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Nietzsche e kierkegaard




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NIETZSCHE E KIERKEGAARD

Nietzsche ha prodotto influssi di assoluto rilievo in svariati ambienti e su numerose personalità della letteratura e della politica del XX secolo. È inevitabile, a tal proposito, riferirsi a Gabriele D'Annunzio, che nel suo lavoro mostrò di aver manifestamente recepito il mito dell'oltreuomo. Nietzsche propugna con la figura del superuomo, l'avvento di un nuovo tipo di uomo, capace di liberarsi dai pregiudizi e dai vecchi schemi, di smascherare con il metodo genealogico l'origine umana troppo umana dei valori, nonché di farsi consapevole creatore di valori nuovi. Non sarebbe corretto definire un uomo del genere superuomo: super indica sopra, quindi 'super-uomo' vuol dire 'colui che è sopra gli uomini' e li schiaccia. Nietzsche in realtà parla di un 'oltre-uomo', che non schiaccia gli altri ma procede al di là delle convenzioni e dei pregiudizi che attanagliano l'uomo. L'Oltreuomo è colui che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita, e che fa sua la cosiddetta 'morale aristocratica' che dice 'sì' alla vita e al mondo. L'Oltreuomo è discepolo di Dioniso poiché accetta la vita in tutte le sue manifestazioni, nel piacere del divenire inteso come alternanza di vita e morte. È colui che afferma la vita senza temerla in modo gioioso; che sa assumere il peso delle contraddizioni della vita, che accetta gli istinti ed è al di là del bene e del male. Suo unico vincolo è la "fedeltà alla terra" senza speranze ultraterrene, perché in essa può ritrovare la sua vera natura. Esso ha dei valori differenti da quelli della massa degli uomini. Nella sua opera "Così parlò Zarathustra", spiega che per l'oltreuomo ogni istante è il centro del suo tempo di cui è sempre protagonista. L'eterno ritorno, cioè l'eterna ripetizione, è la dottrina che Nietzsche mette a capo della nuova concezione del mondo e dell'agire umano. Per Nietzsche ogni momento del tempo, cioè l'attimo presente, va vissuto in modo spontaneo, senza continuità con passato e futuro, perché passato e futuro sono illusori. L'oltreuomo è colui che vuole il necessario. In questo sta la sua beatitudine. Tale beatitudine dipende da un atto pratico, vitalistico. Si tratta di un altro insegnamento fondamentale del profeta Zarathustra. La volontà di potenza è volontà che vuole se stessa (e non volontà come intende Schopenhauer): è la volontà di un uomo, l'oltreuomo, che si assume e crea il suo destino. L'avvento del superuomo coincide con la morte di Dio, descritta in una sua opera importante, "Gaia scienza", scritta nel 1882. Per Nietzsche la morte di Dio costituisce un "trauma", ma solo in relazione ad un uomo non ancora superuomo che proprio in virtù di questo trauma può divenire tale. Con la sua affermazione, "Dio è morto" Nietzsche intende che nessuno crede più veramente. Ma nell'atto stesso di compiere questa affermazione si trova di fronte allo scetticismo e all'indifferenza. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò, come il compimento di un processo nichilistico. Niente ha più senso e l'uomo sta precipitando verso un infinito nulla. Il concetto del nichilismo esprime proprio questa consapevolezza dello sprofondare dell'umanità nell'angoscia dell'assurdo con la certezza disperata che nulla ha più senso. La filosofia di Nietzsche propone notevoli spunti di riflessione, che in parte spiegano la difficoltà di quest'autore di essere pienamente compreso nel suo tempo, nell'Ottocento, e la sua successiva riscoperta nel XX secolo. È il caso di ricordare che il '900 vede l'arrivo alla ribalta di un esistenzialismo molto lontano da quello di Kierkegaard e che per molti aspetti Nietzsche è un anti-Kierkegaard in aperta concorrenza con la sua visione del mondo. Lo 'scacco' kierkegaardiano per Nietzsche diventa il pretesto per una via a una vittoria sul destino di cui l'oltreuomo si fa profeta. Anche Kierkegaard affronta la tematica dell'estetismo ricorrente alla fine dell' 800. Nell'opera "Aut-aut",scritta nel 1843, Kierkegaard presenta l'alternativa fra due forme fondamentali di vita: quella estetica e quella etica. Nell'opera "Timore e tremore", scritta anch'essa nel 1843, emerge la terza forma fondamentale di vita: quella religiosa. Secondo lui l'esistenza diviene vera quando si pone di fronte a un'alternativa e con coraggio sceglie e la scelta decisiva è quella religiosa; essa, infatti, guarisce dalla disperazione, la vera malattia mortale che colpisce tutti. Tra la vita estetica e quella etica vi è una sorta di abisso, un salto. Ogni stadio forma una vita a sé, con le sue opposizioni interne, e si presenta all'uomo come un'alternativa che esclude l'altra. Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell'attimo, fuggevolissimo e irripetibile. L'esteta è colui che vive poeticamente, cioè nutrendosi di immaginazione e riflessione insieme. Dotato di un senso finissimo per scoprire quanto l'esistenza offre di più interessante, egli si rapporta alle diverse situazioni della vita concreta come se fossero il frutto dell'immaginazione poetica. Ritiene invece fondamentali e primari i valori della bellezza e del piacere e a essi subordina tutti gli altri valori (anche e soprattutto quelli morali). L'esteta è teso solo al soddisfacimento di sempre nuovi desideri e considera il mondo come uno spettacolo da godere. Per rappresentare nella sua pienezza lo stadio estetico dell'esistenza, Kierkegaard tratteggia la figura del 'seduttore', rappresentato dal personaggio di Don Giovanni, il protagonista del "Diario del seduttore", il quale sa trarre godimento non dalla ricerca sfrenata del piacere, ma dalla scelta dei piaceri più intensi. Don Giovanni non si lega a nessuna donna particolare perché vuole poter non scegliere: il seduttore è sciolto da ogni impegno o legame e vive nell'attimo, cercando unicamente la novità del piacere, ma seduce migliaia di donne senza riuscire ad amarne davvero nessuna. Ma Kierkegaard esprime un giudizio negativo sull'esteta. Infatti, chi non sceglie e si dedica solo al piacere cade ben presto nella noia, cioè nell'indifferenza nei confronti di tutto, perché, non impegnandosi mai, non vuole profondamente e sentitamente nulla. Inoltre l'esteta, se se smette di ricercare il piacere e riflette lucidamente su sé stesso, è assalito dalla disperazione. Poiché ha scelto di non scegliere, poiché non ha accettato di fare delle scelte, non si è impegnato in un programma di vita, egli non è nessuno. È nulla. Ha rinunciato a costruirsi un'identità, una personalità definita. Avverte così, con disperazione, il vuoto della propria esistenza, senza senso e senza centro. La disperazione è il terrore del vuoto, del non essere altro che niente. Lasciandosi andare completamente alla disperazione, si può rompere l'involucro della propria esteticità, e riagganciarsi con un "salto" all'altra alternativa possibile, quella costruita dalla vita etica. Con la scelta della disperazione nasce la vita etica, la quale implica una stabilità e una continuità che la vita estetica esclude. Nello stadio etico, l'uomo vive conformemente a ideali morali e cerca di assumersi delle responsabilità. Sceglie fra il bene e il male e accetta i compiti seri della famiglia, del lavoro, dell'impegno nella società, dell'amor di patria e affronta serenamente i sacrifici necessari per restare fedele a tali compiti. Come la vita estetica è incarnata dal seduttore, la vita etica è rappresentata dalla figura del 'marito', cioè dell'uomo che ha scelto una sola donna e ha accettato i doveri del matrimonio, ed è contrapposta a quello del seduttore. L'uomo etico è incarnato, nell'opera Aut-aut dal Consigliere di Stato Guglielmo. Il consigliere Guglielmo, che ha scelto la vita etica, è un marito fedele, un professionista onesto e laborioso e un funzionario esemplare. Mentre il seduttore vive sempre nell'istante, ma perde se stesso, il marito, che ha fatto delle scelte etiche e programma in base a esse il suo futuro, sembra edificarsi una personalità. Appare pacificato e tranquillo, non vive per l'istante bensì nella continuità del tempo in cui egli non fa che riaffermare, riconfermare la sua 'scelta' iniziale. La caratteristica della vita etica è costituita dalla scelta che l'uomo fa di se stesso: si tratta di una scelta assoluta, perché è la scelta della libertà, cioè, della scelta stessa. Una volta effettuata questa scelta l'individuo non può rinunciare a nessuno aspetto della sua storia, neanche agli aspetti più dolorosi e crudeli, e nel riconoscersi in questi suoi aspetti si pente. Così il pentimento ci prepara per il salto nello stadio religioso. Così come non c'è continuità tra vita estetica e etica, allo stesso modo non c'è continuità tra quella etica e religiosa. Tra loro c'è un abisso ancora più profondo. Nella vita etica, per Kierkegaard, l'uomo conosce cos'è buono e giusto e cosa non lo è, nella sfera della religione non può più appigliarsi a questi valori. Egli è solo, completamente solo davanti a Dio. L'uomo religioso, per eccellenza è incarnato da Abramo, padre dei credenti, primo patriarca del popolo ebraico. Dio, per mettere alla prova la sua fede, gli ordina di sacrificare a lui il suo unico figlio, Isacco. Abramo non esita a intraprendere il sacrificio e decide di fare eccezione alla legge morale che prescrive di non uccidere. All'ultimo momento, interviene l'Angelo del Signore e ferma la sua mano che sta per immolare Isacco. Abramo quindi calpesta i valori dell'etica, comportandosi da credente e non da buon padre perché l'unica giustificazione per il suo gesto sarebbe stata ascrivibile alla volontà divina. Abramo si apprestò a compiere un atto paradossale. Nella filosofia di Kierkegaard proprio questa è la decisione della fede. Un assurdo, un paradosso, ma che ha il merito di guarire l'uomo dall'angoscia che lo costituisce. Infatti, la fede permette di recuperare il rapporto fondamentale con Dio.


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