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IL PROBLEMA ETICO E L'INTELLETTUALE
"Great men are seldom over-scrupoulous in the arrangement of their attire"
-Charles Dickens-
di Giorgia Schena IIIB
Anno scolastico 2007/2008
LO SCIENZIATO DEL NOVECENTO: PAZZO OPPURE SAGGIO?
".oggi è il dovere del genio restare misconosciuto." così lo scienziato Möbius apostrofa i suoi colleghi Einstein e Newton nel secondo atto de "I fisici" dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt. In quest'opera del 1962 l'autore affronta il problema attuale ancor oggi della responsabilità etica dello scienziato descrivendo perfettamente la condizione in cui egli versa in un secolo di grandi scoperte scientifiche come il Novecento. Möbius, il vero scienziato, giunto a scoperte fisiche inimmaginabili, decide di sua spontanea volontà di fingersi pazzo per essere rinchiuso nell'esclusivo sanatorio privato "Les Cerisiers". Paradossalmente Möbius è lo scienziato che sceglie la libertà considerato che "Per lo meno [il manicomio] mi da la garanzia di non venir sfruttato da uomini politici" (da "I fisici"- Dürrenmatt atto II). La figura di scienziato che ne emerge è quella di un uomo dotato, oltre che di grande intelligenza, di uno spiccato senso della moralità. Proprio come il re Salomone, del quale Möbius denuncia di avere visioni, anch'egli è in possesso di una grande saggezza ma questa gli si rivela inutile, vista l'impossibilità di sfruttarla senza condizionamenti politici. Ed è per questo che lo scienziato fugge dalla realtà con indosso la maschera del folle, "pazzo eppure saggio, prigioniero eppure libero, fisico eppure innocente" (da "I fisici"- Dürrenmatt atto II), per evitare che sia il mondo stesso a diventare un manicomio, sovvertito da quelle stesse scoperte scientifiche che avrebbero dovuto migliorarlo. Tuttavia per ben comprendere come il rapporto tra intellettuale e potere sia giunto ad una tale frattura bisogna analizzarlo alla radice. Si noti come, soprattutto in età antica, questo non fosse conflittuale ma perfino di collaborazione.
L'INTELLETTUALE E IL POTERE: POESIA NELLA CORTE ELLENISTICA
È proprio ad Alessandria d'Egitto alla corte di Tolomeo Filadelfo, in età
ellenistica (
L'INTELLETTUALE ALLA CORTE DEL PRINCIPE: I DUE VOLTI DI VIRIGILIO
Perfetto
esempio di quanto detto sarà costituito quasi due secoli dopo, nella Roma di
Augusto, da Virgilio. A questi, entrato nel
IL SETTECENTO ILLUMINISTA:CONSENSO DALL'ALTO O RIFORMA DAL BASSO?
Vittorio Alfieri Vittorio Alfieri
Nel Settecento si consuma il vecchio modello ereditato dalla classicità
nelle corti rinascimentali, si assiste al tentativo di instaurazione di un
nuovo rapporto tra l'intellettuale (l'arte) ed il potere: l'idea generale era
quella di riformare la società per renderla più giusta attraverso un governo
illuminato, che seguisse cioè i dettami della pratica illuminista (supremazia
della ragione e delle scienze contro ogni forma di fideismo, e riforme sociali
e politiche). Per realizzare quest'idea, che nasce tra le fila della borghesia
francese, gli intellettuali ed i filosofi mirarono soprattutto ad agire
dall'alto, ossia a creare alleanze con i sovrani; esemplificativa a questo
proposito è l'esperienza di Voltaire il quale fu poeta di corte prima presso
Luigi XV e poi presso Federico II di Prussia e fu il principale propositore di
questo sistema politico. Il limite del dispotismo illuminato con cui gli
intellettuali dovettero fare presto i conti fu, tuttavia, la sostanziale somiglianza
di ideologie tra i monarchi illuminati e i loro predecessori, essi erano
convinti, infatti, che la corona gli fosse concessa per volere divino.
L'impossibilità di una riforma sociale a
partire dall'alto, e cioè dal sovrano, si tradurrà nel tentativo degli
intellettuali e filosofi illuministi, ormai allontanatisi dal potere, di
muovere una riforma dal basso, e quindi dal popolo: di qui le cause scatenanti
della rivoluzione francese. Anche in Italia, come in Francia, la frattura tra
l'intellettuale ed il potere diventa sempre più profonda. Ne è l'esempio il
trattato di Vittorio Alfieri Della
tirannide del
L'INTELLETTUALE E GLI INTRIGHI DI CORTE
La morte di Seneca - Jacques Louis David
La teoria alfieriana
trova un esempio pratico nella vita stessa di Seneca, che lo stesso autore cita
come modello per la sua morte eroica. Sebbene l'autore latino sia preso a
modello di eroe che muore per non scendere a compromessi con il degenerato
governo di Nerone, i rapporti di Seneca con i principes dell'età giulio-claudia
sono alquanto contradditori. Nonostante la pesante critica all'imperatore
Claudio nell'Apocolocintosi e
nonostante Caligola lo avesse quasi
condannato a morte, Seneca va anche ricordato come il precettore del giovane
Nerone, all'alba del suo principato nel 54 d.C. Proprio con le lodi di Nerone si
apre infatti il "De clementia", trattato scritto negli anni 55 d.C -56 d.C per insegnare
al giovane princeps la pratica del buon governo, fondato appunto sulla clemenza
atta a stabilire un mutuo rapporto tra quest'ultimo ed il popolo. Quasi
sicuramente invischiato negli intrighi della corte neroniana finanche ad
ipotizzare una sua partecipazione all'omicidio di Agrippina, madre di Nerone,
nel 59 d.C come testimonia Tacito nel libro XIV degli Annales (3,10), è certo che per un motivo o per l'altro Seneca
decise di ritirarsi a vita privata nel 62 d.C inaugurando la fase detta del secessus.Tre anni dopo, nel 65 d.C
morirà costretto al suicidio dai sicari di Nerone che lo aveva condannato per
un presunto coinvolgimento nella congiura dei Pisoni.
L'ETICA
FERREA DELL'INTELLETTUALE: FOSCOLO E
Ugo Foscolo (1778-1827)
Il
suicidio di Seneca (descritto da Tacito nel libro XV degli Annales 60-64), che peraltro rientrava perfettamente nella dottrina
stoica della quale egli era un convinto seguace, è proprio l'aspetto
dell'intellettuale considerato da Alfieri con forte valenza esemplificativa.
Egli deve essere infatti contraddistinto da un'integrità morale così profonda
da essere anche disposto all'extrema
ratio del suicidio pur di non rinunciare ai propri valori;è proprio questa
la convinzione teorizzata da Alfieri che verrà presa a modello dal Foscolo e
perfettamente illustrata ne Le ultime
lettere di Jacopo Ortis. In questo romanzo epistolare pubblicato nella
versione definitiva nel 1817 Foscolo descrive la sua medesima delusione
politica in seguito alle vicende napoleoniche di Campoformio (1797) che hanno
visto Venezia ceduta agli austriaci e deluse le speranze degli intellettuali veneziani di proclamare
la liberà dall'aristocrazia. Con Campoformio, infatti, veniva abolita
L'INTELLETTUALE
PER LO STATO E CONTRO
A
questo modello di intellettuale che preferisce allontanarsi dalla società
attraverso l'esilio, come nei casi di Seneca e Foscolo, fa tuttavia da
contraltare la figura dell'erudito che invece, pur criticando la società,
preferisce rimanere al servizio dello Stato senza venir comunque meno, ai suoi principi morali. Nella storia romana,
il personaggio che meglio incarna questo modello intellettuale è Tacito,
storico vissuto nell'età dei Flavi e personalità di spicco nella Roma del I
secolo d.C. Al periodo di disaffezione dalla cultura e dalla letteratura,
caratterizzato dalla fine del mecenatismo e da un diffuso servilismo che è
l'età dei Flavi, Tacito sembra assistere in silenzio manifestando
sporadicamente il suo dissenso come nel caso delle critiche a Tiberio (Annales libro I, 7-12 passim) e Nerone (Annales libro XIV, 3-10). Il ruolo di Tacito come storico di
opposizione emerge principalmente dalle opere in cui egli denuncia il declino
della società ed il servilismo del ceto senatorio di cui egli stesso fa parte:
Tacito, infatti, non è un oppositore del principato anzi ne riconosce la
necessità storica, il suo bersaglio è altresì la decadenza dei costumi romani a
cui, ad esempio, oppone la ferrea e sana disciplina delle tribù germaniche
nella monografia dedicata alla Germania (ad
esempio vd.
Il problema della critica sociale nella storia moderna, prende piede agli inizi dell'Ottocento, in tutta Europa. È il caso, in Inghilterra, ad esempio, degli scrittori dell'epoca Vittoriana (1837-1901) i cui romanzi si impiantano principalmente sulla denuncia degli innumerevoli problemi sociali che la middle-class si sforza di ricoprire con un velo di ipocrisia. Tra i maggiori esponenti del Vittorianesimo si distingue Charles Dickens (1812-1870) le cui opere si focalizzano principalmente sullo sfruttamento del lavoro minorile: è il caso del suo capolavoro Oliver Twist. Lo scrittore, di famiglia disagiata, aveva infatti vissuto sulla sua pelle gli svantaggi che la seconda rivoluzione industriale aveva causato agli strati inferiori della popolazione come il varo delle poor laws o l'apertura delle work-houses.
KARL
MARX E
Sfruttamento minorile nell'età Vittoriana
All'incirca nello stesso
periodo una forte critica sociale viene teorizzata dal filosofo ed economista
tedesco Karl Marx nei Manoscritti
economico-filosofici, pubblicati solo nel 1932 e nel Capitale del 1867. Nei Manoscritti
Marx parla di quella che egli definisce l'alienazione
del lavoro ovvero il divario che si crea tra l'operaio e il prodotto.
Secondo la concezione marxista, infatti, l'uomo si realizzava originariamente
come uomo solo nel momento in cui egli sfruttava la natura e la manipolava per
soddisfare i suoi propri bisogni in piccole comunità, il corso della storia
tuttavia ha fatto si che ampliandosi le comunità di uomini e moltiplicandosi i
bisogni fosse necessaria la divisione del
lavoro. Il lato negativo di questa "riforma" è che si vengono così a creare
due grandi classi: i capitalisti che danno lavoro e gli operai, che lo
svolgono. Quando un operaio viene
assoldato da un capitalista per lavorare, non accade più che egli manipoli la
natura per soddisfare i propri bisogni, bensì egli lavora per soddisfare i
bisogni di qualcun altro e ciò che produce gli viene sottratto insieme agli
strumenti con i quali lo produce; perciò il lavoro è lavoro forzato e solo
fuori di esso l'operaio si sente se stesso. Dalla descrizione di questi
principi teorizzati da Marx emerge come gli spunti della sua critica sociale e
di quella di Dickens fossero in parte simili.
L'
INDIPENDENZA INTELLETTUALE E
Karl Marx (1818-1883) Luigi Pirandello (1867-1936)
Nemmeno
i più illustri intellettuali italiani si dimostrano estranei a questa forte
denuncia sociale: è il caso di Luigi Pirandello. A differenza di Marx, la cui
critica si basava anche e principalmente sull'indipendenza politica del
filosofo che esortava alla lotta di classe nel tentativo di "detronizzare" la
classe borghese dalle sue alte vette, lo spunto sociale di Pirandello deriva da
una rivendicata indipendenza intellettuale rispetto alla società. Egli vive la
crisi delle certezze, da un lato è legato ai valori antichi ma al contempo ne
vede il crollo. Una volta raggiunta la coscienza di questa crisi Pirandello
preferisce smontare il congegno sociale smascherandone le contraddizioni e le
falsità. È, questa, la figura di quell'intellettuale che, una volta calato
all'interno di un contesto come quello novecentesco in cui il crescente
pragmatismo sta trasformando tutte le discipline in scienza, si riscopre
inutile nella misura in cui egli è improduttivo. Egli di tutta risposta non sa
e non vuole vivere in quella società che lo rigetta ma si vede costretto a ciò:
dopo aver
individuato,
infatti, attraverso la sua opera i contorti meccanismi che la mantengono in
vita e dopo averne accuratamente dimostrato la fatiscenza, con un umorismo
amaro, l'intellettuale re-indossa la sua maschera e torna a quella tela di ragno, a quel guscio fragile che è la società. "Ecco
il guscio di questo lumacone o uomo [.].Senza questo è impossibile la vita"
(dalla Lettera alla sorella Lina), quello che
Pirandello ha tristemente accettato è che vivere fuori dagli schemi è
impossibile e l'unico modo per dimenticarsi di questa condizione di prigionia
si presenta, almeno all'inizio della sua carriera, la letteratura; così scrive
a conclusione di una lettera inviata a sua sorella Lina nel 1886: "Io scrivo e
studio per dimenticare me stesso - per distormi dalla disperazione.". Ma presto
anche la letteratura perderà il suo senso e l'intellettuale si troverà a fare
il cacciatore di topi (si veda Il fu Mattia Pascal) in una polverosa e
dimessa biblioteca, condannato a svolgere il proprio compito nell'inerzia.
Anch'egli, privato del suo senso e della sua medesima funzione, non più un
punto di riferimento è solo uno straniero nella società. Anche dal punto di
vista politico si ripresenta lo stesso problema: nonostante Pirandello non
osteggi il fascismo vedendo in esso un modo per mantenere in ordine la società,
la sua adesione politica rimane sempre poco incisiva in un periodo di crisi per
il regime, come quello dopo il rapimento Matteotti. Il fascismo, dal canto suo, non sosteneva a
piene mani l'operato di un intellettuale quale Pirandello, la cui condotta era
completamente aliena da qualsiasi tipo di orientamento dittatoriale ma al
contempo vedeva con favore il prestigio che la sua fama internazionale poteva
portare al regime.
L'IPOTESI DI GRAMSCI: INTELLETTUALE ORGANICO O DI PARTITO?
Seguendo il filo della storia moderna, tuttavia, questa condizione dell'intellettuale è destinata a venire meno: verso gli inizi del Novecento si viene, infatti, definendo l'ipotesi gramsciana dell'intellettuale organico. Chi è costui? A differenza delle figure sopra citate, egli detiene una fondamentale funzione sociale: è il trait-d'union tra società e partito. Quando in Italia si cominciano a formare le prime associazioni di uomini accomunati da una stessa finalità politica, essi comprendono l'essenzialità dell'egemonia intellettuale per il conseguimento di quella politica: nasce così l'intellettuale organico. Egli è una figura di intellettuale sostanzialmente autonomo e volontariamente legato ad un gruppo sociale (partito) nel quale svolge la funzione di diffondere l'ideologia partitica per guadagnare consensi nel sociale. Proprio la funzione che egli ricopre lo differenzia in maniera sostanziale da un intellettuale borghese, quale poteva essere il Foscolo, in primo luogo per la maggiore autonomia di cui gode ed in secondo luogo per la sua vicinanza al proletariato più che alla borghesia. Proprio l'autonomia dell'intellettuale fu terreno di scontri e dibattiti verso la metà del Novecento. Si veda in proposito la polemica tra il direttore della rivista Il Politecnico, Elio Vittorini e il segretario del Pci (Partito Comunista Italiano) Palmiro Togliatti, sorta nel 1946. Al centro di questo dibattito, era, per l'appunto, il ruolo dell'intellettuale: da un lato Togliatti a dichiarare che l'opera intellettuale dovesse essere messa al servizio della causa (cioè del partito comunista), re-interpretando in senso lato la teoria dell'intellettuale organico gramsciano e quindi identificandolo con l'intellettuale a servizio del partito; dall'altro Vittorini a sostenere l'indipendenza della cultura e del giudizio, al fine di porre sempre nuovi problemi alla classe operaia senza necessariamente prescindere da un coinvolgimento politico dell'intellettuale stesso con il partito. La vera adesione di quest'ultimo dev'essere adesione ai temi più che adesione formale e spesso acritica al contenuto: si rifiuta pertanto di suonare il piffero della rivoluzione.
L'INTELLETTUALE
DELLA RETORICA O
Circa un decennio dopo, al termine delle guerre mondiali, i mezzi di comunicazione di massa cesseranno di svolgere una funzione propagandistica per il regime ma diverranno potenti strumenti critici in mano agli intellettuali nei confronti della società. Ne è un esempio il caso dello scrittore Carlo Emilio Gadda il quale, attraverso i mass-media metterà nuovamente in discussione il ruolo stesso dell'intellettuale. Nel 1958 viene trasmesso radiofonicamente un dramma a tre voci Il guerriero, l'amazzone e lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo da lui scritto, nel quale egli sfata definitivamente il mito dell'intellettuale che si distingue su tutti gli altri per una irreprensibile condotta morale, portando in luce gli errori e le contraddizioni di illustri personalità da Foscolo a Napoleone a Cicerone. A fronte di questa visione se ne afferma una più demistificata e realistica dell'intellettuale, pregevole seppure con quelle contraddizioni che lo rendono umano come tutti gli altri: è questa, dunque, la figura che dev'essere oggetto di analisi e di studio nella scuola moderna. Gadda rivendica perciò un ruolo critico per la cultura, in maniera simile a quanto aveva fatto Vittorini nel dibattito con Togliatti: contro l'intellettuale che fa retorica, tentando di passare per un modello di virtù ineccepibile e contro la retorica dell'intellettuale che lo celebra esattamente per quell'eccessivo virtuosismo che trapela dalle sue opere. Parallelamente la sferzante ironia di Gadda è palesata dalla figura della contessa Clorinda Frenelli, membro della classe medio-borghese, figlia di una cultura fatta di clichè e facilmente influenzabile.
Napoleone a cavallo - Jacques Louis David
L'INTELLETTUALE CORSARO, I MASS-MEDIA E I NUOVI VALORI
Pier Paolo Pasolini (1922-1975)
Siamo
dunque giunti nel pieno del Novecento quando si assiste ad un nuovo mutamento
della figura dell'intellettuale da mediatore ideologico ad intrattenitore
televisivo o esperto tecnologico. In una società ormai dominata dai mass-media
nasce la figura dell'intellettuale-corsaro incarnata da Pier Paolo Pasolini:
egli è colui che ,animato da un forte disprezzo nei confronti di questi, si
propone di scardinare i nuovi mezzi di comunicazione dall'interno, utilizzando
proprio i medesimi. Questo suo intento giustifica la scelta del
cinema: attraverso questo mondo, infatti, non solo riesce ad allargare il
consenso delle masse ma si vede anche, seppure in piccolo, risarcito di quella
perduta funzione sociale dell'intellettuale. Pasolini è anche fiducioso nella
rivalutazione degli ambienti sottoproletari, unici detentori, a suo parere, di
valori elementari quali, ad esempio, la vitalità. Così si spiega il ruolo di
spicco che hanno queste figure in tutta la produzione pasoliniana: ponendole in
primo piano egli tenta di riportare in auge quei valori tradizionali in cui
ancora crede, valori peraltro fortemente alternativi a quelli che si vanno affermando come il
potere e l'omologazione. Proprio a causa di questa adesso perfino il
sottoproletario è giunto a volersi identificare con il borghese, vergognandosi
del proprio ruolo di ignoranti si, ma almeno "detentori del ministero della
realtà". La lotta di Pasolini è dunque volta a salvare almeno un piccolo spazio
di critica e di non-omologazione per un intellettuale che tende ormai a
scomparire e cioè quello con funzione di
critico o pensatore o di mediatore ideologico in un'epoca che egli non esita a
definire nuovo fascismo come scriverà
in un articolo pubblicato il 9 Dicembre 1973 sul Corriere della Sera dal titolo
Sfida ai dirigenti della televisione.
LO SCIENZIATO NEL NOVECENTO: IL SAGGIO
In virtù di questa analisi è emerso come nel Novecento l'intellettuale non sia più una categoria identificabile solo con la classica figura del "dotto" che si consuma sui libri bensì "intellettuali" siano ormai scrittori,giornalisti,registi e scienziati. Come ne "I fisici" di Dürrenmatt, il problema dell'intellettuale-scienziato è discusso nel Novecento in altre due opere: La scomparsa di Majorana, romanzo di Leonardo Sciascia pubblicato nel 1975 e Vita di Galileo dramma di Bertolt Brecht pubblicato in varie versioni tra il 1938 ed il 1956 . Il messaggio fondamentale che accomuna le tre opere (compresa quella di Dürrenmatt) è la libertà della scienza: essa deve essere libera dal cappio della politica e fonte, non di rovina bensì di beneficio per l'uomo. La figura dello scienziato Galilei che emerge dal dramma di Brecht è più umana e verosimile di quelle degli altri fisici. Galilei è un uomo come gli altri, e come loro gli riesce difficile pensare di sacrificarsi per tutta l'umanità in virtù del progresso scientifico: il processo che lo vedrà imputato nel 1633 dalla santa Inquisizione otterrà, infatti, la sua abiura. Proprio questa scelta che ha reso Galilei una figura fortemente contraddittoria agli occhi dell'autore, è il fulcro intorno al quale ruota il dramma. Da un lato essa può essere considerata "il peccato originale di tutte le scienze" in quanto sancisce l'assoggettamento della ricerca scientifica ai dogmi della chiesa; dall'altro fa sì che l'astronomo, comportandosi saggiamente e cioè "scendendo a patti" con la chiesa, rimanga in vita permettendogli pertanto di portare avanti il suo progetto di ricerca. Con Galilei lo scienziato ha fallito il suo compito sociale, lasciando che la scienza rimanesse elitaria ed estranea alle masse, per Brecht infatti l'intellettuale si deve fare coscienza del popolo e guidarlo.
LO SCIENZIATO DEL NOVECENTO: IL PAZZO
D'altronde, il romanzo-inchiesta del 1975 sulla scomparsa di Majorana si propone di far luce su questo mistero. L'ipotesi avvallata dallo scrittore non è quella scontata del rapimento da parte di un'organizzazione politica bensì quella della volontaria fuga di Majorana. In questo, La scomparsa di Majorana rivela alcune somiglianze con il dramma Dürrenmatt. Il fisico, secondo l'ipotesi di Sciascia, compreso il pericolo che le sue scoperte cadessero in mano al regime (fascista o nazista) che ne avrebbe fatto un uso improprio e terribile, preferì salvare l'umanità scomparendo e portandone con sé il segreto. La storia infatti volle che la bomba atomica, su cui vertevano gli studi di Majorana, non fosse poi effettivamente realizzata dalla Germania per prima ma da un progetto segreto negli Stati Uniti. Come I fisici anche Majorana rappresenta lo scienziato del Novecento che, conscio del potere della scienza e dell'amoralità estrema raggiunta dai governi contemporanei, si fa salvatore dell'umanità corrotta grazie al suo spiccato senso di responsabilità. Nonostante quanto detto, ecco come parla Fermi, collega di Majorana:
Ettore Majorana (1906-1938)
"Al mondo
ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango [.] c'è
anche gente del primo rango [.]. Ma poi ci sono geni come Galileo e Newton.
Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo
ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri
uomini: il semplice buon senso.". Allora viene naturale chiedersi, alla luce
degli enormi disastri di impatto mondiale creati dalla scoperta della bomba
atomica e dal suo devastante effetto che ha fatto milioni e milioni di vittime:
cosa sarebbe successo se davvero il nostro fisico catanese fosse stato un
dissennato?
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