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Leonardo e i fossili
Nato a Vinci nel 1452 da una relazione tra ser Piero Vinci, notaio, e Caterina, una contadina del luogo, Leonardo dimostrò fin dalla prima infanzia una certa precocità, causata anche dalla solitudine. Frutto di un amore proibito Leonardo trascorre la fanciullezza fuori dalle mura del suo paese, in un piccolo casolare di Vinci, dove rimase affidato alle cure dello zio Francesco. Egli non era proprio un letterato o uno scienziato: amante della libertà e poco incline alla lettura, era sempre vissuto in campagna, dedicando gran parte del proprio tempo all'osservazione della natura. Francesco era considerato benevolmente più uno stravagante che un eretico, sebbene molte delle sue affermazioni contrastassero decisamente le dottrine dell'epoca. Basta però ricordare come "non sapesse di latino" per attribuire queste sue colpe più all'ignoranza che all'eresia. Leonardo, crescendo alla scuola, assimilerà gli atteggiamenti dello zio, elaborandoli e costituendoli a metodo scientifico. Da lui imparerà l'"esperentia": l'osservazione e la prova. Sempre in compagnia dello zio Francesco, Leonardo inizierà anche la sua raccolta di scienze naturali. Nella stanza che gli è riservata, comincia ad ammucchiare le curiosità che quotidianamente lo zio gli fa scoprire: nidi di uccelli, uova, sassi colorati, quarziti, insetti, ossa, ecc.; e poi un piccolo giardino geologico che gli stessi contadini del luogo alimentano. A 16 anni, proprio per la capacità che aveva dimostrato nel disegno dal vero, il padre decide di trasferirlo a Firenze, forse per un improvviso interesse per il figlio o forse solo per il desiderio di allontanarlo ora che si era fatto grande. Leonardo intraprende la sua carriera d'artista alla bottega del Verrocchio, assieme al quale rimarrà per 13 anni, fino all'età di 29 anni. Superato il primo momento di smarrimento, Leonardo si applica di buon grado all'apprendistato, cui dedica tutto se stesso. Poi, piano piano, incomincia a frequentare i circoli culturali fiorentini. Acquista anche dei libri e, sebbene stentatamente, impara il latino. Tra i testi che compaiono nella sua piccola biblioteca, ci sono le opere di Aristotele, il Trattato dei minerali di Avicenna, lo Specolum naturale di Vincent de Beauvois, le opere del Grande Alberto, la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Quando nel 1481 il Verrocchio si recherà a Venezia per creare il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni, verrà per Leonardo il momento di affrancarsi. Milano sarà la sua nuova casa. Come lui stesso ci informa, la sua prima permanenza a Milano non fu certo prestigiosa: le amicizie furono poche e la sua frequenza alla corte del Duca, limitata allo stretto necessario. Leonardo non amava né gli intrighi, né gli astrologi, né i cantastorie; così, nei momenti di libertà, riprese le sue passeggiate. Per Paolo Veneto i fossili erano la testimonianza più evidente del Diluvio Universale: le acque che avevano sommerso la terra ai templi di Noè avrebbero anche trasportato e depositato pesci, conchiglie, coralli, ecc., sulle cime delle terre emerse. Per Leonardo questa è pura e semplice eresia scientifica; gran parte dei suoi appunti sui fossili stilati frammentariamente nei diversi codici, hanno per tema proprio la contestazione della tesi diluviana di Paolo Veneto, sviluppata dalle posizioni di Ristoro d'Arezzo. Così quando il Moro verrà deposto il 2 settembre 1499, assieme a Luca Pacioli si trasferirà a Venezia dove si tratterà fino ai primi di marzo dell'anno successivo. Qui intesserà rapporti con: il liutaio Gugnasco, Paolo Vanozzo di Siena, Pier Paolo da Como, Marco da Rimini, daziere a Ravenna, Stefano Ghigi, canonico ai SS. Apostoli, Antonio da Padova, Antonio Frisi, Consigliere di Giustizia e Alvise Salamon. Dopo una breve permanenza a Mantova, Leonardo si sposterà a Firenze e poi a Roma; e anche i fossili dei colli romani sono a loro volta scrupolosamente registrati. Tra questi riesce a distinguere la vera natura delle glossopetre che riconosce come denti di squalo pietrificati. Dopo un nuovo soggiorno a Milano, si stabilirà definitivamente in Francia, ad Amboise, fino alla morte (1519). Dopo gli avvenimenti che avevano in quegli anni sconvolto la Toscana molti studiosi avevano trovato rifugio o a Venezia o a Milano, contribuendo allo spostamento di quell'equilibrio che Lorenzo de' Medici si era sforzato di creare. Ora, nella fornitissima biblioteca del Moro, Leonardo appunta la propria attenzione su alcuni manoscritti di Cecco d'Ascoli che a quel tempo erano stati trasferiti e messi in salvo alla corte di Milano.
Sino a quel momento, parlare di Cecco d'Ascoli, era stato pressoché impossibile in tutta la penisola: ciò nonostante i suoi manoscritti erano circolati furtivamente tra le menti meno ortodosse, sia perché era considerato il maestro degli astrologi, sia perché Milano non risentiva del dogmatismo romano ed avevano trovato un posto di attualità alla corte Sforzesca. A Milano, dopo un'ennesima escursione al fine di studiare i nicchi di Alessandria ed i coralli fossili del Monferrato, conosce il francescano Luca Pacioli. Pochi anni prima, Fra Pacioli era stato a Venezia, titolare della Cattedra di geometria a S. Bartolomeo. Ospite del monastero francescano locale, aveva conosciuto da vicino il matematico Paolo Veneto. Anche questi si era occupato della questione dei fossili e proprio a Milano (nel 1476) presso lo stampatore Valdarfer era uscito il suo «Summa Naturalium », già noto a Venezia per i tipi di Giovanni da Colonia.
Per meglio comprendere l'originalità e la forza dell'opera di Leonardo, è meglio riassumere di seguito le diverse posizioni che in quest'epoca venivano assunte nel riguardo dei fossili.
Erano giochi della Natura dovuti ad una forza creativa latente nella Terra che provocava la loro nascita e la loro crescita spontanea nella roccia, senza però la possibilità di una vita organica.
Erano il prodotto di forze occulte e, come tali, incomprensibili ai mortali che, quindi, dovevano necessariamente rinunciare all'indagine sperimentale.
Erano il risultato di particolari congiunzioni astrali che sprigionando radiazioni creative,'fecondavano' la natura della terra e della pietra dando origine a forme animali vegetative ma non animate
Costituivano un principio di causalità e venivano considerati quali anomalie, come i mostri, le imperfezioni fisiche, ecc.
Riflettevano gli antichi insuccessi del Creatore o le sue imperfezioni e dimenticanze. Ossia si riteneva che al Creatore fossero riuscite male alcune delle prime creature, forse perché 'privo di esperienza'.
Altra causa si individuava nella condensa dei vapori che si sprigionava dalla 'fermentazione' delle rocce profonde, teoria che si ispirava alla scuola naturalistica romana che, nell'osservazione dei fenomeni vulcanici primari e secondari del Vesuvio, dei Campi Flegrei, della Grotta del Cane, ecc. aveva da tempo formulato tesi al proposito.
Ancora, secondo un concetto demoniaco imperante nel tardo Medioevo, le forme fossili erano state create da Satana che intendeva misurarsi con Dio e tentare gli uomini. A lui però non era permesso creare la vita e quindi queste forme plasmate dal Maligno erano rimaste inanimate.
Infine, la teoria del Diluvio Universale perfezionata come visto da Ristoro d'Arezzo e codificata dalle Summae medioevali che compendiavano sul sistema delle attuali enciclopedie tutto ciò che l'uomo'poteva'sapere. Ciò che non era scritto e codificato, non serviva alla gloria del Signore: ed era quindi non solo inutile ma anzi motivo di perdizione.
È possibile individuare nei punti 2 e 7 una convinzione demoniaca che aggiunta a quella astrologica espressa al punto 3, rappresentavano la filosofia e la scienza ufficiali della Corte milanese di Lodovico il Moro. Le teorie di cui ai punti 1 e 4 sono invece possibilistiche e antiscientiflche; attualmente si potrebbe tranquillamente definirle anche conservatrici. Al punto 6 sono invece espressi dei tentativi pseudo-scientifici abbastanza tirati, mentre al punto 5 è già possibile individuare una teoria di interpretazione teologica che prelude alla necessità di lettura dei testi sacri seguita alla crisi della riforma.
L'interesse di Leonardo per i fossili, risale al periodo 1482-1506 e la sua opinione sulla loro origine si definisce subito in aperta opposizione alle spiegazioni ortodosse precedenti. Egli rifiutava l'idea secondo cui i nichi erano giochi della natura dovuti ad una "forza creativa latente nella Terra". Non condivideva le altre principali teorie sull'origine dei fossili, fra cui ricordiamo quella che li voleva nati da forze occulte e sperimentalmente non verificabili, o quella che li legava a congiunzioni astrali e a radiazioni cosmiche fecondanti, o quella, che li voleva addirittura frutto di antichi insuccessi del creatore, ancora inesperto. Ma Leonardo si oppone principalmente alla tesi dell'eziologia dei fossili dal diluvio universale: nel codice Leicester, e nel manoscritto troviamo numerosi appunti di notevole acume scientifico, dedicati a rimarcare come molti motivi sperimentali e di senso comune neghino questa funzione originaria al diluvio, e capaci di suggerire una soluzione alternativa, a sua volta basata su una geniale "interpretazione della tettonica e della stratificazione della falde". I fossili sono prodotti di movimenti geologici, di alluvioni e della formazione di antichi mari e vanno inquadrati entro il contesto paleontologico.
Leonardo fu una figura assolutamente cruciale nella storia dell'idea di montagna, in quella dell'evoluzione della sensibilità per il paesaggio alpino e in quella relativa all'esplorazione dei segreti celati nei mutamenti della natura. Proprio in questa scia, che conduce ad indagare i rapporti materiali fra montagne ed evoluzioni della Terra, dovrà muoversi la scienza pre- illuminista, e solo attraverso questa basi concettuali sarà possibile approdare ai "segni del tempo", svelando poco alla volta la natura delle montagne, svuotate lentamente dal loro arcaico e muto permanere inerte, alieno, e allo stesso modo riportate, dalla sensibilità e dalla ricerca scientifica, verso l'indagine oggettiva della ragione umana. Solo attraverso questa lunga evoluzione, nel 500 e sino alla metà del 700, sarà possibile arrivare a quella che Philippe Joutard ha brillantemente definito "l'invenzione del Monte Bianco".
Leonardo con « nichio » intendeva parlare di tutti i molluschi che trovava; termine vago che comprendeva indifferentemente bràchiopodi, lamellibranchi, gasteropodi, cefalopodi.
Un tentativo di distinzione delle varie specie lo notiamo però in alcuni suoi manoscritti, quando descrive le ostriche, lumache e chiocciole. Riteniamo che per Ostrica si riferisse al genere Grifea, Ostrea e O. Cochlear e, con molti dubbi, data la differenziazione che si faceva all'epoca tra ostriche e mitili, anche alla famiglia di questi ultimi.
Lumache: per lumache, riteniamo che alludesse a tutti quei molluschi che vanno sotto il nome di Cefalopodi, ritrovamenti abbastanza frequenti nell'Eocene dei Monti Lessini e ancora con probabile deduzione delle osservazioni da lui effettuate nel rosso Arnmonitico di Verona e nei calcari a Lumachella.
Chiocciole: per chiocciole non è escluso che egli alludesse, per le forme marine, ai Gasteropodi che nei Monti Lessini danno luogo alle caratteristiche faune eoceniche di Monte Postale, S. Giovanni Ilarione, e sono anche abbastanza frequenti nella regione del Monte Baldo, zona di ricerche di Fracastoro.
Nichi: per nichi riteniamo invece chiamasse, per esclusione, tutto il resto delle conchiglie e molluschi.
Cose marine: difficile invece l'interpretazione di questo termine usato da Leonardo per il rinvenimento ad Alessandria della Paglia, si presume, di alghe, foglie, coralli e, più genericamente, pesci.
Per i Granchi se ci riferiamo all'excursus storico dei suoi movimenti e perspezioni, il contatto con Fracastoro e le successive descrizioni del granchio, riusciamo probabilmente a riconoscere la tipologia di questo crostaceo. Appartiene all'ordine dei Decapodi, la stessa specie, forse, reperita sul Monte Baldo.
Non è però escluso che il granchio, vista anche la difficoltà di lettura del disegno, possa riferirsi anche al Xanthopsis kressenbergensis.
Per Glossopetre o'denti di pietra', è abbastanza facile l'individuazione: sono denti fossili di squalo comuni nelle zone plioceniche toscane e che generalmente appartengono agli Squaloidi.
Giuseppe de Lorenzo nel suo interessante trattato su « Leonardo da Vinci e la geologia » lo definisce giustamente precursore della moderna geologia, non fondatore.
La distinzione risiede nel fatto che si è arrivati per altre vie, con un cammino indubbiamente più lento ed assai meno intuitivo, ai fondamenti di questa scienza; solo allora si è riusciti a comprenderne le leggi e ad accorgersi che con tre secoli di anticipo Leonardo aveva già indicato gli enigmi di base. Leonardo non registrando i passaggi delle sue deduzioni e delle sue scoperte, ci ha tramandato solo delle conclusioni o delle intuizioni. Nella geologia, e ancor più nella paleontologia, Leonardo non possiede alcun legame col suo tempo e nessun punto di riferimento coll'opera dei pensatori che lo precedettero: è solo, incontrastato, senza contatti col passato e le sue "dottrine" rimarranno valide sino ad oggi. Vi sono ovviamente, altre citazioni sui fossili e sulla geologia in particolare nel Codice Atlantico e nel Manoscritto del British Museum e Madrid.
Anche se la maggior parte delle sue osservazioni paleontologiche furono compilate quando era cinquantenne, la diaspora delle sue annotazioni, scritti, documenti, ci costringe ad un continuo tentativo di raggruppare cronologicamente ed in un tutto organico e consequenziale il divenire delle sue formulazioni teoretiche. Prima di entrare nella sua metodologia e interpretazione dei fossili, è necessario parlare di Leonardo come geologo. Le sue premesse le conosciamo. Figlio di un secolo permeato e sospeso fra l'oscurantismo medioevale ed il fascino dell'ignoto, dell'esperienza, del pragmatismo, parte dal suo rifiuto per le teorie diluviane che tentavano la spiegazione del divenire della Terra attraverso elucubrate teorie metafisiche. E sarà questo il motivo predominante di tutta la geologia che traspare dai suoi scritti, talvolta con rabbia, talaltra con fine ironia verso i depositari delle filosofie dogmatiche. Nell'incessante tentativo di confutare il Diluvio e la sequenza di tutte le a1tre teorie pseudo-scientiflche degli antichi e dei suoi contemporanei, Leonardo pone le basi della moderna scienza geologica. In particolare le cause e gli effetti dei principali fenomeni morfologici della crosta terrestre; egli, ad esempio si avvicina al1a moderna teoria dell'isostasia sull'equilibrio dei mari e delle terre. Oppure della trasformazione della ghiaia in conglomerato o della rena che diviene tufo ed argilla azzurreggiante fra i nicchi marini.
Ma audacemente intuitivo, geniale è nell'interpretazione della tettonica e della stratificazione delle falde che sono altro argomento della sua confutazione contro il Diluvio. A riprova che i nichi da lui reperiti nelle alture dell'Apennino toscano o emiliano, lontani dal loro habitat marino, non erano stati trasportati dal Diluvio, ma da movimenti geologici, alluvioni e dalla formazione di antichi mari. E spaziando nell'immenso amore dello studio della natura della Terra, dimentica le sue ipotesi d'origine ed accenna ai movimenti delle masse continentali, al moto ondoso e fantastica sull'epoche remote quando non si era ancora formato lo stretto di Gibilterra « ed i suoi fossili erano ancora organismi viventi nei loro mari »! Ma indubbiamente, come lui stesso ammise, le sue elaborazioni scientifiche saltano da tematiche metafisiche a quelle geologiche o paleogeografiche con molto acume, ma anche con disordine e ripetizioni, segno evidente di continue revisioni, ripensamenti, scoraggiamenti, aggiunte di varie epoche, per differenti esperienze e contatti.
Ma in realtà, anche se non appare evidente e se il fine ultimo è una tesi diversa, la paleontologia è tutto per lui. E i nicchi diverranno il « leit-motif » delle sue considerazioni geologiche e, ancor meglio, i parametri delle sue annotazioni geodetiche e cosmografiche.
In altre parole oltre alla stratificazione, alla paleogeografia e ad una nuova cronologia della Terra che comunque superava i limiti della datazione biblica, aveva scoperto i fossili: in anticipo, come sempre, sulle moderne dottrine.
Ma poi descrive mirabilmente la morfologia e la formazione di un deposito fossilifero marino. Ma il culmine della sua intuizione scientifica, che fa di lui il primo vero paleontologo, lo troviamo nel Manoscritto F di Parigi, in cui pone le basi del principio di fossilizzazione. E in queste poche righe vi è tutto il risultato, il « resumée » della sua concezione paleontologica, frutto di anni di ricerche, esperienze vissute direttamente nel suo impatto con la natura e non certo per fortuita casualità.
È chiara la imprecisione di Leonardo sulla fossilizzazione non avendo, ovviamente, la scienza ancora acquisito la cognizione dei processi geo-chimici della diagenesi e della trasformazione molecolare dei composti organici in minerali. Ma, rilevante ai fini di questo studio, è conoscere quali tipi di fossili abbia visto ed annotato Leonardo. Dobbiamo ricavare la tipologia dei suoi nicchi da deduzioni analogiche di organismi più frequentemente reperibili oggi depositi fossilifeiri, nelle zone da lui esplorate. Da qui le nostre ricerche d'archivio che ci hanno permesso di stabilire, come vedremo, un legame stretto fra Leonardo ed un continuatore delle sue teorie scientifiche, Girolamo Fracastoro, appartenente alla scuola veneziana del XVI secolo. I loro rapporti, attraverso amici comuni, l'influenza di Leonardo su Fracastoro, sono la pratica dimostrazione della continuità scientifica, teoretica e descrittiva del primo su quest'ultimo.
Valle dell'Arno, Monte Lupo, Golfolina,
Monte Albano nichi
Castel Fiorentino fossili e tufo
Colli di Vinci nichi, ostriche
Colle Gonzoli nichi, ostriche
San Miniato al Tedesco nichi, ostriche
- Vai di Nievole nichi
2 - Monferrato conchiglie,coralli
Alessandria della Paglia cose marine
Rive del Po alghe
4. - Piacenza e Parma nichi, conchiglie
5 - Isonzo nichi
6.Verona rosso, ammonitico
7.Monte Baldo ( Fracastoro) fossili vari
8.Danubio nichi
Le prime osservazioni di Leonardo sui fossili, sono naturalmente condotte nella sua terra d'origine: l'ambiente, è ovvio, era il migliore.
1)LA VALLE DELL'ARNO E LA TOSCANA
Durante il Pliocene l'aspetto geografico della Toscana era profondamente diverso da quello che osserviamo attualmente. Il mare, infatti, aveva sommerso in questo periodo gran parte del territorio a Sud e a Ovest di Firenze. Da questo mare poco profondo emergevano come isole le zone che attualmente corrispondono ai maggiori rilievi. Il mare del Pliocene ha lasciato in Toscana sedimenti sabbiosi, argillosi e calcarei che, per la povertà delle faune fossili che contengono, testimoniano una salinità delle acque non del tutto normale. Le località citate da Leonardo giacciono tutte su questi terreni pliocenici di origine marina: ed è certamente a questa fauna che si riferisce nel citare i nicchi che rinveniva in abbondanza.
La Valle dell'Arno con la Golfolina, Castel Fiorentino, Colle Gonzoli, San Miniato al Tedesco e Vai di Nievole, ma in particolare la zona del Valdarno col Monte Albano, Monte Lupo e tutto l'epicentro di Vinci, appartengono a quella zona geologica definita attualmente dagli studiosi: Mare Pliocenico Toscano. Leonardo effettuò anche altre osservazioni indubbiamente notevoli: tra queste, fra l'altro, l'individuazione dell'esistenza di antichi bacini lacustri, che esistettero nella realtà, come ad esempio quello del Valdarno superiore che è certamente il più noto. Ciò che incuriosisce è però il fatto che Leonardo, pur citando l'esistenza di questi bacini lacustri, non faccia menzione dei resti di vertebrati che pure vi affiorano in abbondanza.
2)MONFERRATO E ALESSANDRIA DELLA PAGLIA
Il Monferrato fa parte di quello che i geologi chiamano Bacino Terziario Piemontese. La serie inizia nelle colline del Monferrato con terreni eocenici. Sopra questa formazione di oltre 6oo metri di spessore poggia la formazione di Gassino. Questa è costituita da marne e argille marnose bruno-violacee intercalate a lenti di calcari bioclastici e di calcareniti, con uno spessore complessivo di 200/300 metri. Questa formazione contiene numerosi fossili: Foraminiferi planctonici e macroforaminiferi. All'Eocene seguono i terreni dell'Oligocene.Seguono poi i terreni miocenici che nella zona posseggono una notevole diffusione. Le rocce mioceniche contengono Cefalopodi.
3)LOMBARDIA
In tale zona le osservazioni di. Leonardo si indirizzavano oltre che ai soliti nichi e molluschi in genere, anche alle alghe. I depositi fossiliferi che ne conservano le tracce, appartengono al periodo Giurassico i cui affioramenti in Lombardia costituiscono una fascia allungata in direzione ovest-est.
4)LA ZONA DI PARMA E PIACENZA
Nelle Provincie di Parma e di Piacenza affiora una serie di terreni fossiliferi che vengono attribuiti dai geologi al periodo Pliocenico e che costituiscono i depositi costieri che il mare di quella età lasciava lungo i suoi margini.
È possibile seguite la serie dei terreni pliocenici, dal loro limite inferiore fino al superiore, procedendo da Vernasca, sulla destra orografica del fiume Arda, verso Lugagnano sulla sponda opposta, poi, lungo la strada provinciale, ove si aprono i ben noti calanchi, fino quasi a Castell'Arquato.
Al di sopra di questo livello a Cyprina, la serie continua con sabbie gialle alternate ad arenarie e conglomerati, ricchi di una fauna ad ostriche, pettinidi, litodomi e balani incrostati su ciottoli.
Tutta la formazione descritta è ricchissima di fossili da vario tipo, nelle argille azzurre sono stati rinvenuti ad esempio, numerosi esemplari di cetacei e dagli strati più recenti provengono persino testi di vertebrati terrestri. Ma la formazione è conosciuta soprattutto perché dai suoi strati proviene una delle più belle malacofaune plioceniche del mondo, per lo stato di conservazione degli esemplari e per l'abbondanza delle specie.
Il primo autore che si occupò della fauna di Castell'Arquato fu nel 1826 d'Orbigny, che ne studiò i microfossili. Nel 1857 Mayer istituì sulle argille azzurre che affiorano da Lugagnano a Castell'Arquato.
Nel 1814 Brocchi illustrò la ricca fauna pliocenica dei calanchi emiliani e di Castell'Arquato. La ricca fauna rnalacologica fu studiata poi da Cocconi nel 1873 e nel 1900 da Levi che rinvenne ben 130 specie di molluschi nelle calcareniti. Gignoux nel 1923 attribuì al Calabriano gli strati a ciprina islandica prima di allora ritenuti del pliocene superiore.
Recentemente studi sulla zona sono stati eseguiti da Di Napoli (1953) e dai geologi e dai paleontologi dell'Università di Parma.
5)ZONA DELL'ISONZO
La zona Isontina, Carnica, Friuli e in particolare, l'area del Carso triestino, fu visitata da Leonardo probabilmente assieme a Liviano, capo dell'Armata Veneta da Terra, per approntare la difesa di Venezia contro l'avanzata dei Turchi.
La zona dell'Isonzo e principalmente il fenomeno Carsico, sono dominati dalla facies del Cretaceo, rappresentato da calcari selciferì, marne variegate, indicativo di una sedimentazione di mare aperto piuttosto profondo. Oltre alle solite abbondanti forme di molluschi è da registrare un grande sviluppo degli Echinodermi che ci interessano soprattutto in quanto vennero in seguito descritti da Fracastoro.
6)VERONA
La zona veronese e, meglio ancora, quella compresa tra il Vicentino, Lago di Garda e Verona, il cui epicentro è idealmente indicato dal Monte Bolca, è certamente la zona fossilifera più ricca e meglio conservata d'Italia.
Sui monti Lessini, nelle montagne di Verona, affiora una formazione calcarea molto fossilifera che viene chiamata dai geologi rosso ammonitico veronese e che è senza dubbio quella cui fa riferimento Leonardo nel suo brano. Si tratta di calcari di colore rosso, roseo, giallo o bianco avorio, spesso a tessitura nodulare, che forniscono i famosi marmi di Verona.
La formazione è nota soprattutto per il grande numero di ammoniti che contiene. Nei Monti Lessini il « Rosso Ammonitico» inizia con calcari rosei o giallastri che raggiungono i 12 m di spessore contenenti ammoniti del Baiociano superiore.
È abbastanza evidente che Leonardo si riferisce a questa formazione nel suo brano, a causa della tipica ed inconfondibile struttura del rosso ammonitico. Questo si presenta cioè come un mosaico di frammenti di roccia e di fossili di tinta più chiara legati assieme da una matrice di colore molto più intenso. È naturale che questa matrice non è, come dice Leonardo, "una sostanza che emettessero dalla bocca" ma è tuttavia interessante notare come egli si sia soffermato sulla struttura di questa roccia.
MONTE BALDO
Fu campo di ricerche di Fracastoro che possedeva una villa ai piedi dello stesso. Oltre al' granzioporo' che egli descrisse e ai pesci tipici dell'Eocenico del Monte Bolca, è interessante notare l'Echino, che fu con tutta probabilità recuperato dallo stesso Fracastoro in questa zona.
DANUBIO
È abbastanza arduo stabilire quali siano i fossili citati da Leonardo da Vinci in quanto non ci precisa le regioni attraversate dal Danubio cui si riferisce. Il Danubio, attraversa un grande numero di terreni di età geologica diversa.
Da Vienna a Budapest, si tratta di terreni quaternari o alluvionali recenti che, nei dintorni della stessa Vienna, costituiscono quello che i geologi chiamano'bacino terziario di Vienna', riferibile a livelli miocenici e pliocenici ricchi di fauna a molluschi.
Da Budapest a Belgrado, si tratta ancora di terreni quaternari; il fiume attraversa le Alpi Transilvane dove affiorano terreni fossiliferi paleozoici e mesozoici, per poi ritornare, all'impatto con la pianura della Valacchia, tra terreni quaternari e pliocenici ricchi di una buona fauna fossile marina.
Le note di Leonardo si riferiscono a faune fossilifere recenti.
Un certo interesse per la "petrologia" era di moda tra le persone colte e tra gli stessi tecnici che i magiari avevano inviato in appoggio alla Repubblica Veneta, con cui Leonardo discute e assieme ai quali avrà pure occasione di osservare i fossili isontini raccogliendo notizie comparative in merito a quelli d'Ungheria.
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