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Neoclassicismo e Romanticismo




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Neoclassicismo e Romanticismo


Negli ultimi decenni del Settecento le scoperte archeologiche di Pompei e di ercolano avevano sollecitato la curiosità verso il mondo classico. Alle scoperte si aggiunsero gli studi di arte classica, quali quelli svolti dal tedesco Winckelmann. Egli sosteneva che l'arte greca aveva realizzato l'ideale del bello assoluto ed eterno. le teorie del tedesco fornirono all'estetica neoclassica i principi fondamentali: l'arte e la letteratura devono mirare al bello ideale.

A questo modo di guardare l'antico si aggiunse il classicismo rivoluzionario. I protagonisti della rivoluzione francese vedevano nelle civiltà classiche un modello di vita repubblicana libera e forte. Questo classicismo rivoluzionario si trasformerà nell'età napoleonica in classicismo imperiale di ispirazione romana.

Negli ultimi decenni del Settecento e nei primi dell'Ottocento si riscontrano nella cultura italiana tendenze che appaiono opposte a quelle neoclassciste. Queste tendenze si dimostrano come esasperazione passionale e soggettiva, amore per il primitivo, il barbarico e l'esotico, per le atmosfere lugubri e tenebrose e infine con una predilizione per una natura selvaggia e tempestosa.

Il gusto del sentimentale (sensiblerie), cioè attenzione alla vita del cuore, predilizione per la commozione e per le situazioni lacrimevoli, è legato soprattutto alle opere di Rousseau, di Richardson e di Goethe.

Il romanzo di Goethe scaturisce però da un altro movimento, che costituisce un preannuncio al Romanticismo, lo Sturm und Drang. Fu un movimento letterario tedesco attivo dal 1770 al 1785 e si trattava di un gruppo di giovani intellettuali ribelli, tra i quali Schiller. Le opere più significative del movimentofurono il Werther, il Faust di Goethe e I masnadieri di Schiller. Motivo dominante dello Sturm und Drang era la passionalità primitiva e selvaggia, un'ansia di libertà assoluta che infrangesse ogni limite segnato dalle leggi o dalle convenzioni sociali.

Fama europea bbero anche i Canti di Ossian; si tratta di poemetti in prosa lirica, scritti dallo scozzese Macpherson, come traduziione dei poemi del bardo Ossian; in realtà si trattava di un abile falso che rielaborava motivi di antichi canti popolari. Vi sono mescolati l'esaltazione della virtù guerriera e cavalleresca.

Sempre dall'Inghilterra si diffuse la moda della poesia cimiteriale. Gli esponenti di maggior spicco furono Young e Thomas Gray.

Per tutte queste manifestazioni culturali si parla di Preromanticismo, perchè i loro aspetti si ritroveranno nei primi decenni dell'Ottocento nella letteratura romantica. Queste manifestazioni sono il riflesso delle inquietudini di un'età che avverte come sia ormai prossimo a crollare un ordine secolare, nelle sue strutture politiche, sociali, economiche e culturali. Il Romanticismo sarà appunto il frutto culturale di questi sconvolgimenti rivoluzionari.

Neoclasscismo e Preromanticismo appaiono tendenze culturali fra loro antitetiche e a prima vista inconciliabili. Eppure esse si trovano compresenti negli stessi anni, entro la personalità di uno stesso scrittore, a volte all'interno della stessa opera. Era accaduto per Alfieri e nell'Ottocento accadrà per Monti e per Foscolo.

In realtà Neoclassicismo e Preromanticismo non sono che fenomeni diversi che scaturiscono da una stessa radice o da una stessa crisi di fondo. In entrambi questi movimenti si riscontrano sul piano culturale contraccolpi omologhi, per cui scrittori dell'età napoleonica seguono percorsi già seguiti decenni prima da scrittori che avevano attraversato la crisi dell'Illuminismo: delusione, distacco dall'impegno civile, rifiuto della storia.






Ugo Foscolo


Vita. Foscolo nacque nel 1778 a Zante da parte di padre italiano e madre greca. L'esser nato in terra greca e da madre greca rivestì molta importanza per Foscolo, che si sentì legato alla civiltà classica. Nel 1793 si trasferì a Venezia e iniziò a studiare la letteratura sia classica che contemporanea. Politicamente era entusiasta dei principi della rivoluzione francese ed assunse posizioni fortemente libertarie ed egualitarie. nel frattempo le armate napoleoniche avanzavano nell'Italia del Nord. Foscolo fuggì a Bologna, arruolandosi nelle truppe della Repubblica Cispadana e compose un'ode A Buonaparte liberatore, in cui esaltava il generale francese come portatore di libertà. Fermatosi a Venezia, fu costretto a lasciarla di nuovo in seguito al Trattato di Campoformio. Il tradimento di Napoleone fu un trauma che segnò profondamente l'esperienza di Foscolo, cancellando tutte le sue speranze politiche. Tuttavia, pur disilluso e pur avendo sempre un atteggiamento critico verso Napoleone, egli continuò sempre a operare all'interno del sistema napoleonico.

A Milano Foscolo conobbe Parini, che costituiva per lui il modello ideale dell'intellettuale. Strinse in seguito amicizia con Monti.

Dopo la vittoria di Marengo fu arruolato nell'esercito della Repubblica Italiana. In seguito si trasferì in Francia per due anni e tornò a Venezia, dove incontrò Ippolito Pindemonte, che gli fornì lo spunto per i Sepolcri. Nel 1811 rappresentò la tragedia Aiace, dove, nella figura del tiranno Agamennone, furono ravvisate allusioni a Napoleone. Costretto a fuggire si recò a Firenze dove soggiornò per due anni. In questo periodo si dedicò alla composizione delle Grazie. Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, tornò a Milano e in seguito si trasferì prima in Svizzera e in seguito a Londra. Morì in gravose condizioni economiche in un sobborgo povero di Londra nel 1827 a 49 anni. Venne seppellito a S. Croce a Firenze.


Le Ultime lettere di Jacopo Ortis. La prima opera importante di Foscolo fu un romanzo, Ultime lettere a Jacopo Ortis, iniziato nel 1798. Si tratta di un romanzo epistolare: il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista, Jacopo Ortis, scrive all'amico Lorenzo Alderani. Il modello a cui Foscolo si ispira guarda soprattutto a I dolori del giovane Werther di Goethe. Mentre il dramma di Werther è quello di non riuscire ad identificarsi alla sua classe di provenienza, il dramma di Jacopo è la mancanza di una patria, ovvero di un tessuto sociale e politico degno di questo nome in cui inserirsi. Dietro al giovane Ortis c'è l'Italia dell'età napoleonica, con i suoi tumultuosi capovolgimenti ed il delinearsi del nuovo regime oppressivo del tiranno straniero. In Jacopo c'è la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, del vedere tradite tutte le speranza patriottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide. Non essendovi altre alternative possibili sul piano della storia, l'unica via che si offre a Ortis è quella della morte, intesa in termini materialistici e nichilistici, come distruzione totale e nulla eterno.


Le Odi e i Sonetti. Foscolo iniziò a scrivere sin da ragazzo odi, sonetti, canzoni. Il poeta stesso fece una scelta accurata della sua produzione, pubblicando le Poesie, che comprendevano due odi e dodici sonetti. Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata, risalgono al periodo della scrittura dell'Ortis, ma rappresentano tendenze opposte: se l'Ortis rimanda a tematiche romantiche, le Odi rappresentano le tendenze neoclassiciste.

I sonetti sono più vicini alla materia autobiografica e alla passionalità dell'Ortis. La maggior parte è caratterizzata da un forte impulso soggettivo, che rivela una matrice alfieriana e di Petrarca. Tra i sonetti spiccano A Zacinto, Alla sera, In morte del fratello Giovanni. Sono ripresi in questi i temi principali dell' Ortis: il poeta come figura eroica e sventurata, il conflitto con il reo tempo presente, il nulla eterno come unica alternativa, l'esilio, l'illusione della sepoltura lacrimata, il rapporto con la terra materna e con il mito dell'antico, il valore eternatore della poesia, l'impossibilità di trovare un terreno stabile su cui poggiare.


I Sepolcri. Sono un poemetto (carme) di 295 endecasillabi sciolti, sotto forma di epistola poetica indirizzata all'amico Pindemonte. L'occasione fu una discussione avvenuta con questi a Venezia, originata dall'editto napoleonico di Saint Cloud, con cui si imponevano le sepolture fuori dei confini delle città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi. Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva negato l'importanza delle tombe, poiché la morte produce la fatale dissoluzione dell'essere. Nel carme Foscolo riprese la discussione, ribadendo inizialmente le tesi materialistiche sulla morte, ma superandole poi con altre considerazioni che rivalutavano il significato delle tombe. Anche se Foscolo non vede alternative al nulla eterno, contrappone a questa idea l'illusione di una sopravvivenza dopo la morte. Questa sopravvivenza è garantita dalla tomba, che conserva il fondamentale ricordo del defunto presso i vivi. La tomba assume quindi per Foscolo un valore fondamentale nella civiltà umana; è il centro degli affetti familiari e la garanzia della loro durata dopo la morte, è il centro dei valori civili, conservando le tradizioni di un popolo e tramanda le azioni dei grandi uomini spingendo alla loro imitazione.

L'esaltazione della tradizione dei grandi del passato non è un motivo retorico ma il tentativo di dare una risposta ai problemi vivi nella coscienza collettiva in un momento delicato della cultura italiana. Il suo carme è essenzialmente poesia civile e vuole animare l'emulazione politica degli Italiani. Il linguaggio è estremamente elevato e aulico: il lessico rimanda alla tradizione poetica classica (Parini, Alfieri), però la parola è sempre densa di echi e di suggestioni.   


Ortis, lettera introduttiva


E' la lettera di apertura del romanzo. Il giovane Jacopo, profilandosi la cessione di Venezia all'Austria da parte di Napoleone, nell'ottobre del 1797 si è rifugiato sui colli Euganei per evitare la persecuzione contro i patrioti giacobini. Sin dalla pagina iniziale la morte appare come l'unica alternativa che si offre al poeta di fronte a una situazione politica senza via d'uscita. Ma, oltre che in negativo, la morte viene vista anche in positivo, come una forma di sopravvivenza, sia pur illusoria. Inoltre la morte è anche l'unico modo per trovare un terreno sicuro nell'incertezza di una condizione precaria, quella del senza patria. Si ha quindi da un lato il nichilismo esasperato e dall'altro il recupero di valori positivi attraverso l'illusione.

La forma epistolare fa si che il protagonista sia anche il narratore della vicenda e che il narrato coincida con lo svolgersi dell'azione.


Colloquio con Parini


Jacopo, nel suo peregrinare per l'Italia, è giunto a Milano, dove incontra il vecchio poeta Parini. Punto di partenza del dialogo è la situazione negativa dell'Italia napoleonica. I due interlocutori rappresentano due atteggiamenti possibili d'innanzi ad essa: la rivolta generale ed astratta, pronta a tentare il tutto per tutto (Jacopo) e l'analisi lucida e puntuale, ma realisticamente consapevole dell'impossibilità di ogni alternativa (Parini).

Parini apre il colloquio con un' analisi delle condizioni dell'Italia presente: 1) la licenza, ovvero la degenerazione della libertà rivoluzionaria che si sostituisce alla tirannide dei passati regimi; le armate napoleoniche non hanno portato la libertà ma la violazione di ogni diritto; 2) la condizione della letteratura: vengono criticati gli uomini di letteratura che si prostituiscono per ottenere favori, prestigio e privilegi; 3) lo spegnersi dello spirito eroico, della capacità di compiere generose azioni; 4) la scomparsa dei valori basilari che devono reggere la vita quotidiana: benevolenza, ospitalità, amore filiale.

Dinanzi a questo quadro, Jacopo reagisce con un'eroica smania di azione. Il giovane è pronto a tentare tutto, anche ad affrontare la morte. In Jacopo vi è quindi una fiducia nell'azione, per quanto disperata essa sia. Ma il vecchio Parini, reso saggio dall'esperienza della storia recente, smonta e disillude Jacopo sul suo mito della purezza incontaminata dell'eroe. Ma anche se, l'eroe potesse superare questi ostacoli, il prezzo di un'azione rivoluzionaria sarebbe troppo alto. Il discorso di Parini ripercorre gli aspetti della rivoluzione francese. Attraverso il pessimismo di Parini, Foscolo esprime anche tutto il suo pessimismo sull'agire politico in quel momento: un'azione contro la tirannia napoleonica non risolverebbe nulla. Se alla situazione presente non vi sono alternative attuabili, non resta che la fuga nella morte. E il suicidio finale di Jacopo è coerente a questa conclusione. Ma a differenza del suo alter ego, Foscolo segue un'altra strada: non si uccide ma continua, sia pur criticamente, ad operare all'interno del regime napoleonico.     


Illusioni e mondo classico


La lettera descrive lo stato d'animo di Jacopo dopo aver baciato Teresa. Nella prima parte dell'Ortis l'amore è un motivo che si contrappone al tema negativo della morte, frenando l'impulso suicida di Jacopo che scaturisce dalla delusione storica. L'amore è teorizzato dall'eroe come forza positiva, da cui scaturiscono la bellezza e l'arte, il rispetto reciproco e la pietà tra gli uomini, le forze fecondatrici che si oppongono alla distruzione della morte. Da questo stato d'animo si origina la riflessione sulle illusioni, destinata ad assumere un ruolo fondamentale nell'opera foscoliana.

Le illusioni sono da lui contrapposte alla filosofia, vale a dire all'arido razionalismo proprio del pensiero moderno. Il razionalismo di stampo illuminista ha due conseguenze negative: dando un'immagine esatta della realtà, ci fa percepire in tutta la sua crudezza il dolore che domina la vita umana; ma spegnendo le illusioni genera un atteggiamento di rassegnazione, di noia e di inerzia di fronte alla realtà. Solo le illusioni, secondo Foscolo, possono strappare all'inerzia e spingere all'azione. Le illusioni non sono dunque evasioni dalla realtà, ma l'unico modo per avere un rapporto attivo con essa.


Il sistema dei personaggi nell'Ortis


Il sistema dei personaggi dell'Ortis si distribuisce su due piani, quello privato (sentimentale) e quello pubblico (politico). 1) piano privato: i ruoli fondamentali sono: l'eroe (Jacopo), l'oggetto del desiderio (Teresa), l'antagonista (padre di Teresa e Odoardo). 2) piano pubblico: l'Eroe, l'oggetto del desiderio (patria), l'antagonista (Napoleone).


All'amica risanata


L'ode è dedicata ad Antonietta Fagnani Arese che è guarita da una malattia e si appresta alla guarigione. L'ode si colloca nella lirica arcadica: ad un clima settecentesco rimandano sia il carattere della poesia d'occasione, fondata sull'omaggio galante alla bella donna, sia la forma metrica, le strofe di versi brevi ed agili. Tuttavia Foscolo si rifà ad uno stile neoclassico ed aulico. Vengono nobilitati ogni aspetto della realtà quotidiana attraverso un lessico estremamente elevato ed un largo impegno di figure retoriche.

In realtà l'ode vuole condurre un discorso sul significato e sul valore della bellezza. nella seconda parte si insiste sulla funzione eternatrice della bellezza. Foscolo fonda il suo discorso su una lettura razionale del mito greco: Bellona, Artemide, Venere non erano che donne mortali, ma la fama le ha consacrate come dee immortali. Ciò che consente alla bellezza l'eternità nella fama è il canto dei poeti; così nelle due ultime strofe, il discorso sulla funzione della bellezza si prolunga nel discorso sulla funzione della poesia: Foscolo è ansiosamente alla ricerca di una ridefinizione sul ruolo del poeta. Altrove Foscolo proporrà una funzione civile e politica, quella di conservare le memorie del passato e di stimolare le virtù patriottiche. Foscolo propone se stesso come esempio: egli è colui che può far rivivere nel presente lo spirito dell'antica poesia greca.



Alla sera


Composto tra il 1802 e il 1803, fu collocato all'apertura della raccolta Poesie. Il sonetto è diviso in due parti, che corrispondono alla due quartine e alle due terzine. La prima parte è descrittiva e statica: descrive lo stato d'animo dell'io lirico d'innanzi alla sera, ovvero all'imbrunire di una giornata estiva ed il calare delle tenebre dopo un giorno invernale.

La seconda parte è più dinamica, poiché rappresenta alcuni processi di trasformazione. Qui si chiarisce perché la sera, in quanto immagine della morte, è cara al poeta: la morte ha un'efficacia liberatoria, perché rappresenta l'annullamento totale, in cui si cancellano conflitti e sofferenze. Nella struttura è presente una duplice opposizione: nulla eterno vs reo tempo e pace della sera vs spirto guerrier.

In questa struttura si traduce la tematica centrale dell'Ortis: lo scontro dell'eroe generoso ed appassionato con una realtà storica fortemente negativa; ed anche qui l'unica soluzione possibile è la morte, intesa come annullamento totale.


In morte del fratello Giovanni


Il sonetto è interamente giocato sull'opposizione di due motivi fondamentali: da un lato l'esilio, dall'altro la tomba, come centro introno a cui si raccoglie il nucleo familiare. Il tema dell'esilio richiama la figura eroica che Foscolo ama costruire di sé, quella dell'eroe infelice e sventurato senza una patria, un ruolo sociale e un nucleo familiare. Sulla tomba il poeta spera di poter ricongiungere il legame affettivo col fratello morto. La struttura è circolare e si riassume tramite uno schema: A) esilio B) tomba del fratello B) la madre A) esilio. Il motivo dell'esilio chiude al suo interno il motivo del ricongiungimento col nucleo familiare, annullandolo. Giunto alla terza strofa, il sonetto presenta una situazione bloccata, di sconfitta, che pare insuperabile e definitiva. Perciò l'unica alternativa che si presenta è il rifugio nella morte. La soluzione potrebbe sembrare la stessa del sonetto Alla sera, ma è invece profondamente diversa: nell'ultima strofa è riproposto il ricongiungimento con il nucleo familiare che sembrava impossibile. Ed è proprio la morte a riaffermarlo: la morte non è il nulla eterno, ma, essendo lacrimata, consente un legame con la vita.


A Zacinto


Il sonetto è dedicato all'isola dove il poeta nacque, Zante, nel mar Ionio. Lo schema ritmico del sonetto viola lo schema tradizionale, che vorrebbe la coincidenza di periodi sintattici e strofe. Il poeta mira a costruire un discorso lirico che si modelli sull'andamento inquieto della passione soggettiva. Grazie ai continui enjambements e alla catena di congiungimenti il discorso si presenta come flusso appassionato e ininterrotto.

Dalla prima all'ultima strofa appare la contrapposizione tra il poeta e l'eroe omerico Ulisse; sono due peregrinazioni volute dal fato ma con esito diverso. Ad Ulisse gli dei concessero il ritorno, a Foscolo lo negano, Si può leggere così il sonetto secondo un duplice codice, classico e romantico:

- codice classico: l'eroe positivo conclude felicemente le proprie peregrinazioni;

- codice romantico: l'eroe romantico negativo non può concludere le proprie peregrinazioni.

L'eroe romantico, non riconoscendosi nella società, ama rappresentarsi miticamente come un esule, condannato ad un eterno vagabondare. La frustrazione della sconfitta genera il bisogno della sicurezza. Di qui scaturisce il tema dell'isola. Vi è una segreta relazione tra Zacinto e Venere: la seconda implica l'idea di fecondità; ma Zacinto evoca l'idea di maternità. La dea Venere, la terra natale e la madre si fondono così in un'unica immagine, quella della Grande Madre.




Dei sepolcri


Il carme o poemetto consta di 295 endecasillabi sciolti. E' indirizzato all'amico Ippolito Pindemonte, con cui Foscolo aveva avuto una discussione sul valore delle tombe. Il carme può essere diviso in quattro parti: la prima, che va dal primo verso fino al 90esimo, ribadisce le tsi materialistiche dalle quali dovrebbe discendere l'inutilità delle tombe e l'indifferenza per il modo di seppellire i defunti. Nonostante Foscolo sia assolutamente convinto d queste idee, e qund non riesce a superarle sul piano teorico, resce a superarle sul piano pratico, con le illusioni.

L'illusione della sopravvivenza è affidata alle tombe: l'uomo può lludersi di continuare a vivere anche dopo la morte, poichè la tomba mantiene vivo il ricordo ed istituisce un rapporto affettivo con i familiari e gli amici. La prima parte del carme si incentra quindi sull'utilità delle tombe sul piano privato ed affettivo: ma ne scaturiscono già conseguenze filosofiche fondamentali.

Tra il verso 51 e il verso 90 Foscolo parla della colpa di non attribuire il giusto valore al sepolcro, prendendo come esempio il poeta Parini, nei cui confronti la città natale, Milano, è stata ingrata, non concedendogli degna sepoltura. Qui il discorso si estende dall'ambito privato a quello pubblico: Parini è un poeta di alta dignità civile, che con i suoi versi ha colpito gli aspetti negativi della società contemporanea.


La seconda parte del carme occupa i versi tra il 91 e il 150. Le tombe e la pietà per i defunti sono uno dei fondamentali segni di civiltà, insieme con l'istituto della famiglia, della giustizia, della religione. Intorno alle tombe si raccolgono i valori fondamentali di un popolo: sono duenque un metro per misurare il grado di civiltà di un popolo. Foscolo ottiene quattro esempi: il primo è il Medio Evo, visto come periodo di barbarie, si superstizioni, e di visioni tetre e macabre, ossessionate dalla visione della morte. In contrapposizione, un esempio positivo è costituito dalla civiltà classica. Essa aveva una visione della morte gioiosa e luminosa. Questa visione serena è pari di una vita armonica e felice. Il profumo dei fiori che circondavano le tombe antiche richiamano a Foscolo un esempio del mondo attuale: i giardini dei cimiteri suburbani inglesi. E' questo un secondo esempio positivo del valore delle tombe. A contrasto viene evocata la mancanza di spirito eroico e di valori civili dell'Italia napoleonica. L'Italia è dominata dalla smania di arricchirsi e dal timore servile verso il potere, dove le tombe non possono avere alcuna funzione e si riducono ad inutile sfoggio di lusso o a lugubri immagini di morte.


La terza parte occupa i vv. 151-212. Qui la considerazione del valore civile delle tombe si allarga alla dimensione storica: la tomba viene non solo vista come centro dei valori di un popolo, ma come messaggio che travalica il passare del tempo. Domina in questa parte il motivo delle tombe di S. Croce. Le tombe dei grandi del passato, sopravvissute alla decadenza odierna, stimolano gli uomini a compiere atti generosi e grandi azioni. Dalle memorie proviene il superamento del nichilismo e la possibilità di una partecipazione attiva alla storia. La poesia assume di seguito il ruolo di stimolo civile e politico. In questa parte del carme appare la figura di un altro poeta: Alfieri che, a differenza del Parini poeta civile, può essere classificato come poeta politico e profetico. Alfieri lancia la profezia di un futuro riscatto politico della nazione.    


La quarta parte del carme (vv. 213-295) propone un tema nuovo: alla funzione delle tombe, nel serbare la memoria e nel perpetuare i valori di una civiltà, si affianca quella della poesia. Se le tombe hanno il compito di vincere l'opera distruttrice del tempo, anch'esse sono sottoposte a quest'opera di distruzione. La loro funzione è quindi limitata nel tempo. Ma quando esse saranno scomparse, tale funzione sarà accolta dalla poesia: la parola poetica non è sottoposta alle leggi materiali, quindi la sua armonia può sfidare i secoli, vincere il silenzio a cui sono destinate le opere umane, conservando in eterno il ricordo.

I vv. 235-295, che conludono il carme, sono un'esemplificazione della poesia, che raccoglie l'eredità delle tombe nel perpetuare la memoria. Vi si delinea l'immagine delle grandi civiltà che dacono in rovina e scompaiono per l'azione del tempo che tutto trasforma. L'esempio è tratto dalla storia di Troia: Cassandra conducendo i giovani a venerare i sacri sepolcri degli antenati, profetizza la prossima rovina della città; ma un poeta, Omero, si ispirerà alle tombe dei padri di Troia, tramandando il ricordo di quella civiltà scomparsa. Omero diviene il poeta nei cui versi si raccoglie e tramanda tutta la tradizione di un popolo, che può sopravvivere così nel tempo.








































Il Romanticismo


In Italia il movimento romantico si affaccia nel 1816. Il termine romanticismo può essere considerato come categoria storica, ad indicare un periodo nelle sue manifestazioni, oppure può essere usato in un'accezione più stretta, a designare un determinato movimento, ispirato ad una precisa poetica, che si esprime in manifesti e in opere teoriche. La categoria Romanticismo è usata per designare fenomeni storici, legati alle condizioni spirituali e materiali di un dato momento della civiltà occidentale.


Aspetti generali del Romanticismo. Tematiche negative. Il Romanticismo investe tutti gli aspetti della civiltà occidentale dalla fine del Settecento alla metà dell'Ottocento, coinvolgendo non solo la letteratura, ma anche le arti figurative, la musica, il pensiero, la mentalità generale. In questo periodo trionfano tematiche negative: il dolore, la malinconia, l'inquietudine, l'angoscia, la paura, il rifiuto della realtà. E' ben difficile trovare un'artista di questo periodo che abbia una visione del mondo totalmente serena, ottimistica, immune da elementi negativi.

Questo periodo è segnato da due rivoluzioni, una politica e una economica. Vengono sconvolti nella prima assetti secolari nelle istituzioni politiche, nell'organizzazione economica e sociale. Vi è innanzitutto la rivoluzione politica che si propaga dalla Francia al resto dell'Europa. Crolla la monarchia assoluta di diritto divino.

La rivoluzione economica è determinata dall'industrializzazione. Originatasi dalla metà del Settecento in Inghilterra, essa si estende progressivamente agli altri paesi europei. Ora i nuovi ceti, disprezzati in precedenza, si affacciano alla vita sociale e lottano per affermare la loro egemonia. E' una rivoluzione della vita umana di proporzioni mai viste prima: nel giro di pochi decenni il mondo occidentale muta più radicalmente di quanto non fosse mutato nell'arco dei millenni precedenti.

La nuova realtà ha però facce negative: il sistema capitalistico, fondato sul calcolo e sulla razionalità, si rivela minato dall'irrazionalità. da tutto ciò nasce insicurezza, paura, senso di impotenza. Il nuovo sistema industriale crea anche una forza antagonista che appare non controllabile: la massa degli operai sfruttati, che si contrappone ostile al sistema sociale. Oltre a sconvolgere gli assetti politici e sociali tradizionali, la nuova realtà aggredisce anche la natura. La Natura veniva considerata come sacra, fonte dei valori più autentici. Così, nella coscienza collettiva, al senso di colpa per aver sovvertito il vecchio ordine, si associa il senso di colpa provocato dalla violazione della Natura.


Il Romanticismo come espressione della grande trasformazione. E' opinione diffusa che il Romanticismo abbia le sue radici storiche nella delusione del razionalismo illuministico e delle speranze della Rivoluzione francese. Ma in realtà le tendenze romantiche, le tematiche negative, sono già in atto prima della rivoluzione: lo Sturm und Drang, il wertherismo, Rousseau, l'ossianismo. Si può dunque formulare l'ipotesi che il Romanticismo sia l'espressione non soltanto della delusione storica dell'Illuminismo e della rivoluzione, ma di tutto il grande moto di trasformazione di quella età.


L'intellettuale e le contraddizioni dell'età. Il punto di contatto tra le tematiche negative e le tensioni della nuova realtà sociale è da individuare nella figura dell'intellettuale che produce quella cultura. L'intellettuale è sempre immerso nella realtà, ne subisce le contraddizioni e immette la sua esperienza nelle sue opere; talora ha le capacità di cogliere le tensioni del periodo in modo migliore degli altri.

Ora, con l'avvento del sistema borghese, l'intellettuale perde la sua posizione privilegiata. Sempre più raramente proviene dall'aristocrazia e dal clero e può godere di una rendita. Normalmente deve trovare un lavoro per vivere. L'intellettuale è insomma un declassato (Svevo, Pirandello), posto ai margini del corpo sociale. Il suo punto di vista non è più quello della classe dominante, ma un punto di vista estraniato. Questo gli consente un atteggiamento più critico e lo porta a cogliere più acutamente le contraddizioni del suo tempo. Dalle altre classi, l'artista viene visto come un individuo improduttivo, inutile: egli si sente così incompreso e umiliato. Un altro motivo di conflitto è costituito dal mercato dei prodotti intellettuali. L'opera d'arte diviene una merce che si scambia sul mercato, che ha un prezzo; nel caso del libro, presuppone un'organizzazione industriale. Anche questo offende l'artista: la sua opera è il prodotto della sua genialità creativa, è per lui senza prezzo. Non solo, ma per vendere sul mercato, l'artista deve assecondare i gusti di quel pubblico che egli disprezza, per la sua grettezza e per la sua insensibilità al bello.

Si può comunque giungere a situazioni di compromesso: l'artista può adattarsi al suo nuovo ruolo, accettare il meccanismo del mercato, mirare al successo e all'approvazione generale, facendosi portatore dei valori correnti. Partendo dall' atteggiamento degli intellettuali, si può allora individuare un denominatore comune, il rifiuto, la fuga, la rivolta di fronte ad una realtà sentita come negativa.


Temi del Romanticismo europeo. Il rifiuto romantico si spinge contro il razionalismo organizzativo e produttivo, che caratterizza la realtà moderna. E' riduttivo parlare quindi solo di avversione contro il razionalismo illuminista. Mentre l'illuminismo prediligeva come immagine quella della luce rivelatrice, il Romanticismo predilige la notte, metafora dell'irrazionale. Questa esplorazione dell'irrazionale si manifesta in un'attenzione per la vita dei sentimenti, per la passionalità e soprattutto per gli stati della psiche al di fuori del razionale: la pazzia, il delirio, l'allucinazione. Il sogno e la follia sono in particolare due grandi motivi romantici.

Questa indagine nell'irrazionale da origine ad un soggettivismo esasperato: i romantico tende a non considerare il mondo esterno, visto solo come una proiezione dell'io. Di qui scaturisce l'ironia romantica, che consiste nel guardare il mondo con distacco, nella consapevolezza che esso è la creazione dell'io, e che può esser fatto e disfatto da esso in qualunque momento.

Contrariamente all'ateismo e al materialismo illuminista, il Romanticismo segna un ritorno alla spiritualità e alla religiosità, che si manifesta in conversioni alla religione tradizionale (Manzoni), ma più spesso si svolge nell'indagare nel soprannaturale, facendo ricorso alle scienze occulte e all'esoterismo.

Il male esercita un fascino particolare sull'anima romantica. Vi è un filone, definito nero, che ama creare atmosfere lugubri e allucinate.

Il misticismo romantico spesso non trova una meta precisa e si risolve in una continua inquietudine. E' lo stato d'animo che i Romantici tedeschi chiamano Sehnsucht, o desiderio del desiderio.

Oltre che protendersi nel presente, nel soprannaturale e nella psiche, i Romantici fuggono anche nel tempo e nello spazio. Un'altra tendenza è così l'esotismo, che consiste nel vagheggiare luoghi ignoti e lontani (esostismo spaziale). Ma si può avere anche un esotismo temporale, che consiste nel trasferirsi in altre epoche diverse dal presente (Medio Evo, Ellade antica, ecc.). Alla base di qualunque esotismo vi è il rifiuto del presente, del suo grigiore e delle sue tensioni.

Un altro mito romantico è quello dell'infanzia. Il mondo infantile è visto come un paradiso perduto di innocenza e gioia, una stagione in cui il rapporto con le cose è fresco e immediato. L'infanzia può esser vista anche come quella dell'umanità: si ha così il gusto per il primitivo, vagheggiato dallo stesso Rousseau.

Anche quello del popolo è un grande mito romantico. Di qui nasce l'interesse per le tradizioni, le leggende e i canti popolari, soprattutto nel romanticismo nordico.


Eroi romantici. L'eroe romantico può essere il ribelle solitario, che orgoglioso della sua forza, si erge a sfidare ogni autorità per affermare la sua libertà e la sua individualità (titanismo); oppure può essere la vittima, colui che per la sua superiorità è incompreso ed escluso, ma non esprime il suo disdegno in gesti clamorosi di rivolta, bensì fugge nei sogni ed esprime il rifiuto con la solitudine, con il vagheggiamento della morte e infine con il suicidio. (vittimismo). Gli archetipi di queste due situazioni possono essere ritrovati con i Masnadieri di Schiller e con il Werther di Goethe. Altre figure sono quella del fuorilegge, che spinto dalla sua voglia di libertà e di grandezza, calpesta le leggi umane e si erge a sfidare Dio. Altra figura è quella dell'esule, l'uomo senza radici, che un destino avverso ha destinato a vagare senza sosta, lontano dalla sua patria; una variante può essere la figura dello straniero, di cui sono ignoti il luogo di provenienza e il passato e il cui fascino nasce dal mistero che lo avvolge. Il conflitto tra artista e società può anche essere rappresentato direttamente: diffusa è la figura del poeta, genio sensibile, incompreso dalla massa degli uomini mediocri ed escluso dalla società.


Il romanticismo positivo. La presenza dominante delle tematiche negative ha fatto parlare di una malattia romantica, Alla tematica negativa e malata è stato contrapposto un Romanticismo positivo, quello teso ai grandi ideali, all'impegno civile e patriottico. Il Romanticismo sente con grande intensità il senso della nazione, e si può dire che il concetto moderno di nazione, comprendente il punto di vista spirituale e culturale, è nato nel Romanticismo.

Anche questo Romanticismo positivo contiene del rifiuto verso la società contemporanea. Il recupero delle tradizioni popolari e del passato è pur sempre polemico contro un mondo presente che nega e quelle radici.


Gli orientamenti politici. Sul piano degli orientamenti politici, il rifiuto può assumere posizioni reazionarie e regressive, vagheggiando come modello il Medio Evo feudale e imperiale, oppure può assumere posizioni liberali e democratiche, favorevoli alla rivoluzione, al riscatto delle nazioni oppresse; oppure può esprimersi come fuga totale dalla società e dalla politica.


Le concezioni dell'arte e della letteratura. la poetica classicista si fondava essenzialmente sul principio d'imitazione della natura. Siccome la natura è immutabile, parimenti immutabile è anche l'arte. La letteratura diviene un'imitazione di modelli consacrati.

La poetica romantica rifiuta regole, modelli, generi. la poesia è libera ispirazione individuale. Il concetto di ispirazione allude ad una sorta di divinità che parla per bocca del poeta. Ricompaiono nel Romanticismo concezioni del mondo antico, escluse dal classicismo, che vedono la poesia come follia divina. Contro il principio d'imitazione, il principio dell'originalità: il poeta deve dire ciò che non era stato ancora mai detto e deve trasmettere nell'opera il suo carattere individuale; di qui anche il culto della spontaneità e dell'autenticità.

Se l'arte classica tende a immagini nitide e definite, l'arte romantica tende al vago, all'indeterminato e al musicale. Legata all'idea dell'arte come espressione dell'individualità dell'artista, è l'idea della moltiplicità dei gusti a seconda delle condizioni storiche, sociali e culturali, che nega il concetto classico di canoni eterni e immutabili del bello.


Il movimento romantico in Italia e la polemica con i classicisti. L'occasione che diede impulso al formarsi di un movimento romantico in Italia fu la pubblicazione di un articolo di Madame de Stael, dal titolo Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni. Ella deprecava la decadenza della cultura italiana contemporanea ed invitava gli italiani ad uscire dal loro culto del passato, aprendosi alle correnti più vive della letteratura europea.

Aspre furono le critiche contro la scrittrice, ma un gruppo di intellettuali più aperti alle innovazioni, definitisi romantici, intervennero a difesa dell'articolo. Nel 1818 un gruppo di intellettuali "nuovi" creò un giornale, portavoce della nuova ideologia, Il conciliatore.

I romantici affermavano l'esigenza di una cultura rinnovata e moderna, che non si rivolgesse alla cerchia chiusa dei letterati, ma ad un pubblico più vasto. Per questo si doveva mettere da parte la mitologia classica e affrontare argomenti vivi. Era inoltre necessario abbandonare il linguaggio aulico, che era praticamente una lingua morta. I romantici italiani sono però contrari alle tematiche irrazionaliste e tenebrose, sia agli eccessi di anarchia. Le loro posizioni sono molto più moderate.

Per piegare le profonde differenze tra il romanticismo italiano e quello europeo, di devono considerare l'arretratezza economica e sociale dell'Italia, dove non esistevano lacerazioni interne profonde come negli alti paesi.

Questo spiega anche perchè il romanticismo italiano non ruppe i rapporti con l'Illuminismo. Il programma del Conciliatore assomigliava sotto certi aspetti a quello del Caffè.

Tuttavia il Romanticismo lombardo non è solo una continuazione dell'Illuminismo: il movimento ha caratteri nuovi, i suoi membri possiedono un nuovo senso della storia e hanno come referente un pubblico borghese.  


La fisionomia sociale e il ruolo degli intellettuali. La fisionomia sociale. Nel vecchio regime, l'intellettuale o era un appartenente ai ceti privilegiati oppure era al servizio dei privilegiati. Il movimento illuministico non aveva modificato questo quadro, restando fenomeno d'elite. Durante il periodo napoleonico ritorna l'intellettuale cortgiano: tipico esempio quello del Monti.

La Chiesa cessa di esser fonte di un'occupazione stabile per i letterati: la maggioranza degli scrittori italiani dell'Ottocento è dunque laica e borghese. Pochissimi scrittori riescono ad avere il sostentamento dalla loro attività intellettuale, e quindi la maggior parte doveva dedicarsi ad un lavoro per poter vivere. Ne deriva la recriminazione sulla necessità di spendere energie in un'attività estranea a quella della letteratura. In compenso questi intellettuali sono più indipendenti dei precedenti, non essendo vincolati economicamente ad un signore.


Il ruolo sociale. In Europa si profila un contrasto tra artista e società: l'intellettuale si sente privo di ruolo, messo ai margini del sistema. Da qui rancore e desiderio di rvolta confluiscono in un senso si superiorità. In Italiaquesti fenomeni sono inesistenti o più attenuati. L'intellettuale italiano ha ancora un ruolo preciso: è impegnato in un ruolo politico, cospira nelle società segrete, partecipa alle insurrezioni. Ma ha anche un preciso ruolo intellettuale: elabora e diffonde i valori alla base del moto nazionale.


Il pubblico. La crescita economica e politica dei ceti borghesi, l'incremento dell'istruzione sono fattri che producono un nuovo pubblico. Nel vecchio regime lo scrittore si rivolgeva ad una cerchia chiusa, composta da letterati come lui. Ora invece si può parlare di un pubblico di massa, costituito in gran parte dal ceto borghese emergente. la presenza di questo pubblico si identifica con il mercato: è questo che determina il succeso o l'insuccesso di un romanzo. Diviene noto e circola solo quello che piace, che è vendibile. Il pubblico inizia quindi a condizionare lo scrittore. Questo, se vuole popolarità e guadagni, deve compiacere e assecondare le esigenze. Il condizionamento influisce sul genere, sugli argomenti e sulla forma. Entrano in crisi i generi classici (tragedie, odi, poemi) e si afferma il romanzoe la poesia narrativa (novella in versi e la ballata). Comincia ad affermarsi la serialità delle opere di successo. Per gli argomenti si affermano miti tipici del romanticismo di livello alto: romanzi storici e novelle che trattano di un passato più affascinante del presente.

Riguardo la forma, il pubblico preferisce vicende complicate e ricche di sospensione, rivelazioni clamorose e inaspettate. Il linguaggio non è più quello tradizionale aulico, ma è più vicino alla lingua d'uso.

A volte è però lo scrittore a influenzare il pubblico. la destinazione di massa della letteratura consente allo scrittore di diffondere largamente valori, modelli culturali, formando la mentalità e i gusti.


Lingua letteraria e lingua d'uso. Ai primi dell'ottocento mancava in Italia, a differenza delgi altri paesi europei, una lingua comune. La lingua "italiana" era quella tradizionale, di Dante, Petrarca e Boccaccio, utilizzata solo da una elite culturale solo per usi scritti. La lingua d'uso era il dialetto locale, che era parlato da tutti i ceti sociali. Le cause di questo ritardo erano la divisone politica e la scarsa diffusione dell'istruzione. Durante l'età napoleonica si ebbe l'influsso della lingua francese lungo le zone occupate. Ma nel Risorgimento gli avvenimenti politici portarono il bisogno di una lingua comune. Molti intellettuali si pongono il problema e uno dei più acuti è Manzoni, che pone la soluzione più radicale e influente. Lo scrittore si rende conto di quanto l'italiano sia povero. La soluzione proposta da manzoni è quella di individuare il modello di una lingua dell'uso comune nel fiorentino attuale. tale codice è raccomandabile per due motivi: essendo una lingua viva è un codice completo e certo; il fiorentino ha il vantaggio di essere strettamente fine alla lingua letteraria tradizionale.



Madame de Stael


Nata a Parigi del 1766, fu donna di grande vivacità intellettuale, di formazione illuministica e di orientamenti liberali. Le sue opere ebbero vasta risonanza e promossero il Romanticismo tedesco e la filosofia idealistica.


Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni


Nell'invitare i letterati italiani a tradurre gli scrittori stranieri, la de Stael traccia un quadro fortemente critico della cultura italiana del tempo: nella ripetizione delle stesse immagini, nel rifarsi continuamente alla mitologia antica, oramai morta, le fantasie si impoverisono.

Per ridare vita alla cultura italiana, per la de Stael, non resta che aprirsi alla cultura europea: non per trovare nuovi modelli da imitare, ma per arricchire le conoscenze e stimolare la creazione di nuovi temi e forme. L'intervento della de Stael, suscitando accesse discussioni, ebbe il merito di far venire alla luce energie e idee nuove.


Giovanni Berchet. Nato a Milano nel 1783. Nel 1818 prese parte a quel gruppo di intellettuali che fondò il Conciliatore, il foglio che era portavoce delle posizioni romantiche.


La Lettera semiseria. L'autore, che si cela dietro lo pseudonimo di Grisostomo, finge di scrivere al figlio in collegio dandogli una serie di consigli letterari. Il che è occasione per un'esaltazione della nuova letteratura romantica. Poi, alla fine, finge di aver scherzato, ed esorta il figlio a seguire fedelmente la letteratura classica, che espone facendone la parodia. Per questa ironica ritrattazione finale la lettera è definita semiseria.


La poesia popolare. Il passo presenta alcuni punti essenziali della nuova nozione romantica di letteratura: 1) la poesia deve scaturire dalla fantasia e dal cuore; 2) la poesia deve esprimere lo spirito nazionale, le caratteristiche della cultura di un popolo. Qui si coglie la polemica contro il cosmopolitismo della cultura illuministica e contro il classicismo che si apriva solamente alla cultura classica; 3) viene individuato il nuovo pubblico, non costituito dalla aristocrazia (parigini) ne dal popolo (ottentoti), ma dalla borghesia.


Poesia classica e poesia romantica, ovvero poesia dei morti e poesia dei vivi. Il passo da una definizione della poesia romantica: essa è la poesia dei vivi, cioè la poesia che corrisponde a ciò che è vivo nella coscienza degli uomini del prorio tempo e lo interpreta. E' da notare ancora come Berchet faccia riferimento dalla ragione: ciò testimonia il legame ancora vigente tra Romanticismo e Illuminismo.









Alessandro Manzoni


Vita. Nacque a Milano nel 1785, dal conte Pietro e Giulia Beccaria figlia di cesare Beccaria, uno dei più illustri illuministi lombardi. Trascrose la giovinezza in collegi gesuiti, dove ricevette un'educazione classica e dove concepiì un'avversione per i metodi pedagogici e per la religione. Uscito dal collegio, con idee libertarie e razionalistiche, si inserì nell'ambiente culturale milanese napoleonico, conoscendo Foscolo e Monti. Nel 1805 raggiunse la madre a Parigi dove conobbe Carlo Imbonati. A Parigi entrò in contatto con gli ultimi intellettuali dell'illuminismo.

Iniziò in questo periodo la conversione alla religione cattolica, determinata anche dalla conversione della moglie Enrichetta Blondel. Tornato a Milano nel 1810 abbandonò definitivamente la posia classica e si dedicò alla stesura di Inni sacri. Fu vicino al movimento romantico milanese e alla politica, essendo di sentimenti patriottici e unitari. In questi anni scrive le odi civili e le tragedie. Conclude il suo ciclo produttivo con la stesura finale dei Promessi sposi nel 1827-40.

Anche se non partecipò attivamente ai moti rivoluzionari, durante le cinque giornate di Milano nel 1848, diede alle stampre Marzo 1821. Costituitosi il regno d'Italia divenne senatore. Morì a Milano nel 1873.


Dopo la conversione: gli Inni sacri e altre liriche. La conversione fu per manzoni un fatto che comprese tutti gli aspetti della sua personalità. manzoni ha una fiiducia assoluta nella religione come fonte di tutto ciò che è buono e vero, come punto di riferimento per ogni tipo di scelta, nel campo morale, politico, intellettuale. L'approdo al cristianesimo porta una rivalutazione complessiva della storia: i Romani vengono considerati da lui come violenti e oppressori, mentre rivaluta il Medio Evo cristiano, visto come la matrice della civiltà moderna.

Si forma in manzoni una visione tragica del reale che non tollera più l'idilliaca serenità classica. Nasce il bisogno di una letteratura che guardi al vero della condizione storica dell'uomo, al di là di ogni finzione evasiva e di ogni convenzione artificiosa.

Di seguito fissa i principi ch muovono la ricerca letteraria dell'intellettuale: l'utile per scopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo.

La prima opera scritta dopo la conversione, gli Inni sacri, fornisce un esempio concreto di una nuova poesia, prima ancora dello scoppio della polemica tra classicisti e romantici. Nella su opera Manzoni rifiuta la mitologia classica e all'egocentrismo della poesia precedente, proponendo invece un carattere corale.

Manzoni aveva progettatto dodici inni, che cantassero le principlai festività dell'anno liturgico. ma ne scrisse solo quattro: La resurrezione, Il Natale, La passione, Il nome di Maria. Un quinto inno, La pentecoste uscì con un ritardo di 7 anni. I primi quattro sono costruiti su uno schema fisso: enunciazione del tema, rievocazione dell'episodio centrale, commento che affronta le conseguenze dotrinali e morali dell'evento. La pentecoste, invece, rompe lo schema, mettendo da parte i motivi teologici e l'episodio, e insiste sul rivolgimento portato dallo Spirito nella sua discesa nel mondo, culminando in un'invocazione affinchè esso scenda ancora sull'umanità.

Nel 1821 Manzoni compone l'ode Marzo 1821, dedicata ai moti di quell'anno e alla speranza che l'esercito piemontese si riunisse agli insorti lombardi, e il Cinque maggio, l'alternanza di glorie e sconfitte della vicenda napoleonica è valutata dalla prospettiva dell'eterno.  


Le tragedie. La tragedia di manzoni si colloca in posizione di rottura rispetto alla tradizione. La novità si manifesta in due direzioni: la scelta della tragedia storica e il rifiuto delle unità aristoteliche. Manzoni, col suo teatro tragico, vuole collocare i conflitti dei suoi personaggi in un determinato contesto storico, ricostruito con fedeltà. Ciò che lo differenzia dallo storico, sarà il completamento dei fatti con l'invenzione poetica, con il commento e i sentimenti del protagonista.

Il Conte di Carmagnola (1816-20) si incentra sulla figura di un capitano di ventura del '400, Francesco Bussone: al servizio del duca di Milano, ottiene molte vittorie, e giunge a sposarne la figlia; passa poi al servizio di Venezia, assicurandole una vittoria importante su Milano. Ma, sospettato di tradimento dai Veneziani per la sua clemenza vero i prigionieri, viene condannato a morte.

La tragedia si regge sul conflitto tra l'uomo d'animo elevato e la ragion di stato, con i suoi intrighi machiavellici.

Lo stesso tipo di conflitto è al centro dell'Adelchi. La tragedia mette in scena il crollo del regno longobardo in Italia nel VIII secolo, sotto l'urto dei Franchi di Carlo Magno. La tragedia si incentra introno a quattro personaggi: Desiderio, animato dalla volontà di vendicarsi di Carlo e di riparare il torto fatto al suo onore; Adelchi, suo figlio, che sogna la gloria in nobili imprese, in un mondo dominato dalla forza e dall'ingiustizia; Ermengarda che muore devastata dal suo amore; Carlo e le sue ragioni di stato. Si fa evidente la contrapposizione di personaggi politici e e personaggi ideali, destinati alla sconfitta.

Nelle sue tragedie Manzoni inserisce il coro, con la funzione di costituire un angolo nel quale l'autore possa parlare in prima persona e possa esprimere la sua visione e le proprie reazioni soggettive di fronte ai fatti tragici.


I promessi sposi. Manzoni e il problema del romanzo. Manzoni trova nel genere letterario del romanzo lo strumento ideale per tradurre in atto i principi che ispiravano la battaglia romantica per un rinnovamento della cultura. Il romanzo corrisponde alle esigenze dell'impegno civile dello scrittore, e fornisce il mezzo per comunicare al lettore notizie storiche, ideali politici, principi morali. In seguito il romanzo permette allo scrittore di esprimersi con piena libertà.


I promessi sposi e il romanzo storico. Per la sua opera narrativa Manzoni sceglie la forma del romanzo storico, una forma di successo in quel momento grazie allo scozzese Walter Scott. I protagonisti non sono i grandi personaggi storici, ma personaggi inventati di oscura condizione. I grandi avvenimenti e i personaggi famosi costituiscono lo sfondo delle vicende vissute da questi personaggi, e compaiono in quanto vengono a incidere sulla loro vita. La storia viene vista dal basso,

come si riflette nella vita quotidiana della gente comune.


Il quadro polemico del Seicento e l'ideale manzoniano di società. La società di cui Manzoni vuol fornirci un quadro è quella lombarda del Seicento sotto la dominazione spagnola.

Manzoni si colloca nei riguardi del passato con atteggiamento da illuminista, cogliendo irrazionalità, aberrazioni ed ingiustizie. Ma questa ricostruzione del passato ha anche precise valenze politiche riferite alla situazione presente, come già si verificava nei cori delle tragedie. A parte l'indipendenza nazionale le esigenze essenziali sono: un saldo potere statale che si opponga alle prepotenze dei gruppi sociali più potenti; una legislazione razionale ed equa ed un efficente apparato di giustizia; una politica economica oculata.

Nel sistema dei personaggi del romanzo don Rodrigo e Gertrude rappresentano la funzione negativa dell'aristocrazia, che viene meno ai suoi doveri e usa il privilegio in modo oppressivo; il cardinal Federigo e l'Innominato rappresentano rispettivamente il modello positivo di aristocrazia e il passaggio della funzione negativa a quella positiva. Per i ceti popolari, l'esempio negativo è rappresentato dalla folla di Milano, violenta e sediziosa, il positivo dalla rassegnazione cristiana di Lucia; Renzo rappresenta il passaggio dal negativo al positivo. Per i ceti medi, esempi negativi sono don Abbondio e l'Azzecagarbugli, positivo fra Cristoforo.

Il modello di una società giusta ma senza conflitti fra classi, in cui i privilegiati diano volontariamente a chi non ha e i diseredati sopportino pazientemente le loro miserie, secondo Manzoni è proposto dal Vangelo stesso. Manzoni è convinto che la religione cattolica sia l'unica forza di grado di riuscire dove le riforme politiche avevano fallito.


L'intreccio e la struttura romanzesca. La vicenda inizia in una situazione di quiete e di serenità. In realtà questa situazione iniziale di idillio è solo apparente. La loro vicenda si configura come un'esplorazione del negativo della realtà storica: Renzo sperimenta il male nel campo sociale e politico (sommossa di San Martino e la Milano appestata), Lucia soprattutto nel campo morale (il capricci di Don Rodrigo e la corruzione della monaca aristocratica). Ma attraverso questa esperienza del negativo si compie anche la loro maturazione.

I percorsi di formazione dei due protagonisti sono però diversi, come diversi sono i loro caratteri e le loro funzioni nel racconto. Renzo ha tutte le virtù del popolo contadino: però c'è in lui una componente ribelle. Il suo percorso di formazione consiste nell'abbandonare ogni velleità d'azione e a rassegnarsi alla volontà di Dio. La formazione sia attua attraverso le due esperienze della sommossa e della Milano sconvolta dalla peste: attraverso di esse Renzo arriva a comprendere la vanità della reintegrazione della giustizia con l'azione. (notte presso l'Adda e perdono di Don Rodrigo).

A differenza di renzo, Lucia possiede sin dall'inizio quella consapevolezza della vanità dell'azione. A Lucia manca però quella consapevolezza del male che è necessaria per capire la vera natura della realtà umana. Compare al termine del romanzo, a raccogliere il significato ultimo, il concetto della provvida sventura.


Il lieto fine, l'idillio, la provvidenza. Nella conclusione della vicenda sono presenti i cardini fondamentali della visione manzoniana. Innanzitutto il rifiuto dell'idillio, come rappresentazione di una vita quieta e senza scosse. Anche se la vita dei due sposi è sostanzialmente felice, non è immemore della realtà esterna, grazie proprio all'esperienza del male da essi compiuta.

Nel finale si chiarisce anche la concezione della provvidenza. Renzo e Lucia hanno una concezione elementare e ingenua della provvidenza, che identifica virtù e felicità: per loro Dio interviene a difendere e a premiare i buoni. Nella visione del manzoni al contrario virtù e felicità possono coincidere solo nella prospettiva dell'eterno: solo alla fine dei tempi vi sarà la certezza che i buoni saranno premiati e che i malvagi puniti. Per Manzoni la provvidenzialità dell'ordine divino del mondo non consiste nell'assicurare la felicità ai buoni, ma nel fatto che proprio la sventura fa maturare in essi più alte virtù e più profonda consapevolezza.


Il Fermo e Lucia. Del romanzo esistono tre redazioni: la prima indedita (1821-1823) con il titolo Fermo e Lucia; la seconda pubblicata nel 1825-27 con il titolo I promessi sposi; la terza nel 1840-42, quella definitiva. Tra le due edizioni pubbblicate dall'autore (27 e 40) vi sono essenzialmente differenze linguistiche, mentre la prima redazione del Fermo e Lucia presenta differenze profonde, quasi a costituire un'altro romanzo.

Vi sono innazitutto differenze nella distribuzione delle sequenze narrative. Più in generale è l'impostazione del racconto che è sensibilmente diversa. Nel Fermo Manzoni ricorre in più larga misura al documento storico e realistico, con l'intento di fornire un preciso quadro di costume; inoltre certe tesi che nel Fermo sono enunciate esplicitamente, nei Promessi sono affidate ad una sottile trama simbolica.


Il problema della lingua. L'operazione compiuta da Manzoni col suo romanzo ha una portata incalcolabile nel campo linguistico: con la redazione definitiva del suo romanzo Manzoni fornisce alla letteratura italiana un nuovo modello di lingua letteraria.

Consapevole della mancanza di un codice comune tra chi scrive e chi legge, manzoni, iniziando il Fermo, si orienta verso una lingua di compromesso, formata da un fondo di toscano letterario, ma arricchita da apporti della parlata viva, oltre che da termini francesi. Dal '24 rinucia a questa lingua di compromesso e si orienta decisamente verso il toscano, quale poteva apprendere dai libri. Pubblicato il romanzo, il suo viaggio a Firenze nel 1827 fu come una rivelazione: trova ila lingua unitaria italiana nel parlato vivo dei fiorentini colti, al posto della lingua morta dei libri del Trecento.




Storia e invenzione poetica

Dalla lettera a M. Chauvet


La poetica del vero induce Manzoni a privilegiare i soggetti tratti dalla storia e a riprodurre fedelmente gli eventi storici. Ma ciò facendo lo scrittore si trova costretto a individuare ciò che distingue la storia dalla poesia. Il poeta non inventa la dinamica dei fatti: questa gli è offerta dalla storia, Ma gli resta ugualemnte una sfera di creazione: il poeta ricostruisce quindi i pensieri e i movimenti psicologici dei personaggi, non descritti dalla storia.



La Pentecoste

dagli Inni sacri


L'ultimo degli inni sacri è dedicato alla Pentecoste, la festa liturgica che celebra la discesa dello Spirito santo sugli Apostoli il cinquantesimo giorno dopo la resurrezione di Cristo, per conferire loro la facoltà di predicare a tutti i popoli e di essere intesi nonostante la diversità delle lingue.

Si possono distinguere nell'inno tre parti: 1) vv. 1-48: la discesa dello Spirito sulla Chiesa, smarrita e timorosa dopo la morte di Cristo, per darle la forza di compiere la sua opera nel mondo; 2) vv. 49-80: gli effetti della diffusione del nuovo messaggio cristiano nel mondo; 3) vv. 81-144: invocazione allo Spirito Santo perchè discenda ancora tra gli uomini.

Nella prima parte si delineano due immagini contrastanti della Chiesa: dapprima appare paurosa e inerte, pi attiva nel suo impegno del mondo. Nella seconda parte si insiste sul messaggio di liberazione portato dal cristianesimo a tutti gli uomini, soprattutto agli oppressi. Compare il motivo dell'ingiustizia e dell'oppressione cge angustiano la realtà umana, a cui solo il messaggio cristiano può dare un'alternativa .

Nella terza parte si propone l'auspicio che il mondo terreno possa tornare a coincidere con il disegno divino. Se il mondo della storia è il trionfo del male l'alternativa è nell'altra vita; ma anche nel mondo umano manzoni ritiene che sia doveroso contrastare il male.

Il cristianesimo di manzoni ha una fondamentale fisionomia pessimistica, ma non si risolve in rassegnazione di fronte al male, bensì da luogo ad un atteggiamento attivo ed energico. animato dalla fiducia nella possibilità di un relativo superamento dell'ingiustizia.

L'ultima parte dell'inno propone poi i vari elementi di un quadro della realtà umana, riscattata dalla forza del messaggio cristiano e dall'intervento dello Spirito santo. In primo piano è il problema della giustizia sociale. la religione contribuisce a sanare l'ingiustizia inducendo i privilegiati a dare generosamente a chi non ha, e dando ai poveri il conforto di un sicuro riscatto.


Marzo 1821

dalle Odi


L'ode fu composta nel marzo 1821, quando i patrioti lombardi speravano che Carlo Alberto con l'esercito piemontese venisse in appoggio ad una loro insurrezione contro l'Austria. Manzoni anticipa gli veneti con la fantasia, anticipando l'attraversamento dei piemontesi del Ticino.

L'ode fu pubblicata nel 1848, con una decica a Theodor Korner, poeta tedesco morto in battaglia combattendo contro Napoleone.

Nell'ode si possono individuare tre parti: 1) strofe 1-4: l'immaginata riunificazione delle forze piemontesi e lombarde propone il tema dell'inevitabile unificazione nazionale; 2) strofe 5-9: questa parte contiene un'appello agli stranieri affinchè cessino di opprimere l'Italia, in nome delle lotte da essi sostenute per la loro libertà contro Napoleone; 3) strofe 10-13: l'ultima parte contiene un incitamento agli italiani a lottare per la propria libertà contando solo sulle proprie forze. L'ode termina in chiave profetica: il poeta si pone dalla prospettiva del futuro, quando unità e indipendenza saranno realizzate.


Il cinque maggio


L'ode è ispirata alla morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 a S. Elena. L'ode si divide in tre parti: 1) strofe 1-4: preambolo, la morte di napoleone e l'atteggiamento del poeta di fronte all'evento; 2) strofe 5-14: rievocazione delle gesta, imprese vittoriose, la sconfitta e l'esilio; 3) strofe 15-18: conlusione, il soccorso della fede, il trionfo dell'eterno sulla gloria terrena.

Nelle quatro strofe del preambolo emergono due opposizioni fondamentali: 1) immobilità vs rapidità dell'alternarsi di vicende. L'immobilità della salma si oppone alla zioni del grande uomo; 2) grandezza e gloria vs negatività dell'azione: il grande uomo ha seminato con le sue guerre distruzione, sofferenze e morte.

La parte centrale dell'ode si sviluppa introno ad una opposizopne spaziale: lo spazio geografico ampilissimo in cui si svolgono le gesta di napoleone vs la breve sponda dell'isola su cui finisce esule; poi un'opposizione temporale: il passato glorioso vs il presente misero dell'esilio.

Nell'ultima parte il contrasto passato vs presente, vastità spaziale vs breve sponda, dinamismo vs immobilità viene superato attraverso l'ingresso di una nuova dimensione, fuori dal tempo e dallo spazio: l'eternità.

La vita di Napoleone fu intensa e tumultuosa; ma fu positiva? La prospettiva di Manzoni è pessimistica: agire nella storia, alla ricerca della grandezza, vuol dire provocare distruzioni, sofferenze, morte; vuol dire raccogliere odi e oltraggi, per poi finire nell'inazione. L'azione degli eroi nella storia è svalutata nella prospettiva dell'eterno: la morte mette di fronte al vero significato dell'esistenza.



Il dissidio romantico di Adelchi

dall'Adelchi (Atto III, scena 1)


Dal colloquio con lo scudiero emerge il dissidio interiore che caratterizza il personaggiuo di Adelchi. Egli aspira alla gloria, conquistata in imprese magnanime, ed è costretto invece dai disegni politici del padre ad assalire gli indifesi territori della Chiesa, trasformandosi in un ladrone. Il contrasto tra l'animo nobile e la politica esprime il pessimismo cristiano della visione del Manzoni, che vede la storia umana condannata ad una degradazione non riscattabile. In essa gli individui che si ispirano ai valori più alti non possono trovare posto, e ne sono espulsi. Questo conflitto tra aspirazioni ideali e realtà colloca il personaggio di Adelchi in un clima romantico, appartenendo anche alla categoria degli eori vittime.

A questo tipo di eroi non si prospetta altro che la morte. E così è anche per Adelchi, ma in una variante cristiana: la morte è il riscatto in un'altra dimensione, immune dalla degradazione dell'esistenza storica., risolvendo il conflitto sul piano dell'eterno.


Morte di Adelchi

dall'Adelchi (Atto V scene 9-10)


Al termine della tragedia Manzoni riscatta in termini cristiani il suo romantico eroe: il tormento della sua nobile anima in contrasto con la realtà trova uno sbocco nella morte verso la pace consolatrice di Dio. Adelchi muore enunciando una visione della realtà radicalmente pessimistica. La storia è per lui dominata dalla violenza e dall'ingiustizia. La condizione del potente, colui che fa la storia, è totalmente negativa: il meccanismo brutale della realtà lo costringe a seminare ingiustizie e rende infelice la sua vita. Essendo il male del mondo irrimediabile, l'unica alternativa al suo meccanismo feroce è la dimensione dell'eterno.


Coro dell'atto III

dall'Adelchi


Il coro si inserisce nell'azione drammatica della tragedia nel momento in cui i Franchi invadono la pianura, e ricostruisce le reazioni dei latini all'annuncio della sconfitta dei loro oppressori.

Il coro affronta un motivo storico caro a Manzoni: la sorte del popolo latino sotto il dominio longobardo, le condizioni di quella massa di uomini comuni che non hanno una funzione attiva nella storia. Nel coro lo scrittore si riserva un "cantuccio" anche per trattare masse anonime e dimenticate. Manzoni è spinto in primo luogo dal cattolicesimo, che in obbedienza allo spirito evangelico lo porta all'interesse sulla sorte degli umili; in secondo luogo la visione della realtà che era propria di tutta la borghesia moderna europea, che rivendicava il diritto della gente comune a suscitare l'interesse per la letteratura.

Il coro è un esempio di poesia storica: il poeta completa la storia tramandata dai documenti, ricostruendo ciò che gli uomini hanno pensato e sentito nel ompierli: qui le speranze dei Latini nel vedere sconfitti i propri oppressori, l'umiliazione e lo sgomento dei Longobardi, lo stato d'animo dei conquistatori Franchi.

Il coro è anche un esempio di poesia politica. La ricostruzione del passato è analisi del presente, un messaggio poer chi in esso vive. Il messaggio è di non contare su forze straniere per la liberazione nazionale.


Coro dell'atto IV

dall'Adelchi


La lirica è costruita su rigorose simmetrie: le prime due strofe fungono da raccordo per la scena che le precede, ed insieme da preambolo del discorso successivo (descrizione Ermengarda morente, motivo della ricerca della pace nella vita eterna).

Nelle strofe 3-4 il motivo è sviluppato attraverso la voce del poeta che si rivolge al personaggio. Si ripercorre nelle strofe 6-10 i giorni felici passati con carlo, che riemergono nella memoria di Ermengarda. Nel coro si presentano tre livelli temporali: presente, passato prossimo e passato remoto, incastrati l'uno dentro l'altro.


Giacomo Leopardi


Vita. nacque nel 1798 a recanati, nello Stato Pontificio. La famiglia era tra le più cospicue della nobiltà terriera, ma in cattive condizioni patrimoniali. Il padre era un uomo colto, ma i suoi orientamenti politici erano fortemente reazionari. Giacomo crebbe in un ambiente contadino e bigotto.

Venne istruito inizialmente da istruttori ecclesiastici, ma dai dieci anni in poi continuò gli studi autonomamente. Inizialmente segue le ideologie paterne, ma tra il '15 e il '16 si converte "dall'erudizione al bello", abbandonando le minuzie filologiche e entusiasmandosi per i poeti classici (Omero, Dante, Virgilio) che per i moderni romantici. Conosce in quegli anni Pietro Giordani, classicista laico e democratico.

In questo periodo inizia ad odiare l'ambiente di Recanati e nel 1819 tenta la fuga, sventata in poco tempo. Di seguito soffre per una malattia agli occhi che gli impedisce la lettura: raggiunge così la percezione lucidissima della nullità delle cose, che è il nucleo del suo sistema pessimistico. Questa crisi segna il passaggio dal "bello al vero", dalla poesia d'immaginazione alla filosofia e ad una poesia di pensiero.

Nel 1819, con l'Infinito, inizia la stagione più originale della sua poesia. Si infittisono le note dello Zibaldone, una sorta di diario intellettuale.

Nel 1822 esce da Recanati per andare a Roma, ma ne rimane deluso per gli ambienti intellettuali aridi meschini. Nel '23 si dedica alla composizione delle Operette morali, a cui affida la diffusione del suo pensiero pessimistico. Dal '25 inizia il soggiorno a Milano, Bologna e a Firenze. Nella primavera del '28 scrive A Silvia, che apre la serie dei grandi idilli. Dopo esser tornato a Recanati per motivi economici, riparte per napoli, dove conosce Antonio Ranieri, giovane esule napoletano. Prima della sua morte, scrive La ginestra. Muore a Napoli nel 1837.


Il pensiero. Al centro della meditazione di leopardi si pone un motivo pessimistico, l'infelicità dell'uomo. L'uomo non desidera un piacere, bensì il piacere: aspira a un piacere infinito. Pertanto, siccome nessuno dei piaceri può soddisfare questa richiesta, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua. Da questa tensione inappagata nasce per Leopardi l'infelicità dell'uomo, il senso della nullità di tutte le cose.

L'uomo è per Leopardi necessariamente infelice per la sua stessa costituzione. Ma la natura, che in questa fase è concepita come benigna, ha voluto offrire un rimedio all'uomo: l'immaginazione e le illusioni. Per questo gli uomini primitivi, essendo più vicini alla natura, erano più felici, mentre l'uomo moderno, allontanatosi da essa verso la ragione, è incapace di illudersi. La colpa dell'infelicità è attribuita all'uomo, reo di essersi allontanato dalla natura verso la via della ragione.

Leopardi giudica negativamente la civiltà dei suoi anni, la vede dominata dall'inerzia e dal tedio; ciò vale soprattutto per l'Italia. Scatirisce da qui l'atteggiamento del poeta, unico depositario della virtù antica, che si erge solitario a sfidare il fato (titanismo). Questa fase del pensiero è stata designata con la formula del pessimismo storico.

La concezione di una natura benigna entra però in crisi. Leopardi si rende conto che la natura mira alla conservazione della specie, e per questo fine può anche sacrificare il bene del singolo. Ne deduce che il male rientra nello stesso piano della natura. Nel Dialogo della Natura e di un Islandese, Leopardi arriva al rovesciamento della concezione della natura. Essa viene concepita ora come meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature. E' una concezione non più finalistica ma meccanicistica e materialistica. La colpa dell'infelicità non è più dell'uomo stesso, ma solo della natura. Muta di seguito anche il senso dell'infelicità umana: se prima era assenza di piacere ora l'infelicità è dovuta ai mali esterni: malattie, elementi atmosferici, vecchiaia, morte.

Al pessimismo storico subentra in questo modo un pessimismo cosmico: nel senso che l'infelicità non è più legata ad una condizione storica e negativa dell'uomo, ma ad una condizione assoluta. Ne deriva l'abbandono della poesia civile e del titanismo. Successivamente tornerà l'atteggiamento di protesta, di sfida alla natura. Finchè arriverà a costruire una cocezione della vita sociale e del progresso nella Ginestra.


La poetica del vago e dell'indefinito. La teoria del piacere è un crocevia fondamentale nel sistema di pensiero leopardiano: da una parte costoituisce il nucleo germinale della filosofia pessimistica, dall'altro è il punto di avvio della sua poetica.

Se nella realtà il piacere infinito è inesistente, l'uomo può figuarsi di trovarlo nella sua immaginazione. La realtà immaginata sostituisce la realtà vissuta che non è che infelicità e noia.

nelle pagine dello Zibaldone vengono passati in rassegna tuttigli aspetti che per il loro carattere indefinito possiedono una forza suggestiva. Si viene a costruire una teoria della visione: è piacevole la vista impedita da un ostacolo, perchè al posto della vista lavora l'immaginazione. Contemporaneamente viene a costruirsi una teoria del suono: sono tutti suoni suggestivi quelli che sono vaghi: un canto che va allontanandosi.

A questo punto si vierifica la svolta fondamentale: il bello poetico consiste per Leopardi nel vago e nell'indefinito, e si manifesta essenzialmente in immagini del tipo di quelle leencate nella teoria della visione e del suono.


Leopardi e il Romanticismo. Essendo di formazione classica e avedno conosciuto Pietro Giordani, leopardi si schiera contro il Romanticismo. le sue critiche sono però diverse da quelle degli altri classicisti. Per lui la poesia è espressione di una spontaneità primitiva e fanciullesca. Per questo consente ai romanticila loro critica al classicismoaccademico e imitatore. Però rimprovera ai romantici un'artificiosità retorica  nella ricerca dello strano, e del predominio della logica alla fantasia.

Leopardi propone i classici come modelli, con uno spirito tipicamente romantico. Si può parlare di un classicismo romantico.


Il primo Leopardi: le canzoni e gli Idilli. Tra il 1816 e il 1819 vi sono molti esperimenti letterari di Leopardi: idilli pastorali, elegie, visioni, canzoni, tragedie. Si concretano di questi abbozzi solamente le Canzoni e gli Idilli.

Le Canzoni sono composte tra il '18 e il '23 e sono componimenti classici che impiegano il linguaggio aulico della tradizione con influenze di Foscolo e Alfieri. Le prime cinque affrontano un tema civile . la base di pensiero è costituita dal pessimismo storico.

Gli Idilli, che hanno tematiche intime ed autobiografiche, con un linguaggio colloquiale e semplice, sono componimenti scritti tra il '19 e il '21. I più importanti sono l'Infinito, La sera del giorno festivo. Questi idilli non hanno più a che fare con la tradizione bucolica classica, ma sono più che altro la rappresentazione della realtà esterna e momenti della vita interiroe.

Nell'Infinito lo scenario è una semplice quiete contemplativa, spunto per una meditazione sull'idea di infinito creato dall'immaginazione, a partire da situazioni visive e uditive.


Le Operette morali. le Operette morali sono composte nel 1824 e segnano la fine delle illusioni giovanili e lo sprofondare in uno stato di aridità e di gelo. le Operette sono prose di argomento filosofico, nelle quali è esposto, tramite miti e allegorie, il sistema da lui elaborato.


I grandi idilli. Nel 1828, con la composizione dei grandi idilli, si conclude quel periodo di aridità interiore di Leopardi. Tra questi idilli sono da ricordare A Silvia, La quiete dopo la tempesta, Il Sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia e Passero solitario.

Questi componimenti, nati dal risorgimento della sensibilità giovanile, riprendono temi e linguaggio dei primi idillli: le illusioni, le rimembranze, quadri di vita del borgo, immagini e suoni indefiniti.

I grandi idilli non sono però la ripresa dei vecchi idilli. In questi vi è la consapevolezza della fine delle illusioni giovanili e un sistema fondato sul pessimismo assoluto.

Il linguaggio non ha più espressioni intense e patetiche, ma è più misurato, sia nell'evocazione della giovinezza che nel senso della desolazione.


L'ultimo Leopardi. Dopo il '30, con l'allontanamento da Recanati, si ha una svolta rispetto alla poesia precedente. Nonostante permanga il pessimismo assoluto leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini e i problemi del suo tempo.

Dopo l'amicia con ranieri e la passione amorosa per una dama fiorentina, iniza la composizione del Ciclo di Aspasia, nel quale si ha una posia nuda e severa, fatta di puro pensiero. Si instaura in questo periodo un atteggiamento polemico verso le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso, verso le tendenze spiritualistiche e neocattoliche. A queste ideologie vengono contrapposte le cencezioni pessimistiche e il materialismo.

Una svolta essenziale si ha con la Ginestra, il testamento spirituale di leopardi, la lirica che chiude il suo percorso poetico. Il componimento ripropone la polemica antiottimistica e antireligiosa, dove però non vi è alcuna negazione di un progresso civile. La condizione degli uomini può indurre a riunirsi per combattere la natura.
















La scapigliatura



La Scapigliatura non è un movimento organizzato, ma è piuttosto un gruppo di scrittori, tra gli anni '60 e '70, nelle città di Milano, Torino e Genova, che sono accomunati da un'insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea, per i principi e i costumi della società borghese, e da un impulso di rifiuto e di rivolta, che si manifesta sia nell'arte che nella vita.

Con la scapigliatura compare per la prima volta in Italia il conflitto tra artista e società, che era un aspetto del Romanticismo straniero. Di fronte alla modernità, al progresso economico e a quello scientifico, gli scapigliati assumono un atteggiamento ambivalente: da un lato il loro impulso è di repulsione, aggrappandosi ai valori del passato, la Bellezza, l'Arte, la Natura; dall'altro lato si rendono conto che quegli ideali sono perduti e si rassegnano a rappresentare il vero, anche negli aspetti più crudi. Questo atteggiamento viene definito dallo stesso gruppo "dualismo".

La sensazione di disagio e la volontà di rivolta accomuna gli scapigliati con i romantici stranieri; ne deriva una ripresa di temi romantici che la nostra letteratura non aveva conosciuto: il fantastico, l'irrazionale, l'onirico, l'allucinazione, il macabro, etc.

I modelli della scapigliatura sono i romantici tedeschi (Hoffmann), anche se il loro nume tutelare è Baudelaire, seguito da Edgar A. Poe.

Gli scapigliati, con il culto del vero, introducono in Italia i temi del Naturalismo, e con la ricerca del mistero e dell'irrazionale anticipano le forme del decadentismo. Nella scapigliatura c'era la possibilità di creare un gruppo di avanguardia, ma i suoi membri non arrivarono mai, attraverso l'irrazionalismo, ad aprire nuovi orizzonti conoscitivi, quelli che in seguito verranno aperti dal Decadentismo.



Il naturalismo francese



Gli scrittori veristi italiani, nello scrivere le loro opere, presero l'ispirazione dal Naturalismo che si affermò in Francia nel '70. Il retroterra culturale e filosofico del Naturalismo è il Positivismo, un movimento di pensiero che si diffonde dalla metà dell'ottocento, ed è caratterizzato dal rifiuto di ogni visione di tipo religioso, metafisico o idealistico e dalla convinzione che tutto il reale sia spiegabile scientificamente. Il positivista crede ciecamente nella scienza, unico strumento capace di spiegare la realtà e di dominarla. Di qui deriva la fede nel progresso che assicurerà all'umanità la liberazione dai mali fisici e dai mali sociali.

Il maggior esponente del Positivismo fu Hippolyte Taine; egli auspicava che la letteratura si assumesse il compito di un'analisi scientifica della realtà, sulla base del principio deterministico dell'influenza della razza, dell'ambiente e del momento storico.

Altri modelli letterari della scuola naturalistica furono Gustave Flaubert, autore di Madame Bovary e i fratelli Edmond e Jules de Goncourt.

Le esigenze di trasformare il romanzo in uno strumento scientifico e di rappresentare la realtà in tutte le sue forme, anche in quelle più crude, furono riprese da Emile Zola. Le concezioni alla base della narrativa zoliana si trovano enunciate nel volume Il romanzo sperimentale: Zola sostiene che il metodo sperimentale delle scienze, applicato in un primo tempo nella chimica e nella fisica, in seguito nella fisiologia, deve essere ora applicato anche nella sfera spirituale dell'uomo.

Il presupposto di tali teorie è la convinzione che anche le qualità spirituali sono un dato di natura come quelle fisiche. Due principi fondamentali già affermati sono: l'ereditarietà biologica e l'influsso esercitato dall'ambiente sociale che modifica continuamente i meccanismi della vita individuale.

Il fine del romanzo sperimentale è quello di impadronirsi dei meccanismi psicologici per poi poterli dirigere. Il romanziere ha il compito di aiutare le scienze politiche ed economiche nel regolare la società ed eliminare i suoi difetti. Allo scrittore, di concezione progressista, viene assegnato un preciso impegno sociale e politico.

Questo insieme di concezioni danno vita all'opera fondamentale di Zola, I Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il secondo Impero. Il principio di interpretazione dei personaggi è quello dell'ereditarietà.

Accanto agli intenti medico - patologici si collocano poi gli intenti sociali e politici: Zola vuol dare un quadro completo della società francese in tutti i suoi strati sociali. L'atteggiamento ideologico dello scrittore è decisamente progressista, da un lato polemico verso la corruzione e l'avidità dei dirigenti e verso l'ottusità della piccola borghesia, dall'altro pieno d'interesse per i ceti subalterni, di cui sono denunciate con vigore le condizioni subumane di vita.

Dietro la facciata dei propositi scientifici e del crudo realismo, è possibile scorgere in Zola il permanere di un temperamento romantico, che si rivela in episodi lirici o idilliaci e nelle descrizioni esasperate degli oggetti materiali.



La Prefazione: letteratura e scienza

da Thérèse Raquin


Vicenda: Therese, insoddisfatta dal marito, debole e malaticcio, spinge l'amante a ucciderlo, gettandolo nel fiume. I due assassini, però, sono ossessionati dal loro delitto, e finiscono per darsi insieme alla morte. Nella prefazione Zola mira a difendere il suo lavoro dalle accuse velenose della critica, che aveva definito il romanzo un'opera immorale e oscena. Nella prefazione emergono i punti del programma del naturalismo che sono:

l'intento scientifico, la volontà di trasformare il romanzo nello studio di un caso di fisiologia;

la visione materialistica e deterministica: gli oggetti dello studio sono due bruti, spinti solo da istinti animali e reazioni fisiologiche;

al determinismo fisiologico si associa quello ambientale;

La volontà di copiare con minuziosa esattezza la vita.




Lo scrittore come "operaio" del progresso sociale

da Il romanzo sperimentale


In questo saggio, del 1880, Zola raccolse una serie di scritti teorici sul Naturalismo. In sintesi Zola sostiene che il romanzo debba far suo il metodo sperimentale della scienza, applicandolo nel campo della psicologia. Il presupposto è che gli atti intellettuali dell'uomo siano di tipo meccanicistico. Zola si preoccupa inoltre di definire le finalità del romanzo sperimentale: come la scienza studia i fenomeni naturali per dominarli, il romanzo studia i fenomeni intellettuali e morali per dirigerli nel senso migliore. Zola crede nell'impegno sociale dello scrittore, ed è convinto che la letteratura possa incidere la realtà in senso positivo. In tutto lo scritto si riflette un clima culturale positivista.






Giovanni Verga e il Verismo



Il Naturalismo si diffuse in Italia soprattutto negli ambienti culturali milanesi di sinistra fin dai primi anni '70. Tra i sostenitori più ferventi vi fu il critico democratico Cameroni. La sinistra milanese, nonostante avesse colto l'importanza del movimento francese, non riuscì a farne una bandiera per la propria battaglia politica.

A differenza della sinistra, una teoria coerente e un nuovo linguaggio furono elaborati da due intellettuali conservatori meridionali: Verga e Capuana.

Capuana dissente dal Naturalismo per la subordinazione della letteratura allo scopo della dimostrazione sperimentale e per l'impegno politico e sociale. Nel recensire i Malavoglia nel 1881 Capuana dichiara che la scientificità non deve consistere nel trasformare la narrazione in esperimento, per dimostrare tesi scientifiche, ma nella tecnica con cui lo scrittore rappresenta, che è simile al metodo dell'osservazione scientifica. La scientificità si manifesta solo nella forma artistica. La maniera con cui l'artista crea le sue figure e le organizza si riassume nel principio dell'impersonalità.

La tecnica narrativa del Verga. Il Verga applica coerentemente i principi della sua poetica nelle opere composte dal '78 in poi; ciò da origine ad una tecnica narrativa profondamente innovatrice. Nelle sue opere, l'autore si eclissa, si cala nella pelle dei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole. A raccontare non è il narratore onnisciente, che riproduce i valori morali e il livello culturale dell'autore stesso. Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai nelle opere di Verga: il narratore si mimetizza nei personaggi stessi e usa il loro stesso modo di esprimersi.  

Il lettore, iniziando a leggere i malavoglia, possiede solo notizie parziali o non essenziali, e solo a poco a poco arriva a conoscerli, attraverso ciò che fanno e dicono. Il linguaggio non è più quello dello scrittore, ma è quello dei personaggi, spoglio e povero, punteggiato di modi di dire, proverbi, imprecazioni e una sintassi semplice e a volte scorretta.

L'ideologia verghiana. Verga ritiene che l'autore debba eclissarsi dall'opera perché non ha il diritto di giudicare la materia che rappresenta. Alla base della visione del Verga stanno posizioni pessimistiche: la società umana è per lui dominata dal meccanismo della "lotta per la vita". Gli uomini sono mossi dalla ricerca dell'utile, dall'egoismo. E' questa una legge di natura, universale e immodificabile.

Se è impossibile modificare l'esistente, ogni intervento per giudicare appare inutile, e allo scrittore non resta che riportare la realtà così come è. Questo pessimismo ha una chiara connotazione conservatrice: vi si associa un rifiuto per le ideologie progressiste e democratiche, giudicate come fantasie infantili o inganni. Il pessimismo conservatore assicura a Verga l'immunità da quei miti adottati dalla letteratura contemporanea: il mito del progresso e quello del popolo. Pur sottolineando la negatività del progresso moderno, Verga non contrappone ad essa il mito della campagna, la quale non è vista affatto come un Eden.

Il verismo di Verga e il naturalismo zoliano. Le prime differenze si possono riscontrare nelle tecniche narrative. Nei romanzi di Zola non esiste la tecnica della regressione: la voce che racconta riproduce il modo di vedere e di pensare dell'autore. Questo nel Verga non avviene mai: racconta le scene dal punto di vista stesso dei personaggi.

Zola riproduce il gergo solo quando sono i personaggi popolari ad esprimersi. Le zone dove è il narratore a parlare presentano al contrario un linguaggio letterario e colto. L'impersonalità zoliana è quindi profondamente diversa da quella di Verga; per Zola l'impersonalità significa assumere il distacco dello scienziato che si allontana dall'oggetto, per osservarlo dall'esterno; per Verga significa invece eclissarsi dall'oggetto.

Zola interviene a commentare e a giudicare, dall'alto del suo punto di vista scientifico, perché crede che con la letteratura si possa contribuire a cambiare la realtà; dietro la regressione di Verga c'è invece il pessimismo di chi ritiene che la realtà sia immodificabile e che lo scrittore non abbia il diritto di giudicare e che debba limitarsi alla riproduzione oggettiva.

Zola ha fiducia nella letteratura come strumento sociale perché è uno scrittore borghese democratico, che ha di fronte a se una realtà dinamica, una società industriale; di conseguenza lo scrittore progressista si sente portavoce delle esigenze intorno a lui. Il rifiuto di Verga alla politica rimanda invece ad una situazione economica, sociale e culturale ben diversa da quella francese. Verga è un proprietario terriero conservatore del Sud, con intorno a lui un mondo arretrato e immobile, una borghesia parassitaria e delle masse contadine estranee alla storia.

I "veristi" italiani. Non si può dire che esista un verismo inteso come scuola o movimento organizzato, pari al Romanticismo a Milano tra il '16 e il '21. Gli scrittori che sono classificati come veristi non si raggruppano intorno a un programma culturale comune, non fanno riferimento a una comune visione della realtà e ad una omogenea concezione della letteratura e del ruolo dell'intellettuale. Verga non ha dietro di se un vero movimento, con il quale elaborare e discutere idee, ma vi è solo l'amico Capuana e più tardi, quasi in veste di discepolo, il De Roberto.

Lo svolgimento dell'opera verghiana. Il periodo preverista. Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri. Tramite i suoi insegnanti, ricevette un'educazione romantica e patriottica. Il primo romanzo, rimasto inedito, lo scrisse a sedici anni. I testi su cui si andava formando il suo gusto in questi anni sono gli scrittori francesi moderni di vasta popolarità, ai limiti con la letteratura di consumo, come Dumas (I tre moschettieri). Nel 1865 lascia la provincia e si reca a Firenze dove torna nel '69 per soggiornarvi a lungo, consapevole del fatto che per divenire scrittore autentico doveva liberarsi dei limiti della sua cultura provinciale. A Firenze termina nel 1871 Storia di una capinera, romanzo sentimentale che gli assicura un notevole e duraturo successo. Nel '72 si trasferisce a Milano dove entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura. Qui inizia la scrittura di romanzi nei quali domina la protesta contro la società materialista. Tra il '75 e il '78 matura in Verga una crisi, che si risolve con il racconto Rosso Malpelo, la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. E' la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità. Già nel 1874 Verga aveva pubblicato un bozzetto di ambiente siciliano e rusticano, Nedda, che descriveva la vita di miseria di una bracciante.

Questo cambio così vistoso di temi e di linguaggio non provoca una vera e propria frattura tra i due momenti del Verga. Semplicemente lo scrittore possedeva strumenti ancora approssimativi e inadatti, inquinati dal Romanticismo. Sull'adozione dei nuovi moduli narrativi influì la lettura delle opere di Zola e dei contatti con il critico Capuana .

La nuova impostazione narrativa inaugurata nel '78 è continuata da Verga in una serie di altri racconti e raccolti nel volume Vita nei campi: Cavalleria rusticana, La lupa, Fantasticheria. In questi racconti spiccano figure caratteristiche della vita contadina siciliana e viene applicata la tecnica narrativa dell'impersonalità. Accanto alla rappresentazione verista, si può trovare traccia di un atteggiamento romantico; questa contraddizione troverà una soluzione nei Malavoglia.

Il ciclo dei Vinti e I Malavoglia. Parallelamente alle novelle Verga concepisce anche il disegno di un ciclo di romanzi che riprende il modello dei Rougon-Macquart di Zola. A differenza di Zola, Verga non si pone il compito della ricerca scientifica , bensì la volontà di tracciare un quadro sociale, passando in rassegna tutte le classi. Criterio unificante è il principio della lotta per la vita, che lo scrittore ricava dalle teorie di Darwin. Verga non intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale, ma sceglie come oggetto della narrazione i vinti. Il primo romanzo del ciclo è I Malavoglia, la storia di una famiglia di pescatori siciliani. I Malavoglia rappresentano la vita di un mondo rurale arcaico: il romanzo è la rappresentazione del processo per cui la storia penetra in quel sistema arcaico rompendone gli equilibri. L'azione ha inizio all'indomani dell'unità, nel 1863, e la storia e la modernità si presentano subito con la coscrizione obbligatoria, con le tasse, la crisi della pesca, il treno, il telegrafo, le navi a vapore. La famiglia è costretta a passare da possidenti allo stato di nullatenenti, costretti ad andare a lavoro alla giornata. Il personaggio in cui si incarnano le forze disgregatrici è il giovane 'Ntoni, il quale, una volta conosciuto il mondo esterno, non è più in grado di accettare l'immobilismo e il fatalismo del paese. In completa divergenza con lui è il nonno, attaccato a quello che rimane delle tradizioni. Il romanzo rappresenta la disgregazione di un mondo e l'impossibilità dei suoi valori. Si tratta di un romanzo corale, fittamente popolato di personaggi, senza che ne spicchi un protagonista. Ma questo coro si divide nettamente in due: da una parte i Malavoglia e alcuni personaggi a loro collegati, che sono caratterizzati dalla fedeltà ai valori puri; dall'altro la comunità del paese, pettegola mossa solo dall'interesse. Si alternano continuamente durante la narrazione i punti di vista delle due parti. Questo gioco delle parti serve, dal lato del paese, a denunciare l'impraticabilità dei vecchi ideali in un mondo dominato dalla lotta per la vita e, dal lato dei Malavoglia, a fornire un metro di giudizio dei meccanismi spietati che dominano l'ambiente del villaggio, facendo emergere, senza interventi da parte dell'autore, la disumanità della logica dell'interesse.

Dai Malavoglia al Gesualdo. Nel 1883 escono le Novelle rusticane, che ripropongono personaggi e ambienti della campagna siciliana, in una prospettiva più amara e pessimistica. Nel 1889 esce infine il secondo romanzo del ciclo dei vinti, Mastro don Gesualdo, storia dell'ascesa sociale di un muratore che, con la sua intelligenza e la sua energia instancabile, accumula enormi ricchezze, ma va incontro ad un tragico fallimento della sfera degli affetti famigliari.

Nel Gesualdo Verga resta fedele al principio dell'impersonalità, ma a differenza del primo romanzo, il livello sociale si è elevato rispetto ai Malavoglia e alle novelle; si tratta quindi di un ambiente borghese ed aristocratico.

Il narratore del Gesualdo non da esaurienti informazioni sugli antefatti: ne parla come se il lettore li conoscesse già da sempre; è proprio ciò che Verga aveva fatto nei Malavoglia. Il Gesualdo, al contrario dei Malavoglia, ha al centro una figura di protagonista, che si stacca nettamente dallo sfondo popolato di figure. Il punto di vista dei fatti coincide con la sua visione: lo strumento qui adottato è il discorso indiretto libero, mediante cui sono riportati i pensieri del protagonista.

Scompare anche nel Gesualdo, la bipolarità tra i personaggi che caratterizzava i Malavoglia. Il conflitto tra i due poli qui si interiorizza nell'unico personaggio, il quale, pur lavorando per tutta la vita al seguito della roba, conserva il bisogno di relazioni umane autentiche. Gli impulsi generosi e i bisogni affettivi sono però sempre soverchiati dall'interesse e dal calcolo cinico.

Il romanzo si conclude con la sconfitta sostanziale di Gesualdo: dalla sua lotta per la roba non ha ricavato che odio, amarezza e dolore; tutto ciò si somatizza nel tumore allo stomaco che lo porterà alla morte.

L'ultimo Verga. Dopo il Gesualdo Verga lavora a lungo al terzo romanzo del ciclo, La Duchessa de Leyra, ma il lavoro non sarà mai compito. Dal 1893 Verga torna a vivere a Catania e rinuncia sostanzialmente alla letteratura. Dedica il resto della sua vita alla cura delle sue proprietà. Muore nel 1922.



"Sanità rusticana" e "malattia cittadina"

lettera al Capuana del 14 marzo 1879


La lettera è un documento importante della visione di Verga e della sua poetica. Vi si coglie innanzitutto l'opposizione campagna-città, che si specifica come serenità vs turbamento, autenticità vs inautenticità. Ciò testimonia la presenza di una visione romantica del mondo della campagna. Ma Verga non vuole un'immersione nostalgica in quel mondo ma una rappresentazione a distanza attraverso un filo intellettuale.






Impersonalità e "regressione"

dalla prefazione a L'amante di Gramigna


Si possono dedurre, dalla lettura di questa prefazione, alcuni punti essenziali della poetica del Verga:

l'impersonalità: viene intesa come eclisse dell'autore e che deve mettere il lettore faccia a faccia con il fatto nudo e schietto;

la teoria della regressione: i fatti saranno riferiti con le medesime parole semplici della narrazione popolare;

vengono eliminate le analisi psicologiche della narrativa romantica;

il rifiuto di una facile drammaticità;

la ricostruzione scientifica dei processi psicologici, fondata su di una rigorosa consequenzialità logica e su rapporti necessari di causa ed effetto.



Fantasticheria

da Vita dei campi


Il testo reca in germe i futuri Malavoglia, anche se manca il coro del paese. Qui il mondo rurale, a differenza del romanzo, è ancora idealizzato, non visto in modo disincantato e pessimistico nelle sue reali componenti. E' anche assente qui il procedimento della regressione. la voce narrante rappresenta direttamente l'autore stesso e il su mondo.



Rosso Malpelo


Il racconto è il testo che da inizio alla fase verista dello scrittore. La voce che racconta non è al livello dell'autore reale, non è portavoce della sua visione del mondo, ma è al livello dei personaggi, è interna al mondo rappresentato, e ne riflette l'inconfondibile visione. L'autore si è eclissato.

Non essendo onnisciente, ma portavoce di un ambiente popolare primitivo e rozzo, il narratore di Rosso Malpelo non è depositario della verità, come è proprio dei narratori tradizionali.

Rosso, pur essendosi formato della disumana cava, ha conservato alcuni valori autentici, disinteressati. Il punto di vista del narratore esercita su questi valori un processo di stranimento: fa apparire strano ciò che dovrebbe essere normale.


La roba

dalle Novelle Rusticane


La roba, insieme con le altre Novelle Rusticane, rappresenta la nuova direzione della ricerca verghiana dopo i Malavoglia, l'abbandono della mitizzazione della campagna. La realtà risulta così dominata dalla logica dell'interesse e dalla forza. Al centro della novella vi è il tema della dinamicità sociale che travolge tutti gli equilibri tradizionali, nella natura del self made man, che dal nulla si crea una prodigiosa fortuna, e la cui scalata sociale è inserita in un ben identificabile processo storico della modernità, la crisi della nobiltà e l'ascesa della borghesia.

I temi che ricorrono costantemente nella novella sono:

l'ammirazione per la potenza dell'accumulo capitalistico, che riesce a creare ricchezze immense;

le virtù eroiche del protagonista, l'intelligenza e l'energia infaticabile;

il tendere inesausto sempre oltre gli obiettivi raggiunti.

Nella conclusione, Mazzarò non si scontra solamente con la società e con i suoi aspetti economici per accrescere la roba, ma anche con la natura, col suo limite della morte.



Il Decadentismo



Nel 1883, sul periodico francese "La Chat Noir" Verlaine pubblicava un sonetto dal titolo Langueur, in cui affermava di identificarsi con l'atmosfera di stanchezza e di estenuazione spirituale dell'Impero Romano alla fine della sua decadenza , ormai incapace di forti emozioni e di azioni energiche. Il sonetto interpreta uno stato d'animo diffuso nella cultura del tempo, il senso di disfacimento e di fine di una civiltà, l'idea assaporata con un voluttuoso compiacimento del crollo ormai prossimo.

Queste idee erano tipiche di alcuni circoli culturali d'avanguardia, che si contrapponevano alla mentalità borghese positivista. La critica ufficiale coniò il termine decadentismo in senso dispregiativo e negativo, ma quei gruppi di intellettuali lo assunsero come bandiera polemica.

Il movimento ebbe il suo portavoce con il periodico "Le Decandent". Inizialmente quindi il termine decadentismo indicava un gruppo d'avangurdia parigino con un preciso programma e un suo manifesto. Ora il decadentismo appare come una somma di manifestazioni tra loro anche assai differenti.

Visione del mondo. La base della visione del mondo decadente è un irrazionalismo misticheggiante, che riprende ed esaspera posizioni già largamente presenti nella cultura romantica. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, perché l'essenza di esso è al di là delle cose, misteriosa ed enigmatica, per cui solo rinunciando all'abito razionale si può tentare di attingere all'ignoto.

Ogni forma visibile non è che un simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di là di essa, e si collega con infinite altre realtà in una rete segreta, che solo la percezione dell'iniziato può individuare.

La visione decadente propone una sostanziale identità tra io e mondo, tra soggetto e oggetto, che si confondono in un'arcana identità.

La scoperta dell'inconscio è il dato fondamentale della cultura decadente, il suo nucleo più autentico. Come strumenti per sondare l'ignoto vengono indicati tutti gli stati abnormi e irrazionali dell'esistere: la malattia, la nevrosi, il delirio, il sogno e l'incubo, l'allucinazione. Difatti la cultura della droga ha inizio con il romanticismo e il decadentismo, in cui si ritiene che l'uso di sostanze stupefacenti e psicotropiche potenzi all'infinito le facoltà umane, sottraendole allo squallido meccanismo quotidiano e alla ragione.

Vi sono poi per i decadenti altre forme di estasiche consentono questa esperienza dell'ignoto e dell'assoluto. Se io e mondo non possono essere distinti, l'io individuale può annullarsi nella vista del Tutto. Questo atteggiamento, denominato Panismo, ricorrerà particolarmente in D'Annunzio.

Un alto stato di grazia è costituito dall'epifanie, come le definisce Joyce: un particolare qualunque della realtà, che appare insignificante alla visione comune, si carica all'improvviso di una misteriosa intensità di significato.

La poetica. Tra i momenti privilegiati dal decadentismo, vi è soprattutto l'arte. L'arte non è solo intesa a produrre begli oggetti, che provochino sensazioni piacevoli, ma voce del mistero che obbedisce a sollecitazioni profonde. Questo culto religioso dell'arte ha dato origine al fenomeno dell'estetismo. L'esteta è colui che assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali, ma solo il bello. Arte e vita per lui si confondono, nel senso che la seconda è assorbita interamente dalla prima.

Dall'assenza di valori morali, ne consegue che il poeta si rifiuta di farsi banditore di idealità.

Se la poesia è veicolo della rivelazione del mistero e dell'assoluto, la poetica si propone di agire su una zona più profonda e oscura, assumendo un valore puramente suggestivo.

Se per tutta la tradizione poetica, persisteva un significato della parola, ora questo viene stravolto, diventando labile, o scompare del tutto. La parola abbandona la sua funzione di strumento comunicativo immediato e recupera la sua capacità magica, cabalistica.

Temi e miti. Data la complessità del fenomeno e l'estrema varietà di tendenze che si riscontrano al suo interno, si ha un'infinità di tematiche decadenti.



Gabriele D'Annunzio



Vita. La vita di D'Annunzio può essere considerata una delle sue opere più interessanti; secondo i principi dell'estetismo, bisognava fare della vita un'opera d'arte e D'Annunzio fu costantemente teso alla ricerca di questo obbiettivo. Nato nel 1863 a Pescara da famiglia agiata borghese, esordì precocissimo nel 1879 come poeta. Durante il liceo si trasferì a Roma, e in questi anni inizia a crearsi la maschera dell'esteta. Rifiuta inorridito la borghesia, rifuggiandosi in un mondo di pura arte. Nel campo letterario cercò nuove soluzioni, e le trovò nel mito del superuomo, ispirato alle teorie del filosofo tedesco Nietzche.

Nonostante il disprezzo per la vita comune, D'Annunzio rimase comunque legato alle esigenze del sistema economico: con i suoi scandali e le sue esibizioni, il poeta voleva mettersi in risalto per poter meglio vendere le sue opere letterarie.

D'Annunzio vagheggiava anche sogni di attivismo politico. Nel 1897 divenne deputato di estrema destra, in coerenza con i principi dei suoi libri: disprezzo per la democrazia e il sogno della restaurazione della grandezza di Roma. Nel 1900 passò allo schieramento di sinistra.

Con il 1898, D'Annunzio iniziò a scrivere anche per il teatro. Nel 1910, a causa dei creditori inferociti, fu costretto all'esilio in Francia. Ritornò in Italia con lo scoppio della prima guerra mondiale; intraprese una campagna interventista e si arruolò, compiendo imprese quali la "beffa di Buccari" e il volo su Vienna. Nel dopoguerra si fece portavoce dei malumori per la vittoria mutilata e guidò una marcia di volontari su Fiume, dove instaurò un dominio personale.

Con l'avvento del fascismo venne esaltato come padre della patria, anche se venne confinato in una sontuosa villa di Gardone, che venne soprannominata il Vittoriale. Morì nel 1938.


Estetismo e sua crisi. L'esordio. L'Esordio letterario di D'Annunzio avvenne sotto il segno di Carducci e di Verga. Le sue due prime opere liriche, Prime vere e Canto Novo, infatti si rifanno al Carducci, mentre la sua prima opera narrativa, Terra Vergine, si ispira al Verga. Dal Carducci ricava il senso tutto pagano delle cose sane e forti, della comunione con la natura. già da qui si può intravedere il panismo superomistico. Nella raccolta di novelle Terra Vergine, D'annunzio presenta paesaggi e figure del suo Abruzzo; ma non vi è nulla della lotta della vita introdotta da Verga e dell'impersonalità del narratore. In quest'opera viene rappresentato un mondo idilliaco, non problematico. Sul piano narrativo si assiste a continue intromissioni della soggettività del narratore.

L'estetismo. Come esteta, D'annunzio si isola dalla realtà meschina della società borghese in un mondo d'arte e di bellezza. Il giovane D'Annunzio, inseritosi negli ambienti intellettuali della metropoli, vuole il successo e la fama, la vita di lusso di un aristocratico. Sfruttando abilmente i meccanismi del capitalismo, propone una nuova immagine dell'intellettuale che si pone al di fuori della borghesia e che fa rivivere una condizione di privilegio dell'artista che sembrava ormai tramontata.

Il Piacere. Ben presto D'Annunzio di rende conto della debolezza di questa figura: l'esteta non ha la forza di opporsi alla borghesia in ascesa. Il suo isolamento sdegnoso diventa uno stato di sterilità e di impotenza. Il primo romanzo scritto dal poeta, Il Piacere, testimonia la crisi dell'estetismo: il protagonista, un alter ego dell'autore, Andrea Sperelli, rappresenta i punti deboli dell'estetismo.

Nel suo impianto narrativo, il romanzo risente del realismo ottocentesco e del verismo. Sono evidenti le ambizioni di costruire un quadro sociale. D'Annunzio mira però a costruire un romanzo psicologico, in cui, più che gli eventi esteriori dell'intreccio, contano i processi interiori del protagonista.

Fase della bontà. La crisi dell'estetismo non approda immediatamente a soluzioni alternative. La stanchezza sensuale, il disgusto per l'estetismo, inducono D'Annunzio a subire il fascino del romanzo russo. Nel Giovanni Episcopo è evidente l'influsso di Dostoievskij; nell'Innocente, ispirato a Tolstoj, si ricerca il recupero del contatto coniugale e della vita con la natura. Questa fase, definita dallo stesso autore della Bontà, comprende anche la raccolta poetica del Poema paradisiaco, percorsa da un desiderio di recuperare l'innocenza dell'infanzia.


I romanzi del superuomo. L'ideologia superomistica. La bontà è però una fase provvisoria. Uno sbocco alla crisi dell'estetismo appare dalla lettura del filosofo Nietzsche, avvenuta nel 1892. Banalizza e forza il pensiero del filosofo entro un proprio sistema di concezioni: il rifiuto del conformismo borghese, dei principi egualitari, l'esaltazione dello spirito dionisiaco, il rifiuto della pietà e dell'altruismo, l'esaltazione della volontà di potenza, dello spirito di lotta, il mito del superuomo. Il motivo del superuomo è interpretato da D'Annunzio nel senso del diritto di pochi uomini eccezionali ad affermare se stessi disprezzando le leggi comuni del bene e del male.

Il superuomo, aggressivo ed energico, non nega l'estetismo, ma lo ingloba in se, ritenendolo essenziale nel processo di elevazione della stirpe.

Il mito del superuomo è un tentativo di reagire alle tendenze della società contemporanea a degradare l'intellettuale; ma è un tentativo che affida all'artista una missione politica, quella di vate o di guida per la società.

I romanzi. Il quarto romanzo di D'Annunzio, il Trionfo della morte, rappresenta un fase di transizione. Il protagonista, Giorgio Aurispa, è ancora un esteta.



Giovanni Pascoli



Vita. Nacque in Romagna nel 1855 da una famiglia della borghesia rurale molto numerosa. La sua vita venne sconvolta dall'assassinio del padre. Ciò diede a Pascoli il senso di un'ingiustizia bruciante. Nel '73 ottenne una borsa di studio e inizio gli studi nella facoltà di lettere a Bologna. In questi anni Pascoli subì il fascino dell'ideologia socialista. Venne arrestato durante una manifestazione e passò alcuni mesi in carcere. Restò in seguito fedele alle idee socialiste, anche se idealmente umanitario, ripudiante il principio della lotta di classe, pronunciando la fraternità e l'uguaglianza. Iniziò nel 1882 il mestiere di insegnante e si stabilì a Massa con le sue due sorelle Ida e Mariù, ricostituendo così quel nido familiare che tutti avevano distrutto.

La chiusura nel nido rivela la fragilità della struttura psicologica del poeta, che fissato in uno stato infantile, ricerca nel nido la protezione dal mondo esterno. A questo si unisce il ricordo dei morti, le cui presenze aleggiano nel nido, inibendo ogni relazione con il mondo esterno, considerata al pari di un tradimento.

Nel 1895 il matrimonio di Ida fu sentito da Pascoli come un tradimento e determinò in lui una lunga depressione. Dietro il suo carattere si cela l'animo del fanciullino, che celebra le piccole cose della vita, le più semplici ed umili, viste come per la prima volta.

Nella vita apparentemente tranquilla del nido si celano oscure angosce e paure per l'incombenza di cataclismi storici.

La sua produzione letteraria iniziò nel 1891 con la raccolta di liriche, Myricae. Nel 1897 uscivano i Poemetti, nel 1903 i Canti di Castelvecchio, nel 1904 i Poemi Conviviali. La sua fama di poeta si allargava. Negli ultimi anni volle gareggiare con il suo maestro Carducci e con il poeta vate D'Annunzio, nella funzione di poeta civile, con una serie di poemi. Morì a Bologna nel 1912 per un cancro allo stomaco.


Le idee. Visione del mondo. La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivista, dato il clima culturale che dominava il mondo durante i suoi studi. Tale matrice è individuabile nelle minuziose descrizioni ornitologiche e botaniche trovabili nei suoi componimenti poetici. Ma in Pascoli si intravede la crisi del Positivismo e l'affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Le sue incertezze riguardo la scienza non si tramutarono però in una fede religiosa positiva. Tuttalpiù attinse dal Cristianesimo l'ideale di fraternità.

Il mondo nella visione Pascoliana appare frammentato, disgregato. Non vi è alcun ordine né alcun disegno unitario. Non esiste nessuna gerarchia d'ordine tra gli oggetti. Tutto ciò ha dei riscontri nella sintassi e nel ritmo della sua poesia.

Gli oggetti materiali sono importantissimi nella logica pascoliana: i particolari fisici sono filtrati dalla visione soggettiva del poeta, e si caricano di valenze simboliche ed allusive.

La poetica. Da questa visione del mondo scaturisce la poetica di Pascoli. che trova la sua formulazione nel saggio Il fanciullino (1897). L'idea principale è quella che il poeta coincida con il fanciullo che sopravvive nell'animo di ogni uomo. Il fanciullo vede ogni cosa per la prima volta, con ingenuo stupore e meraviglia. Grazie al suo modo alogico di vedere le cose, il poeta-fanciullo ci fa sprofondare nell'abisso della verità, ovvero ci permette di cogliere l'essenza segreta delle cose. Non solo, ma il fanciullo scopre le somiglianze e le relazioni più ingegnose. Il poeta appare come un veggente, colui che può spingersi nell'ignoto. Il tutto ricade in un ambito decadente.

In quest'ambito si colloca anche la convinzione che la poesia non abbia fini secondi, ma che sia fine a se stessa. Nella stessa poesia pascoliana, che non vuole essere consigliatrice, è presente un messaggio sociale, l'utopia della fraternità fra gli uomini, senza alcun tipo di barriere.



Italo Svevo



Vita. Aron Hector Schmitz nacque a Trieste nel 1861 in un'agiata famiglia borghese di origine ebraica. Durante lo studio in Germania di materie attinenti all'attività economica della famiglia, iniziò le letture dei testi di Goethe, Schiller, Heine. La sua aspirazione era quella di divenire scrittore: iniziò così la stesura di testi drammatici, e la collaborazione con l'Indipendente di Trieste. Nel 1880 l'impresa economica del padre fallì: Svevo conobbe in questo modo il passaggio dall'alta alla piccola borghesia. In cerca di lavoro, si impiegò alla banca Union di Vienna. Interpretando il lavoro come un'oppressione, cercò uno sfogo nella letteratura: iniziò a scrivere nel 1886 il suo primo romanzò, "Una Vita", che pubblicherà nel 1892 con lo pseudonimo di Italo Svevo.

Con il matrimonio, avvenuto nel 1896, Svevo tornò, grazie al suocero, nell'alta borghesia. Dovette compiere numerosi viaggi per conto dell'azienda del suocero, specialmente in Francia e in Inghilterra, e vista la notevole mole di impegni, fu costretto ad abbandonare l'attività letteraria, al quale contribuì indubbiamente il fallimento editoriale del suo secondo romanzo "Senilità". Il proposito di abbandonare la letteratura non fu comunque rispettato, e in questo periodo compaiono i drammi "Un terzetto spezzato" e "Un marito". In questi anni si verificarono inoltre due eventi capitali per la formazione intellettuale di Svevo: il primo fu l'incontro con James Joyce, da cui lui prese lezioni di inglese a Trieste; il secondo evento fu l'incontro con la psicanalisi, avvenuto a Vienna tra il 1908 e il 1910, con Freud.

Nel 1919, ormai liberatosi dell'attività manageriale, finì la scrittura del suo terzo romanzo "La coscienza di Zeno", che venne pubblicato nel 1923. Grazie all'intervento di Joyce, che sottopose l'attenzione degli intellettuali francesi sull'opera, Svevo ebbe il successo tanto aspettato come scrittore. La fisionomia di Svevo appare diversa da quella del tradizionale letterato italiano: presenta caratteristiche peculiari il luogo dove è vissuto, Trieste, cove conversero tre civiltà, quella italiana, quella austriaca e quella ebraica. Lo stesso pseudonimo adottato dallo scrittore dimostra il suo duplice aspetto. Svevo inoltre non è un letterato puro: ha le sue radici nella borghesia commerciale della città.


Elementi culturali. Il primo incontro con la psicoanalisi avvenne nel 1910 a Vienna. Verso Freud lo spingeva l'interesse per la tortuosità e le ambivalenze della psiche profonda, che aveva già esplorato nei suoi primi due romanzi. Ma Svevo non apprezzo la psicoanalisi come cura, ma come puro strumento conoscitivo, capace di indagare più a fondo la realtà psichica, e di conseguenza come strumento letterario.

Un'importanza fondamentale ha per Svevo la conoscenza dei romanzieri naturalisti, di Zola in particolare. Il modello zoliano si scorge soprattutto nel primo romanzo, nelle minuziose ricostruzioni. Ma non si deve dimenticare l'influsso di Bourget, capostipite del romanzo psicologico.


"Una Vita". Iniziato nel 1888 e pubblicato nel 1892. Protagonisti: Alfonso Nitti, Macario, Annetta. Nel suo impianto il romanzo rivela legami con i modelli moderni: sono presenti la scalata sociale e la formazione del protagonista. Alfonso inaugura il personaggio dell'inetto, che ricomparirà negli altri scritti di Svevo. L'inetto è sostanzialmente un debole, che ha un'insicurezza psicologica. Alfonso è un piccolo borghese declassato da una condizione originariamente più elevata, ed è un intellettuale, ancora legato alla cultura umanistica. Il combinarsi di questi fattori sociali lo rende diverso dal resto della società triestina, impegnata nel commercio e nell'industria. Se Alfonso non riesce più ad identificarsi come uomo forte e virile, dinanzi a lui si ergono degli antagonisti con le sue caratteristiche mancanti: Maller, il padrone, incarnazione della figura del Padre; Macario, il Rivale, brillante e disinvolto. Questo antagonismo tra l'inetto e il capace, questa ricerca del padre per appoggiarsi alla sua forza, con la conseguente contrapposizione di attrazione e avversione, saranno schemi che ritorneranno regolarmente anche nei due romanzi successivi.


"Senilità". Scritto dal 1892, edito nel 1896. Protagonisti: Emilio Brentani, Angiolina, Amalia, Stefano Balli. Il nuovo romanzo, a differenza de "Una Vita", non offre più un articolato quadro sociale, ma si concentra sui quattro personaggi principali, i cui rapporti si compongono in una struttura essenziale. In secondo luogo, a differenza sempre del primo romanzo, non si affrontano problemi di natura sociale. La vicenda si svolge prevalentemente dentro la testa di Emilio. Egli, dal punto di vista psicologico è un debole, che ha paura di affrontare la realtà e per questo si è costruito un sistema protettivo, una vita calma, che però esclude il godimento. Questo sistema, definito senilità, ha come centro il nido familiare, costituito dalla sorella Amalia. Il godimento della vita è rappresentato dal Angiolina. Nonostante Emilio voglia godere un'avventura con Angiolina, ha paura della donna, e per questo la trasporta nei suoi sogni dove può trasformarla.


"La coscienza di Zeno". Il terzo romanzo di Svevo appare nel 1923 e la sua struttura è profondamente diversa dai primi due. Svevo abbandona il modulo ottocentesco, ancora di matrice naturalistica, e adotta la forma del memoriale, che il protagonista, Zeno Cosini, scrive al suo psicanalista, a scopo terapeutico. Il racconto, nonostante l'impostazione autobiografica, non presenta gli eventi nella loro successione cronologica lineare, ma in un tempo del tutto soggettivo. La ricostruzione eseguita da Zeno si raggruppa intorno ad alcuni momenti essenziali: il fumo, il padre, il matrimonio, l'amante, l'associazione commerciale e la psicoanalisi.







Luigi Pirandello



Luigi Pirandello nacque a Gigernti nel 1867, da una agita famiglia borghese di tradizioni risorgimentali e garibaldine. Dopo il liceo si iscrisse all'università di Palermo, poi a Roma e in seguito a Bonn, dove si laureò nel 1891 il Filologia romanza con una tesi sul dialetto di Girgenti. L'esperienza degli studi in Germania fu importante per lo scrittore, perché lo mise in contatto con gli autori romantici che ebbero notevole influenza sulla sua opera e sulle sue teorie sull'umorismo.

Dal 1892 si trasferì a Roma, dedicandosi alla letteratura. Strinse legami con Ugo Fleres e con Luigi Capuana. Nel '93 scrisse il suo primo romanzo, L'esclusa e nel 1894 pubblicò la raccolta di racconti Amori senza amore. Dopo il matrimonio scrisse a sua prima commedia, Il nibbio, che riprese in seguito con il titolo di Se non così.

Ne 1903 i fallimento dell'azienda del padre provocò il dissesto economico all'interno della famiglia. Il fatto ebbe drammatiche conseguenze per lo scrittore: la moglie, il qui equilibrio psichico era già fragile, impazzì. la convivenza con la donna, ossessionata dalla gelosia, costituì per Pirandello l'inizio della concezione della famiglia come trappola che imprigiona e soffoca l'uomo. Con la perdita dell'azienda, mutò la condizione sociale dell'autore. Tra il 1904 e il 1915 fu costretto ad integrare lo stipendio di professore con la produzione di novelle e romanzi. Anche l'esistenza di Pirandello, come quella di Svevo, fu segnata dalla declassazione sociale, dalla borghesia agiata alla piccola borghesia. Ciò fornì allo scrittore lo spunto per la rappresentazione nelle sue opere del grigiore soffocante della vita e il rancore e l'insofferenza che ne derivarono aumentarono il suo rifiuto irrazionalistico e anarchico del meccanismo sociale.

Dal 1910 Pirandello ebbe il suo primo contatto con il mondo del teatro, con le rappresentazioni della compagnia teatrale di Nino Martoglio a Roma. Dal 1915 la sua produzione teatrale si intensificò: sempre in quell'anno venne rappresentata la sua prima commedia Se non così; tra il 1916 e il 1918 scrisse Pensaci Giacomino!, Liolà, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il Piacere dell'onestà, Il Giuoco delle parti.

Dal '20 il teatro di Pirandello iniziò a conoscere il successo di pubblico. Del '21 sono i Sei personaggi in cerca di autore, che rivoluzionavano radicalmente il linguaggio drammatico. Nel '24 Pirandello si iscrisse al partito fascista, per ottenere appoggi da parte del regime. Da un lato il suo conservatorismo lo spingeva a vedere nel fascismo una garanzia d'ordine; dall'altro il suo spirito antiborghese lo induceva a scoprirvi l'affermazione di una genuina energia vitale che spazzava via le forme fasulle e soffocanti della vita sociale italiana. Ben presto dovette rendersi conto del carattere di vuota esteriorità del regime, e pur evitando la rottura, accentuò il distacco.


La visione del mondo e la poetica. Il vitalismo. I testi narrativi e drammatici di Pirandello insistono su alcuni nodi concettuali. Alla base della visione pirandelliana del mondo vi è il vitalismo, affine alla filosofia di Bergson: la realtà è un perpetuo movimento vitale, un flusso continuo. Chi si stacca da questo flusso, inizia a morire. L'uomo tende a fissarsi in forme da lui stesse imposte, e gli altri, con cui viviamo in società, ci danno determinate forme, ognuna diversa a seconda della persona che ci guarda. Ciascuna di queste forme è una maschera, che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il sistema sociale. Sotto questa maschera non c'è nessuno, o meglio un fluire indistinto di stati in perenne trasformazione. Pirandello fu influenzato dallo psicologo Binet sulle alterazioni della personalità ed era convinto che nell'uomo consistano più persone, ignote a lui stesso.

L'individuo soffre anche per le forme che gli vengono fissate. Queste forme sono sentite come una trappola. A Pirandello la società gli appare come una costruzione artificiosa e fittizia, che isola l'uomo dal movimento vitale, e che lo fa morire. Si scorge qui un rifiuto delle forme della vita sociale e un bisogno di autenticità e di spontaneità.

L'istituto dove si forma per eccellenza la trappola è la famiglia, seguita dalla condizione sociale e dal lavoro. L'unica via di uscita da queste trappole è la fuga nell'irrazionale e la pazzia. Il rifiuto della vita sociale da la vita al personaggio estraniato, che ha compreso il meccanismo e che si isola, guardando gli altri dall'alto (filosofia del lontano).

Il relativismo conoscitivo. Se la realtà è in perpetuo movimento, essa non può essere fissata in schemi. caratteristico della visione pirandelliana è il relativismo conoscitivo: non si dà una verità oggettiva fissata a priori. Ognuno ha la sua verità, che nasce dal suo modo oggettivo di vedere le cose. Ne deriva un'incomunicabilità fra gli uomini. Questo stato accresce il senso di solitudine dell'individuo che si scopre nessuno.

L'umorismo. Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono anche la concezione sull'arte e la poetica di Pirandello. Vengono enunciate nel saggio L'umorismo, che si compone di due parti, una storica e una teorica, in cui viene definito il concetto dell'umorismo. L'opera d'arte nasce dal suo libero movimento della vita; la riflessione, al momento della concezione, resta invisibile. Nell'opera umoristica invece la riflessione non si nasconde ma si pone in primo piano. Da cui nasce il sentimento del contrario, che è il tratto caratterizzante dell'umorismo (avvertimento del contrario - comico => sentimento del contrario - umorismo).


Il teatro. Gli esordi e il periodo grottesco. L'interesse di Pirandello per il teatro risale al '90. Invece le sue prime opere rappresentate risalgono al 1910. Il contesto teatrale in cui Pirandello si inserisce è quello del dramma borghese di impianto naturalistico, incentrato sull'adulterio e sulle difficoltà economiche. Pirandello porta però questi temi alle estreme conseguenze, giungendo al paradosso e all'assurdo. Nei drammi Il piacere dell'onestà e Il giuoco delle parti, vengono sconvolti i capisaldi del teatro borghese naturalistico, la verosimiglianza e a psicologia. I linguaggio diviene concitato, convulso. Con questi due drammi, Pirandello si accosta decisamente a teatro grottesco, che è la forma che assume l'arte umoristica sulla scena.

Il teatro nel teatro. Nel 1921, con Sei personaggi in cerca di autore, Pirandello mette in scena il rifiuto delle forme teatrali correnti. Invece del dramma dei personaggi, viene rappresentato la sua impossibilità di scriverlo e l'incapacità di rappresentarlo: non solo per la mediocrità degli attori, ma per l'incapacità generale del teatro di rendere sulla scena ciò che lo scrittore ha concepito.

Al ciclo del teatro nel teatro si ricollega l'Enrico IV, che si stacca dal grottesco per la tragedia.




Giuseppe Ungaretti


Le poesie di Ungaretti, a prima vista di difficile comprensione e ironiche, per via del loro rifiuto delle regole liriche tradizionali, devono essere interpretate considerando il periodo storico in cui sono state composte. Costituiscono probabilmente il più importante esempio di voce lirica moderna in Italia, mentre dominavano le prestigiose immagini e le musicalità di D'Annunzio; introducono in pochi versi, scabri ed essenziali la voce disperata di un uomo che scopre di essere solo, con la sua carica segreta di ideali di fronte a una realtà spesso crudele. Il verso tradizionale si scompone, si divide a favore del verso libero, che può mettere meglio in evidenza il valore di una parola, isolandola dalle altre, dandole uno spicco tutto speciale: la singola parola acquista in tal modo tutta una carica di significati, di suggestioni, di associazioni connotative.


Vita. Nasce ad Alessandria d'Egitto nel 1888. La sua istruzione letteraria comprende sin dagli inizi letture di scrittori moderni e contemporanei, da Leopardi a Nietzche. Degli anni africani rimarrà in lui anche la memoria di un paesaggio fantastico e irreale. Nel 1912, passando per l'Italia, si reca a Parigi, dove frequenta il Collegio di Francia e la Sorbona e dove approfondisce la poetica decadente e simbolista, da Baudelaire a Mallarmè. Frequenta gli ambienti dell'avanguardia conoscendo artisti come Apollinaire, Picasso, Braque, De Chirico, Modigliani. Nel '14 torna in Italia e si arruola per partecipare con entusiasmo alla guerra. Combatte nel fronte del Carso, dove inizia a comporre la raccolta poetica Il porto sepolto.

Divenuto uno dei più noti e prestigiosi intellettuali italiani, la sua figura costituisce un punto di riferimento essenziale per la nuova poesia, che darà vita al definirsi di una poetica ermetica.  


Dal Porto sepolto all'Allegria. Nel riordinare le sue poesie, dando loro un titolo complessivo, Ungaretti volle sottolineare il carattere autobiografico, proponendole come una sorta di nuova e versificata recherche proustiana. Le liriche del Porto sepolto, uscite nel 1916, hanno un andamento che brucia ogni residuo puramente descrittivo o realistico. E' questa la fase decisiva della poetica ungarettiana, esemplificata dai testi che confluiranno poi nell'Allegria ('31).

Ricollegandosi alla lezione del Simbolismo, Ungaretti porta alle estreme conseguenze il procedimento dell'analogia, ricollegandosi alle indicazioni del Marinetti. Sul piano tecnico l'operazione consiste nella distruzione del verso tradizionale, che con la sua sintassi ancora naturalista è distratto dal vero obiettivo della ricerca poetica. L'innovazione ungarettiana venne certo favorita dalla rivoluzione futurista delle parole in libertà. Alla poesia viene attribuito un significato magico ed esoterico, collocandola tra l'inconoscibile e l'inesprimibile. Resta fondamentale il significato della parola che assume il valore di improvvisa e folgorante illuminazione. La parola viene fatta risuonare nella sua autonomia e nella sua purezza in versi brevi o addirittura isolata, facendola coincidere con la lunghezza del verso, quasi per collocarla nel vuoto e nel silenzio, oltre ogni rapporto con la realtà.

In questo senso va inteso l'autobiografismo su cui Ungaretti ha posto l'accento, riscoprendo anche la preistoria della sua poetica: dall'infanzia e dalla giovinezza trascorse ad Alessandria, con le impressioni di un paesaggio affidato poi alle testimonianze della memoria, fino all'incontro con l'Italia. Da questi riscontri sono tratti temi e i motivi dell'esordio poetico: il deserto, il miraggio, come ricordo degli anni egiziani; il mare, il porto, il viaggio, legati alla vicenda dell'emigrante. Il discorso poi si approfondisce nel motivo dell'esilio. Un temporaneo momento di approdo è costituito dall'esperienza del fronte. La guerra gli consente di stabilire un contatto con la propria gente e di raggiungere la coscienza di una rinnovata identità. La guerra lo costringe inoltre a vivere nel precario confine fra la vita e la morte.

Particolarmente indicativi risultano i titoli delle prime due raccolte poetiche. Il porto sepolto allude a ciò che segreto rimane in noi indecifrabile ed ha una fonte precisa nel racconto favoloso di due amici francesi. Il porto sepolto equivale così al segreto della poesia, nascosto nel fondo di un abisso nel quale deve immergersi il poeta.

Per quanto riguarda Allegria di naufragi, lo stesso Ungaretti ha spiegato il carattere ossimorico del sintagma, parlando dell'esultanza di un attimo, di un'allegria che, quale fonte, non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare.     



Il porto sepolto

da Il porto sepolto


Il componimento è di vitale importanza per capire la poesia che ne è alla base. Il porto sepolto rappresenta l'essenza della poesia, il suo mistero nascosto, la fonte del miracolo e il mito da cui trae origine. Il primo verso allude a una sorta di immersione rituale e purificatrice di tipo iniziatico, cui segue la risalita alla superficie, quasi un gesto di resurrezione, in cui la poesia, strappata dalla profondità del mare, viene sparsa nell'atmosfera luminosa della terra.

Nella seconda strofa si riesce ad intravedere il debito di Ungaretti verso Leopardi, del quale usa gli stessi dimostrativi (quel nulla). Il nulla può essere considerato l'equivalente del "mare dove i poeti usano naufragare", nel paesaggio, in cui consiste tanta parte del procedimento analogico, da una dimensione materiale a una dimensione immateriale dell'esistenza. L'ossimoro nulla - inesauribile è la condizione essenziale della poesia, con la sua accanita ricerca di una parola che sfiori il segreto, senza tuttavia coglierne la sostanza indicibile.

OSSIMORO = accostamento di parole dal significato contrastante.


Veglia


E' una poesia scritta al fronte l'antivigilia di Natale. La prima strofa, di 13 versi, è costituita da un unico e ininterrotto fluire del discorso poetico, che insiste, in maniera stringente e implacabile, sulla crudezza della situazione: la vicinanza con il cadavere sfigurato e deformato di un compagno caduto, nella notte sconvolta e allucinata. Spoglia di ogni retorica e di ogni forma di eroismo, la guerra appare ridotta a questo macabro confronto, rivelandosi in tutto l'orrore della sua crudeltà. La strofetta conclusiva ribadisce, in forma epigrafica, le ragioni di un attaccamento alla vita che nascono dall'orrore e dal dolore, in una parola dalla morte, come riaffermazione di un istinto naturale, ma anche come riconquista dei valori di un'umana solidarietà.


I fiumi


Nei Fiumi vi sono enumerate le quattro fonti che ispirarono il poeta. E' la poesia della consapevolezza e di una raggiunta identità che deriva dal recupero del proprio passato attraverso la memoria. Immergersi nella corrente dell'Isonzo equivale a ricordare tutti gli altri fiumi che hanno segnato l'esperienza ungarettiana, ricomponendone il tessuto lacerato. L'acqua è un evidente simbolo di vita, che dalle sue origini ancestrali, giunge alla chiarezza del presente, alla maturazione dell'uomo che la guerra ha dolorosamente determinato. In mezzo, ugualmente emblematici, ci sono gli altri due fiumi: il Nilo, che rievoca la stagione libera e avventurosa dell'infanzia e della prima giovinezza, come le spontanee acquisizioni della vita e dei sensi; la Senna, che richiama gli anni parigini dell'inquieta formazione artistica e intellettuale, con la scoperta della propria vocazione letteraria. Il carattere autobiografico del componimento è sottolineato dall'uso della prima persona con cui iniziano numerose strofe. Ma questa dimensione tende subito a caricarsi di significati ulteriori. L'immersione nell'acqua ha un valore rituale, che rinvia a precisi riferimenti archetipici, e in particolare alla cerimonia del battesimo.

Lo scorrere dell'acqua compie un'opera di trasformazione e di purificazione, riducendo l'individuo a una realtà minerale e ricongiungendolo alla natura.

L'immagine dell'acrobata che cammina sull'acqua richiama al ben noto miracolo compiuto da Cristo, a conferma della disposizione religiosa presente nel componimento. Un altro elemento significativo è la nudità del poeta che ha un rapporto immediato con la natura.

Attraverso la gradazione di questi passaggi, simbolicamente confluenti nel corso dell'Isonzo, il poeta compie la conquista definitiva della propria identità, che consiste nel riconoscersi partecipe della vitae capace di assecondarne i più intimi movimenti. E' questa l'armonia di cui il poeta va alla ricerca e che solo pochi momenti sembrano i grado di realizzare. Di qui si compie anche il processo di riappropriazione del proprio passato che ha un riscontro geografico nei fiumi nominati.

Dalla raggiunta pacificazione con se stessi nasce anche il rapporto di quiete con il paesaggio notturno, che incornicia il componimento. Nell'ultima strofa le tenebre si risolvono nell'immagine floreale della corolla; nella strofa iniziale, strettamente collegata, la solitudine del circo supera la desolazione della natura con un languore che si placa, nonostante le nuvole, nella tersa serenità della notte lunare.

ANAFORA = figura retorica, ripetizione della stessa parola o frase.





San Martino del Carso


Questa poesia contiene immagini di desolazione e di morte, legate alla guerra. Gli effetti della distruzione si riverberano qui, indirettamente, sulle cose, in uno squallido paesaggio di macerie e di rovine su cui si è abbattuta la furia degli eventi.

Dal paesaggio il pensiero si sposta, per una momentanea associazione, sui molti compagni caduti; di loro, a differenza delle case, non è rimasto più nulla. La loro totale scomparsa è il segno di una distruzione più dolorosa e profonda, in quanto non ammette risarcimento o rinascita. A impedire che vengano del tutto cancellati non resta che la commossa e pietosa memoria di chi è sopravvissuto; un ricordo fatto di tante croci, che trasformano il cuore, che appare come il paese più straziato.

Tutta la poesia utilizza un linguaggio agevole e piano, fatto di parole comuni. La compattezza che la caratterizza è dovuto al rigore della costruzione, alla capacità di collocare le parole secondo calcolate simmetrie. Il sentimento della corrispondenza trova espressione sul piano formale nel vario disporsi delle riprese e dei parallelismi.


Mattina


E' da considerare come l'esito estremo cui potesse giungere la ricerca poetica ungarettiana, nella sua ansia di un'estrema riduzione e semplificazione, che, arrestandosi alle soglie del silenzio, cerca di raggiungere l'assoluto. Nella brevissima sequenza, la presenza del poeta appare investita di una luce violenta che riverbera dall'intera estensione dello spazio. In questo modo l'individuo partecipa alla vita del tutto, il relativo si identifica con l'infinito e l'eterno. Ungaretti traduce così il linguaggio dell'ineffabile, la sensazione di una pienezza quasi soprannaturale che non può essere definita in termini logici e concettuali. E' una sensazione di totalità e di pienezza di vita che rappresenta uno stato di beatitudine di grazia edeniche. Il carattere momentaneo di una improvvisa folgorazione e illuminazione è reso dal titolo Mattina, che indica il momento contingente di una miracolosa comunicazione con l'infinito. Tra il titolo e il testo esiste un rapporto di corrispondenza analogica che riguarda gli imperscrutabili legami fra il tempo e l'eternità, il finito e l'infinito, il mortale e l'immortale.

ANALOGIA = somiglianza fra le cose per alcuni caratteri in comune.



Soldati


In questa poesia il titolo entra a far parte integrante del testo, risultando un elemento essenziale per la sua comprensione. Esso costituisce il punto di riferimento del procedimento analogico, che assimila la vita del soldato alla fragilità di una foglia d'autunno. "Si sta" sottolinea una condizione di anonimato, ad accentuare il senso acuto di solitudine desolata e di abbandono.

Il carattere del paragone restituisce la sensazione di una precarietà e di un dolore ignorati e inespressi, unicamente affidati all'imminenza impalpabile di qualcosa che sta per cadere, staccata da un minimo scarto portatore di morte.

Spezzando la sequenza dei versi, Ungaretti imprime un andamento perplesso e discontinuo, segno della precarietà e del dolore che investe ogni manifestazione dell'esistenza.









Eugenio Montale



Vita. Nato a Genova nel 1896. Frequenta scuole tecniche. Dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale stringe rapporti con i poeti liguri Barile, Grande e Sbarbaro. Tra il '22 e il '23 frequenta la giovane Anna degli Uberti che canterà nelle poesie come Annetta-Arletta.

In sintonia con Gobetti, Montale rifiuta le esperienze d'avanguardia, comprese quelle ungarettiane, ribadendo l'esigenza di uno sforzo verso la semplicità e la chiarezza, che riscopra prima di tutto il senso di limite. Nel 1925 viene pubblicata la sua prima raccolta di poesie, Ossi di seppia; in seguito Montale firma il manifesto antifascista redatto da Benedetto Croce. E' l'espressione di un netto dissenso nei confronti della dittatura, che vedrà Montale condurre un'esistenza schiva e appartata negli anni del fascismo; ma è anche la spia di un atteggiamento più generale, che terrà lontano il poeta da ogni forma di partecipazione e militanza politica attive, considerate indifferenti ed estranee rispetto all'impegno intellettuale e poetico. Nel 1939 appare la sua seconda raccolta poetica, Le occasioni. Nel 1956 esce la terza raccolta intitolata La bufera ed altro. Durante la guerra fa parte del CLN toscano e si iscrive al partito d'Azione. Nel '48 inizia la sua carriera di redattore per il Corriere della Sera. Dopo un lungo silenzio pubblica nel '71 la sua quarta raccolta, Satura. Nel 1975 Montale riceve il premio Nobel per la letteratura.


La parola e il significato della poesia. Le poesie comprese nella raccolta Ossi di Seppia si segnalano da subito per la loro originalità, che nasce non da un rifiuto esterno della tradizione, ma da una sua rielaborazione. Si potrebbe parlare di un compromesso che corrisponde alle ragioni di una coscienza poetica nuova e profonda. A differenza di Ungaretti, che nello stesso periodo pubblicava Il porto sepolto e che muove alla distruzione del verso tradizionale per riscoprire la forza autonoma della parola, facendo di essa uno strumento di liberazione, capace di attingere alle fonti di assoluto, Montale cerca di non trascendere e di non dimenticare la dimensione presente tra uomo e assoluto. La parola, nella poetica montaliana, non aspira a raggiungere l'assoluto direttamente, isolando la sua pronuncia nel silenzio, ma indica con precisione oggetti definiti e concreti, stabilendo fra questi una trama di relazioni complesse; essa fa capo al soggetto poetante e ne trattiene lo sforzo incessante di penetrare oltre ciò che appare materialmente, per scoprire la direzione o il senso della vita.

le conseguenze di questo atteggiamento sono essenziali per comprendere l'idea di poesia propria di Montale e le scelte formali da lui compiute. Fra una poetica delle parole e una poetica delle cose, si deve annettere la poesia di Montale alla seconda categoria.

Nella poesia I limoni si può vedere quanto forte sia l'atteggiamento polemico nei confronti della tradizione poetica aulica e ufficiale che usa termini astratti e convenzionali per indicare realtà generiche e indeterminate. La scelta di Montale cade sulle piccole cose, sugli elementi di una realtà povera e comune che l'uomo può in ogni momento trovare intorno a se, soprattutto nella natura che gli è familiare. Gli oggetti e le immagini diventano per lui degli emblemi, in cui è trascritto, in forme oscure e cifrate, il destino dell'uomo, nelle sue rare gioie, ma soprattutto nell'infelicità di una condizione esistenziale. E' un destino che l'uomo non può accettare ma che, contro il quale non può ribellarsi. In esso si riflette il senso di estraneità dell'uomo contemporaneo che di estraneità dell'uomo contemporaneo che diventa perplessità esistenziale. Alla poesia non resta che rispecchiare questa condizione di aridità, tornando insistentemente sulle cose e sulle relazioni che le uniscono, nell'incessante quanto vana speranza di trovare un varco che si apra sul mistero della vita, attribuendole senso e significato.

A differenza dell'analogia ungarettiana, si è parlato per Montale di correlativo oggettivo, in quanto i concetti e i sentimenti più astratti trovano la loro definizione ed espressione in oggetti ben definiti e concreti. La definizione di uno stato d'animo che esprime la tipica disposizione esistenziale dell'uomo contemporaneo, il male di vivere, è presentata non in forma concettuale ma come un incontro diretto, realmente accaduto lungo il percorso della vita, identificandosi in alcune presenze concrete.

Il simbolismo di Montale potrebbe essere visto come una forma nuova e tutta moderna di allegoria, nella misura in cui tutti gli elementi della natura rappresentano condizioni spirituali e morali. E' questa la concezione dell'allegoria medioevale, che Dante aveva portato alla massima realizzazione poetica.

Alla Provvidenza di un mondo che cerca sollievo ai dubbi e alle inquietudini in una fede religiosa (Dante, Manzoni) Montale sostituisce la sua divina indifferenza che, ricollegandosi al pensiero leopardiano, resta passiva e insensibile di fronte alle gioie e ai dolori degli uomini.

Montale rifiuta non solo l'immagine del poeta vate, ma anche ogni concezione della poesia come fonte di educazione e di elevazione spirituale. La sua posizione è espressa in una concezione in negativo, priva di certezze e di ipotesi, relativa e discontinua. (ciò che non siamo, ciò che non vogliamo). La funzione della poesia è quella di compiere indagini sulla condizione dell'uomo novecentesco, assumendo il valore di una testimonianza.    


Scelte formali e sviluppi tematici. Rifiutate le soluzioni dell'avanguardia, Montale resta fedele a una nozione di stile che si identifica con la ragione e la dignità umana, a difendere i valori della civiltà letteraria contro la disgregazione del presente. Montale non rifiuta l'uso del verso libero, ma concede ampio spazio ai metri tradizionali, con la reintroduzione dell'endecasillabo sciolto.

Anche il linguaggio comune che Montale adotta può facilmente elevarsi, assumendo termini rari. La sua è una scelta plurilinguistica (Dante), mentre Ungaretti è di derivazione petrarchesca e leopardiana.

Si potrebbe dire che il rigore e l'equilibrio cercati da Montale rappresentano l'esigenza di un controllo dell'intelligenza contro il caos.

Gli ossi di seppia, che danno il titolo al primo volume, simboleggiano l'aridità dell'universo montaliano, attraverso la traccia di ciò che resta dopo l'azione di erosione e di logoramento operata dalla natura. L'impostazione agevolmente colloquiale della prima raccolta si fa nelle seguenti più astratta, per la crescente difficoltà di comunicare una percezione della vita sempre più tormentata e complessa. Al "tu" di un generico interlocutore si sostituisce la presenza della figura femminile. Il personaggio ha assunto nomi diversi che corrispondono a persone realmente vissute. Le donne sono cantate solo dopo la loro scomparsa: l'assenza diventa la condizione essenziale della loro presenza poetica. La donna partecipa in una duplice natura, sia umana che divina. Diventa una specie di Beatrice che accompagna il poeta nel suo viaggio fra il conoscibile e l'inconoscibile.

Il rapporto con Dante acquista così un particolare risalto: dai dantismi alle non poche convergenze tematiche. Anche quello di Montale può esser considerato come un viaggio tra la storia e l'aldilà.



I limoni


Rivolgendosi direttamente al lettore in forma confidenziale il poeta introduce un tono discorsivo e sommesso; è questa una poesia che tende alla colloquialità.

Il significato del testo consiste nel rifiuto di una poesia aulica e sublime, qual è quella ufficiale e tradizionale, propria dei poeti laureati. Ad essa Montale contrappone una poesia costituita da un paesaggio povero e scabro. E' questo il percorso della poesia indicata dal poeta, che rifiuta l'uso generico e indeterminato della parola, ma se ne serve per indicare con precisione oggetti dalla fisionomia specifica. Al culmine si pone l'immagine dei limoni, emblema di una realtà nuda e aspra, ma intensamente viva e colorata.

Solo in questa realtà è possibile strappare un po' di pace e di felicità. Nel denso e gravido silenzio della natura le cose sembrano abbandonarsi a rivelare il segreto della loro esistenza, lasciando intravedere il punto o il filo da cui ricavare il disegno dell'esistenza.

E' questa una delle poche poesie del Montale alla quale si può attribuire un significato e un messaggio positivi, in quanto lascia aperta una speranza; ma questa speranza consiste nella riduzione dell'oggetto del desiderio, in un elemento comune e povero.


Non chiederci la parola


Montale, in questa poesia, si rivolge a un ipotetico interlocutore che si identifica con il lettore dei suoi versi; in questo caso Montale usa per se stesso la prima persona plurale, coinvolgendo anche gli altri poeti e, per estensione, la poesia. Il testo afferma l'impossibilità, sul piano della conoscenza, di comunicare qualsiasi messaggio positivo, che si basi su una concreta proposta di valori e di contenuti.

La parola, di cui dispone il poeta, non è in grado di definire la natura dell'uomo e di rivelarne i rapporti con la realtà. Appare qui anche l'immagine del conformista, appagato e integrato nel mondo in cui vive, a differenza del poeta e dei suoi lettori; egli non si pone domande, né si preoccupa della sua ombra, simbolo del mistero, dell'indecifrabilità e della precarietà del reale, dello stesso animo umano.

Anche i riferimenti al paesaggio indicano l'esistenza di una realtà che vive in se stessa, nei suoi contorni aspri e duri, ma non può divenire fonte di consolazione per il poeta, risultando il correlativo di un mondo estraneo e oscuro.

In Montale non vi è il rifiuto della vita ma, bensì, il rifiuto delle facili illusioni, che derivano dall'accertamento di qualche verità. Montale non accetta soluzioni vittimistiche o narcisistiche, che cerchino una risposta alla crisi dei valori, ma adotta la poesia che vale unicamente come testimonianza di una sofferta condizione esistenziale.



Meriggiare pallido e assorto


E' un momento di sospensione quasi assoluta, in cui la vita sembra essersi arrestata nelle proprie forme e parvenze, in un colloquio muto fra l'uomo e le cose. Il paesaggio è quello arido e scarno del primo Montale. Il paesaggio di Montale non si apre all'uomo. Esso è un tramite verso un qualcosa che resta, fino alla fine, misterioso e inconoscibile.

Il sole che abbaglia è luce che non lascia vedere; di qui uno stupito e dolente ripiegarsi su se stessi nel tentativo di ascoltare e comprendere il travaglio della vita., che resta tuttavia misterioso. I due versi conclusivi esprimono questa condizione: la muraglia con i cocci aguzzi di bottiglia che la sovrastano, rappresenta la chiusura in questa prigione esistenziale. E' evidente qui la tecnica attraverso la quale Montale costruisce il suo discorso: esso è tutto affidato all'enumerazione di nudi oggetti, che costituiscono il correlativo oggettivo di una condizione metafisica.

Le reminiscenze dannunziane si mescolano qui con termini pascoliani, in un impasto linguistico che resta tuttavia originale, in una ricerca di parole e di rime che si può far risalire a Dante.



Spesso il male di vivere ho incontrato


Il testo è uno dei più ricchi di correlativi oggettivi. Il poeta, che interviene in prima persona, esprime il motivo di una tipica condizione esistenziale, il male di vivere, ma usa un verbo (incontrare) che materializza il concetto, come una presenza reale e tangibile. Il male di vivere si identifica con le cose che lo rappresentano, emblemi nei quali si rivelano il dolore e la sofferenza.

In opposizione al male di vivere che si manifesta negli aspetti più comuni della natura, non vi può esser altro bene che l'atteggiamento si stoico distacco e di indifferenza assunto dalla divinità di fronte al mondo sofferente. Ai tre emblemi del male si contrappongono nella seconda strofa, con parallelismo, tre correlativi oggettivi: la statua, le nuvole e il falco.






Cigola la carrucola nel pozzo


Fra i grandi temi della poesia di Montale è presente quello della memoria, crudele per l'impossibilità di ridare vita al ricordo di cose e persone care. La speranza di recuperare il passato, per attingervi conforto e consolazione, risulta inutile, come conferma il movimento illusione delusione.


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