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L'icona nella storia
L'icona (dal greco = immagine) è nel linguaggio corrente una pittura su tavola o su altro materiale, raffigurante l'immagine del Signore Gesù Cristo, della Madre di Dio, dei Santi, o scene della loro vita.
Essa non è una semplice rappresentazione pittorica, bensì un luogo privilegiato di presenza del sacro. È, come i teologi la definiscono, una finestra sul mistero, capace di far entrare il credente, grazie alla contemplazione, dentro la dimensione dello spirito e di dare una risposta esauriente agli interrogativi sulla fede e sul senso della vita del fedele, sulle sue prove, sulla sua sofferenza, sulla morte e sulla vita eterna. Il fedele che si pone in contemplazione davanti all'icona è, infatti, condotto a rapportarsi con la persona o col mistero che essa rappresenta. È chiamato alla martyreia e alla mymesis, cioè alla testimonianza della fede e all'imitazione del modello originario.
L'icona «non ha una realtà propria - afferma il teologo Pavel Evdokimov - in se stessa non è che una tavola di legno. Essa trae tutto il suo valore teofanico dalla sua partecipazione al tutt'altro mediante la rassomiglianza, non può racchiudere niente in se stessa, ma diviene come uno schema di irradiamento».
Mentre la tecnica iconografica si ricollega a quella delle tavole egiziane avanti Cristo, la sua tematica, invece, nasce nei primi secoli del Cristianesimo, diventando così l'arte della Chiesa indivisa, dunque un'arte ecumenica per le chiese del nostro tempo purtroppo separate da secoli. È un'arte a cui oggi tutti i cristiani, di qualsiasi confessione, debbono guardare, non certo per copiare meccanicamente l'unità di un'epoca ormai tramontata, ma per ricomprendere e rivivere in modo nuovo e personale, le ragioni dell'unità che ha generato l'Europa, un'unità che trova la sua chiave di volta nella santità e nella fede.
L'icona corre oggi due gravi pericoli: quello di diventare solo un oggetto d'arte e non di preghiera e di contemplazione per cui è nata, e quello di essere fatto oggetto di speculazione da parte di mercanti d'arte e di sedicenti iconografi che per motivi venali non esitano a mettere in commercio opere non autentiche, di cattivo gusto estetico e di pessima fattura.
La tecnica dell'icona è complessa e alquanto difficoltosa, essa richiede, da parte dell'iconografo, una notevole conoscenza della materia sottoposta a lavorazione (tavola, gesso, colle animali, pigmenti) e della spiritualità che ha generato l'icona stessa, nonché il simbolismo delle rappresentazioni, le combinazioni geometriche e il significato dei colori e dell'oro.
L'icona ha come base una tavola lignea stagionata su cui vengono stesi, oltre a una tela, sottili strati di gesso emulsionato a colla animale. Questo fondo gessato, una volta asciutto, viene inciso, secondo il disegno che deve essere eseguito, quindi indorato e successivamente dipinto con la tecnica detta dell'illuminazione che consiste nella sovrapposizione di più colori, partendo dal più scuro al più chiaro. I colori, ottenuti da terre e da ossidazione di metalli, sono emulsionati con tempera all'uovo.
L'icona, così eseguita, rappresenta le realtà illuminate dall'interno; la luce non proviene da una fonte esterna, essa sgorga dal suo essere avvolta nell'oro che indica l'essenza divina che avvolge e trasfigura le realtà stesse.
«Ogni rappresentazione emerge - afferma magistralmente P.A. Florenskij - in un mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina».
I colori hanno un simbolismo legato alla rappresentazione dell'umanità o della divinità, delle tenebre o della luce, del mistero apofatico o catafatico ossia inspiegabile o rivelato.
Ogni colore, quindi, è usato secondo il suo valore trascendente e non secondo il gusto dell'artista. Avremo, così, che il Cristo sarà sempre rappresentato con il chitone (tunica) rosso-porpora, che simboleggia la sua divinità, e il mantello bleu-verde per simboleggiare la sua umanità. L'icona così rappresenta il Cristo Dio che ha assunto la nostra umanità, e che questa, pur avvolgendo la realtà divina, come un manto, lascia sempre intravedere la divinità del Verbo, nelle operazioni del Cristo Uomo, come appunto, il mantello, pur avvolgendo la tunica, lascia sempre scorgere qualcosa della tunica sottostante.
Infine l'icona si differenzia per la prospettiva inversa, ossia per la mancanza di quegli espedienti tecnici che danno, grazie a linee prospettiche, l'idea della profondità spaziale alla scena rappresentata.
Nell'icona le linee di forza escono dall'interno verso l'esterno, producendo una specie di illusione ottica che tutto proietta verso lo spettatore. Si ha cosi l'idea che l'avvenimento rappresentato e i personaggi, che logicamente dovrebbero star in un secondo piano, stiano tutti sullo stesso piano, dando quasi l'illusione di voler uscire da questa finestra ideale aperta sul mondo spirituale per dar termine al (krónos) del mondo e inizio al (kairós) dell'eternità.
Le Icone di Piana degli Albanesi
Il patrimonio iconografico della Diocesi di Piana degli Albanesi è uno dei tesori dell'arte e della spiritualità bizantina che arricchiscono la Sicilia fin dagli inizi del secolo XVII. Le opere che si possono ammirare nelle chiese di Piana, non sono tutte di produzione locale. La maggior parte di esse sono state traslate nella chiesa di S. Nicola, dalla chiesa omonima di Palermo, a seguito della sua distruzione durante la seconda guerra mondiale.
Il "corpus" pittorico è attualmente conservato nell'Iconostasi della suddetta chiesa e nella sala del trono dell'Episcopio di Piana. Due altre icone, invece, si trovano presso il piccolo museo delle suore Collegine, e una, la classica Odigitria presso la cappella del Seminario Diocesano.
Gli studiosi, dopo i restauri e le ripuliture di pesanti ridipinture settecentesche, hanno ipotizzato, quale sede della maggior parte della produzione artistica delle stesse, il monastero di Mezzojuso, e lo ieromonaco Joannikios quale maggior pittore di icone ivi operante.
Di lui conserviamo nella Chiesa di S. Nicola: íl S. Nicola in cattedra, la serie dei Padri della Chiesa e il Cristo sommo sacerdote e re dei re. Si tratta di opere della prima fase pittorica del nostro iconografo, la fase giovanile, caratterizzata da «piani piuttosto duri e piatti delle sue costruzioni, informati di un coerente vigore elastico, quasi aggressivo. Elevate alla monumentalità queste qualità producono una iconografia di singolare potenza» (J. Lindsay Opie).
Nella fase della maturità, invece, l'impostazione permane vigorosa e monumentale, «ma l'esecuzione si scioglie. Le pennellate diventano larghe e sottili, il disegno più sommario e abbozzato. I colori si distinguono per la resistenza diminuita mentre le tinte si restringono e s'inaspriscono nella preferenza per le tonalità fredde e preziose» (Idem) come si può notare nell'Odighitria conservata nella Cappella del Seminario.
Ma Joannikios non è l'unico pittore di cui conserviamo le opere. A Piana possiamo ammirare icone di almeno tre altri grandi iconografi: il Maestro dei Ravdà, il Maestro di S. Andrea e il Maestro della Deesis, benché non sembri che quest'ultimo abbia lavorato in Sicilia, si tratta forse di un iconografo cretese le cui opere sono state in seguito importate a Palermo e da lì a Piana.
Del Maestro dei Ravdà possiamo contemplare, sempre nella chiesa di S. Nicola, S. Giovanni il Precursore, raffigurato con le ali d'angelo (messaggero) in quanto annunzia la venuta del Cristo, chiamando gli uomini alla conversione; e le due icone accanto alla croce: la Madre di Dio addolorata e S. Giovanni Evangelista.
Ciò che caratterizza le sue icone è una colorazione semplificata e un forte accento espressionistico, ma anche una modellatura rifinita e dei colori ingioielliti.
Del Maestro di S. Andrea possiamo, invece, ammirare la Serie dei dodici Apostoli, posti in alto nell'iconostasi. La caratteristica di queste, come di altre icone del Maestro, è la sicura esecuzione delle figure a sobri colori e la loro robusta impostazione pittorica ancora cinquecentesca.
Tuttavia essi non sono i soli iconografi, abbiamo un'icona firmata da una certa Caterina di Candia e altre di cui si ignora l'autore, ma tutte corrispondenti al buon gusto dell'arte e alla spiritualità della tradizione bizantina.
A questa si ricollegano i pittori di icone del XX secolo, le cui opere si possono osservare nella Chiesa Cattedrale di S. Demetrio e nella chiesa di S. Giorgio Martire.
Gli iconografi contemporanei, con le loro opere, dimostrano che il tempo dell'iconografia non è finito, ma, al contrario, mantiene viva e continua una tradizione che, se ben capita e interpretata, ha la forza di riproporre quei valori dell'arte e della spiritualità, che non tramontano essendo espressioni tangibili di una viva realtà ecclesiale e sociale, che l'Eparchia di Piana degli Albanesi rappresenta come un "unicum" in Sicilia e nel mondo.
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