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Le caratteristiche del Seicento attraverso i Promessi Sposi




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Le caratteristiche del Seicento attraverso i Promessi Sposi



La Giustizia



Uno dei temi di fondo dell'opera è proprio la giustizia. Essa ci viene presentata sotto varie forme e descritta in vari modi. Notiamo il tema centrale del diritto a partire dalla violazione del diritto di Renzo e Lucia a sposarsi da cui tutta la storia ha inizio, ma già nel primo capitolo nell'incontro fra don Abbondio e i bravi, il commento alle 'gride' rende certo il lettore che l'impunità del delitto era la norma. Nel romanzo il diritto violato non viene comunque ristabilito mai: né don Rodrigo, né l'innominato, né quanti sono stati loro complici o sicari pagano per i delitti commessi.

In questo fatto vengono coinvolti parecchi personaggi e, naturalmente, c'è chi agisce a favore e chi contro. Dalla parte di Renzo e Lucia vediamo schierati Agnese e Fra Cristoforo. Di contro Don Rodrigo con il suo seguito di Bravi e il Dottor Azzeccagarbugli.

Fin dall'inizio veniamo proiettati nella società del '600, con i signorotti locali che governano secondo le loro leggi, dette grida, e protetti dai Bravi, persone al di fuori della legge ma posti al di sopra di essa. La società aristocratico-feudale del Seicento non solo non conosce la certezza del diritto, non concepisce il cittadino ma soltanto il suddito, ma non è neppure in grado di far funzionare la macchina della giustizia. È quindi una società senza legge, dove i governanti si scoprono impotenti, nobili e ricchi opprimono a loro piacimento il popolo e questo è dimostrato proprio da Don Rodrigo. Egli infatti sostituisce la legge con un suo capriccio. È un nobilotto dell'epoca, invaghitosi di Lucia, e per questo motivo convinto a voler impedire le sue nozze con Renzo. È temuto da tutti, questo lo vediamo anche dal cambiamento del comportamento del Dottor Azzeccagarbugli, benché non rivesta una carica particolare.

I deboli sono sfruttati, vige la regola del più forte. Anche gli stessi intellettuali sono costretti ad accettare le regole impostogli, diventando così strumenti del potere. Con queste condizioni è facile anche che si perda la concezione di uomo come essere con una propria personalità, facendolo diventare così un oggetto da usare a proprio piacimento.

Ad aiutare Renzo e Lucia c'è Agnese, madre di quest'ultima. Ha un carattere pratico e sbrigativo, non si fa scoraggiare e cerca di architettare il modo per far raggiungere alla figlia la felicità. Non si affida però, come ci si potrebbe aspettare, alla giustizia. Infatti, se prima scrive una lettera al Cardinale, poi preferisce rivolgersi all'Azzeccagarbugli, scegliendo così gli inganni alla giustizia vera e propria. Egli è un altro personaggio molto importante, dal suo comportamento, infatti, abbiamo un chiaro spaccato della giustizia nel '600. Infatti, egli fa intendere che le grida valevano solo per chi era senza protettore, i signorotti e gli uomini al loro servizio, infatti, riuscivano a scamparle, o col terrore o con la corruzione o con l'aiuto di avvocati senza scrupoli, come nel caso del Dottor Azzeccagarbugli. Renzo e Lucia reagiscono in due modi completamente diversi. Mentre Renzo si fa trasportare dal suo temperamento impetuoso e si scaglia furiosamente contro il suo rivale, Don Rodrigo; Lucia è conscia dei suoi doveri di donna e di cristiana, non si abbandona mai alla disperazione e anche nei momenti più difficili ritrova l'equilibrio nella preghiera, più che nella giustizia vera e propria, possiamo dire che Lucia crede in quella Divina.

La figura che rappresenta meglio l'ideale cristiano della carità e del sacrificio è senza dubbio Fra Cristoforo. Egli non si limita a dar consigli per far trionfare la giustizia, ma agisce: affronta Don Rodrigo e protegge Lucia per esempio.

Notiamo infine che sentiamo pronunciare spesso legge come legge di Don Rodrigo o legge divina, ma mai di legge in quanto tale. In ciò rappresenta magnificamente un secolo in cui la giustizia non svolge un ruolo importante, basti vedere che il Papato per rinsaldare la sua autorità inaugura una politica di persecuzioni; l'Inquisizione chiama davanti al suo tribunale chi crede reo d'eresia e lascia intanto che i malfattori siano ricoverati nei conventi e sfuggano alla giustizia civile.


L'economia



Il Seicento non è un secolo economicamente felice per l'Italia. Più in generale, l'Europa è divisa in paesi in crescita ed altri in declino. L'Italia appartiene purtroppo all'ultimo caso e Manzoni, con un occhio indubbiamente critico e pessimista sul Seicento, ce lo dimostra narrandoci gli avvenimenti che accadono a Milano negli anni della crisi.

Infatti, l'autore, analizza a fondo, in particolare nel capito XII, i meccanismi che sono alla base della carestia che attanaglia la Lombardia: tralasciando le condizioni climatiche avverse, egli critica fortemente la guerra e le tasse troppo gravose per i contadini, cause di una situazione economica difficilissima per il Milanese.

Appare subito chiara la situazione della plebe rurale: la permanenza di legioni straniere sul territorio porta la distruzione dei raccolti, e come se non fosse sufficiente, le tasse troppo gravose sui contadini rendono sconveniente coltivare i campi.

Di conseguenza, meglio non va per la plebe urbana, poiché, non essendo lavorati i campi in modo usuale, la domanda dei generi di prima necessità (come il grano per esempio) supera di gran lunga l'offerta. Immediatamente lievitano i prezzi, o per una reazione involontaria, o perché alcune persone sfruttano queste occasioni per guadagnare maggiormente, sta di fatto che i ceti urbani meno abbienti si trovano tagliati fuori per l'acquisto di questi beni.

Il potere politico s'interessa al problema, ma relativamente. Infatti Antonio Ferrer, gran cancelliere reggente del potere a Milano in assenza del governatore, propone di dimezzare per legge il prezzo del pane e di venderlo al prezzo giusto, provvedendo anche ad arrestare il vicario di provvisione. Indubbiamente queste mosse sono dettate maggiormente dal tentativo di farsi benvolere dalla popolazione più che dal tentativo di risolvere il problema: impensabile sperare che funzioni una legge del genere, dove i fornai sono costretti a comprare il grano e a produrre il pane rimettendoci del denaro. Inoltre, questo personaggio, è presentato da Manzoni in modo ambiguo; ciò è testimoniato dalla sua doppia parlata: italiano con il popolo, spagnolo con il vicario di provvisione e i funzionari.

Sempre nel capitolo XII l'autore ci presenta un'efficace descrizione della folla: "La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò a Milano, le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendio". I poveri di Milano, quelli che con l'inflazione si sono ritrovati senza più nulla, camminano per la città, incontrandosi e formando gruppetti, tutti mossi da sentimenti irrazionali. Questo si manifesta all'improvvisarsi di discorsi da parte di chiunque, a sua volta esaltato per lo stato di eccitazione presente nella folla.

Come sottolinea Manzoni, infatti, a questa folla di persone disperate si aggregano sempre i provocatori, i quali vogliono approfittare del clima presente tra la folla. Proprio questi sono i colpevoli degl'atti di violenza da lui ripetutamente criticati; mentre i ricchi ricevono persino il pane a casa, il popolo non ha i soldi per mangiare, ed è normale, secondo l'autore, che questo sia mosso dall'irrazionalità e da elementari necessità. Quindi, Manzoni, non riserva delle critiche ai comportamenti della massa, ma a quelli che in mezzo a questa, incitano le persone a saccheggiare forni, a linciare il vicario, etc.

Questo avviene perché, tra le masse lasciate a se stesse, prevalgono gli elementi irrazionali, che spesso sfociano nella violenza. Manzoni vede di buon occhio i movimenti popolari, ma secondo lui questi andrebbero guidato dalla borghesia, una borghesia che ne interpreti le esigenze e che indirizzi i movimenti popolari verso gli obbiettivi giusti: la borghesia dovrebbe allearsi con i ceti più poveri per rivendicare dei diritti dai ceti più alti, come la nobiltà e il clero, i quali sono ingiustamente privilegiati nel sistema fiscale e non solo.










La Cultura



Nell'opera di Manzoni possiamo notare le caratteristiche peculiari della cultura di questo secolo attraverso alcuni personaggi. La situazione attuale, che vede il collasso delle istituzioni civili, riguarda da vicino anche il ritardo della cultura e la funzione degli intellettuali. A questo "imbarbarimento" contribuiscono naturalmente anche questi ultimi e infatti notiamo che Don Abbondio, Azzeccagarbugli e Don Ferrante sono dipinti con una luce negativa, l'unica eccezione è il Cardinale Federigo.

Egli compie una grande opera di promozione culturale, biblioteca ambrosiana, è fedele ai suoi ideali e valori cristiani, lo vediamo anche dal grande sostegno che da alla popolazione. Al contrario di Don Ferrante, egli ha grandi risorse di intelligenza e volontà. È disposto a lottare per i suoi principi, dedica tutta la sua vita allo studio e alla carità.

Di contro troviamo appunto Don Ferrante, egli rappresenta il genere di cultura che Manzoni condanna. È definito l'uomo dei libri, povero di spirito, fa di mestiere l'erudito in quanto non sarebbe in grado di fare nient'altro. Ricco, può permettersi questo stile di vita. Il suo sapere è un sapere enciclopedico, non c'è amore per la cultura o interesse individuale, è un sapere meccanico rappresenta la vera e proprio degenerazione della cultura.

Altro esempio di cultura usata come strumento lo troviamo in Don Abbondio che si avvale del suo "latinorum" per raggirare Renzo, questo genere di comportamento non ci stupisce se pensiamo al carattere di Don Abbondio infatti, pur di evitare problemi e di vivere una vita tranquilla ha intrapreso la via della Chiesa.

Altra persona che non deve alla vocazione la propria decisione è Gertrude, dove la scelta di prendere il velo è stata imposta. La sua educazione non è basata sui valori religiosi, cosa fondamentale per una futura suora, al contrario in lei prende il sopravvento l'orgoglio, provocando sentimenti d'invidia e vendetta.

Un esempio di ignoranza o forse di ingenuità lo troviamo in Ferrer, egli infatti causa i tumulti di Milano senza rendersene conto e poi resta immobile di fronte al fatto compiuto.

A un livello più alto troviamo Don Ferrante. Egli è l'incarnazione di una cultura arretrata, ricordando che siamo nel secolo di Galilei, la sua cultura è ancora ancorata all'astrologia e alla magia.

Tornando alla cultura pratica, ricordiamo inoltre che, in questo secolo, essa era vista anche come strumento di Stato.

La stessa Chiesa, dopo la Controriforma, chiede agli artisti di esaltare il sentimento religioso e di favorire gli effetti spettacolari proprio per combattere l'eresia protestante.

Cultura anche come strumento molto più semplicemente per esaltare il proprio predominio sociale, come abbiamo visto anche nell'opera di Manzoni, sapere meccanico da mostrare per darsi dignità.

Il giudizio negativo sul Seicento del romanziere prende il considerazione, tra i vari aspetti della vita del secolo, anche il fattore culturale. La cultura di questo secolo è infatti attardata e provinciale. La società lombarda era sotto la dominazione straniera e essa  ne impediva lo sviluppo di un identità nazionale.

















La Peste



Quando la peste raggiunge Milano, a portarne notizia è Ludovico Settala, che rischia persino di essere linciato per il suo annuncio.

Nessuno gli crede, e le istituzioni di Milano commettono gravi errori nel gestire la situazione iniziale del contagio. Si hanno le prime morti e i primi casi di febbri altissime ma, alcuni medici, su cui la Magistratura fa affidamento, escludono la possibilità che si tratti di peste. Perciò non viene preso nessun provvedimento dal governatore di Milano, che anzi promuove i festeggiamenti pubblici per la nascita del primogenito a Filippo IV.

Il contagio si espande ulteriormente, fino a che in città non prevale la follia: infatti, di pari passo con la Morte Nera, avanzava anche la pazzia tra gli abitanti di Milano, che si rendono responsabili di atti inspiegabili, come dimostra chi cercò in più modi di propagare volontariamente il contagio.

Anche una volta scoppiata irrimediabilmente l'epidemia il comportamento delle istituzioni e della sfera politica non appare soddisfacente. Benché siano emessi i primi editti contro il contagio, questi risultano tardivi e inefficienti, mentre alcuni medici si rifiutano ancora di ammettere l'esistenza della peste.

La cura del lazzaretto viene affidata a padre Felice Casati e all'ordine dei cappuccini, i quali operano al meglio in una situazione oltremodo proibitiva.  Proprio lo stesso Felice Casati viene descritto da Manzoni con i connotati di un condottiero che ricordano quelli usati per l'Innominato.

Padre Cristoforo è il cappuccino che rappresenta maggiormente gli aspetti positivi della chiesa durante la peste: incurante delle possibilità di contagio è sempre in prima fila per aiutare i bisognosi, come del resto si era comportato con Renzo e Lucia. Fra Cristoforo, che in passato era stato egli stesso uno strumento di violenza, finirà per essere vittima della sua generosità e del suo spirito caritatevole. In ogni caso egli ha della peste un'idea molto interessante: infatti pensa che sia "insieme castigo e misericordia", ovvero che sia una punizione inflitta da Dio agli uomini ma anche un'occasione per convertirsi al bene e per riavvicinarsi a Dio.

A differenza di Padre Cristoforo, un altro personaggio ecclesiastico, Don Abbondio, non vede affatto alcun aspetto positivo nella peste, bensì pensa solamente che sia un castigo di Dio, giusta punizione per i malvagi (Don Rodrigo) che fino ad ora avevano ignorato le leggi divine.

Un'idea simile sulla peste appartiene anche a Renzo, nonostante egli non abbia molto a che vedere, caratterialmente, con Don Abbondio. Anch'egli, infatti, giudica la peste esclusivamente come mezzo di "giustizia" (XXXV capitolo).

Giustizia, che se così si può dire, segnerà il destino di Don Rodrigo, che prima della morte, sembra ritrovare una coscienza fino allora sopita. Così non avviene invece per il suo "fedelissimo" servitore, che alla fine, si rivelerà un traditore.

Il popolo, la gente di Milano, ha invece un'idea confusa, a causa della sua ignoranza, della peste e una scarsa conoscenza della malattia. Bisogna riconoscere che neanche i più dotti e sapienti, medici e non medici, hanno le idee molto più chiare: questi non cercano di studiare la situazione presente, ma si limitano a scovare nei testi antichi eventuali associazioni con l'attuale flagello.

La folla è mossa da passioni irrazionali: per esempio vi è una forte superstizione contro la peste, la quale proibisce persino di pronunciare il suo nome. Inoltre, il popolo, sovente si agita per trovare e punire i responsabili di una calamità, che bene o male, sta colpendo tutti.

Secondo la descrizione di Manzoni, una delle cause di questa confusione, di questo panico generale, è l'incapacità delle istituzioni di tenere a bada la folla.

Storicamente la peste colpisce la penisola italiana nella prima metà del XVII secolo, prima il settentrione e successivamente, verso la metà del secolo, il meridione. La mortalità che questa pestilenza porta con sé è altissima e uguale regione per regione. Questo evento segna la fine di un decremento demografico iniziato già da parecchi anni per vari motivi; e, inoltre, colpisce anche l'economia dei vari stati italiani, che in alcuni casi, come nel milanese, riuscirà presto a risollevarsi, mentre soprattutto nel meridione l'economia sarà da qui in poi in costante difficoltà.


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