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L'INFINITO: KANT E LA SCIENZA MODERNA
La cosmologia introdotta da Newton segna un vero e proprio trionfo dell'infinito cosmologico, dell'idea di un universo infinito dal punto di vista spaziale e temporale. È questa, quindi, l'idea dominante che accompagna l'avvento dell'Illuminismo: una corrente di pensiero, caratteristica dell'intero periodo storico che va dalla fine del 1600 ai primi anni del 1800, che si fonda sull'assoluta fiducia nei mezzi e nelle possibilità proprio della ragione. Il pensiero razionale è visto come una luce capace di illuminare la via della piena realizzazione dell'uomo, al riparo dai pregiudizi e nella totale affermazione di valori universali e assoluti di stampo laico: con una visione razionalista del mondo il pensiero illuminista si pone come erede del Rinascimento e della rivoluzione scientifica. In ciò esso attribuisce piena fiducia alla nuova scienza empirica come disciplina capace non solo di ampliare la conoscenza e di pervenire alla piena definizione della realtà, ma anche di produrre miglioramenti pratici nelle condizioni dell'uomo. In tale visione si realizza per la prima volta il predominio della scienza, disciplina razionale per eccellenza: si manifesta la sua superiorità rispetto alle altre discipline nel definire le leggi insite nella natura attraverso l'oggettività del linguaggio matematico.
Si tratta di un'idea che condiziona pesantemente la successiva indagine sull'idea di infinito, poiché la ricerca filosofica su tale concetto si legherà al nuovo atteggiamento critico. La ragione illuminista opera cioè anche effettuando una critica della conoscenza, finalizzata ad individuare le sue possibilità e i suoi limiti, a capire cioè che cosa nella realtà sia effettivamente conoscibile con certezza scientifica. Tale impostazione filosofica porta il pensiero illuminista, e soprattutto Kant, a negare la possibilità della conoscenza del piano metafisico, ad eliminare quindi la possibilità di accedere all'infinito come assoluto: è cioè impossibile ottenere una conoscenza certa della realtà andando oltre il piano della sensibilità.
IL PENSIERO DI KANT
Il primo Kant, tuttavia, rimane affascinato dall'idea di un cosmo infinito: lo fa in un'opera di gioventù, la Storia universale della natura e della teoria del cielo, nel quale afferma come l'inimmaginabile numero di corpi celesti visibili nel cielo notturno non possa che presupporre una loro distribuzione in numero e distanza infiniti. Si assiste però a un rovesciamento di posizioni nel suo successivo pensiero critico, in particolare nella Critica della ragion pura: un'opera che costituisce, a detta dello stesso Kant, una vera e propria seconda rivoluzione copernicana nel panorama filosofico e culturale.
Egli afferma prima di tutto, nell'Estetica trascendentale e nella Logica trascendentale, come la conoscenza teoretica, la conoscenza certa, avvenga attraverso un giudizio sintetico a priori: essa non deriva cioè dalla semplice acquisizione da parte del soggetto dell'informazione relativa all'oggetto, ma dalla determinazione dell'oggetto da parte del soggetto stesso. Egli possiede nella mente delle categorie, che vengono applicate ai puri dati sensibili per permetterne la percezione e l'interiorizzazione, ovvero per determinarli come fenomeni: al fenomeno si contrappone il noumeno, l'oggetto in sé, precedente rispetto alla percezione fenomenica. Afferma in particolare come il noumeno sia inconoscibile, non possa essere definito nella sua effettiva natura. L'infinito è visto come una realtà noumenica: nelle Antinomie dialettiche si dimostra l'impossibilità di determinare se l'universo sia finito o infinito, spazialmente o temporalmente.
Kant attribuisce inoltre a spazio e tempo il carattere di forme pure della sensibilità: funzioni trascendentali, categorie dell'intelletto precedenti rispetto all'esperienza. È la fine delle visioni tradizionali di spazio e tempo come caratteri sostanzializzati della realtà, dotati di un'esistenza oggettiva: lo spazio e il tempo non sono percepiti insieme ai dati sensibili, sono entità che costituiscono le modalità e le condizioni della percezione sensibile. Tuttavia ad essi continua ad essere attribuita a spazio e tempo una condizione di necessità e universalità: caratteri derivanti dal fatto che tali intuizioni pure accomunano tutti gli esseri razionali e il loro modo di percepire e conoscere la realtà. Dall'intuizione pura di spazio precedente al dato empirico deriva inoltre la geometria, che può quindi essere utilizzata per definire la struttura spaziale del mondo fisico: ed essendo l'intuizione di spazio corrispondente allo spazio euclideo si ha un'assolutizzazione della geometria euclidea, che una volta di più si pone come la geometria che esprime i caratteri dello spazio fisico.
Tali caratteri della filosofia di Kant individuano la scissione definitiva tra l'ambito della scienza e quello della filosofia, tra lo studio della realtà fisica e l'indagine metafisica: molto importanti saranno le conseguenze nell'indagine sull'infinito. L'indagine razionalistica verrà infatti associata prevalentemente allo studio scientifico della natura, l'unico che appare ora in grado di fornire conoscenze esatte: le possibilità della scienza appaiono legittimate dall'universalità delle intuizioni pure di spazio e tempo, che dando vita nell'ambito trascendentale agli enti matematici danno piena giustificazione, e addirittura necessità, all'interpretazione matematica delle leggi naturali. Tuttavia vi sarà l'opposizione di un'indagine filosofica che vede tali intuizioni pure come limiti, condizionamenti che limitano l'autentica conoscenza della realtà, e diverrà quindi aspirazione della filosofia stessa cercare vie alternative per cogliere l'autenticità della realtà stessa, identificata con un infinito idealizzato: aspirazione che in questo arriverà a rivalutare la sfera dei sentimenti, non condizionati come l'intelletto e la ragione dalla sfera sensibile.
Diviene quindi netta la contrapposizione tra l'atteggiamento scientifico, che mirerà d'ora in poi unicamente a individuare l'infinito nell'universo fisico, e una prospettiva filosofica, che manterrà invece l'idea dell'assoluto identificandolo con l'autentica realtà. Contrapposizione già manifestatasi come tale dalla rivoluzione scientifica, con cui si è affermata l'idea di una superiorità della conoscenza derivante dall'esperienza e dallo studio diretto del fenomeno, in opposizione al piano metafisico. Ed è una contrapposizione che da ora in poi separerà nettamente l'ambito della cosmologia moderna, che considera l'universo come fisicità, come tutto ciò che materialmente esiste e che è finalizzata a studiarne i caratteri, le origini e l'evoluzione dal punto di vista fisico e oggettivo, e della filosofia, che nelle sue espressioni di Romanticismo e Idealismo arriverà a concepire una realtà che esista e sia conoscibile anche oltre il piano fenomenico, che sia cioè espressione di un assoluto e in cui sia possibile concepire l'infinito come superamento del fenomenico stesso.
LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE: VERSO UN NUOVO INFINITO
La filosofia kantiana aveva quindi lasciato l'eredità di un mondo conosciuto come fenomeno, e nel quale le forme pure di spazio e tempo assumevano il carattere di una struttura necessariamente euclidea dello spazio fisico: del resto euclidea era anche l'unica geometria concepita negli anni di Kant, e quindi non appariva teorizzabile e concepibile uno spazio con struttura differente.
Un esempio di piano non euclideo
Tuttavia è proprio nelle idee
riguardanti la geometria che si realizza un primo superamento del pensiero di
Kant e una prima affermazione dei limiti imposti dalle intuizioni pure dell'Estetica trascendentale. La questione
era espressa proprio dal problema dell'universalità della geometria euclidea,
determinato dall'impossibilità di dimostrarne, e quindi di stabilire la verità,
del V postulato.
Fu in particolare Gauss il primo a pensare che,
se lo spazio conoscibile dall'intelletto appariva euclideo, gli enti geometrici
avrebbero potuto manifestare un comportamento diverso se venivano considerati
verso l'infinito, dove cioè l'entità di spazio sfugge all'intuizione immediata
dell'intelletto stesso. Tale idea, sostenuta anche dal matematico ungherese Bolyai, permette di stabilire l'indipendenza del V
postulato dal sistema assiomatico della geometria e di introdurre geometrie non euclidee ugualmente valide e coerenti:
geometrie che ammettono l'esistenza di infinite parallele a una retta data
condotte per un punto, o la non esistenza, e che estendono il concetto di
distanza a quello, più generale, di geodetica;
ma che introducono anche per la prima volta l'idea che pure lo spazio, così
come le superfici, possa possedere una curvatura.
Una superficie bidimensionale può infatti possedere curvatura ed estendersi su tre dimensioni: curvatura positiva, come nel caso della superficie sferica, nulla come nel piano euclideo e negativa come in una particolare superficie a "sella" chiamata paraboloide iperbolico. Tale concetto di curvatura può essere esteso anche alle tre dimensioni dello spazio, che può essere quindi classificato come sferico, euclideo o iperbolico: ed è proprio considerando la curvatura dello spazio che il matematico Riemann è giunto ad affermare che i concetti di infinito e illimitato sono equivalenti solamente in campo euclideo, mentre individuano negli spazi curvi due proprietà differenti e distinte. Per capire come uno spazio curvo possa essere privo di limite, ossia illimitato, ma finito, ovvero dotato di un volume definito, basta fare un'analogia con la superficie sferica: dotata di una misura finita, essa è però priva di limite, tanto più che è possibile percorrere tale superficie indefinitivamente. Passando alle tre dimensioni ciò indicherebbe uno spazio "ripiegato" su se stesso, cioè che può intersecare sé stesso in differenti regioni: uno spazio nel quale infinite geodetiche potrebbero collegare due punti distinti.
Secondo Riemann è proprio l'assenza di limite nello spazio curvo a creare un effetto di infinito, una vera e propria illusione di infinito: è infatti possibile teorizzare uno spazio fisico curvo, un universo dotato di struttura non euclidea nel quale le geodetiche tra due punti, diciamo due stelle o galassie, sarebbero individuate dalle traiettorie della luce, così come nella struttura euclidea della cosmologia di Newton. Le geodetiche che passano per questi due punti, e quindi le traiettorie della luce che collegano i due corpi, sarebbero in numero infinito, seguirebbero infinite traiettorie diverse e di differente lunghezza. Ogni corpo celeste produrrebbe quindi infinite immagini dal punto di vista di un altro corpo: un effetto che produrrebbe agli occhi dell'esperienza l'immagine di un universo apparente, differente da quello reale e infinitamente più grande, fino a darne un'immagine infinita. Applicando quindi la nozione di spazio curvo all'universo fisico diventerebbe possibile risolvere il millenario dilemma che accomuna l'intero cammino della cosmologia: determinare cioè se l'universo sia finito o infinito. Basterebbe calcolarne la curvatura.
LA COSMOLOGIA RELATIVISTICA E MODERNA
Lo spazio curvo prospettato per la prima volta dalle geometrie non euclidee costituisce in ogni caso un'astrazione matematica che va oltre la percezione comune dello spazio fisico, corrispondente allo spazio euclideo: le teorie di un universo chiuso su se stesso, cioè finito ma illimitato, assumono la valenza di modelli, descrizioni matematiche che vengono applicate allo spazio fisico per dare definizione della sua struttura globale, ma che in questo sono precedenti dai dati dell'esperienza. Il primo a pensare a uno spazio reale curvo è l'astronomo Schwarzschild, che mostra come senza contraddizione si possa immaginare un universo dotato di curvatura negativa: in seguito sono stati proposti numerosi altri modelli, con curvatura positiva o negativa, e sia finiti che infiniti.
La curvatura dello spazio-tempo:
una lente gravitazionale
Tuttavia Einstein
sovverte tali concezioni: la sua teoria della relatività
generale mostra infatti come realmente lo spazio possa acquisire una
curvatura propria, essere "deformato". Tale teoria sovverte i concetti stessi
di spazio e tempo: l'universo non è più visto come dotato di una struttura spaziale
assoluta e immutabile, ma spazio e tempo divengono parte di un'unica struttura
fisica, lo spazio-tempo, la cui geometria viene
modificata dalla presenza della materia o,
meglio, della massa. La gravità è in realtà espressione di tale curvatura indotta dalla
materia: una curvatura di cui le traiettorie seguite dalla luce rappresentano
realmente le geodetiche, assunte come i percorsi più brevi effettuabili senza
subire alcuna accelerazione differente da quella gravitazionale. Lo spazio
relativistico può così assumere una curvatura locale,
in presenza dei corpi celesti, e che può divenire addirittura "visibile" in
particolari fenomeni conosciuti come lenti
gravitazionali; può però presentare anche una curvatura
globale, definita dalla quantità di materia presente in esso. Einstein
propone in particolare un modello a curvatura positiva, finito e privo di
limite: un modello che presuppone tuttavia un universo
statico, immutabile ed eterno.
Curvatura dello spazio-tempo: una
lente gravitazionale Una lente gravitazionale
In realtà le
osservazioni non mostrano l'immagine di un universo statico, ma un universo
dinamico, che mostra una propria evoluzione: esso appare in particolare in espansione, un'espansione in cui è lo spazio-tempo
stesso a dilatarsi e a trascinare in tale dilatazione la materia contenuta al
suo interno. Si tratta di una nuova rivoluzione nel modo di intendere
l'universo: se in precedenza esso appariva statico e presentava strutture
assolute e necessarie, immutabili, mentre il cambiamento restava
confinato ai singoli fenomeni celesti, si ammette ora per la prima volta che
l'universo stesso possa evolvere e cambiare, presentare cioè un'evoluzione globale. Si tratta del passaggio che porta
ad abbandonare l'idea di un universo stazionario
per introdurre quella, rivoluzionaria, di universo
dinamico. Un universo del quale è possibile definire una precisa
origine, un istante spazio-temporale zero da cui tutto, materia ed energia, è
nato: il Big Bang.
GLI INFINITI ATTUALI DELL'UNIVERSO
Il nuovo universo
definito da tale teoria è quindi un cosmo fisico temporalmente finito, la cui
origine ha avuto luogo in un preciso istante di tempo: esso esiste cioè da un
tempo limitato, chiamato impropriamente età dell'universo, che sembra essere
pari a circa 14 miliardi di anni. Tuttavia impropriamente perché non si può in
realtà parlare di un "istante di tempo" in cui l'universo ha avuto origine,
semplicemente perché l'universo stesso
rappresenta il tempo, o meglio l'insieme della struttura dello spazio-tempo
e della materia: con l'origine dell'universo
coincide infatti la nascita delle entità stesse di spazio e tempo, prima della
quale è impossibile stabilire se esistesse qualche entità fisica simile, o se
semplicemente esistesse "qualcosa" nei termini in cui concepiamo il significato
stesso di esistenza. La conseguenza più significativa è il fatto che la luce, avente velocità finita, possa arrivare a noi
solamente da
Hubble Ultra Deep Field: verso l'orizzonte cosmologico
un tempo limitato: non è
possibile cioè osservare nulla che sia precedente all'istante primario dell'universo.
Ciò si traduce nella presenza del cosiddetto orizzonte
cosmologico, un limite oltre il quale l'esperienza, basata proprio sulla
percezione della luce, non può spingersi: posto proprio a 14 miliardi di anni
luce da noi, l'orizzonte cosmologico è la sede della radiazione
cosmologica di fondo, una sorta di "immagine" del Big Bang che è giunta
fino a noi. Tale orizzonte, pur non corrispondendo ad alcun limite fisico dello
spazio, fa apparire ai nostri occhi un universo non solo finito, ma anche limitato.
Rimane dunque aperto il problema della determinazione dell'effettiva natura dell'universo, della risoluzione della contrapposizione tra il modello finito e quello infinito. L'osservazione diretta appare in questo insufficiente, poiché condizionata dalla presenza dell'orizzonte cosmologico: essa ci da infatti l'immagine di un universo nel quale all'allontanamento spaziale corrisponde anche un allontanamento all'indietro nel tempo, cosa che rende impossibile definire una struttura unitaria e globale dell'universo. Diviene in questo fondamentale determinare la curvatura globale dell'universo, dipendente in base alle equazioni della relatività generale dal valore medio della densità di materia rispetto allo spazio: è stato in particolare individuato un valore critico Ω di densità, al quale corrisponde lo spazio euclideo, e che individua spazi dotati di curvatura negativa o positiva per valori rispettivamente minori o maggiori del valore critico. In questo calcolo interviene però anche la cosiddetta costante cosmologica λ, che individua nelle equazioni proprio la tendenza dell'universo a espandersi, e che permette quindi di definire l'infinitezza o la finitezza nel tempo, oltre che nello spazio.
Ad oggi il valore del parametro di densità, definito come il rapporto tra la densità calcolata e il valore critico, è stato stimato in 0,3, con costante cosmologica pari a 0,7. Ciò individua un universo quasi euclideo, dotato di una debolissima curvatura negativa e destinato ad espandersi per un tempo illimitato: una conclusione che sembra risolvere il cosmo fisico come chiuso e illimitato, dotato di origine ma infinito temporalmente, e che viene confermata dall'analisi della lunghezza d'onda della radiazione fossile. Ma in realtà si tratta di una questione ancora lontana dalla conclusione definitiva.
Come già detto, infatti, la cosmologia moderna basa la sua indagine dell'universo sulla sovrapposizione di modelli fisici e matematici all'universo che viene percepito dall'esperienza: modelli che vengono formulati per essere in accordo con l'esperienza, ma che in qualche loro aspetto vanno sempre oltre il piano puramente empirico e cercano di attribuire al cosmo una struttura intima, un carattere nascosto ai sensi e che sfugge agli studi strumentali diretti. In questo la cosmologia moderna riflette quella antica e classica, individuando in un carattere di infinità dell'universo una sorta di stuttura superiore, una giustificazione che diviene una sorta di motivo di rassicurazione per gli studiosi. Il progresso tecnologico potenzia le capacità dell'esperienza fornendole nuovi strumenti e possibilità di osservazione, attraverso cui i modelli possono essere confermati oppure eliminati; tuttavia l'idea di infinito appartiene proprio ai modelli, non si può direttamente osservare l'eventuale infinità dell'universo. I modelli di un universo infinito, così come del resto quelli di un universo finito, sono quindi formulati per essere in accordo con l'esperienza, dare una precisa descrizione e definizione di essa, ma costituiscono solo alcune delle possibilità di descrivere accuratamente tale esperienza: dall'ambito dello studio del fenomeno si passa a quello della teoria, della speculazione, di un indagine che oltre a essere fisica assume anche carattere di un'indagine filosofica. L'infinito cosmologico non esprime mai il risultato di una misurazione fisica possibile. Tuttavia la cosmologia ha accettato l'infinito come una parte costituente della sua teoria, come un mezzo indispensabile per poter descrivere la natura, come espressione dell'immensità di ciò che nell'universo è visibile: mascherandolo sì dietro limiti e orizzonti, ma ogni volta riproponendolo e riaffermandolo.
E, come esito finale dell'indagine scientifica sull'infinito, esistono nell'universo delle entità fisiche, confermate dall'esperienza diretta, che a pieno titolo possono essere considerate infiniti in atto, costituendo esse vere e proprie "barriere" del mondo fisico oltre le quali l'esperienza non può spingersi.
LA VELOCITÀ DELLA LUCE
Un buco nero: la singolarità
spaziotemporale
La velocità
della luce costituisce il primo di questi infiniti "attualizzati" nello
studio dell'universo. Pur avendo un valore finito e precisamente misurabile,
infatti, la velocità della luce rappresenta, come dimostrato ancora una volta
dalla teoria della relatività, un invariante
rispetto a qualunque sistema di riferimento considerato: la luce può cioè
essere considerata un'entità assoluta, che definisce la relatività di tutte le
altre grandezze fisiche e in primo luogo di spazio e tempo e della loro
percezione. È proprio la luce a individuare la geometria dello spazio-tempo e perciò
a determinare, venendo deviata dalle masse poste nello spazio, la sua curvatura
in presenza della materia. La velocità della luce rappresenta inoltre un limite
superiore oltre al quale non è possibile spingersi, in quanto il raggiungimento
di una simile velocità implicherebbe l'impiego di una quantità infinita di
energia per accelerare una qualsiasi massa.
LA SINGOLARITÀ SPAZIO-TEMPORALE
Un buco nero: la singolarità spaziotemporale
La luce è alla base della presenza di un altro infinito,
che può inoltre essere riscontrato se si prende in considerazione un buco nero: un corpo celeste la cui materia è così
compressa, concentrata in uno spazio talmente ristretto che il suo campo
gravitazionale non permette ad alcuna particella e addirittura ad alcuna
radiazione di sfuggire e allontanarsi. Un buco nero si forma alla morte di
stelle estremamente massive, nelle quali alla cessazione delle reazioni
nucleari la materia del nucleo collassa all'interno del cosiddetto raggio di Schwarzschild, all'interno del quale la velocità di fuga necessaria per sfuggire al campo
gravitazionale è superiore a quella della luce.
Il raggio di Schwarzschild definisce una superficie sferica, l'orizzonte degli eventi, che segna l'imprigionamento definitivo di qualsiasi cosa entri al su interno, anche della stessa luce. Si tratta di un orizzonte assoluto, indipendente da qualsiasi osservatore, che divide lo spazio-tempo in due domini distinti e nettamente separati: il dominio esterno, nel quale la luce può propagarsi in tutte le direzioni, e il dominio interno, nel quale invece la luce è vincolata a muoversi unicamente verso il centro del buco nero. Nessun evento interno all'orizzonte degli eventi può essere registrato al di fuori del buco nero. In questo l'orizzonte degli eventi mostra perfettamente in carattere relativo di spazio e tempo mostrato dalla relatività di Einstein: un eventuale ingresso di un astronauta nell'orizzonte avrebbe una durata infinita per un osservatore esterno, ma risulterebbe finito all'astronauta stesso. Si tratta di un falso infinito legato al buco nero, dipendente dal fatto che ciò che attraversa l'orizzonte può raggiungere la velocità della luce, mentre il sistema di riferimento su cui si basano le osservazioni risulta sempre esterno al buco nero stesso.
Tuttavia esiste un infinito attuale, o meglio un infinitesimo, effettivamente tale: all'interno del buco nero e dell'orizzonte degli eventi, infatti, ogni particella o radiazione luminosa collassa inesorabilmente al centro della superficie dell'orizzonte stesso, impossibilitata a cessare o modificare in qualche modo il proprio moto. Il centro del buco nero è quindi un punto particolarissimo, chiamato singolarità spaziotemporale: una singolarità adimensionale come un punto geometrico, e che appare come un bordo dello spazio-tempo identificando un'assenza di futuro spaziale e temporale per ciò che vi entra. Ed è proprio la singolarità spaziotemporale a manifestare un infinito attuale: la curvatura dello spazio-tempo diviene, in corrispondenza della singolarità stessa, infinita. L'idea di singolarità si lega inoltre con quella del Big Bang, dell'inizio dell'universo e dell'istante di tempo zero: spazio, tempo ed energia sono infatti interpretabili come costituenti di una singolarità iniziale, che è poi "esplosa", dando origine al nostro universo.
VERSO L'INFINITAMENTE PICCOLO
La presunta "traccia" del bosone di
Higgs
Manifestazioni
fisiche di infinito possono infine essere trovate nell'ambito della meccanica quantistica: si tratta tuttavia di un
nettissimo cambiamento di prospettiva, che sostituisce all'infinitamente grande
della cosmologia una nuova idea di definizione della realtà nei suoi
costituenti più elementari, procedendo perciò verso l'infinitamente
piccolo, l'infinitesimo. La caratteristica peculiare del mondo
microscopico è il fatto che l'energia può trasmettersi unicamente in quantità
discrete, discontinue, a ciascuna delle quali è associato un differente stato quantico: una caratteristica che inoltre
individua in tutte le particelle elementari una doppia natura, corpuscolare e ondulatoria.
La costante caratteristica del mondo quantistico è la costante
di Planck, l'analogo microscopico della velocità della luce. Tale
costante definisce nel mondo microscopico dei limiti inferiori che sbarrano la
nostra conoscenza dell'infinitamente piccolo: la lunghezza
di Planck e il tempo di Planck
rappresentano le unità elementari di tali grandezze, limiti al di sotto dei quali
lo studio dell'infinitamente piccolo è reso impossibile dagli effetti
quantistici, sintetizzati nel principio di indeterminazione.
Dopo la definizione di un limiti superiori all'universo direttamente conoscibile nell'orizzonte cosmologico e nella velocità della luce, e la conseguente possibilità di conoscere la natura finita e infinita del mondo fisico solamente attraverso la plausibilità dei vari modelli, le teorie quantistiche pongono anche limiti nella direzione opposta, verso cioè l'infinitamente piccolo: quasi una dimostrazione su basi scientifiche del carattere finito e limitato dell'esperienza diretta. Tuttavia merita una parola l'argomento relativo alla scoperta del bosone di Higgs: una particella elementare che è considerata essere la sorgente della massa, e la cui scoperta permetterebbe quindi di dare la giustificazione ultima, tra le altre cose, a tutto l'edificio della cosmologia moderna. Una particella non a caso definita la particella di Dio.
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