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Le piazze del futuro: biblioteche in progress




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Le piazze del futuro: biblioteche in progress


Un titolo così non può che stimolare l'interesse e invitare alla lettura, in particolare nel momento attuale in cui la centralità della cultura sembra essere stata messa da parte e la libertà di informazione è spesso minata.. Forse che la ripresa debba partire proprio dal mondo polveroso e dimenticato delle biblioteche? Antonella Agnoli nel suo ultimo e riuscitissimo volume pare ci voglia stimolare proprio a far questo, indicandoci una nuova prospettiva che potrebbe costituire l' occasione per risollevarci dal torpore e per contrastare l'attuale abbattimento e degrado delle istituzioni culturali. Partendo da dove? Proprio dalle piazze, come tutte le rivolte rubricate negli annali della storia (!), ma questa volta la piazza è metaforica in quanto "piazza del sapere".

Presa dalla curiosità e sfidando i rigori dell'inverno un sabato pomeriggio di febbraio, non ho potuto mancare alla presentazione di questo libro, che si è svolta nel Comune di Albinea (R.E.). L'autrice ha descritto in apertura la sua opera quale «frutto di molti viaggi, molte letture, molti incontri» e di fatto nella sua scrittura si respira proprio l'atmosfera del viaggio e dell'esplorazione. Antonella ha visitato negli ultimi anni diverse realtà europee e oltre oceano, ricavando da numerosi incontri e attente osservazioni molte idee e riflessioni. Nel testo emerge al tempo stesso una grande esperienza, frutto di trent' anni di intenso lavoro e una capacità di visione ampia e analitica sul presente alla ricerca di soluzioni innovative per il futuro. Questo libro credo rappresenti un po' la summa del percorso lavorativo e del pensiero di questa autrice che si è occupata del mondo delle biblioteche sotto molteplici aspetti e forme apportandovi sempre preziosi e illustri contributi.

La prospettiva, o meglio la lente con la quale l'autrice guarda alla nuova biblioteca è certamente rivoluzionaria rispetto alla tradizione e alla visione comune. Si potrebbe inserire in un ambito del tutto inconsueto rispetto a quello abituale, sia come linguaggio, sia come progettualità: l'ambito della promozione commerciale dove la biblioteca assume le caratteristiche del "prodotto". Fare marketing della biblioteca significa fare riferimento e trarre ispirazione proprio dagli insegnamenti del settore commerciale, ben diverso da quello culturale di tipo istituzionale che fino ad ora ha seguito logiche, obiettivi e direzioni altre. In un contesto così delineato assumono grande valore aspetti ed elementi fino ad ora poco indagati e considerati, quali ad esempio i non frequentatori. Se l'obiettivo di una società commerciale, qualunque essa sia, è quello di vendere il maggior numero di prodotti ed avere il maggior numero di clienti, il focus dell'attenzione viene di norma posto su ciò che non si vende e di conseguenza sui non clienti: che caratteristiche hanno, quali sono le loro abitudini, quali sono le loro esigenze, e sui motivi per i quali non si incontrano con l'offerta fatta e così via. Partendo da questa prospettiva, che viene ripresa sotto molte angolature nel corso di tutto il libro, Agnoli ci propone nella prima parte, facendo il bilancio degli ultimi trent'anni, una valutazione del successo delle biblioteche basata non sul numero di prestiti effettuati, ma proprio sul numero dei frequentatori quantificabili attraverso i dati reali degli iscritti alle biblioteche. Le indagini sui non frequentatori, secondo l'autrice, dovrebbero essere più frequenti e condotte da qualunque ente cui fa capo una struttura bibliotecaria in ragione del fatto che analizzare le motivazioni dell'assenza, tenendo conto anche delle più disparate e delle più imprevedibili, in modo serio e non condiscendente, può ribaltare le convinzioni e di conseguenza le scelte strategiche e il management di una biblioteca.

Nella società odierna che necessariamente si trova a dover fare i conti con l'avvento e l'espansione di Internet inteso come «un ambiente in cui tutti, volenti o nolenti, siamo immersi», dove le nuove generazioni consumano frettolosamente notizie "a pezzetti" senza sentire il bisogno di andare più a fondo, la concorrenza con il mondo lento, meno accessibile e meno user-friendly delle biblioteche è schiacciante. Il catalogo, seppure online e di moderna concezione come può essere l'OPAC, "contro" Google perde con grande distacco la partita. La filosofia del "voglio tutto e lo voglio subito" trova riscontro assoluto in questo ambiente dove prodotti come e-Bay, librerie online, YouTube, i blog e i software Open Source ne sono una palese testimonianza. Il successo e la diffusione dei social network risiede nella possibilità di creare un profilo con informazioni personali, nella possibilità di costruire una rete di contatti con i quali scambiare foto, video, musica e documenti, di partecipare a discussioni e gruppi tematici. Il social network stravolge in buona sostanza il mondo dell'informazione stessa. Tale stravolgimento è continuo e in rapida evoluzione al punto che non prenderne atto significa perdere irrimediabilmente terreno ovvero le opportunità di successo. L'orizzonte verso il quale rivolgere i nostri sguardi è dunque quello del 2030 sostiene l'autrice. Come saranno i cittadini italiani di allora, quali bisogni avranno, che tipo di utenti saranno? A questo orizzonte è necessariamente legato il futuro delle biblioteche.

Pensare alla biblioteca come ad un'impresa che deve fondare il suo successo, come una qualunque impresa del mondo globalizzato, sulla capacità di reinventarsi, di intercettare i bisogni e le esigenze della gente e di creare prodotti ad essa adeguati, considerare l'utente non più come una seccatura di servizio, ma come un vero e proprio cliente, dunque una risorsa, rappresenta l' unica strada percorribile che possa assicurare una continuità a questa istituzione. Assunta questa nuova prospettiva anche una scelta apparentemente banale come la collocazione delle diverse collezioni sugli scaffali della biblioteca non può che essere il frutto di attente e costanti «osservazioni di come le persone si muovono e di cosa guardano, toccano, prendono» . L'"economia cognitiva", così definita in quanto espressione della nuova economia dei nostri giorni, si basa appunto sulla possibilità di reinterpretare, riconfezionare, valorizzare processi produttivi ed elementi culturali già esistenti.

La biblioteca dunque, sostiene Agnoli nella seconda parte del libro, per sfuggire alla crisi necessita di trasformarsi in luogo di incontro, in una «piazza coperta» a disposizione di una intera comunità, esattamente come la piazza di un paese, di una città, di un quartiere, di norma e per tradizione fulcro della vita sociale, può ospitare eventi di vario tipo e può condurre la gente, grazie alla sua stessa forma architettonica, all'aggregazione, alla sosta, alla partecipazione. La biblioteca come una piazza deve farsi punto di aggregazione e promotrice di eventi. Pertanto così come si progetta lo spazio di una piazza, occorre tener conto nella progettazione della biblioteca del futuro, o meglio della "piazza del sapere", degli elementi vitali che fanno di una piazza un luogo frequentato. L'autrice invita a non trascurare importanti elementi quali le dimensioni, la leggibilità, la varietà, il senso di sicurezza e il comfort necessari al successo di questi ambienti. Non credo sia avvenuta per caso la presentazione di questo libro nella bellissima biblioteca di recente costruzione del Comune di Albinea (R.E.). La struttura riflette nelle armoniose scelte architettoniche, nella disposizione dei materiali, degli ambienti e dei servizi la realizzazione esemplare di tutti questi aspetti citati. Se da alcune piazze sono sparite le panchine, portandole inevitabilmente allo spopolamento, nelle biblioteche non si dovrebbe commettere lo stesso errore.

La British Library rinnovata, ad esempio, testimonia nelle scelte architettoniche, di arredo e di design questa nuova concezione. Visitando gli interni di questa prestigiosa biblioteca ci si trova immersi in amplissimi ambienti quasi senza soffitto, arredati con tavolini e poltrone. Si ha la sensazione di non capire esattamente dove ci si trova: in un bar o in un ristorante forse, in una sala multimediale di moderna concezione, certo nulla a che vedere con la vecchia immagine di biblioteca. La gente, seduta comodamente a questi tavoli, poltrone e in alcuni casi anche nicchie appartate scolpite nel marmo, legge, parla a bassa voce, mangia e sorseggia un tè. Cultura e svago sembrano essere un tutt'uno. Il tempo libero sembra coincidere con il tempo della "produzione". In questi ambienti ci si può incontrare con gli amici e passare la domenica pomeriggio con un libro in mano, con qualche foglio di carta sul quale scrivere qualche appunto e una tazza di tè fumante sul tavolino. Non mancano ovviamente anche le sale di "isolamento" per gli studiosi "seri" e con le collezioni "preziose", ubicate nei piani alti e ad accesso controllato, ma la vera piazza del sapere, affollata e frequentatissima a qualunque orario è giù, negli ampi spazi, tra gli aromi di caffè e il profumo dei sandwich tostati, tra panchine e sofà.

La biblioteca così concepita è dunque un third place, secondo quanto teorizzato da Oldenburg[2] , ovvero il posto dove la gente può stare insieme per il solo piacere di farlo, dove non conta la posizione sociale o la professione, ma al contrario è il luogo dell' uguaglianza. In tal senso credo l'autrice associ il concetto di libertà alla biblioteca. Libertà di incontrarsi con chiunque, di starci come si vuole, di passarci il proprio tempo, di sentirsi uguali con tutti, senza divisioni e differenze di sorta, nel comune desiderio di condividere con altri la piazza del sapere, il supermercato della conoscenza o ancor più semplicemente il proprio tempo.

L'autrice si spinge oltre questi concetti, sostenendo anche che occorre di fatto cambiare non soltanto la realtà dei servizi, ma anche la percezione che i cittadini hanno di essa secondo gli stilemi della cultura d'impresa.

Gli Idea Store di Londra, sono un esempio di come l'immagine del brand che risiede non nella realtà, ma nella mente del consumatore possa avere espressione concreta. Gli Idea Store, nuove biblioteche installate all'interno dei centri commerciali, utilizzano il linguaggio visivo e di funzionamento dei centri commerciali stessi. L'idea rivoluzionaria, che ha riscosso grande successo in questo contesto metropolitano, è stata proprio quella di abbandonare l'immagine di biblioteca come magazzino tranquillo e silenzioso di libri che attendono i loro lettori e di farne un luogo più simile a un negozio, a un centro fitness che comunica attraverso il linguaggio della società dei consumi. Ai nuovi assunti non si chiedono competenze in biblioteconomia, ma piuttosto la capacità di interagire e comunicare con le persone. Gli Idea Store di fatto non sono "esportabili" in qualunque contesto urbano e qualunque tessuto sociale, ma ciò che c'è di universale in questa esperienza è, come sostiene Agnoli «l'accurata preparazione, lo studio approfondito dei bisogni del bacino di utenza e la capacità di trovare le soluzioni giuste» . Forse non ci si aspetterebbe che le ragioni della non frequentazione delle biblioteche emerse da alcune indagini effettuate in Francia e in altri paesi siano l'impossibilità di combinare la visita alla biblioteca con altre attività necessarie e abituali quali la spesa al supermercato o portare i bambini a scuola! La posizione della biblioteca risulta pertanto cruciale per il suo successo. La biblioteca ubicata sulle "rotte" della gente comune percorse ogni giorno da milioni di persone quali il luogo di lavoro, il supermercato piuttosto che la palestra, facilita la frequentazione, molto più del palazzo storico e affrescato ubicato in centro città raggiungibile soltanto in autobus o in bicicletta. Vero è che ogni realtà territoriale presenta caratteristiche e soluzioni particolari, e che non si possa attribuire a un modello e ad un'idea una valenza universale, tuttavia l'autrice auspica che i nostri amministratori decidano di spendere più soldi nelle indagini "di mercato" che a rinnovare gli arredi di strutture raggiungibili solo da una minoranza della popolazione.

Anche le scelte degli orari di apertura possono assumere una decisiva importanza nel nuovo contesto di "mercato". Aprire una biblioteca anche la domenica vuol dire comunicare un'immagine diversa dal luogo di conservazione tradizionale, significa piuttosto renderla simile a quella di una grande libreria, di un cinema e di conseguenza trasformarla in un punto d'incontro aperto a tutti, significa farne la "palestra" del pensiero e della conoscenza, fruibile per l'appunto nel tempo libero.

Progettare una biblioteca che si ispiri alle migliori esperienze europee richiede la considerazione e l'applicazione di tutti i suoi elementi costitutivi. In particolare risultano di primaria importanza non soltanto i già menzionati orari di apertura, l'ubicazione, ma anche la distribuzione delle collezioni al suo interno. Lo studio del progetto, di conseguenza, non può che basarsi sull'osservazione dei comportamenti degli utenti, di cosa guardano, toccano, come utilizzano lo spazio architettonico e gli arredi a loro disposizione. Per la realizzazione di questo obiettivo l'autrice suggerisce una serie di accorgimenti "strategici": l'uso della segnaletica che deve rendere comprensibile l'organizzazione dei materiali e il funzionamento dell'edificio nel modo self evident, l'uso di un linguaggio rivolto al pubblico che richiede espressioni semplici e non un misterioso gergo per soli addetti, la posizione del bancone che dovrebbe essere finalizzata all'interazione con i "clienti", la distribuzione dei tavoli e delle sedie che tenga conto delle distanze o delle vicinanze richieste dagli individui secondo i principi della prossemica, etc.

L'autrice infine porta l'attenzione anche sulla figura professionale del bibliotecario e sulla necessità di una sua diversa formazione: «le biblioteche del futuro avranno bisogno di persone che siano capaci di condurre una riunione, di creare un gruppo di lettura [.], di guidare un bibliobus su strade di compagna[.], convincere i negozianti della strada su cui si affaccia la biblioteca a collaborare in iniziative promozionali» [4]. In sostanza auspica una nuova figura professionale che rivesta i ruoli del buon comunicatore, amante della lettura, dinamico e intraprendente, meglio con una laurea in scienze della comunicazione che in conservazione dei beni culturali. Il nostro bibliotecario, afferma Agnoli, è «un giocatore di squadra. Uno che capisce a fondo cosa voglia dire lavorare in un contesto sociale come il nostro [.]. Uno che contribuisce con idee, uno che non guarda sempre ai dettagli del suo contratto, ma è disposto a fare quello che è necessario» .

Viene da chiedersi a questo punto se siamo pronti ad affrontare la sfida che il futuro ci costringe ad affrontare. In futuro, prosegue l'autrice «nessuno potrà stare nel suo ufficio ad aspettare che gli si dica cosa fare o seduto dietro al bancone aspettando che si gli chieda di dispensare la sua conoscenza» . Il bibliotecario dovrà essere pronto a mettersi al servizio dell'utente, dovrà essere presente in tutti gli spazi della biblioteca, dovrà abbandonare il bancone per stare in mezzo alla gente e trasformarsi in facilitatore di attività di creazione e consumo culturale.

Non è un caso che questa pubblicazione, come scrive Carlo Revelli in Biblioteche Oggi nell'ottima recensione che invito a leggere, «non sia nata nell'ambiente editoriale proprio della professione, ma che abbia trovato spazio nella produzione di una casa editrice di lunga tradizione culturale, ma non interessata in particolare alla problematica bibliotecaria» .

Siamo di fronte a un testo scarsamente "biblioteconomico" e decisamente   "economico" nel senso della prospettiva, come si è detto fin dall'inizio, di analisi del contesto e di progettazione di tipo "imprenditoriale", al passo con le sfide del futuro.

Aggiungo, a conclusione di quanto fino qui esposto, che le riflessioni e i suggerimenti di Agnoli possono trovare la loro applicazione in qualunque ambito anche quello delle biblioteche universitarie, sebbene non citate nel testo, le quali per sopravvivere avranno bisogno, come tutto ciò che è patrimonio culturale incluse le università stesse, di reinventarsi secondo i nuovi modelli dell'economia, l' economia della conoscenza. In un interessante articolo di recente pubblicazione Maria Cassella ci illustra, a sostegno di queste affermazioni, uno scenario nel quale le biblioteche accademiche, in particolare del mondo anglo sassone, stanno cercando strade alternative per riposizionarsi in modo forte rispetto alle necessità informative dei propri utenti «per essere realmente nel flusso, in rete, "là dove sono gli utenti"» . Emerge da numerose indagini che sempre più raramente la scoperta delle risorse avviene a partire dal catalogo o dagli strumenti di information retrieval messi a punto dai bibliotecari. Le biblioteche accademiche di vario tipo (centrali, dipartimentali, specialistiche) hanno cominciato a sperimentare la tecnologia dei social network promuovendo la pagina della propria biblioteca su Facebook ! Tra le ragioni di questa scelta (in base a quanto rilevato da un'indagine condotta negli Stati Uniti nel 2009) compaiono «la necessità di fare marketing a favore della biblioteca, la disponibilità di uno spazio per postare foto e annunci di vario genere su attività, orari, novità nelle collezioni ecc., la possibilità di attivare un canale alternativo per offrire un servizio di reference asincrono e [infine] la possibilità di mantenere una presenza istituzionale in un network sociale» . Se si considera che il successo di una pagina su Facebook nasce proprio da un sapiente mix tra pubblico e privato, istituzionale e sociale, lavoro e gioco, cosa potrebbe impedire la sperimentazione di questi nuovi strumenti anche per la promozione delle istituzioni culturali?

Se gli strumenti comunicativi cambiano, dato inopinabile, occorre cambiare, sostiene Cassella, anche i contenuti e le forme della comunicazione. La creatività e la voglia di innovazione sono, in un mondo in eterna e ormai molto rapida evoluzione, le chiavi del successo e l'unica possibilità per continuare ad esistere.

Nell'ambito delle biblioteche pubbliche e in una società dove nessuno avrà più bisogno di muoversi da casa per trovare quello che cerca, conclude Agnoli «il futuro sta nel fare della biblioteca pubblica una città e della città una biblioteca» .




Agnoli A. (2009), Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà, Roma, Laterza, p. 8

Oldenburg, R. (1999), The great Good Place, Da Capo Press, p. 22

Agnoli (2009), p. 91

Ivi, p. 140.

Ibidem

Ivi, p. 144

Revelli C. (2009), La biblioteca pubblica come luogo sociale. Bibliotehe Oggi, 27, 7, p. 7

Cassella M. (2010). Comunicare con gli utenti: Facebook nella biblioteca accademica. Biblioteche Oggi, 28, 6, p. 3

Un bell'esempio lo abbiamo anche in loco presso il nostro Ateneo e invito il lettore a visitarlo. Vi si accede dalla pagina della biblioteca del corso di laurea in lingue e letterature straniere: https://www.bibliotecapgnegro.unipr.it

Cassella (2010), p. 7

Agnoli(2009), p. 152.

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