte: 'Che importa la mia virtù? Ancora non mi ha reso demente. Come son stanco del mio bene e del mio male! Tutto ciò è povertà e sudiciume e misero a pagamento di sè'.


L' ora in cui direte : ' Che importa la mia giustizia? Non mi accorgo di essere un carbone ardente. Ma il giusto è un carbone ardente!'.


L' ora in cui direte : ' Che importa la mia compassione? La compassione non è forse la croce a cui è inchiodato colui che ama gli uomini? Passione non è forse la croce a cui è inchiodato colui che ama gli uomini? Ma la mia compassione non è crocifissione'.


Parlaste già così? Gridaste già così? Ah, vi avessi io già udito parlare così!


Non il vostro peccato, la vostra rassegnaqzione grida al cielo, la vostra parsimonia anche nel peccato grida al cielo!


Dov' è il lampo che vi lambisca con la sua lingua? Dove la demenza che bisognerebbe inocularvi?


Vedete io vi rivelo il Superuomo : egli è questo lampo, è questa demenza!


L' uomo è una corda tesa tra l' animale e il superuomo, una corda al di sopra di un precipizio'.


La difficoltà che si incontra nell'interpretazione di tale passo, come per tutto il resto delle sue opere, nasce dal fatto che la speculazione di Nietzsche non si basa su analisi e costruzioni razionali, ma è anzi un 'pensare selvaggio', indomito nei confronti di alcuna razionalità. Deriva da un ambito, che, dall'immediatezza dell'esperienza, coglie profonde intuizioni e le elabora in un linguaggio mitico e poetico. Zarathustra esprime e definisce qualcosa che è oltre l'uomo e che tuttavia è proprio dell'uomo.Che sia oltre l'uomo, significa spesso che l'uomo viene distanziato con disprezzo dal Superuomo: l'uomo, nella sua essenza, e in particolare l'uomo così com'è nella sua realtà attuale, è, secondo la prospettiva del Superuomo, un sottouomo, al di sotto della sua misura. Il confronto con la scimmia non deve far pensare che Nietzsche aderisca all'evoluzionismo e creda che il Superuomo sarà il prodotto di un'evoluzione della specie umana. Al contrario, egli ritiene che vi sia stata una lunga decadenza dell'uomo e il confronto serve semplicemente di sprone all'uomo. Il senso di vergogna di cui parla Zarathustra indica che l'uomo comune, quello che si vede sulla piazza, appartiene in qualche modo al Superuomo. Il rapporto quindi tra uomo e Superuomo non è soltanto negativo: l'uomo, nella sua ridicolezza, fa parte del Superuomo, ma in modo tale che se ne vergogna. Ma anche il Superuomo fa parte dell'uomo. Egli si può e si deve portare alla luce. Egli è 'la folgore della nube oscura chiamata uomo'. Il Superuomo è, però, ancora ben lontano dato che il più saggio degli uomini è paragonabile ad un ibrido tra una pianta e uno spettro, cioè devia verso il disumano, visto nell'insensibilità (la pianta) e nella fuga nell'irreale (lo spettro). Zarathustra si propone di far nascere questo 'homo novus', nel quale confluiscono il superamento dell'uomo e l'affermazione dell'uomo fedele all'impegno. La 'terra' indica tutto ciò che ha fatto percepire all'uomo l'appello all'impegno. Resta tuttavia vincere il sospetto che la terra stessa costituisca una zona di rifugio rispetto ad un ambito più impegnativo, il 'sopraterreno' appunto. Diventa allora importante per Nietzsche chiarire che il Superuomo, nella sua armonia di oltrepassamento dell'umano e di fedeltà alla terra, apre un orizzonte che è in grado di smascherare immediatamente i tentativi di limitarlo. Il disprezzo per l'uomo è suscitato dallo stesso disprezzo che tale uomo ha per le proprie capacità; si tratta infatti di un uomo che si lascia condizionare da tutto ciò che limita prospetticamente la sua potenza. Il primo dei condizionamenti che Nietzsche elenca li comprende potenzialmente tutti: una felicità che nasce dalla limitazione del proprio compito può ben essere giudicata qualcosa di 'miserabile'; si tratta di un auto impoverimento, reso possibile da un autoaccecamento circa il valore della vita. La felicità può essere tale solo se nulla della realtà la rende infelice, solo se essa è in grado di dare un senso positivo ad ogni cosa, di 'giustificarla'. Non si tratta di ridurre il mondo alla propria misura, ma di rendere se stessi capaci di misurare effettivamente il mondo alla propria misura, a nulla rinunciando e nulla giudicando dualisticamente indegno di esistere. Il Superuomo è il mare che può accogliere e purificare il fiume immondo, non perché sia dotato di una superiore capacità, ma semplicemente perché toglie l'alienazione che rende immondo l'uomo. La vittoria sulla tentazione rinunciataria non può avvenire per gradi; è in gioco la radicalità dell'uomo, che può essere rifiutata o accolta. Il Superuomo è il fulmine che risolve d'un sol colpo le tensioni accumulate dai comportamenti evasivi. Nietzsche associa l'immagine del fulmine a quella della demenza, che qui sta ad indicare che il Superuomo introduce una logica completamente estranea alla mentalità rinunciataria. I verbi che sono usati per il fulmine (lecken) e per la demenza (geimpfen) denotano che il Superuomo non è una meta sublime e lontana, ma un'iniziativa che incalza dall'interno e dall'esterno l'uomo rinunciatario, non lasciandogli ulteriori motivazioni per sottrarsi all'impegno, costringendolo all'alternativa fra l'autodisprezzo e il rischio integrale per la grandezza. L'uomo deve intraprendere il pericoloso passaggio al di là dei propri condizionamenti prospettici, oppure resterà definitivamente schiavo di questi. 'La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che sia una transizione e un tramonto.' Il Superuomo è il filosofo dell'avvenire. Gli 'operai della filosofia', come Hegel, non sono veri filosofi. I veri filosofi sono dominatori e legislatori: dicono 'così deve essere', prestabiliscono la meta dell'uomo e per far ciò utizzano i lavori preparatori di tutti gli operai della filosofia e di tutti i dominatori del passato. 'Essi spingono nell'avvenire la mano creatrice e tutto ciò che è e fu diventa per loro un mezzo, uno strumento, un martello. Il loro conoscere equivale a creare, il loro creare a legiferare, il loro volere la verità a volere la potenza'. Essi hanno virtù che non hanno niente a che fare con quelle degli altri, possono sopportare la verità, l'intera e crudele verità sulla vita e sul mondo; e così possono accettare veramente la vita e il mondo.


IL SUPERUOMO ED IL NAZISMO:


Il mito del Superuomo, nella prima metà del secolo scorso, non affascina solo l'ambiente letterario, ma anche quello politico, anche se le questioni di tale ambiente rimangono estranee al filosofo, dato che il nazionalismo per lui è un punto di vista troppo angusto. Egli è toccato solo da una questione che è già stata messa in gioco nel suo tempo e particolarmente in Germania: l'antisemitismo. Il suo rifiuto energico, spesso direttamente astioso di questo movimento, che determinò la rottura perfino con l'unica sorella, le sue numerose conoscenze ebree, ci fanno oggi apparire completamente incomprensibile il fatto che la Germania razzista del 1933 potesse esaltare proprio Nietzsche come 'suo' filosofo. E ancor più grottesco si fa poi la storia, quando si viene a sapere che l'archivio nietzschiano di Weimar, temporaneamente covo ideologico di questa idea di Stato, era stato fondato con capitali ebrei!


L'interpretazione nazista di Nietzsche, che ha trovato la più emblematica espressione nel libro di Alfred Baeumler ' Nietzsche, il filofoso e il politico' (1931), è stata facilitata da una singolare vicenda filologica, consistente nel fatto che la sorella, Elisabeh Forster-Nietzsche, nel desiderio di fare del fratello il teorico di una palingenesi reazionaria dell'umanità, non esitò, dopo essersi impadronita degli inediti, a manipolare i testi del filosofo, pubblicando nel 1906 la 'Volontà di potenza' nella quale il pensiero di Nietzsche assume quella fisionomia anti-umanitaria ed anti-democratica sulla quale farà leva la lettura nazista.


Nella cultura tedesca tra le due guerra, Baeumler gioca un ruolo di primo piano. Egli può essere considerato il filosofo classico della cultura di quel tempo, anzi, il maestro cui si rifanno molti intellettuali del partito nazionalsocialista. Come esprime lo stesso titolo della sua opera, Baeumler sostiene la tesi che Nietzsche sarebbe a un tempo filosofo e politico; non a caso lo studio si divide in due parti fondamentali, rispettivamente intitolate 'Nietzsche filosofo' e 'Nietzsche politico', che sono tra loro strettamenta unite. Con ciò Baeumler vuole sottolineare che nel pensiero nietzschiano non si può distinguere il momento teorico da quello pratico. Tale unità inscindibile tra teoria e prassi viene messa particolarmente in evidenza nella seconda parte del suo studio, quando considera Nietzsche come un 'pensatore esistenziale', la sua tematica culturale non si esaurisce nelle polemiche che egli conduce in tutti i suoi scritti nei confronti della cultura del suo tempo, ma è sorretta da un'impostazione metafisica che si esprime nella sua dottrina della volontà di potenza. L'opera che va sotto la denominazione di 'Volontà di potenza', secondo Baeumler, rappresenta il complesso dei pensieri postumi del filosofo, collegati tra loro secondo una interna coerenza; essi presentano un pensare che ci richiama da vicino quello eracliteo. Considerare uomo e mondo secondo una concezione eraclitea significa considerarli in un continuo divenire che come tale non può mai esaurirsi. Tale concezione filosofica prende il nome di 'realismo eroico'. Così le due espressioni 'pensiero esistenziale' e 'realismo eroico' sono in fondo affini e intendono mettere in luce un filosofare eracliteo come continuo superamento, anzi, come continua lotta. Ora, proprio il concetto di lotta (Kampf), inteso appunto in senso metafisico porta Baeumler a cogliere l'unità del filosofare nietzschiano nei due momenti indissolubili, quello teorico e quello pratico. In altre parole, il concetto metafisico di lotta presenta il terreno comune tra filosofia e politica. si può così dire che Nietzsche è filosofo in quanto è politico o, che è lo stesso, è politico in quanto è filosofo. Così riceve un senso nuovo l'individualismo nietzscheano, dato che l'essenza dell'individuo può realizzarsi solo in una dimensione politica che trova la sua espressione ultima nella concezione dello stato. Lo stato riceve in tal modo una sua configurazione metafisica, anzi, si rivela come l'espressione ultima del filosofare eroico o del filosofare esistenziale.Baeumler è convinto che, sebbene non si possa dedurre dagli scritti di Nietzsche una dottrina sullo stato, tuttavia le sue riflessioni aprono la via per una nuova dottrina su di esso. D'altra parte, è pure convinzione di Baeumler che il ben noto individualismo nietzscheano non eslude un suo legame intrinseco con lo stato. Infatti, se Nietzsche parla di individuo, egli intende alludere soltanto alla superiorità dello spirito e non già a una dimensione anarchica dell'individuo. Anzi, Baeumler ritiene che sia possibile mettere in luce nel pensiero di Nietzsche un terreno comune tra questa concezione dell'individuo come superiorità dello spirito e la dimensione del collettivo a partire dalla tematica del corpo che è centrale nel filosofare nietzscheano. Non occorre far notare che per Baeumler il terreno del collettivo nel quale si radica il momento di individualità non è tanto un vago concetto di umanità quanto un'unità concreta, come può essere una razza, un popolo o uno stato. Del resto Baeumler è di avviso che chi pensa secondo l'angolo visivo del corpo, non può essere un individualista nel senso negativo del termine. D'altra parte, il singolo batte il cammino della grandezza solo quando partecipa delle tensioni che hanno luogo tra le unità storiche del mondo. Sotto questo aspetto si può vedere come il momento filosofico incominci a prendere forma proprio in quello pratico che, come detto, trova nel concetto di stato l'espressione filosofica più alta. Ora, se si tiene presente tale filosofare eroico o filosofare esistenziale, assume un suo preciso significato, la concezione del Superuomo che non sarebbe altro, secondo Baeumler, che un'espressione per denotare tutto ciò che è eroico nel puro concetto terrestre. Zarathustra sarebbe proprio colui che annuncia tale pensiero esistenziale ed eroico a un tempo. Questo spiega perchè Baeumler faccia di continuo presente che con la sua interpretazione egli intende porsi decisamente in polemica con quella interpretazione che egli denomina dionisiaca e che è purtroppo predominante nei primi decenni del secolo. Baeumler è convinto che ponendo in primo piano la componente dionisiaca che è senza dubbio presente in Nietzsche, ci si espone al pericolo che rimanga in realtà coperta la dimensione autentica del suo filosofare. Nietzsche è in primo luogo amico dei Greci ed è scolaro di Eraclito e non già di Dioniso. Senza dubbio, proprio questa interpretazione del Superuomo porta Baeumler alla convinzione che il pensiero dell'eterno ritorno non può rientrare nell'ambito del filosofare nietzscheano che è dominato da una interna coerenza. Questa è data proprio dal carattere eracliteo del mondo. Di qui la conclusione che la concezione dell'eterno ritorno, che sostiene una concezione dionisiaca del reale, si trova in opposizione alla concezione eraclitea e perciò non può rientrare nel pensare unitario tipico della problematica nietzscheana. In fondo, la concezione dell'eterno ritorno può essere considerata come concezione di un'esperienza personale e non può quindi essere inserita nel contesto oggettivo di un sistema unitario e coerente come è appunto quello nietzscheano. Quindi il rapporto tra la dimensione dell'eterno ritorno e quella della volontà di potenza è soltanto un rapporto esterno e non già interno. L'eterno ritorno non rientra nell'ambito dell'accadere dell'essere. Si può dire pertanto che la concezione dell'eterno ritorno è a livello religioso, mentre quella della volontà di potenza è a livello filosofico. Questo comporta che la concezione dell'eterno ritorno non può più rientrare nella problematica della verità, che ha luogo soltanto su un terreno strettamente filosofico come quello della volontà di potenza. Nell'eterno ritorno domina la dimensione dell'amore, mentre nella volontà di potenza domina l'opposizione, la divisione, la lotta, che sono momenti tipici della dimensione eraclitea. Nietzsche ha voluto in tal modo delineare l'immagine di un filosofo aperto al rischio, il quale ha il coraggio di opporsi al filosofare sognatore, chiuso in una realtà religiosa e mistica che rappresenta appunto la realtà del dionisiaco.


Secondo Baeumler, inoltre, la dimensione politica del pensiero di Nietzsche ha anche una valenza storica. Il filosofo fa propria la tematica nietzscheana del destino, la forza che agisce nella storia sarebbe in fondo solo quella del destino e non già quella del singolo essere umano. Secondo questo modo di considerare il reale, le azioni sarebbero momenti accidentali a servizio di un'idea. Ciò porta però alla conseguenza che viene offuscato il fondamento ultimo della stessa azione. In fondo, Baeumler vuole mettere in guardia il tedesco da quella visione storica secondo la quale le singole rivoluzioni che ci sono state in Germania non avrebbero fatto altro che preparare ciò che nella cultura del suo tempo viene riconosciuta come 'la rivoluzione tedesca'. A suo avviso non ha senso enumerare i motivi che hanno concorso al successo di queste rivoluzioni, poichè ciò significherebbe scambiare la fisiologia con la politica. È fondamentale, per capire il pensiero di Baeumler a riguardo, tener presente che nel terreno nietzschiano della tematica politica non si deve distinguere il piano della possibilità dal piano della realtà. Questo implica che si deve finalmente superare la concezione di una idea che agisce sulla storia non solo sul piano puramente teoretico ma pure su quello pratico. La rivoluzione autentica non è frutto di una pura somma di azioni ma è qualche cosa di più profondo che secondo Baeumler sarebbe dato da una forza misteriosa che sin dai tempi antichi è conosciuta come destino. Solo in forza di questo si può parlare di autentica unità. Il momento di unità non segue l'azione ma è ciò che la precede. È determinante quindi il momento di anticipazione che ha luogo in una dimensione di decisione che sfugge alla comprensione del singolo. Il momento profondo di tale unità non è però a livello di pura idea ma soltanto a livello di un'esistere fattuale. Così, l'azione storica non è il momento particolare che deve essere realizzato nell'ambito di un orizzonte più generale, ma è quella sua realizzazione fattuale il segno di una forza misteriosa che è in sè dominata dalla legge della necessità.


Secondo Baeumler, Hitler non ha criticato la Repubblica di Weimar con argomenti a livello teorico, ma la sua stessa azione in quanto azione storica si pone come critica a tutto l'apparato culturale che sosteneva la concezione di una simile repubblica. In altre parole, la legittimità dell'azione di Hitler è da cogliersi solo nel fatto della sua azione. Agli occhi della borghesia ciò doveva essere considerato come una mostruosità. Però proprio tale carattere di mostruosità sarebbe tipico di chi agisce. Il popolo tedesco deve pertanto, secondo Baeumler, divenire cosciente della grandezza delle singole azioni del Fuhrer, anche se queste hanno un simile carattere di mostruosità. Questo momento è del resto contenuto nella dimensione esistenziale di decisione, che supera il puro piano individuale per rivelarsi come decisione del destino. Nella decisione non c'è fiducia in un particolare svolgimento di un'azione considerata in un contesto più ampio, ma c'è solo la fiducia nell'azione per se stessa. Il rapporto di chi compie l'azione si conclude solo con la propria decisione che fa tutt'uno con l'orizzonte del destino. Perciò, secondo Baeumler, le azioni di Hitler ricevono il loro senso profondo nel loro contesto politico come azioni in rapporto con l'orizzonte del destino. Si tratta di azioni del tutto particolari che superano il piano etico, dato che ricevono il loro senso ultimo soltanto dalla realtà della decisione. Queste considerazioni ci mostrano il momento di fondo in forza del quale è possibile distinguere l'azione politica dall'azione non-politica. Pertanto, l'azione diventa politica solo perchè si trova in rapporto con la dimensione del destino. Si deve pure precisare che solo così tale azione politica diventa un'azione storica. Inoltre il momento storico determinante acquista la dimensione di grandezza solo se mantiene la sua carica esistenziale originaria della quale è il sigillo vivente. Ciò implica il problema di un'educazione autenticamente politica. Si capisce così perchè Baeumler dica che l'autentica educazione politica per il popolo tedesco consiste nel tener lo sguardo aperto alla misteriosa forza del destino. In tal modo, Baeumler mette in rilievo un rapporto intrinseco tra la sua posizione dell'essere nietzscheano come volontà di potenza, con la concezione politica del nazionalsocialismo. O meglio, Baeumler intende dare a tale concezione un fondamento filosofico, anche se riconosce i limiti profondi della problematica nietzscheana nell'ambito di tale cultura: in Nietzsche il concetto di vita non viene inteso in modo univoco in chiave biologica di razza.


Nell'ambito del nazionalsocialismo un altro interprete del pensiero di Nietzsche è Oehler. Egli vede nel filosofo il momento culminante di tutta l'anima tedesca che nel corso della storia tende nostalgicamente a realizzare il sogno romantico di grandezza di tutto un popolo, che diventa realtà solo grazie a Hitler. Purtroppo Oehler è affascinato dalla figura di Hitler in modo tale che talvolta arriva ad offuscare la stessa figura del filosofo. Così, Hitler viene considerato non solo come uomo d'eccezione per le sue qualità personali, ma soprattutto come uomo del destino,il cui compito sarebbe proprio quello di realizzare la missione storica del popolo tedesco. Hitler diventa la più autentica realizzazione storica del Superuomo nitzscheano.


Ciò spiega perché Oehler intrecci di continuo alla tematica di Nietzsche dei brani presi dall'opera Mein Kampf di Hitler. L'interpretazione nazista del filosofo trova una sua giustificazione anche nella critica nietzscheana del popolo tedesco e della Germania: secondo Oehler, infatti, egli critica solo la cultura tedesca del suo tempo, poichè la struttura dello stato è molto lontana dal creare ciò che solo il Terzo Reich stava creando; inoltre, il filosofo si mostra contro la democrazia perchè essa rivela un triste livellamento dei più autentici valori della persona. La democrazia rappresenta la perdita della fede nei confronti dell'uomo grande. Di conseguenza, tale forma di stato porta al nichilismo, la cui espressione storica più oggettiva sarebbe data dal marxismo. Pertanto nella sua lotta contro il marxismo Hitler può considerarsi il Superuomo capace di superare il fenomeno culturale del nichilismo.


Molto nota è anche un'altra interpretazione del pensiero nietzscheano, fornita da Walther Spethmann, e che considera il Superuomo non soltanto sotto l'aspetto politico, ma addirittura sotto l'aspetto famigerato dell'igiene della razza. Secondo lui la cultura politica doveva ricevere il suo significato e quindi la sua ultima giustificazione solo dal potere, o più esattamente solo da coloro che via via si succedevano nell'affermazione del potere. Spethmann difende Nietzsce dalle accuse di follia e di ateismo affermando che se il filosofo si mostra critico nei confronti della Chiesa cristiana, lo fa perché vede in essa uno strumento politico, dato che la Chiesa pretende di ridurre tutti gli uomini alla stesso livello di eguaglianza. La dottrina del Superuomo e quindi la distinzione tra signori e schiavi viene letta alla luce della dottrina del nazionalsocialismo come eliminazione dei malati e dei deboli per la formazione di una razza superiore che deve dominare su altri popoli. Anzi, Spethmann si rifà eslicitamente a Hitler come a quelli cui é dato il compito di formare una razza pura che deve coincidere con quella autenticamente germanica. Anche Muller-Rathenow interpreta la figura di Hitler come nuova espressione storica del Superuomo: per Hitler, come Fuhrer destinato da Dio, é determinante, come nel Superuomo nietzscheano, la volontà di potenza intesa come forza che non ha altro scopo che quello dell'ebbrezza dionisiaca dell'atto continuo di forza.


Tutte queste riflessioni essenzialmente di natura politica sulla dimensione del Superuomo nietzscheano mostrano come l'ambiguità e talvolta la scarsa chiarezza della concezione del filosofo abbiano condotto gli esponenti dell'ideologia nazista ad usufruire del suo pensiero, in realtà esente da ogni carattere politico, per giustificare una cultura che prevede come fine ultimo la conquista del potere assoluto e l'ideologia di un uomo, che è stato per l'Europa come la nube che porta con sè la folgore:Hitler.


ADOLF HITLER


Figlio di un doganiere austriaco,trascorre l'adolescenza e i primi anni di gioventù (fino a 23 anni) a Vienna, città in cui una delle caratteristiche della vita politica nei primi anni del Novecento è l'antisemitismo. Fino al secolo precedente, come scrive Heiden, era stato un atteggiamento particolare dell'alta classe nobiliare: 'Gli intellettuali ebrei avevano dato un contributo di primo piano all'abbattimento delle barriere di classe frapposte dal feudalesimo, e così erano diventati come il simbolo dell'emancipazione borghese'. Quindi 'eccessiva' era ritenuta l'influenza della cultura ebraica nel commercio e nelle industrie, soprattutto nel giornalismo e nella letteratura. 'Nell'incerto miscuglio di razze tipico dell'impero austriaco, gli ebrei non erano assimilati da nessuna nazione: si era formata in pratica una classe intermedia autonoma, per la maggior parte proletaria ma con punte benestanti, invidiate e vituperate'. Nel giro di non molti anni, però, la polemica antisemita si era tanto allargata da diventare ora un elemento di agitazione e propaganda anche per alcuni grossi movimenti di massa, popolari e piccolo borghesi: in primo luogo il Partito nazionalista di Georg Von Schonerer e il Partito cristiano-sociale di Karl Lueger, sindaco della capitale. In tale clima culturale Hitler diventa gradualmente antisemita, infatti, nel Mein Kampf afferma: 'A Linz c'erano pochi ebrei. Con il passare del tempo si erano europeizzati, il loro aspetto divenuto umano: sì, per me erano come i tedeschi. L'unica differenza che notavo era la loro confessione religiosa, e il fatto che fossero perseguitati per questo mi faceva arrabbiareDue anni dopo, a Vienna, risolsi razionalmente il problemaGiravo un giorno per il centro quando mi capitò davanti un tizio con un lungo caffettano e i riccioli neri. Anche questo è un ebreo? Mi chiesi subito. Lo osservai furtivamente con attenzione, e quanto più studiavo quel viso straniero, tanto più la mia prima domanda si trasformava: ma è anche un tedesco? Da quel momento la stessa Vienna mi sembrò diversa. Ovunque andavo non vedevo che ebrei, e più ne vedevo più mi accorgevo di quanto fossero diversi dagli altri esseri umani è un fatto inconfutabile che nove decimi di tutte le sporcizie letterarie e delle sciocchezze artistiche e delle banalità teatrali sono opera del popolo ebreo, che rappresenta meno della centesima parte dei cittadini del nostro paese'. Secondo Amsler 'L'atteggiamento del giovane Hitler contro gli ebrei è spiegabile psicologicamente: da inesperto autodidatta, egli proietta su un capro espiatorio il male che porta con sè. Questo capro espiatorio s'identifica per lui in un popolo, quello che gli sembra il più diverso dal suo. Egli anzi accomuna in quest'odio tutte le collettività che, a suo giudizio, sono contagiate dallo spirito semita:la Chiesa romana, la massoneria, il capitalismo internazionale, il socialismo.'


A Monaco, dove si trasferisce nel 1912 (qui lavora come operaio edile), si forma una cultura vasta ma disordinata, leggendo G. Sorel, F.W.Nietzesche e altre teorie dell'irrazionalismo e della violenza. Dallo studio di alcuni scritti che risalgono a questo periodo, emerge che la personalità del 'signore della guerra', fin da quando è ragazzo, è caratterizzata da un' irrequietezza tormentosa ed un' estrema irritabilità. Il suo comportamento, prevalentemente aggressivo, per mancanza di bontà d'animo e di riguardi, può sfogarsi su altri. Nello stato di guerra egli trova la possibilità di scaricare le tensioni della sfera impulsiva in una forma approvata dalla società. Egli dispone di un altissimo grado di intelligenza, nono certo nel senso di una metodicità critica ma di scaltrezza, abilità, prontezza spontanea ed anche immaginativa nel reagire di fronte a date situazione. Di conseguenza presenta una personalità tutt'altro che mediocre e incolore, e anzi costituisce nel genere una potenza, sia pur con molti aspetti negativi, tenendo conto della sua attività aggressiva l'ulteriore evoluzione dovrebbe orientarsi (come in realtà accade) verso un bellicoso contrasto con il mondo circostante.


Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si arruola volontario e parte per il fronte, dimostrandosi un valoroso soldato: raggiunge il grado di caporale ed è ferito due volte, (nella battaglia delle Somme del 1916, ed intossicato da gas in Fiandra nella battaglia di Ypres nel 1918) e premiato con due medaglie al valore, poichè egli considera quel conflitto più importante per i suoi problemi della vita che 'trent'anni di Università'.


Già rivelatosi, quindi, violentemente nazionalista e reazionario, quando la Germania si arrende, diventa il leader del Partito nazista (NSDAP,Nationalsozialistiche Deutsche Arbeiter Partei), il cui programma si articola in venticinque punti,così sintetizzati:


1.Riunione di tutti i tedeschi nella grande Germania;


2.Abolizione del trattato di Versailles;


3.Rivendicazione dello spazio vitale;


4.Definizione del cittadino (Volkgenose): solo chi è di sangue


tedesco;


5.Esclusione degli ebrei dalla comunità tedesca;


6.Chi non è cittadino, è soggetto alla legge degli stranieri;


7.Chi non è cittadino può essere espulso quando lo Stato non sia in grado di assicurare il nutrimento alla comunità tedesca;


8.Le cariche pubbliche sono riservate ai cittadini;


9.Diritti e dovere del lavoro;


10.Abolizione dei diritti non derivanti da lavoro;


11.Eliminazione della 'schiavitù dell'interesse';


12.Confisca dei profitti di guerra;


13.Nazionalizzazione delle industrie monopolistiche;


14.Partecipazione dei lavoratori agli utili nelle grandi imprese; 15.Sviluppo della provvidenza per la vecchiaia;


16.Potenziamento del ceto medio;


17.Riforma fondiaria;


18.Punizione degli usurai, incettatori,trafficanti al mercato nero;


19.Sostituzione del diritto romano con un diritto tedesco;


20.Riforma della scuola in senso nazionalista;


21Protezione della madre e del bambino;


22.Creazione di un esercito popolare;


23.Limitazioni alla libertà di stampa e dell'arte;


24.Libertà delle confessioni religiose, purchè non contrarie alla moralità della razza germanica;


25.Creazione di una forma autoritaria centrale di Reich.


Come si vede, il programma è un insieme tutt'altro che organico di aspirazioni nazionalistiche e autoritarie e di confuse proclamazioni sociali, in cui emerge chiaramente l'acceso antisemitismo, la parte probabilmente di derivazione più spiccatamente hitleriana. Successivamente, ispirandosi alle azioni del fascismo e della 'marcia su Roma' di B.Mussolini (a cui avrebbe sempre guardato con venerazioni anche in seguito), Hitler tenta di organizzare il Putsch (colpo di stato) a Monaco, l'8-9 Novembre 1923, ma le complicità e gli appoggi su cui conta vengono meno ed il tentativo fallisce. Hitler, ferito, viene condannato per alto tradimento a cinque anni di fortezza, ma ne sconta solo uno, in cui comincia ad atteggiarsi a capopartito con arie da uomo di stato. Ogni volta che se ne offre la possibilità, egli scrive frasi volutamente formulate come aforismi di contenuto profetico. Nel periodo di reclusione, a Landsberg sulla Lech, impiega il tempo stendendo la prima parte della sua unica opera teorica, il Mein Kampf (la mia battaglia): in due volumi, uno autobiografico e l'altro dedicato all'elaborazione dottrinale; il testo, seppur mediocre stilisticamente e piuttosto farraginoso, contiene tutte le future linee d'azione dell'autore, dall'individuazione del giudaismo e del marxismo come i principali nemici della Germania, alla necessaria sintesi del nazionalsocialismo con un socialismo non classista, dall'espansione tedesca verso l'Europa orientale e alla rivincita contro la Francia. Il titolo dell'opera 'Mein Kampf', è deciso solo in seguito: se tale scelta fosse da allegare con il giornale dei socialdemocratici indipendenti a Monaco 'Der Kamph', o se l'avesse ispirato il libro 'Mein Kampf gegend das nihilistiche und nationalsozialistiche Deutschland', pubblicato nel 1911 dal pacifista Friedrich Wilhelm Foerster, spesso vilipeso da Hitler non è accertabile nè, dopotutto, essenziale.


Nella sua 'apologia', che rappresenta la Bibbia dei nazisti, Hitler pone subito al principio l'affermazione apodittica che 'il giudeo è colpevole' e sfrutta lo sfortunato esito della guerra della Germania, presente a ciascuno , le dure condizioni del trattato di Versailles e le immediate conseguenze del dopoguerra , come veicoli per le teorie progammatiche . Mentre nel 1919 Hitler si limitava ancora a parlare di 'razza non tedesca' che vivrebbe 'tra noi' , successivamente arriva a parlare di uno 'stato' ebraico nello stato e ad affermare che 'il giudeo non aveva mai avuto uno stato proprio'. L'asserzione poi che l'ebreo 'non lavora'in prima persona (ma appalta la forza di lavoro di altri popoli) è assurda. Già gli ebrei del Vecchio Testamento possedevano un'etica del lavoro senza esempio nella storia dell'antichità. La teologia rabbinica mette già espressamente in rilievo che l'uomo deve darsi da fare e lavorare manualmente perchè Dio gli accordi la sua benedizione. Nel Mein Kampf Hitler afferma 'se gli ebrei fossero soli a questo mondo , affogherebbero nella sporcizia e nei rifiuti , così come cercano di sterminarsi a vicenda in una lotta satura d'odio'.La verità che gli ebrei ,da lui ininterrottamente incolpati fin dal 1919 , sono invece fin dall'antichità , per effetto della loro fede , impegnati non soltanto a una costante operosità , ma altrettanto rigorosamente ad aiutare il prossimo , è addirittura capovolta da Hitler , anche se sa benissimo che nel sistema di lavoro e di esperienza stabilito dagli ebrei non si trovano mai le condizioni di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, prevalenti nei tempi antichi. Hiler interpreta la lotta di classe come effetto dell'esistenza dell'ebraismo, da lui accusato di 'portare' la democrazia e di usare appunto la lotta di classe come strumento della 'disgregazione finale'del popolo , per mettere più facilmente a profitto la sua pretesa potenza di 'stato'nello stato. Nel suo manosritto Hitler fornisce i criteri per un giudizio fin allora inconcepibile sui 'giudei',che ,dopo aver realizzato la prima parte del suo 'progamma di potenza mondiale',ordina infine di sterminare come insetti nocivi con l'antiparassitario Ciclone B.; definisce l'ebreo 'bacillo', 'portatore di bacillo','vampiro','schizomiceto dell'umanità',afferma che ' se il giudeo trionfasse sui popoli di questo mondo la terra , come milioni di anni fa , correrebbe vuota di uomini attraverso l'etere'. 'L'ebreo è e resta parassita tipico , uno scroccone che si diffonde sempre più come un bacillo nocivo, non appena si offre un terreno di coltura propizio. Anche l'effetto della sua presenza è quello dei parassiti: dove entra lui , muore dopo un tempo più o meno breve la gente che lo ospita.' Egli reclama la creazione di 'uno stato sociale' e la 'soluzione del problema ebraico' e ne fa l'obiettivo finale d'un avvenire fondato sul nazionalsocialismo. Se tratta di guerra , ne evoca gli orrori e le conseguenze unicamente per poter accusare 'il giudeo' di avere, durante la prima guerra mondiale, affamato di proposito il popolo mediante i rincari e di averlo derubato della sua sostanza per la lotta per l' esistenza. All' inizio gli ebrei devono soltanto essere impediti nella loro libertà di movimento professionale e patrimoniale, espulsi dalla Germania e in casi determinati condannati a morte come 'usurai', 'profittatori', o 'sovversivi'. Ma ben presto seguono altri provvedimenti, che colpiscono vivamente l'immaginazione,poichè nessuna civiltà umana ha mai conosciuto nulla di simile.


Nell'autunno del 1935 le leggi di Norimberga, sotto pena di severissime sanzioni, proibiscono i rapporti sessuali tra Tedeschi ed Ebrei (con matrimoni o exstraconiugali ), 'per la protezione della purezza del sangue tedesco e dell'onore tedesco';proibiscono agli Ebrei di aver al proprio servizio domestiche di sangue tedesco o assimilato che abbiano meno di 45 anni di età, di esporre bandiere dai colori nazionali tedeschi. Queste leggi hanno un profondo significato: sono strettamente connesse al fenomeno nazionalsocialista nel suo insieme, ed erano essenziali per il successo del Terzo Reich. Inoltre senza di esse lo sterminio degli Ebrei non sarebbe stato possibile. Queste disposizioni sono oggi chiamate 'sacrali'in contrapposizione ai primi provvedimenti antisemitici che sono chiamati 'profani'. Hitler sogna di estirpare la religione cristiana e sostiruirla con un nuovo culto e una nuova morale, 'una fede forte ed eroicain un invisibile Iddio del destino e del sangue', poichè solo una religione, con tutto l'entusiasmo e lo spirito di sacrificio che può infondere negli animi, con 'l'influsso dinamogenico che eser cita sulle coscienze' (come afferma Emile Durckheim), può assicurargli uomini obbedienti e fanaticamente sottomessi, quali gli occorrono al suo seguito per raggiungere la meta. L'anima della razza, il sangue e il suo appello misterioso, rappresentano la potenza immanente e superiore concretizzata nel popolo (Volk)Il Fuhrer, che sa cogliere in modo infallibile i comandamenti dell'anima della razza, è anche il grande sacerdote che sa esprimere la volontà divina. Ma l'anima della razza, il sangue, il Volk, oggetti di sacra reverenza, resterebbero nozioni vaghe e fluide se non fossero rese tangibili agli occhi dei fedeli opponendo ad esse un'antirazza, un antipopolo, ben presente e in carne e ossa. L'ebreo, principio dell'impurità e del male, simboleggia il Diavolo. 'Se l'ebreo non ci fosse bisognerebbe inventarlo', afferma Hitler, 'Gli ebrei sono la migliore salvaguardia della Germania, essi saranno i benefattori della Germania'. Una religione come questa non può fare a meno del diavolo. Questo dualismo manicheo era essenziale. La presenza del diavolo fa sì che meglio si percepisse il dio: scatenando l'odio verso l'Impuro, l'adorazione della divinità ne veniva stimolata. La religione della razza dei Dominatori, adattata su misura, permetteva di ottenere dai fedeli terrore e sottomissione generali. Ma per rendere il simbolo maggiormente convincente, è necessario circondarlo di sacro orrore. Più l'orrore sarebbe stato intenso, più sarebbero state intere l'adorazione e la fede. Per meglio stimolare il sangue, bisogna accoppiare l'ostilità verso gli ebrei con gli istinti più attivi, collegarli alle rappresentazioni più sacre: la madre, la sposa. Di qui l'appello alla sessualità. Tale il senso recondito delle leggi sacrali di Norimberga e delle severe sanzioni che le accompagnano. Così un'atmosfera di sacro orrore ha potuto impregnare in diversa misura milioni e milioni di menti tedesche. Se una minoranza esecra l'Ebreo, nutrendo verso di lui un odio omicida, vi è una maggioranza, non fondamentalmente antisemita, che permette lo si uccida e vi presta la mano, pochè lo vede oggetto d'esecrazione. 'Essi hanno imparato a non guardare: si tratta del destino degli Ebrei, non del nostro'.


Quando giunge al potere, il 30 gennaio 1933, Hitler non ha ormai più che rimuovere i rottami dello stato di partiti, la cui costituzione del 1919 è andata sempre più svuotandosi di significato. I partiti politici si sono tolti di mezzo da soli e gli hanno spianato la via per l'instaurazione dello stato nazionalsocialista a partito unico. Del resto il Fuhrer critica i partiti di sinistra poichè essi 'per lo più non volevano riparare gli errori, maaccaparrarsi vantaggi di partito', mentre rimprovera a quelli di destra di criticare 'le condizioni odierne' e di lodare 'tutto del passato', di voler vedere 'tutte le colpe da un solo lato',di mancare di 'logica ferrea' e di aver paura di 'impegnarsi a fondo'. Egli prepara il suo sistema politico per gradi e lo realizza nel giro di pochi giorni, mettendo in scena un gioco combinato dall'alto e dal basso, consistente nelle dichiarazioni fornite regolarmente da se stesso e dai suoi paladini, che 'lavorano per lui e per la sua causa'. 'Egli', secondo il giudizio di Alan Bullok, che trova d'accordo gran parte degli storici contemporanei, 'fu il più grande demagogo della storia; le pagine in cui Hitler discute la tecnica della propaganda di massa e la tattica del comando sono di gran lunga più brillanti di quelle dedicate alla farraginosa spigazione delle sue altrettante farraginose e non originali teorie politiche'. L'arte della sua propaganga si basa su regole ben precise: deve essere rivolta solo alle masse, (ne consegue che il suo livello spirituale sarà tanto più basso quanto più grande è la massa che si vuole coinvolgere), deve trovare la via del cuore delle grandi masse, capire ed esprimere il loro mondo, rappresentare i loro sentimenti, esercitare la violenza del padrone, deve calcolare con precisione, astuzia e prudenza le debolezze umane, affidarsi alle iperboliche menzogne, poichè alla gente non verrà neanche in mente che sia possibile architettare una così profonda falsificazione della verità.


Agli albori della sua ascesa politica, Hitler vuole agire nell'ambito della legalità, anche se, in realtà, nega a qualsiasi comune mortale la capacità di giudicarlo. 'Nel corso d'un lungo periodo della storia dell'umanità', si legge in Mein Kampf, 'può accadere che l'uomo politico si sposi con il programmatico. Quanto più intimo è questo amalgama, tanto più grandi sono le resistenze che si oppongono all'azione del politico. Egli non lavora più per esigenze che riescano comprensibili ad ogni borghesuccio, ma per obiettivi che soltanto un'esigua minoranza capisce. Perciò la sua vita è travagliata da amore e odio. La protesta del presente, che non comprende quest'uomo politico, è in lotta con il riconoscimento della posterità, per la quale egli infatti lavora. Giacchè quanto più sono grandi le opere di un uomo per il futuro, tanto meno il presente è in grado di comprenderle'Come molti 'riformatori del mondo' prima e dopo di lui, anche Hitler è persuaso di aver scoperto e capito quello che da millenni storici e filosofici cercano di penetrare l' 'eterno corso della storia'. Egli si giudica fin dall'inizio anzitutto un genio politico, vede negli altri uomini soltanto un 'mezzo per il fine' ed è convinto di aver di già, venticinquenne autodidatta, sollevato il velo della storia e trovato il definitivo ubi consistam spirituale. Date queste sue convinzioni, il suo progetto per una 'monumentale storia dell'umanità', abbozzato al principio della sua carriera politica, assume una strardinaria importanza. Nel suo progetto di una 'prima storia dei popoli fondata sulla legge della razza' egli costringe l'umanità entro uno schema dialettico bianco e nero, che conosce soltanto 'due specie di uomini', 'produttori e parassiti', 'costruttori e distruttori' e 'figli di Dio e uomini', e ammette gradazioni unicamente là dove esse fanno apparire le sue interpretazioni e le sue finalità come scoperta dell'effettivo decorso della storia.


Mentre fino al 1923 egli accusava gli ebrei unicamente di essere stati i promotori della prima guerra mondiale e della disfatta tedesca del 1918, con tutte le sue conseguenze anche al di fuori del Reich tedesco, già in Main Kampf deplora che al principio e durante la prima guerra mondiale si sia trascurato di 'sottoporre a gas venefici. dodici o quindicimila . corruttori ebraici del popolo'.E il 30 gennaio 1939 , sei anni dopo aver preso il potere e sette mesi prima dell'inizio della campagna di Polonia, ne trae le conseguenze logiche: 'Se il giudaismo finanziario internazionale, in Europa e fuori, dovesse riuscire a precipitare ancora una volta i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà.la vittoria del giudaismo,ma l'annientamento della razza giudaica in Europa'.Con un semplice 'tratto di penna', senza bisogno di leggi, fece scatenare con la campagna di Polonia l'eutanasia, un'impresa di sterminio su grande scala, e finalmente nel 1941, con la campagna di Russia da lui iniziata con sorpresa per la grandissima maggioranza dell'opinione pubblica, fa preparare, dietro lo schermo della vittoriosa avanzata dell'esercito dell'est, l'eliminazione di trenta milioni di persone, soprattutto ebrei e slavi, al fine di procurare spazio ai tedeschi. Quanto immatura e lacunosa sia fino al 1924 la Weltanschauung (la sua nuova concezione del mondo e della vita ) di Hitler, al cui centro figurano in seguito, in un concatenamento ininterrotto di causa ed effetto,lotta, guerra di rapina, sterminio di 'esseri inferiori' e un antisemitismo razzial-ideologico, lo mostrano in modo esemplare anche i suoi appunti per un discorsi 'Lavoratori e trattati di pace'. Inizialmente Hitler non pensa che un 'incremento della popolazione' porti subito con sé anche un 'estensione di territori' e 'un aumento all'infinito dei prodotti del suolo' e ravvisa come soluzione alternativa per il superamento di questa difficoltà o la colonizzazione o il commercio mondiale o l'emigrazione. Mentre lavor a Mein Kampf, invece, arriva ad un'altra convinzione: rifiuta di rivendicare una 'restaurazione dei confini del 1914',e non soltanto definisce quella richiesta, da lui stesso in precedenza propugnata e largamente diffusa in Germania dal 1918, un'assurdità acronistica e un 'delitto', ma nella reintegrazione delle frontiere del 1914, colonie incluse, raffigura un mendicar l'elemosina, che la Germania per nessun motivo può accettare come motivo finale della sua politica estera. Da allora egli ha di mira non più soltanto lo stato tedesco sovrano con 'potenza politica' e capacità di commercio mondiale, ma la dominazione di grandi aree in territorio conchiuso. Dal 1924 Hitler non scorge più nella fame il fattore che 'sconvolge la ragione', ma un mezzo naturale per la messa in scena di grandi azioni e misure di politica di potenza. Mentre fin allora ha accusato gli ebrei di far agire la 'fame come artificio' della loro politica per la conquista della 'dominazione mondiale', adesso è dell'opinione che fame e miseria possano aiutarlo a realizzare i suoi piani di potenza mondiale. Inoltre, non ha più paura d'un eccesso di popolazione, e anzi lo desidera per vederlo produrre miseria, perchè il popolo sia costretto ad 'agitarsi' e a sottomettere nazioni intere. È difficile stabilire fino a che punto il vecchio argomento centrale antisemita di Hitler contribuisca a determinare questa nuova concezione, poichè solo eccezionalmente egli rivela le fonti delle sue idee. È invece sicuro che durante la prigionia ha conosciuto le dottrine del teologo ed economista inglese Thomas Robert Malthus; anche se, bisogna puntualizzare che Hitler ha completamente capovolto il pensiero di Malthus. Quest'ultimo, infatti, ha sostenuto la tesi che le cifre della popolazione aumentano più in fretta dei prodotti del suolo, per cui si giungerà facilmente alla sovrappopolazione, a carestie, guerre ed epidemie che si potrebbero controbattere solamente con matrimoni tardivi, limitazioni delle nascite, astinenza e incremento intensivo dell'agricoltura, mentre Hitler giunge a deduzioni diverse . L'eccesso di popolazione è, in tal caso, auspicato come base a una guerra di rapina e di sterminio per la conquista dei territori. 'La fame come mezzo di guerra. La fame come mezzo per il fineLa fame appoggia la spada in guerre esternenella lotta di stato contro stato'.Questi ritornelli propagandistici dicono in modo più diretto che lunghe argomentazioni come ad esempio in Mein Kampf, quali siano le vedute di Hitler dopo lo studio di Malthus.


Il 29 aprile 1925 Hitler ritiratosi nel rifugio antiaereo della cancelleria detta il suo 'testamento politico', in cui enuncia pretese di un'intonazione così aggressiva nel campo della politica estera da apparire, in quel momento, prive d'ogni ragionevole rapporto con la realtà; egli, infatti, raccomanda alla 'nazione tedesca' :


'Non tollerate mai la formazione di due potenze continentali in Europa. In qualsiasi tentativo di tal genere, dovete ravvisare un attacco contro la Germania e scorgervi non soltanto il diritto, ma il dovere di impedire con ogni mezzo, compreso il ricorso alla forza delle armi, il sorgere di un simile stato, oppure, qualora fosse già sorto, di spezzarlo di nuovoNon dimenticate che il diritto più sacro in questo mondo è il diritto alla terra che si vuole coltivare e il sacrificio più santo è quello del sangue che si versa per questa terra'. Egli attribuisce la causa della Seconda Guerra Mondiale al giudaismo internazionale e i suoi soccorritori, e nomina un presidente del Reich, un cancelliere e i nuovi ministri (cose che, in base alla costituzione, non può fare), poichè, come lui stesso afferma, 'il compito di edificare uno stato nazionalsocialista rappresenta il lavoro dei secoli a venire';mantiene in rigore fino alla fine il suo acceso antisemitismo, imponendo ai nuovi dirigenti della nazione di mantenere in vigore le leggi razziali e di proseguire la lotta contro il giudaismo internazionale.Con un discorso antisemitico e con un documento crudemente improntato di odio per gli ebrei Hitler aveva fatto la sua prima comparsa nella vita politica, e con un giuramento e un documento antisemiti conclude la sua esistenza.(sono state avanzate molte ipotesi sulla sua morte: secondo gli ultimi suoi fedeli , l'idolo del Terzo Reich si è tolto la vita virilmente, con un coraggioso colpo di pistola, mentre i sovietici hanno un interesse altrettanto forte d'accreditare la notizia secondo la quale il Fuhrer si è vigliaccamente avvelenato. Forse Hitler si è sparato dopo aver ingerito il cianuro.) Per tutta la sua vita rimane fondamentalmente quello che è durante il suo periodo scolastico: un antisemita che riconduce esclusivamente all'esistenza dell'ebraismo tutti gli avvenimenti storici e politici negativi. In se stesso non cerca mai, neppure nelle ultime settimane della sua vita, la minima ombra di colpa per il fallimento dei suoi pazzeschi piani, ai quali due decenni prima ha dato forma concreta con formule apodittiche d'una presuntuosa eccentricità. Il suo fanatismo e l'accondiscendenza di molti suoi sostenitori hanno prodotto la morte di circa 18 milioni di persone di tutte le nazionalità, solo nei campi di concentramento nazisti della Germania e dell'Europa occupata, di cui 11 rappresenterebbero il bilancio della persecuzione e delle deportazioni. Ecco di che cosa è capace l'uomo; ecco fin dove può spingersi nella bestialità. Ma non parliamo di bestialità, sarebbe recar ingiuria alle bestie: le più feroci di esse non uccidono che per procacciarsi nutrimento. Hitler ha teorizzato ed ha imposto la realizzazione di un massacro amministrativo, scientifico, coscienzioso, che le generazioni successive non possono, nè devono mai dimenticare per poter combattere con tutte le loro forze ogni altro eventuale fanatismo.


LA GERMANIA DI TACITO :


L'ideologia politica nazista per legittimare la propria validità, si è servita anche dell'autorevolezza del passato, trovando in alcune opere, come la 'Germania' di Tacito, non un supporto culturale, ma volgari spunti di propaganda. L'innocente opuscolo tacitiano, infatti, è stato secondo alcuni critici una maledizione del popolo tedesco, poiché non si è limitato a fornire come per esempio l'Orazio delle 'Odi civili' qualche immagine di repertorio utile di fascino nostrano per rivestire il mito della romanità, ma è stata distolta al punto da fornire l'avallo ideologico al delirante mito della razza negli anni del nazismo.


Il capitolo 2 sull'autoctonia dei Germani e il capitolo 4 sulla purezza della loro stirpe sono stati invocati a fondamento di una pericolosa tradizione nazionalistica senza neppure tener conto che l'isolamento dei Germani è spiegato da Tacito in modo assai negativo con la difficile accessibilità di un territorio poco appetibile. In questo senso la fortuna della 'Germania' è stata studiata da uno specialista delle ideologie del classicismo come Luciano Canfora, il quale, individuando già nel Cinquecento i primi spunti del mito del popolo originario ( Urvolk ), ravvisa nei discorsi alla nazione tedesca di Fiche (1808) le premesse di uno sviluppo in senso razzistico destinato ad approdare, verso la fine del secolo, alla costituzione dell'associazione tedesca destinata a influire nel 1939 nel movimento nazista.


Intanto un teorico della razza, l' inglese H.S.Chamberlain conduceva il riscontro sul capitolo 4 della 'Germania' nel quale leggeva la frase: 'Unde habitus quoque corporum tamquam in tanto hominum numero, idem omnibus' (pertanto anche l'aspetto fisico, per quanto è possibile in un così grande numero di uomini, è il medesimo di tutti ) con la variante quamquam che incide notevolmente sul significato sostituendo al tamquam limitativo un giudizio di uniformità ( benché in un così grande numero di uomini). La frase precedente 'nullis allus alliorum notium comunibus infectos' forniva la conferma di una purezza non 'macchiata' da contatti con altre stirpi. In realtà, per leggere il capitolo tacitiano con un minimo di rispetto esegetico, basta tenere presente che alla mentalità romana è assolutamente estraneo il mito della razza: le stesse origini troiane di Roma non vanno certo nella direzione dell'autoctonia e inoltre Tacito scrive quando un popolo spagnolo è diventato imperatore e di lì a poco salirà al trono l'africano Settimio Severo. Come osserva Canfora, fenomeni come l'espansionismo di Roma, l'allargamento della cittadinanza, la cooptazione delle elites provinciali, lo stesso processo di ellenizzazione marciano tutti in direzione opposta alla gelosa tutela di una stirpe romana originaria. Quello dell'autoctonia e della purezza di stirpe, dunque, è un tema letterario diffuso ben prima di Tacito, già noto agli antichi ateniesi, che ne traevano motivo di vanto, e presente in fonti che potrebbero avere influito sull'informazione tacitiana.


Il capitolo 4 con la teoria della purezza della gente germanica è quello che, con la parte iniziale del secondo sull'autoctonia dei Germani, ha contribuito alla fama sinistra conseguita dal trattato nella Germania nazista: una sorta di 'maledizione', come è stata giustamente definita, che ha poi imposto a partire dal 1945 il silenzio assoluto su questo argomento da parte dei Tedeschi. Ma basta la semplice lettura delle parole di Tacito per capire che le sue notizie non contengono elementi utili a legittimare il mito della razza. Si tratta piuttosto di vedere in che modo il capitolo 4 si colleghi al capitolo 2, del quale sembra una semplice ripetizione: in realtà il capitolo 2 tratta dell'originaria purezza razziale, spiegabile con l'autoctonia dei Germani, il capitolo 4 sposta la visuale sull'attualità, mentre il capitolo 3 intermedio esclude la presenza greca in Germania allo scopo di ribadire con più forza l'omogeneità dell'aspetto fisico degli attuali abitatori a riprova della loro specifica identità, per nulla inquinata da influssi esterni.


Ipse eorum opinionibus accedo qui Germaniae populos nullis aliis aliarum nationum conubiis infectos propriam et sinceram et tantum sui similem gentem extitisse arbitrantur. Unde habitus quoque corporum, tamquam in tanto hominum numero, idem omnibus: truces et caerulei oculi, rutilae comae magna corpora et tantum ad impetum valida. Laboris atque operum non eadem patentia, minimeque sitim eastumque tolerare, frigora atque inediam caelo solove adsueverunt.


Ciò che nel sottinteso e, talora, esplicito confronto con la società di Roma egli più sembra apprezzare nei Germani e la mancanza di civiltà, identificando egli, a quanto pare, la civiltà con la corruzione. Su questo sfondo di più o meno consapevole accettazione di dottrine ciniche relative all'esaltazione dello stato di natura come stato felice per l'uomo, stato che non conosce le convinzioni e le leggi positive imposte dalla civiltà, vanno collocati ed intesi i passi in cui Tacito elogia i Germani per la loro noncuranza a riguardo dell'oro e dell'argento; espone il loro genere di vita impegnata esclusivamente nelle guerre, e, fuori dalle guerre trascorsa in perpetuo ozio, esalta l'onestà delle famiglie nelle quali non c'è posto per l'adulterio: qui è massimamente evidente il confronto con la vita e la corruzione dell'alta società romana:


Saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum illecebris, nullis conviviorum irritationibus corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant. Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena presens et maritis permissa: abscissis crinibus nudatam coram propinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit; publicatae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non opibus maritum invenerit. Nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur.


La pudicizia delle donne è ben difesa, chè esse non si trovano esposte agli allettamenti degli spettacoli e neppure agli eccitamenti dei banchetti. Gli uomini, non diversamente dalle donne, non sanno che cosa siano i messaggi d'amore segreti. In un popolo così numeroso, pochissimi sono gli adulterii, che vengono puniti immediatamente, e la punizione compete al marito: il quale, alla presenza dei parenti, tagliate le chiome alla donna la caccia nuda di casa e a forza di bastonate le fa percorrere tutto il villaggio. Non c'è remissione per colei che ha profanato il suo onore: non la bellezza, non la gioventù, non le ricchezze le potrebbero procurare un altro marito. Fra i Germani nessuno prende in ridere i vizi nessuno dice che corrompere e lasciarsi corrompere sia vivere alla moda.


Tuttavia lo storico romano non tace neppure i motivi di perplessità che il genere di vita dei Germani suscita in lui: degli uomini validi, che quando non fanno la guerra si chiudono nell'inerzia più neghittosa, non può non osservare, dopo aver detto che dell'andamento della casa e dei lavori dei campi si occupano i vecchi e le donne, che se ne stanno a poltrire. Inoltre l'amore eccessivo del bere spesso li porta a risse sanguinose e mortali.


I Germani sono anche sfrenatamente dediti al gico dei dadi, nel quale spesso mettono come posta addirittura se stessi, riducendosi in condizioni di schiavi, se perdono.


Tacito ammira nei Germani soprattutto la schiettezza, l'immediatezza, la semplicità di vita: questa è la loro grande forza, che si può riassumere, a suo avviso, in una parola sola: l'amore per la libertà, grazie alla quale riducono al minimo i legami del singolo con la società. È per questo motivo che a Tacito i Germani appaiono, per Roma, più minacciosi dei Parti.


In effetti, a questa ammirazione si mescola il timore per le condizioni d'inferiorità e di pericolo nelle quali i Romani verranno a trovarsi se non ritorneranno alle virtù dei loro padri, oppure se non li salveranno la indisciplina e la discordia stessae che travagliano i nemici.


Tutte queste considerazioni emergono dall'opera tacitiana ' La germania', che forse più esattamente si intitolava 'De origine et situ Germanorum', come appare nei manoscritti. È un'opera monografica e rappresenta l'unico scritto di etnografia antica a noi pervenuto. Essa fu composta nel primo anno del regno di Traiano, vale a dire nel 98, quasi contemporaneamente all'Agricola, ed ha carattere geografico, oltre che etnografico.


Essa sembra occupare un posto alquanto isolato e non del tutto connesso con la rimanente produzione tacitiana. Non è escluso che l'idea di scrivere intorno ai Germani covasse già da qualche tempo nella mente dell'autore, e gli fosse suggerita dalla conoscenza diretta, o quasi diretta, che egli avesse acquistato di quelle gentie di quella regione nel quadriennio della sua assenza da Roma prima della morte di Agricola (89-90 d. C.) quantunque, nel corso dell'opuscolo, egli mai si riferisce ad una sua propria visione, e mostri di attingere sia da fonti scritte, sia da informazioni orali, di diversa provenienza. Tra le fonti scritte l'unico che egli cita per nome è Cesare, con i suoi excursus etnografici, indicato come summus-auctorum, ma gli storici hanno aggiunto con certezza Plinio il Vecchio per i suoi venti libri sulle guerre germaniche ( Bella germanica) e poi molti altri, come per esempio Sallustio e Livio.le informazioni orali, poi, di mercanti, di viaggiatori, di soldati ed ufficiali, non potevano mancare, per conferire alla trattazione carattere di novità e di utilità a confronto con la preesistente letteratura sull'argomento; poichè se anche la Germania di Tacito adottava gli schemi e quasi la tipologia tradizionale, d'altra parte si rivolgeva ad un pubblico cui occorrevano notizie fresche in rapporto con la quotidiana, diretta esperienza.


Tenendo conto della data di composizione, il 98 d. C. , si è pensato ad un duplice intento dell'autore nello scrivere l'opera:


-informativo, nel far conoscere una popolazione che da un paio di secoli era entrata in contatto e in conflitto con Roma;


-politico, quasi come nello spiegare l'indugio del neoimperatore Traiano in operazioni militari proprio sul fronte germanico e, forse, nell'avvertirlo del pericolo e nel caldeggiare un intervento deciso contro popolazioni minacciose, la cui discordia era, per il momento, l'unica protezione per Roma, quasi come se l'autore volesseorientare e preparare la pubblica opinione intorno alle imprese cui il novello imperatore attendeva o sembrava dover attendere; poichè mentre veniva eletto, Traiano si trovava proprio in Germania sul Reno e là rimaneva con il suo esercito per tutto il 98, sebbene lo attendessero impazientemente a Roma.


Altri studiosi spiegano la Germania, in modo più tecnico, destinata ad essere, inglobata nelle Historiae; altri ancora le attribuiscono un intento morale nel porre a confronto l'incorrotta per quanto primordiale purezza dei Germani con la corruzione di Roma.


In realtà il tentativo di attribuire una finalità escusiva alla monografia è sostanzialmente sterile: la Germania non ha il carattere nè del libello politico, nè del trattato morale e, del resto è la natura stessa della composizione tacitiana ad essere complessa e delle rispettive componenti bisogna prendere atto, senza pretendere di trovare la formula risolutiva. Componenti che nella Germania sono sostanzialmente etografiche, benchè non prive di tutte quelle implicazioni (da quella politica a quella morale) che in uno storico attento alle istanze della politica e della morale non sono mai assenti, neppure nelle Historie e negli Annales. Ma sono altrettanto significative quelle parti in cui Tacito, nel descrivere i costumi dei Germani, denuncia la minaccia rappresentata da queste popolazioni, forti della loro energia di primitivi, per un sistema politico romano, che rappresenta, sia pur nel futuro, la rovina dell'impero, un presagio che Tacito poteva concepire non solo in base alla teria della successione degli imperi ( assai presente nella storiografia di ispirazione antiromana), ma anche la consapevolezza che Roma si fosse ormai incamminata verso un inevitabile declinio.


L'opera è divisa in 46 capitoli, in cui descrive l'origine e le sedi in cui si sono stanziati i popoli dell'Europa centrale, dal Reno al Danubio, al mare del Nord fino al Baltico.


Lo stile si allontana dalla suggestine ciceroniana ed assume un carattere più tacitiano: sono frequenti le asimmetrie, la variatio e le espressioni asintotiche, appare soprattutto il tono di alcune descrizioni che precedono le pagine più ispirate delle Historiae e degli Hannales.


La trattazione di Tacito si presenta come del tutto obiettiva, dettata da soli interessi tecnici o scientifici. L'opera consta di due parti. Precede una parte generale (cap. 1-27) sull'origine e sui costumi di tutti i Germani, complessivamente considerati: confini della regione, clima, prodotti, vita pubblica e privata degli abitanti, occupazioni quotidiane, guerra, religione. Segue una parte speciale, (cap.28-46) sulle singole popolazioni germaniche (per esempio gli Elvezi, gli Ubii) considerate a loro volta nella loro vita e costumi peculiari.


Tuttavia, nell'apparente obiettività della scrittura trapelano di continuo sentimenti irresistibili che dipendono dall'esplicito o implicito confronto dei Germani coi Romani, e quindi dal pensiero dell'estremo duello che fra i due popoli non sarebbe potuto evitarsi. C'è anzitutto una spontanea e quasi romantica inclinazione per tutto ciò che le terre e i popoli germani offrivano di nativo e di originario, di semplice e di puro, di incolto e di selvaggio; c'è in fondo una specie di ammirazione per quelle genti, in larga parte ignote e per ciò stesso affascinanti, che si spingono fino agli estremi limiti del mondo, là dove il sole non tramonta mai, là dove il mondo finisce.


Con ogni probabilità quella della 'purezza razziale' dei Germani non è che una notizia inerte, giunta a Tacito tra molte altre dalla sua fonte più attendibile, i 'Bella Germaniae' di Plinio il Vecchio: tanto rumore per nulla! Ma che una riprova di quanto possa essere pericolosa la strumentalizzazione della letteratura per fini politici,così come è avvenuto per lo storico Tacito nel periodo nazista.










IL SOLE:


In Germania, durante il regime nazista,instaurato da Hitler, numerosi intellettuali di grande valore sono costretti ad emigrare a causa delle persecuzioni politiche e razziali.Tra questi emerge la figura del fisico ebreo Albert Einstein (che nel 1933 si trasferisce negli Stati Uniti),che ha dato alla fisica moderna il contributo di una creazione geniale che rimarra' nei secoli futuri una delle pietre miliari nella storia del pensiero umano.La teoria della relativita', da lui sviluppata, ha permesso di dare una prima spiegazione all' origine dell' universo in termine di Big Bang, ed una delle piu' importanti conseguenze di tale teoria ,il principio di equivalenza tra massa ed energia , E = m c2 ha permesso ai fisici quali Eddington di cominciare a parlare della conversione diretta della massa in energia all' interno del Sole, sebbene attraverso processi ancora sconosciuti. Il Sole è, analogamente alle altre stelle, una sfera di gas, ad altissima temperatura(plasma solare),la cui materia è tenuta unita dalla forza di attrazione gravitazionale. Di esso è visibile dalla Terra solo l' atmosfera composta da tre stati: la fotosfera, la cromosfera e la corona.La fotosfera e la cromosfera sono i due strati visibili direttamente sul disco solare, mentre la corona è visibile solo durante le eclissi o con particolari strumenti. L'interno del Sole non è visibile direttamente, in quanto la radiazione in essa generata viene assorbita e riemessa piu' volte prima di giungere alla fotosfera. L'energia emessa dal sole viene prodotta nel nucleo, la regione piu' centrale, avente un diametro dell' ordine di 0,2 volte quello dell' intero globo solare e una densita' pari a 160 g/cm3. La compressione qui esercitata dal peso degli strati sovrastanti (220 miliardi di atmosfere) innalza i livelli termici dei gas interni fino a 15 milioni di gradi kelvin, temperatura sufficiente a conferire ai nuclei di idrogeno(protoni),il piu' abbondante componente chimico del sole, energie cinetiche superiori a quelle della reciproca repulsione elettrostatica. Bethe, nel 1938 dimostro'che siffatte condizioni fisiche potevano essere favorevoli al mantenimento di reazioni di nucleosintesi consistenti nella combinazione di quattro protoni liberi in un nucleo stabile di elio poiche' in un nucleo di elio cosi' costituito, si verifica(nei confronti della massa complessiva dei protoni reagenti) un difetto di 0,028 u.a.(unita' atomiche) per nucleo prodotto;l' opinione di Bethe fu che tale differenza, convertendosi in energia andasse a rappresentare realmente la sorgente solare, in accordo con la legge einsteiniana. Nel complesso, in ogni secondo, il sole tramuta in energia 4,2 milioni di t. di idrogeno : questo tasso di dissipazione, nei circa 5 miliardi di anni di vita dell' astro, ha provocato una diminuizione di massa pari al 3 %0 e, al tempo stesso gli assicura un' esistenza futura per circa altri 5 miliardi di anni. Bethe ha scoperto che vi sono due cicli di trasmutazioni nucleari attraverso i quali l'idrogeno puo' essere convertito in elio all' interno del nucleo del solare.


Il primo ciclo è la cosiddetta catena protone-protone durante la quale due protoni collidono ed emettono un positone e un neutrino, formando un nucleo di deuterio, l' isotopo pesante dell'idrogeno, il cui nucleo possiede un protone e un neutrone. Al deuterio si aggiunge poi un altro protone, formando l' isotopo leggero dell' elio, l' elio3. Infine due nuclei di elio3 si combinano per dare origine a un nucleo di elio ordinario, l'elio4, liberando anche due protoni. L'effetto totale è la conversione di 4 protoni in un nucleo di elio.La quantita' di energia liberata è all' incirca di un milione di volte maggiore di quella coinvolta in reazioni chimiche, quali la combustione.


Il secondo ciclo è quello noto con il nome di CNO, poiché ad esso prendono parte nuclei di carbonio, azoto e ossigeno. Il ciclo ha inizio con un nucleo di carbonio 126C (questo simbolo indica che il nucleo contiene 12 nucleoni, di cui 6 sono protoni ed il resto protoni), al quale si aggiungono, uno alla volta, tre protoni, dando cosi' luogo a un nucleo di azoto (157N) che contiene 8 neutroni e 7 protoni.L' aggiunta di un altro protone provoca una reazione in cui vengono prodotti 2 nuclei, il nucleo iniziale 126C e l' elio 42He : in ciascuna fase vengono emessi 2 neutrini: uno proviene dal decadimento radioattivo del 713N e l' altro dal decadimento del 15°.


Il neutrino è l' unica particella prodotta dalle reazioni termonucleari, che riesce a raggiungere la superficie solare, percorrendo una distanza di circa 640.000 Km, e a sfuggire nello spazio.Queste particelle di massa nulla ,che viaggiano alla velocita' della luce, reagiscono cosi' poco con le altre, che su 100 miliardi di particelle generate nel nucleo solare, solo una viene frenata o deviata durante il percorso fino alla superficie del sole.I neutrini ci permettono quindi di 'vedere' nell' interno del sole, dato che sono gli unici a sfuggire nello spazio.Circa il 3% dell'energia totale irraggiata dal sole viene emessa sottoforma di neutrini. Sulla superficie terrestre, il flusso dei neutrini prodotto dal sole è dell' ordine di 1011 per cm2 per secondo.




Purtroppo il fatto che i neutrini riescano così facilmente a sfuggire dal sole significa anche che è molto difficile riuscire a catturarli.Nel 1968 è però entrato in funzione una gigantesca trappola per neutrini, collocata in una caverna molto al di sotto della superficie terrestre Home-Stake a Lead, nel South Dakota (USA). Questa trappola è stata riempita con un milione di galloni (pari a circa 378.000 litri) di tetracloroetilene( C2Cl4), un comune solvente.I primi risultati, pubblicati da Raymond Davis,lasciarono alquanto perplessi gli astronomi e gli astrofisici, poiché da essi risultava un valore molto basso per la velocità di flusso dei neutrini; essa risultava infatti pari a meno della metà del valore che si ottiene dai calcoli teorici fissando certi valori 'standard' per le grandezze usate nella costruzione di modelli teorici dell'interno del Sole. L' ipotesi dell' esistenza dei neutrini fu formulata per la prima volta nel 1931,quando si notò che nel decadimento radioattivo di alcuni nuclei sembravano sparire delle piccole quantità di massa.Wolfgang Pauli suggerì l'idea che questa massa fosse portata via in forma di energia da particelle di massa nulla, per le quali Enrico Fermi propose poi il nome di 'neutrini'.


Se lo studio dell'attività solare nel nucleo, nonostante le enormi difficoltà per l'impossibilità di una verifica diretta, si svolge in termini di reazioni nucleari, quello, invece, riguardante l'attività violenta sulla superficie dell'astro giunge a risultati diversi.


I particolari più appariscenti della fotosfera sono senz'altro le macchie solari, scoperte e studiate per la prima volta da Galileo nel 1610. Esse sono delle zone scure e fredde che appaiono sulla superficie solare con una certa periodicità; esse si presentano scure non tanto perchè siano realmente nere, quanto perchè sono più fredde rispetto alle zone circostanti della fotosfera. Attorno alla zona più scura della macchia , detta 'ombra', in cui la temperatura è di circa 4300-4800 gradi Kelvin, vi è una zona di luminosità intermedia, detta 'penombra', in cui la temperatura invece è di circa 5400-5500 0K . L'evoluzione delle macchie solari ha inizio quando in un punto della superficie solare comincia a formarsi una zona più scura, di qualche migliaio di chilometri di diametro, detta 'poro'; la maggior parte di questi si dissolve in circa un giorno. Alcuni, invece, si dilatano gradatamente fino ad assumere le caratteristiche di una macchia, ovvero manifestano una sia pur modesta penombra e raggiungono dimensioni notevoli. Tale formazione ha luogo solo nelle medie latitudini eliografiche ( tra il 50 e il 400 parallelo ). La vita media di una macchia è di un paio di settimane, durante le quali si evolve, manifestando variazioni continue di forma e di dimensioni. In genere, però, esse tendono a formarsi a coppie o a gruppi, i quali possono avere una vita media anche di tre mesi e si spostano sulla superficie del Sole sia a causa di un piccolo moto proprio sia, soprattutto, perchè il Sole ha una rotazione non uniforme. È noto almeno dall'inizio del XVIII secolo che l'intensità e la frequenza delle macchie seguono un'andamento ciclico che dura circa 11,2 anni, con oscillazioni tra gli 8 e i 17 anni. Nel corso di questo periodo esse aumentano fino a raggiungere un massimo e poi diminuiscono, riportandosi ai livelli iniziali.


Nel 1848, R. Wolf e Wolfer, due astronomi svizzeri, idearono un sistema per esprimere l'entità dell'attività solaretramite il numero di macchie osservabili, in modo del tutto indipendente dall'oss'rvatore e dallo strumento utilizzato. Il numero che dà questa misura (numero di Wolf) è indicato con la lettera W e si calcola tramite la seguente formula: W= K(10 G + T)


Dove G è il numero di gruppi di macchie, T è il numero totale di macchie contenute nei gruppi (comprese le macchie isolate) e K è un coefficiente che varia con lo strumento, l'osservatore e la turbolenza atmosferica; per Wolf, che disponeva di un cannocchiale di 75 mm, Kè uguale a 1.


L'abbassamento della temperatura all'interno delle macchie è legato agli intensi campi magnetici che si registrano in quelle regioni, che impediscono il regolare movimento convettivo del materiale solare , allo stato di plasma, che dall'interno cerca di raggiungere la superficie. La polarità delle macchie non è casuale: se esaminiamo, infatti, le macchie distribuite lungo un medesimo parallelo, si osserva che coppie di macchie contigue hanno polarità opposta: per esempio quella, quella più a Ovest ha polarità N, mentre quella che la segue verso Est ha polarità S. Non sono, ma ogni coppia di macchie dello stesso emisfero ha lo stesso tipo di magnetizzazione, mentre tutte le coppie dell'altro emisfero sono magnetizzate in senso opposto. All'inizio di ogni nuovo ciclo solare le polarità si invertono.


Le macchie solari sono associate a zone molto attive della superficie solare in cui si verificano anche altri fenomeni:


-Le facole fotosferiche che sono zone di luminosità più elevata rispetto al resto della fotosfera, compaiono in prossimità delle macchie eb durano più a lungo rispetto ad esse.


-Le protuberanze che sono grandi nubi filamentose di idrogeno che si innalzano dalla cromosfera e penetrano ampiamente nella corona, in genere fino a quote di 20-40.000 Km. Hanno forme di immense fiammate, di vortici, di archi giganteschi lunghi anche 100-200.000 Km: nell'Agosto del 1973 i ricercatori a bordo del laboratorio spaziale Skylab ne fotografarono una lunga oltre mezzo milione di Km. La temperatura della materia gassosa dalle protuberanze è compresa tra 15.000e 25.000 K: sono più calde, perciò, della cromosfera, ma decisamente fredde rispetto alla corona solare entro cui si spingono.


Si riconoscono protuberanze quiescenti, simili a tenui drappi, in apparenza sospese ed immobili per parecchi mesi: l'osservazione sistematica ha permesso di vedere che il materiale che le compone scende come una pioggia verso la superficie del Sole, come se si trattasse di materiale della corona che localmente si condensa e torna nella cromosfera seguendo le linee di forza del campo magnetico. Ma si osservano anche protuberanze eruttive, il cui materiale risulta eiettato dalla cromosfera verso l'esterno a velocità elevate (anche 700 Km/s) per decine di migliaia di Km. Le protuberanze si osservano durante un'eclissi totale come lingue di fuoco luminose che sporgono dalla cromosfera; se si osservano, invece, contro il disco del Sole (usando uno spettroeliografo) appaiono come strutture lunghe e oscure, chiamate filamenti.


-I brillamenti (o flares come vengono più spesso chiamati con termini inglesi) che sono violentissime esplosioni di energia, veri e propri lampi di luce intensissimi associati a potenti scariche elettriche: compaiono di tanto in tanto in prossimità di grandi gruppi di macchie e nel giro di pochi minuti (raramente di qualche ora) si propagano su un'area di milioni di Km2 , per poi estinguersi completamente. Nel corso di tali esplosioni vengono liberate enormi quantità di energia, con un'ampia gamma di radiazioni, dai raggi X alle onde radio. Viaggiando alla velocità della luce questi improvvisi aumenti di radiazioni iinvestono gli strati più alti dell'atmosfera terrestre, provocando notevoli perturbazioni, che influiscono sulle trasmissioni radio. Oltre a radiazioni di carattere ondulatorio, i brillamenti possono lanciare getti di materia gassosa incandescente fino a 10-20.000 Km di altezza, ma, soprattutto, emettono un intenso flusso di particelle atomiche (elettroni e protoni)che lasciano il Sole verso lo spazio viaggiando ad alta velocità (1500 Km/s). nel caso dei flares più intensi, si osserva anche l'emissione di un'ultraradiazione (o radiazione cosmica), formata da particelle ad altissima energia che si propagano a velocità prossima a quella della luce. Quando un flare esplode in prossimità del centro del disco solare (rispetto alla Terra), nel giro di 26 ore il flusso di particelle raggiunge il nostro pianeta. I velocissimi corpuscoli di origine solare colpiscono con violenza le particelle ionizzate dell'alta atmosfera terrestre, 'soffiandole' verso la bassa atmosfera, dove, a quota tra 70 e 1000 Km danno origine alle aurore polari (boreali e australi). La forma del campo magnetico terrestre fa sì che le particelle, elettricamente cariche, possano penetrare nell'atmosfera soltanto nelle zone prossime ai poli magnetici, dove, ionizzando


gli atomi presenti, provocano l'emissionie delle luci polari.


Dopo un brillamento queste zone dell'atmosfera terrestre rimangono in stato di eccitazione per parecchi giorni, durante i quali le aurore assumono gli aspetti più fantastici: tenui veli rossastri, lunghe bande in lente ndulazioni, drappeggi verdastri, blu rossastri. contemporaneamente alle aurore polari, si verificano anche le 'tempeste magnetiche' , ossia forti perturbazioni del campo magnetico terrestre.



IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE:


Fin dal XVII secolo è noto che la Terra si comporta come un enorme magnete. Infatti, se si posiziona, in un punto qualunque della superficie terrestre un ago magnetico libero di ruotare su un piano orizzontale, si nota che esso si orienta con il Nord approssimativamente verso il nord geografico (e Sud magnetico). Ciò dimostra l'esistenza di un campo magnetico terrestre. Esso può essere rappresentato immaginando che al centro della terra si trovi una sbarra magnetica dotata di due poli ed inclinata, rispetto all'asse terrestre, di circa 110 . Il polo Nord ed il polo Sud magnetici non coincidono quindi con i poli geografici, ed anzi il polo Nord magnetico si trova in prossimità del polo Sud geografico e viceversa. Le linee di forza del campo escono dal polo Nord per poi chiudersi nel polo Sud. In realtà i poli magnetici non sono diametralmente opposti, come quelli geografici, poichè la loro congiungente non passa per il centro della Terra, ma a circa 1200 Km da esso. Inoltre essi non sono fissi; non possono quindi essere indicati con due punti geometriciveri e propri, ma sono localizzati entro zone di estensione variabile che cambiano nel tempo.


Le cause del magnetismo terrestre non sono ancora del tutto chiare. Fino a qualche tempo fa si pensava che esso fosse dovuto alla presenza del nucleo di sostanze ferromagnetiche, quali il ferro, il nichel ed il cobalto, ma l'ipotesi è risultata inesatta dato che al centro della Terra le temperature raggiungono valori molto elevati e noi sappiamo che tali sostanze, oltre il punto di Curie, perdono le loro proprietà magnetiche. Più attendibile è, invece, l'ipotesi che giustifica l'esistenza del campo geomagnetico con la presenza di correnti elettriche macroscopiche all'interno della Terra.


Siccome l'asse magnetico e qullo geografico non coincidono perfettamente, l'ago magnetico non indica l'esatta posizione del Nord geografico, ma viene deviato. L'angolo, sul piano orizzontale, tra la direzione dell'ago e il meridiano passante per il luogo, è detto declinazione magnetica. Il suo valore varia da luogo a luogoe, per la stessa località, muta nel tempo. La declinazione può essere verso est ( e quindi è detta orientale o positiva), o verso ovest ( e quindi è deta occidentale o negativa) rispetto al meridiano geografico; è nulla per tutti i punti situati sul meridiano geografico passante per i poli magnetici.


Se in una bussola l'ago magnetico, che è appoggiato a un solo punto di sostegno, è libero di muoversi sia in orizzontale sia in verticale, esso non si dispone su di un piano perfettamente orizzontale: può essere positiva (nell'emisfero boreale) o negativa (nell'emisfero australe) a seconda che il Nord dell'ago sia situato sotto o sopra l'orizzonte. L'angolo compreso tra il piano d'inclinazione dell'ago ed il piano orizzontale è detto inclinazione magnetica. Essa varia da 00 a 900 , a nmano a mano che ci si sposta dall'equatore magnetico ai poli magnetici. L'inclinazione è dovuta al fatto che l'ago calamitato assume sempre posizioni parallele alle linee di forza del campo.


Grazie ad uno strumento particolarmente sensibile, il magnetometro, è possibile misurare l'intensità, cioè la forza esercitata punto per punto sulla superficie terrestre dal campo magnetico e la sua direzione.


Con i dati ricavati si possono costuire carte in cui vengono collegati tutti i luoghi che hanno la stessa declinazione magnetica (carta delle isogone, infatti il termine 'isogono' niene dal greco isos = uguale e gonios = angolo) e carte che hanno la stessa inclinazione magnetica (carta delle isocline, infatti il termine isogono viene dal greco eisos = uguale e Klino= inclinare).


Il campo magnetico terrestre si estende anche al di sopra della superficie terrestre, con un'intensità che diminuisce con l'aumentare della distanza dal pianeta. La regione di spazio che circonda la Terra in cui si risente l'azione del campo geomagnetico è detta Magnetosfera e costituisce una specie di scudo protettivo contro le radiazioni cosmiche.


Il campo magnetico terrestre non è costante e stabile, ma presenta variazioni della declinazione e dell'inclinazione magnetica diurna ed annuali, che vengono dette variazioni a breve periodo e dipendono essenzialmente dal moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole ed altre che hanno una periodicità regolare. Attualmente l'intensità del campo magnetico dipolare si sta riducendo: dal 1830 a oggi è diminuita del 5%. Inoltre l'asse magnetico ha subito negli ultimi 150 anni uno spostamento evidente verso Ovest, pur non mutando latitudine. Le variazioni più importanti sono sicuramente le inversioni del campo magnetico scoperte attraverso i minerali e le rocce, cioè studiando ciò che comunemente viene definito magnetismo fossile. Con periodicità irregolare il campo magetico inverte le sue polarità. La causa di ciò non è ancora chiara. Durante il periodo di tale inversione il campo magnetico terrestre è quasi nullo e la Terra perde una gran parte dello scudo magnetico che la protegge dai raggi cosmici, che sono dannosi per gli esseri viventi.


Il diverso comportamento delle sostanze, sotto l'azione di un campo magnetico, come per esempio quello terrestre, dipende dal valore della suscettibilità magnetica ,Xm , ed induce a classificare le sostanze stesse in tre categorie:


-SOSTANZE DIAMAGNETICHE: sostanze per le quali Xm < 0, cioè la permeabilità magnetica relativa assume valori leggermente inferiori all'unità e ciò spiega perchè sono necessari intensi campi per ottenere effetti apprezzabili. Esse sono prive di un magnetismo proprio , però lo possono acquistare in presenza di un campo magnetico esterno; il magnetismo indotto risulta sempre di senso contrario a quello del campo, poichè è dovuto alla distorsione delle orbite (polarizzazione magnetica per deformazione). Di conseguenza, in una sbarretta di sostanza diamagnetica sospesa nel campo magnetico di una potente calamita vengono indotti poli magnetici omonomi a quelli della calamita ai quali sono prossimi; la sbarretta viene quindi respinta e, in condizioni di equilibrio, si dispone trasversalmente alla direzione del campo. Presentano questa proprietà tutte le sostanze, però l'effetto è spesso mascherato dal paramagnetismo. Il paramagnetismo è abbastanza notevole per il bismuto ed in misura notevole per l'argento, l'oro, il rame e il piombo; anche il mercurio e l'acqua sono diamagnetici.


-SOSTANZE PARAMAGNETICHE: Gli atomi (o le molecole) di queste sostanze posseggono un momento magnetico, cioè sono dotate di un campo magnetico proprio, indipendentemente dalla presenza di un campo magnetico esterno. Sotto l'azione di quest'ultimo si comportano come dipoli magnetici e quindi si orientano nella direzione e nel verso del campo inducente (polarizzazione magnetica per orientamento). La magnetizzazione che si è venuta a formare è concorde con il campo magnetico ed è abbastanza intensa da superare l'effetto diamagnetico, sempre presente. Xm assume piccoli valori positivi, quindi la permeabilità magnetica relativa della sostanza è di poco superiore all'unità; ciò indica che occorronocampi di fortissima intensità per poterle magnetizzare. Sono sostanze paramagnetiche il platino, l'alluminio, l'ossigeno e l'area.


-SOSTANZE FERROMAGNETICHE: Sono sostanze ferromagnetiche il ferro, il nichel, il cobalto e molte loro leghe. Tali sostanze sono caratterizzate da zone microscopiche dette domini ferromagnetici o domini di Weiss, cosiddetti perchè ipotizzati dal fisico Weiss nel 1907. In assenza di un campo magnetico esterno, i momenti magnetici degli atomi sono già paralleli fra di loro, ma i singoli domini sono orientati a caso, per cui la magnetizzazione risultante è nulla. Se invece agisce un campo, anche non molto intenso, molti di questi domini si orientano concordemente al campo e pertanto la sostanza si magnetizza. Il campo magnetico interno è molto più intenso di quello esterno, infatti la permeabilità magnetica relativa assume un valore molto grande. Tale valore non è costante, ma varia al variare dell'intensità del campo magnetico applicato per provocare la magnetizzazione. Il ferromagnetismo dipende anche dalla temperatura; infatti al di sopra di una certa temperatura, detta punto di Curie le sostanze ferromagnetiche perdono le loro proprietà e diventano paramagnetiche. Ciò è dovuto all'agitazione termica che impedisce l'allineamento dei momenti magnetici degli atomi.




CICLO D'ISTERESI MAGNETICA


Per descrivere il comportamento di un materiale immerso in un campo magnetico si ricorre alle curve di magnetizzazione. Per ottenere buoni risultati è opportuno che il materiale sia in forma di sbarra lunga e sottile, eventualmente ripiegata su se stessa, perchè l'azione di un campo magnetico su un corpoè sempre ridotta dal cosiddetto campo magnetizzante -NM (dove M è la magnetizzazione), dovuto ai poli superficiali. N, fattore smagnetizzante, dipende dalla forma del corpo e dalla sua orientazione rispetto al campo e varia da zero per un corpo lungo e sottile posto nella direzione del campo a un valore apprezzabile in un corpo corto ed esteso, ad esempio un disco parallelo al campo.


Per traccciare la curva di magnetizzazione di un certo materiale, si rivelano sperimentalmente le intensità di H e di B, ad esempio con il dispositivo della figura:


Esso è costituito da un solenoide abbastanza lungo, nel quale si fa passare corrente elettrica di intensità variabile, in modo da poter generare campi magnetizzanti H anch'essi di intensità variabile. Il nucleo del solenoide è formato da materiale ferromagnetico.


Il ciclo magnetico completo, che esprime l'andamento di B in funzione di H, si può dividere in diverse fasi:


Inizialmente il nucleo del solenoide è completamente smagnetizzato, grazie al suo riscaldamento fino al punto di Curie ed al successivo raffreddamento a temperatura ambiente in luogo nel quale non sia sensibile alcuna azione magnetica. Se si aumenta l'intensità di corrente che attraversa il solenoide, e quindi anche l'intensità del campo magnetizzante H, si nota che anche B aumenta (all'inizio lentamente, poi sempre più velocemente), finchè raggiunge un valore massimo Bs corrispondente ad un determinato valore di H, Hs. A questo punto, pur aumentando ulteriormente il valore di H, B rimane invariato poichè tutti i domini ferromagnetici del nucleo sono orientati: si è giunti, cioè, alla saturazione magnetica.


Se si diminuisce progressivamente H fino a raggiungere il valore H = 0, anche B diminuisce, ma non si annulla. Esso mantiene un certo valore residuo, Br, detto magnetismo residuo, dovuto al fatto che i domini ferromagnetici non sono completamente reversibili, cioè non riacquistano del tutto la primitiva configurazione disordinata.


Per ottenere la completa smagnetizzazione del nucleo si inverte il senso della corrente nel solenoide,e quindi anche del campo magnetizzante, che perciò sarà detto campo smagnetizzante. Quando B = 0, il campo smagnetizzante assume il valore -Hc e viene detto campo coercitivo.




Se si continua ad aumentare H in valore assoluto, anche B assumerà valori negativi, aumentando in valore assoluto, finchè non si raggiunge nuovamente la saturazione magnetica.


Se poi si diminuisce H in valore assoluto fino ad H = 0, biminuisce anche B fino al valore -Br.


Se si vuole smagnetizzare completamente il nucleo, bisogna invertire nuovamente il senso della corrente nel solenoide, e quindi anche quello del campo magnetizzante. B = 0 quando H raggiunge un certo valore Hc ( campo coercitivo).


Se si aumenta ulteriormente H fino al valore Hs, B raggiunge di nuovo il suo valore massimo. Il ciclo è concluso.


La curva chiusa che si è venuta a formare è detta curva di isteresi magnetica ed è diversa per i vari materiali ferromagnetici.


Essa mette in evidenza che ad un qualunque valore di H, fatta eccezione per i punti P e S, non corrisponde un solo valore di B, ma due differenti valori. Quindi la magnetizzazione di un corpo ferromagnetico non dipende soltanto dal valore del campo magnetizzante, ma anche dai valori che tale campo aveva in precedenza.in altre parole l'entità della magnetizzazione dipende dalla soria magnetica del nuclo.


L'area complessiva del ciclo è proporzionale all'energia dissipata in calore per unità di volume del materiale e per ogni ciclo. A seconda del materiale e della 'sua' storia magnetica il ciclo di isteresi può assumere una forma variabile: è riferibile proprio a questa forma la diffusa classificazione dei materiali ferromagnetici in duri e morbidi.


Vengono definiti magneticamente duri i materiali che presentano valori elevati di magnetismo residuo e di forza coercitiva insieme ad un'area ampia del ciclo. Si tratta di materiali che trovano la loro applicazione ottimale nella costuzione di magneti permanenti. I materiali magneticamente morbidi sono, invece, quelli che hanno bassa forza coercitiva, modesto magnetismo residuo e piccola area del ciclo di isteresi. Sono certamente i più idonei ad essere impiegati nelle applicazioni industiali in corrente alternata.


PARADISO


Ponendo nuovamente l'attenzione sull'unico astro del sistema solare, non si può fare a meno di pensare al posto occcupato dal Sole, durante i secoli, nelle diverse rappresentazioni dell'Universo: da un posto periferico nel sistema geogentrico, ad un posto di primo piano in quello eliocentrico. Esso trova inoltre una collocazione importante anche nel quarto cielo del Paradiso dantesco, dove si trovano gli spiriti sapienti.


Ma analizziamo più in dettaglio il canto dedicato al più umile di tali spiriti: san Francesco.


CANTO XI


Sintesi del canto:


Il canto inzia con un severo rimprovero agli uomini che si affannano dietro molteplici occupazioni per interessi limitati e non per amore del bene. Studio del diritto e della medicina, sacerdozio e governo, affari e inganni, passioni terrene e ozio sono tutti messi sullo stesso piano come modi dello sviamento dell'umanità.


Ancora una volta la gloriosa ruota paradisiaca si ferma e Tommaso d'Aquino elogia l'ordine francescano; ricorda che la Provvidenza, che regge le sorti del mondo, per il bene della Chiesa e dell'umanità fece sorgere due uomini che la guidassero. Uno ebbe l'amore ch'è proprio dei Serafini, l'altro la sapienza dei Cherubini. Parlare di uno sarà come parlare dell'altro, perchè i loro differenti cammini avevano la stessa meta. E Tommaso, per parlare di uno dei due, evoca un luogo d'Italia, l'Umbria, tra il Tupino e il Chiascio, tra Gubbio, Perugia, Gualdo Tadino e Nocera: luoghi evocati non solo nelle loro caratteristiche geografiche ma anche nella trama degli eventi storici.


Nel luogo in cui la ripidità del monte Subasio s'addolcisce, sorse un sole che, come l'astro che dà la vita alle cose, avrebbe illuminato il mondo. Perciò chi vuole parlare con proprietà di quel luogo non lo chiama Assisi, ma Oriente. È l'elogio di san Francesco che Tommaso tesse. Egli ricorda la provocatoria scelta di povertà fatta dal santo nella giovinezza, gli ostacoli affrontati per difenderla, il fascino che quella scelta suscitò sui suoi seguaci. Francesco si presentò al papa per chiedere il riconoscimento ufficiale della propria rwegola. Innocenzo III l'approvò, e l'approvazione fu in seguito ribadita e resa ufficiale da Onorio III. Francesco si recò in Oriente per sete di martirio e trovando restii alla parola del Vangelo gli uomini cui si rivolgeva tornò in Italia; infine approdò alla Verna, dove ebbe le stimmate. Morendo raccomandò ai suoifrati di esser fedeli alla povertà e per sottolineare la propria fedeltà ad essa volle morire sulla nuda terra e dal grembodella povertà salì al cielo a ricevere il premio della sua vita virtuosa.


L'elogio di san Francesco termina con un aspro pimprovero di Tommaso ai propri confratelli, i domenicani, che si perdono dietro i beni terreni e dimenticano l'esempio dato loro dal fondatore, cos' degno di essere ricordato accanto a san Francesco.


Le ultime parole del discorso di Tommaso servono a chiarire il dubbio di Dante. Tommaso aveva detto che negli ordini monastici ci si nutre bene se non si seguono le cose vane. Il nutrimento di cui parlava Tommaso era il rispetto della regola, il vaneggiare è lo sviarsi dei frati dietro i richiami del mondo.


Analisi critica


Dante nel cielo del Sole si sofferma a riflettere sulla sua presente condizione tanto diversa da quella dei comuni mortali affannati vanamente nelle cure mondane: ed un'esclamazione gli esce dall'animo ancora partecipe in qualche modo di questi affanni, un'esclamazione calda di zelo etico e ad un tempo di interiore compiacimento. È dapprima una nota di rimprovero e di commiserazione, non priva di certa enfasi retorica nella forma esclamativa, nalla 'cura de' mortali' di classico conio e nell'ironia del volo rivolto in basso che preannunzia, invertita, quell'immagine di un volo verso l'alto, immanente nella struttura del paradiso e destinata a rivelarsi dominante nellla parte centrale del canto.


Le vane cure dietro cui si perdono le brame dei mortali erano un argomento che stava profondamente infitto nella coscienza di Dante: la soluzione suprema sta nella perfetta conoscenza di Dio alla quale mena la vita contemplativa. Ma nel discorso di san Tommaso il motivo è svolto in forma ben più concreta, in senso più ristretto forse, ma tutto attuale. Il problema si pone a Dante sotto forma dela conquista della virtùliberatrice dalle brame terrene, come era stata bandita al mondo dai fondatori di due ordini monastici, i quali avevano rinnovata la coscienza religiosa del secolo XIII. Nel porre san Francesco accanto a San Domenico, Dante interpretava un'idea dominante del suo tempo, vi si riconoscesse l'avverarsi di una profezia preconizzante gli artefici di un rinnovamento spirituale del secolo, o si volgesse questa identificazione a fini puramente celebrativi, o si riflettessero in ambiente più semplice e popolare la comunanza di intenti e ad un tempo la diversa configurazione e anche la rivalità della missione francescana e domenicana.Qui anzi è evidente una ingenua posizione polemica, l'esplicita intenzione di smorzare e superare affidando a un domenicano il compito di recitare le lodi di san Francesco e di deplorare la decadenza del proprio ordine, ponendo le lodi di san Domenico in bocca a san Bonaventura che fu generale dei francescani e ne rimprovera qui gli errori. Alla fine del canto, la deplorazione del domenicano ci ricondurrà sulla terra, e ritroveremo realmente una traccia di questa intenzione conciliatrice; ma in questo punto no;qui siamo in cielo e da tutto l'alone di aspettazione, e talvolta anche di opposte speranze, di cui andava circonfusa la copia dei due santi, Dante non trae se non il carattere provvidenzialedel loro avvento regalandoci una pagina di filosofia della storia di tale ampiezza di orizzonte da potersi paragonare soltanto con quella racchiusa nel canto di Giustiniano. Queste storie esemplari di santi, come è ormai concordemente riconosciuto, rivestono la forma di un panegirico. La vita di san Francesco è pervasa di una tonalità di serrata eloquenza celebrativa identica a quella del solenne esordio. Sono periodi complessi che talora rompono e travolgono l'unità delle terzine, talorasi frangono in misure più brevi e incalzano l'una sull'altra. San Tommaso si rifà dall'alto, con una proposizione d'ordine generale che ci porta di colpo nel mondo delle cose fisse ed eterne, una proposizione solenne e stilisticamente sullo stesso piano delle sentenze d'ampio respiro da cui ama muovere il ragionare dantesco; segue con ampio sviluppo sintattico il decreto divino; poi la simmetria dei due santi mandati sulla terra, fatta di ben soppesate opposizioni. Si aggiunga a tutto ciò lo sviluppo della metafora tradizionale per la quale la chiesa è raffigurata come la sposa di Cristo e si comprenderà come, per mezzo di questa magnifica eloquenza di tradizione ecclesiastica, Dante ci trasporti realmente in cielo, dove la storia degli uomini è completata da un punto di vista universale.


La lunga e complessa perifrasi con la quale è destinata la patria di san Francesco dalle pendici del Subasio, posto tra il Tupino e il Chiascio appartiene al perfetto stile del panegirico; come altre perifrasi del genere, assolve pure il compito di disporrescenograficamente l'azione destinata a svolgersi sulla terra allargando l'orizzonte, con quel paragone astronomico, sino all'estremo oriente, dove sotto il meridiano di Gerusalemme, appare il Sole dell'equinozio di primavera; quasi presentiamo la simmetrica indicazione della patria di san Domenico, nell'estremo accidente d'Europalà dove il Sole s'attarda nei lunghi tramonti estivi.


Altro trattodel genere sublime è l'interpretazione del nome dela patria del santo:non Ascesi, ma Oriente, a parlar propriamente, se si vuol dare alla parola il suo significato ' vero', cioè etimologico: un semplice termine tratto dal frasario retorico e grammaticale, ma in questa atmosfera poetica ha ilpotere di presentare con la consistenza della realtà una creazione fantastica. Il simbolo fatto immagine, preparato come è da quell'insistere su Porta Sole e sulla dolce costa del Subasio che manda calore e luce, riprende più vivo e scoperto quel tema dell'ascesa che già era affiorato nel pleludio e si trasforma immediatamente nella figura del santo giovinetto al primo rivelarsidella sua missione, quando citato dal padre dinanzi alla curia episcopale di Assisi perchè rinunciasse all'eredità paterna, non solo accondiscese, ma si spogiò persino dei panni che indossava per dimostrare la sua volontà di conformarsi alla povertà evangelica.


Nelle ultime terzine, infine, Dante condensa propriamente la storia di san Francesco e del suo ordine, su una trama semplicissima : il primo riconoscimento di papa Onorio III, poi, il riconoscimento supremo, le stimmate.

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