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La Francia




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COSTITUZIONE

La  Francia è una repubblica retta dalla costituzione (più volte emendata) del 4 ottobre 1958, che accentua i poteri del capo dello Stato ponendolo su un piano analogo a quello dei capi di repubbliche presidenziali. Il presidente della repubblica è eletto a suffragio universale, dura in carica sette anni ed è rieleggibile. A lui è attribuito il potere esecutivo; nomina il primo ministro e, su proposta di questo, i ministri. Ha il potere di sciogliere l'Assemblea nazionale e non è responsabile davanti al Parlamento, ma può essere messo in stato di accusa davanti all'alta corte di giustizia per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni.

Il potere legislativo spetta al parlamento, costituito dall'Assemblea nazionale, formata da 577 deputati, eletti ogni cinque anni a suffragio universale diretto, e del senato, formato da 318 membri, che sono eletti per nove anni dai consiglieri comunali e dipartimentali e dai deputati e sono rinnovabili per un terzo ogni tre anni. Il potere dell'Assemblea nazionale è superiore a quello del senato; infatti il voto contrario di quest'ultimo su un disegno di legge può essere superato da un'ulteriore votazione positiva della prima. Il controllo della costituzionalità delle leggi è affidato al consiglio costituzionale, composto da nove membri, nominati per nove anni per un terzo ciascuno dal presidente della repubblica, dall'Assemblea nazionale e dal senato. Sul piano amministrativo la Francia è suddivisa in 96 dipartimenti metropolitani (raggruppati in 22 regioni), nei dipartimenti d'oltremare, nei territori d'oltremare e nelle collettività territoriali.

LETTERATURA

Il più antico monumento della lingua francese è costituito dal testo dei Giuramenti di Strasburgo (842), pronunciato da Ludovico il Germanico in lingua romanza. Nei secc. x e xi le sole opere scritte in francese sono quelle di carattere religioso, assai spesso tradotte dal latino, come la Sequenza o Cantilena di sant'Eulalia (880 circa) e la Vita di sant'Alessio (1040).

Le prime opere poetiche originali, che risalgono all'inizio del xii sec., sono le canzoni di gesta. Secondo una suddivisione proposta già dai trovieri, esse si raggruppano in tre cicli, tre essendo le grandi idee ispiratrici: la Gesta del re, cui appartiene la più antica e più bella fra tali opere, La chanson de Roland (1100-1125 circa), attribuita a Turoldo, la Gesta di Garin de Monglane e la Gesta di Doon de Mayence.

Alla fine dell' xi sec. risale la prima fioritura della poesia lirica, a opera dei trovatori, nei paesi di lingua d'oc: Limosino, Périgord, Aquitania e Linguadoca. Nelle ricche corti del Sud si trovarono le condizioni propizie allo sviluppo di una poesia raffinata e aulica. Il primo trovatore fu infatti Guglielmo IX, duca d'Aquitania († 1127), la cui nipote, Eleonora, ispiratrice e protettrice di trovatori, divenuta regina di Francia, contribuì alla diffusione della poesia trovadorica nel Nord. Grandi trovatori furono Bernardo di Ventadorn, Jaufré Rudel, Arnaldo Daniello, Marcabruno, Giraldo di Borneil. A un genere di poesia satirica e polemica appartengono i sirventesi, coltivati soprattutto da Bertran de Born e Peire Cardenal, il poeta della crociata degli albigesi. Con la fine del xii sec. e l'inizio del xiii la poesia fiorì anche nel Nord a opera dei trovieri. Mentre l'ispirazione quasi esclusiva dei trovatori era l'amore, quella dei trovieri conobbe una grande varietà di temi e si espresse in forme diverse: canzone di tela, alba, pastorella, reverdie, romance, canzone per danza (ballette, virelai, rondeau), lai, sirventese. Alla corte di Champagne, Maria, figlia di Eleonora d'Aquitania, come già la madre, fu ispiratrice di poeti. Uno dei principali trovieri fu lo stesso conte di Champagne, Tibaldo IV, allievo probabilmente di Gace Brulé. Sono ancora da ricordare Conon de Béthune, Gui de Coucy, Colin Muset, Adam le Bossu, Rutebeuf e Jean Bodel. La diffusione sempre maggiore di elementi raffinati nella società medievale è testimoniata poi dai romanzi cortesi, che, come le gesta, si distinguono in vari cicli. I più celebri, che si rifanno alla “materia di Bretagna”, appartengono al @19ciclo di Artù#394097N2NNN@*19 e dei cavalieri della Tavola rotonda. A questo ciclo appartengono alcuni romanzi di Chrétien de Troyes, il maggior poeta del medioevo francese. Agli stessi temi si rifanno i lai di Maria di Francia e la leggenda di Tristano e Isotta, narrata dai trovieri anglo-normanni Thomas e Béroul (xii sec.). Al “ciclo del Santo Graal” appartiene invece un lungo poema di Robert de Boron (Storia del Graal, fine del xii sec.), che ha dato luogo a una grande fioritura di romanzi in prosa (Lancillotto). Numerosi altri romanzi d'amore e d'avventure, risalenti allo stesso periodo, non si allacciano a nessun ciclo preciso; tra essi Fiorio e Biancofiore e la cantafavola di Alcassino e Nicoletta. Lo spirito borghese e popolare si rispecchia invece nel Roman de Renart e nei favolelli, che rappresentano la vena realistica ampiamente diffusa nel medioevo. Il Roman de Renart, scritto fra il 1176 e il 1250, composto di ventisei poemi o branches (ramificazioni) di autori diversi, spesso anonimi, narra con grande vivezza e umorismo le avventure di Renart, la volpe, protagonista di numerosi poemi posteriori: L'incoronazione di Renart ( xiii sec.), Il nuovo Renart di Jacquemart Gelée (fine del xiiisec.) e Renart le Contrefait (cioè imitato dall'antico, xiv sec.). L'esempio più antico di favolelli è Richeut (composto prima del 1170). Il xiiisec. vide inoltre trionfare il genere letterario dei “detti”, d'argomento morale o d'intonazione comica, e dei racconti di argomento religioso, come I miracoli della Vergine di Gautier de Coincy (1177-1236).

Notevolissimo per il numero e il valore dei componimenti fu altresì il teatro. I drammi liturgici in latino a poco a poco si trasformarono in drammi semiliturgici, nei quali il volgare si mescola al latino: ne è un esempio la Rappresentazione delle vergini sagge e delle vergini folli ( xii sec.). Le rappresentazioni, poi, si spostarono dalla chiesa al sagrato e i testi vennero redatti completamente in francese. A questa nuova forma appartengono la Rappresentazione di Adamo e la Rappresentazione di san Nicola di Jean Bodel, entrambe del xii sec. Nel xiii sec., mentre i “miracoli” (Miracolo di Teofilo, di Rutebeuf) continuavano la tradizione del teatro religioso, venne acquistando una sua autonomia un teatro comico e profano. Le due opere più importanti di questo genere sono dovute al poeta Adam le Bossu: il Giuoco della novella fronda (1262) e il Giuoco di Robin e Marion (1285 circa); quest'ultima, accompagnata da musica, è l'esempio più antico di opéra-comique.

Fra i poemi didattici e allegorici, il primo posto, per importanza, è tenuto dal Roman de la Rose, la cui prima parte (1236 circa) fu scritta da Guillaume de Lorris, e la seconda (1275-1280) da Jean de Meung. Taluni di questi poemi sono di carattere religioso, come i Versi della morte di Hélinand (1194-1197) e la Bibbia di Guiot de Provins (fine del xii sec.). Al genere dei poemi “scientifici”, di carattere enciclopedico, appartengono il Computo e il Bestiario di Philippe de Thaon (inizio del xiisec.) e il Trésor, scritto in prosa francese, attorno al 1265, dal fiorentino Brunetto Latini.

La prosa letteraria vera e propria nacque in Francia nel xiii sec. con i numerosi rimaneggiamenti dei romanzi cortesi e, soprattutto, con le opere dei cronisti: Geoffroi de Villehardouin, autore di una Storia della conquista di Costantinopoli, Robert de Clari e Jean de Joinville, autore del Libro delle sante parole e dei nobili atti del nostro santo re Luigi (1309 circa).

Si assiste per un lungo periodo a una stasi nel campo dell'originale creazione poetica, in relazione alla guerra dei Cent'anni, durante la quale scomparve la società da cui erano nate le grandi opere del periodo precedente. Alla povertà d'ispirazione dei poeti fece riscontro un processo di “cristallizzazione” delle forme e degli schemi. I poeti Guillaume de Machaut (1300 circa - 1377) e Eustache Deschamps (1346-1406), dominano il xiv sec., mentre nel xv spiccano le figure di Carlo d'Orléans, di Alain Chartier e di François Villon (1431 - dopo il 1463), il poeta più originale del periodo posteriore alla guerra, genio isolato che non creò nessuna scuola. La prosa ebbe in questo periodo un notevole sviluppo, soprattutto con le Cronache di Jean Froissart (1333 o 1337 - dopo il 1400), e le Memorie di Philippe de Commynes (1447-1511), che non è più un semplice cronista, ma un vero storico. Numerosissimi sono i trattati didattici e morali. Christine de Pisan (1364 - poco dopo il 1430) ne scrisse un buon numero sui più diversi argomenti. Alain Chartier, invece, analizzò con occhio di politico e di moralista i mali della Francia sconvolta dalla guerra dei Cent'anni. Grazie all'imitazione del Boccaccio, gli autori di novelle e di romanzi vennero raffinando i temi del favolello; spiccano soprattutto due opere anonime, caratterizzate da toni ironici o francamente satirici, Le quindici gioie del matrimonio (1450 circa) e Le cento nuove novelle (1462), nonché la Storia di Giovannino di Saintré di Antoine de La Sale (1388 circa - dopo il 1461).

Il teatro, verso il quale andava l'interesse di tutto il popolo, conobbe un grande sviluppo. Nel genere serio, i quarantadue Miracoli della Madonna continuarono, nel xiv sec., la tradizione dei secoli precedenti. Fecero la loro comparsa anche i “misteri”, la cui forma drammatica è assai più complessa; il più noto è il Mistero della Passione (1450 circa) di Arnoul Gréban (1420 circa - 1471). Il genere comico fu l'ultimo a comparire, ma si protrasse fino alla metà del xvisec. Nel xv sec. prosperarono tre forme di opere teatrali: le moralità, di soggetto allegorico, le sotties, di soggetto politico o sociale, come la Rappresentazione del principe dei matti (1512) di Pierre Gringore (1475 circa - 1538 circa) e le farse, che si rifanno alla tradizione dei favolelli, tra cui è il capolavoro della Farsa dell'avvocato Pathelin (1464 circa).

Le  spedizioni in Italia, dal 1494 in avanti, consentirono ai Francesi di entrare in contatto diretto con la civiltà rinascimentale. L'Umanesimo si sviluppò ad opera di Guillaume Budé, Ramo, gli Estienne, ecc., e con l'incoraggiamento di Francesco I, che a questo scopo fondò il Collegio di Francia (1530). Il rinnovamento prodotto dalla diffusa ammirazione per l'antichità s'arricchì e prese nuovi aspetti con l'apporto critico e morale dei sostenitori della Riforma. Non v'è dubbio che l'opera di Rabelais (1494 circa - 1553), così bizzarramente composita, ricca di elementi d'origine popolare e di altri tratti dall'erudizione umanistica, è radicalmente diversa da quella dell'austero riformatore Calvino (1509-1564); ma è pure evidente che questi scrittori rappresentano entrambi l'inizio decisivo dell'età moderna nella storia della prosa francese.

L'influsso del Rinascimento si ritrova anche nell'opera dei poeti, sebbene i Grands Rhétoriqueurs continuassero, almeno nella forma, la tradizione medievale. Il poeta Clément Marot (1496-1544) aprì la strada alla Pléiade, introducendo in Francia il sonetto italiano. La scuola di Lione, rappresentata da Louise Labé (1524-1566), Maurice Scève (1501-1560 circa) e Antoine Héroët (1492-1568), pur rifacendosi direttamente agli esempi italiani, si conquistò una propria originalità.

Fra gli autori di novelle spicca Margherita d'Angoulême con L'Eptameron, composto sul modello del Decameron del Boccaccio.

La  pubblicazione della Difesa e illustrazione della lingua francese (1549) di Joachim du Bellay rappresentò la rottura decisiva con il medioevo e l'entrata, sulla scena letteraria, dei poeti della Pléiade: Pierre Ronsard (1524-1585), Joachim du Bellay (1522-1560), Jean Dorat (1508-1588), Rémy Belleau (1528-1577), Jean Antoine de Baïf (1532-1589), Pontus de Tyard (1521-1605) ed Etienne Jodelle (1532-1573). Cultori degli ideali umanistici, questi poeti si sforzarono di modellare la poesia francese secondo un ideale di grandezza ispirato all'antichità; e se l'eccesso di erudizione appesantisce alcune delle loro opere, i più grandi fra essi, come Ronsard e du Bellay, trovarono gli accenti di una liricità nuova, che prelude alla poesia moderna. Più legati alla realtà del loro tempo sono i due poeti protestanti Guillaume du Bartas (1544-1590) e Agrippa d'Aubigné (1552-1630), la cui opera è piena delle passioni di parte, esacerbate dalle guerre di religione. Allo stesso clima appartiene una curiosa opera collettiva, pubblicata nel 1594, la Satira Menippea.

Per quanto riguarda il teatro, la proibizione di rappresentare i misteri (1548) fece scomparire ogni forma di dramma popolare di tipo medievale. Ma quasi subito nacque, con la Cleopatra prigioniera (1552) di Etienne Jodelle, la tragedia francese. Il nuovo genere prese forma, attraverso le opere di Jacques Grévin (1538-1570) e Robert Garnier (1544-1590), e attraverso le discussioni teoriche di Jean de La Taille (Arte della tragedia, 1572). I Saggi (1S ed., in 2 libri, 1580) di Montaigne (1533-1592), ai quali egli lavorò fino alla morte, cercando, in mezzo agli avvenimenti di un'epoca tormentata, le lezioni della saggezza e della libertà dello spirito, costituiscono l'opera della piena maturità del Rinascimento francese e lo concludono.

Nella prima metà del secolo, la letteratura francese, alla ricerca di un equilibrio, si orientò gradatamente verso il classicismo, accogliendo la lezione della trattatistica letteraria italiana. Maestro riconosciuto del rigoroso classicismo fu in poesia Malherbe (1555-1628), che ebbe tra i suoi seguaci François Mainard (1582-1646) e Racan (1589-1670). Ma l'autorità di Malherbe non fu tale da impedire il manifestarsi di più libere forme di poesia quali la satira di Mathurin Régnier (1573-1613), l'elegia di Théophile de Viau (1590-1626), il realismo di Marc Antoine de Saint-Amant (1594-1661), il barocchismo di Cyrano de Bergerac (1619-1655) e Tristan l'Hermite (1601-1655), e l'estro burlesco e caricaturale di Scarron (1610-1660). Ma né i classicisti né gli esponenti di altre tendenze soddisfacevano i gusti di una società mondana che frequentava assiduamente i “salotti”; tra i quali il primo in ordine di tempo e d'importanza fu quello della marchesa di Rambouillet (1588-1665) inaugurato nel 1610. “Preziosi” e “preziose”, uniti nell'ammirazione per il romanzo sentimentale L'Astrea di Honoré d'Urfé (1568-1625), contribuirono in larga misura alla creazione della bella lingua. Nella letteratura del tempo, i caratteri della preziosità si riscontrano soprattutto nell'opera di Voiture (1597-1648), Guez de Balzac (1597-1654) e Madeleine de Scudéry (1607-1701).

Così come il linguaggio veniva sottoposto a un lavoro di rigida epurazione e codificazione, la creazione poetica subiva, soprattutto a opera di Jean Chapelain (1595-1674), un attento esame dei suoi meccanismi con la formulazione di regole generali che non lasciavano alcuna libertà al caso o all'ispirazione. Uno degli avvenimenti più importanti di questo mezzo secolo fu la fondazione dell'Accademia francese a opera del cardinale Richelieu (1635). Una preoccupazione di ordine e sistemazione razionale informò anche, nel campo del pensiero, l'opera di Cartesio (1596-1650), il cui Discorso sul metodo apparve nel 1637.

Il teatro ebbe una grande fioritura, incoraggiata dal formarsi di un pubblico colto e raffinato. Mentre gli attori italiani ottenevano grande successo con le rappresentazioni della commedia dell'arte, si formarono a Parigi due compagnie stabili di attori professionisti, una all'Hôtel de Bourgogne, l'altra all'Hôtel du Marais. I princìpi formulati nel corso del Rinascimento ebbero una più precisa codificazione: venne teorizzata la forma regolare della tragedia, che si rispecchia, in gradi diversi, nell'opera di Alexandre Hardy (1570 circa - 1632 circa) e Jean Mairet (1604-1686). Ma nel contempo il gusto del pubblico favorì la fortuna di un genere più romanzesco, quello della tragicommedia, anch'essa di origine italiana. Nel 1636 Pierre Corneille (1606-1684) fece rappresentare il Cid: la forza drammatica e la ricchezza umana dell'opera ottennero un immediato, clamoroso successo. E tuttavia le critiche e le discussioni dei rivali convinsero Corneille a rispettare, in seguito, i principi della tragedia “regolare”. Le sue opere (Orazio, Cinna, Poliuto, ecc.) fanno di lui il maggior poeta drammatico durante il regno di Luigi XIII. L'unico autore contemporaneo degno di essere citato accanto a lui è Jean de Rotrou (1609-1650). Ma sfuggirebbero alcune delle più alte manifestazioni della letteratura del   xvii sec. a chi trascurasse il dibattito sulle verità religiose, che, una volta concluse le guerre di religione, vide impegnati spiriti nobilissimi, e che trovò le sue massime espressioni nei seguaci del giansenismo, e soprattutto negli scritti di Blaise Pascal (1623-1662), l'autore delle Provinciali (1656-1657) e dei Pensieri (pubblicati postumi nel 1670).

Questo  periodo, che corrisponde all'epoca classica della letteratura francese e all'inizio del regno di Luigi XIV, è caratterizzato, nei vari generi, dall'opera di cinque grandi autori. Le Favole di La Fontaine (1621-1695), le commedie di Molière (1622-1673), le tragedie di Racine (1639-1699), le Satire e le Epistole di Boileau (1636-1711), i sermoni e le orazioni funebri di Bossuet (1627-1704) hanno in comune le stesse qualità di chiarezza, vigore, purezza d'espressione e forza di pensiero. La ricchissima fioritura letteraria di questi anni produsse inoltre le Massime di La Rochefoucauld (1613- 1680), i saggi letterari di Saint-Evremond (1615 circa - 1703), le prediche di Bourdaloue (1632-1704), le orazioni funebri di Fléchier (1632-1710), le lettere di Madame de Sévigné (1626-1696) o quelle di suo cugino Roger de Bussy-Rabutin (1618-1693), e le vigorose Memorie del cardinale di Retz (1613-1679). Quanto al romanzo, esso era allora considerato un genere secondario, e tuttavia risalgono a quegli anni i primi esempi importanti del genere: La principessa di Clèves (1678), di Madame de La Fayette (1634-1693) e il Romanzo borghese (1666) di Antoine Furetière (1619-1688), notevoli per l'analisi psicologica il primo, per le osservazioni di costume il secondo.

Durante  la seconda parte del regno di Luigi XIV il gusto del pubblico si fece meno uniforme, mentre l'equilibrio classico tendeva a rompersi. Charles Perrault (1628-1703), esprimendo dubbi, nel 1687, sull'autorità degli antichi provocò la Polemica degli antichi e dei moderni. Bernard de Fontenelle (1657-1757) si affiancò a Perrault nella preferenza per i moderni. Gli antichi invece ebbero i loro sostenitori in Boileau e Racine e anche in La Bruyère (1645-1696). La satira dei costumi trovò espressione, oltre che nei Caratteri (1688-1696) di La Bruyère, nelle commedie di JeanFrançois Regnard (1655-1709) e di Alain René Lesage (1668-1747), e nelle Memorie di Saint- Simon (1675-1755), che rivelano gli intrighi e le manovre della corte.

Fra i pensatori e i moralisti Fénelon (1651-1715) figura tra gli innovatori; la sua fede cristiana, intrisa di mistica quietista, si scontrò con l'ortodossia di Bossuet, e le sue idee politiche (Le avventure di Telemaco, 1699), generosamente riformiste, gli fecero perdere il favore del re. Jean-Baptiste Massillon (1663-1742) continuò invece, nel campo dell'eloquenza sacra, la tradizione di Bossuet.

Le tendenze già manifestatesi alla fine del regno di Luigi XIV si svilupparono nel xviii sec. Gli scrittori, sempre più desiderosi di informare il pubblico sui grandi problemi politici, storici, sociali, contribuirono a formare le basi del pensiero moderno. I salotti erano ancora i centri principali dell'attività intellettuale, ma alle preoccupazioni per la lingua si sostituirono discussioni di maggiore impegno. I philosophes si incontravano presso Madame de Lambert, Madame de Tencin, Madame du Deffand, Mademoiselle de Lespinasse, Madame Geoffrin; e dalle loro conversazioni nacque una letteratura di tipo nuovo. Montesquieu (1689- 1755), autore delle Lettere persiane (1721) e dello Spirito delle leggi (1748), può essere considerato il fondatore delle scienze politiche e sociali. Voltaire (1694-1778), in ragione della lunga vita e della gloria ottenuta, si identifica con il suo secolo, cui diede una particolare impronta di critica spregiudicata e polemica; i suoi scritti, che nascono da una solida fiducia nel progresso della ragione e nella sua capacità di sconfiggere ogni fanatismo, fanno di lui l'apostolo del moderno liberalismo. Durante la seconda metà del secolo l'Enciclopedia contribuì a diffondere le idee filosofiche: questo monumento della divulgazione è dovuto soprattutto all'iniziativa di Diderot (1713-1784), che ne diresse la pubblicazione per vent'anni fra innumerevoli difficoltà. I principali collaboratori dell'Enciclopedia furono: d'Alembert (1717-1783), Helvétius (1715-1771), d'Holbach (1723-1789), Condillac (1715-1780), Mably (1709-1785) e Marmontel (1723-1799).

Al di fuori delle contese filosofiche rimase Buffon (1707-1788), che si consacrò interamente alla redazione della Storia naturale. Ciò che accomuna tutti questi autori, al di là dell'originalità dei singoli, è la fiducia nella ragione e nei suoi lumi, onde il nome di “Illuminismo” dato a questa corrente di pensiero e al periodo stesso. Ma anche l'impero della ragione trovò oppositori nei sostenitori della sensibilità. Tale tendenza, apparsa già nel moralista Vauvenargues (1715-1747), si manifestò più decisamente in JeanJacques Rousseau (1712-1778). “Filosofo contro i filosofi”, Rousseau sosteneva nel Contratto sociale (1762) e nell'Emilio (1762) che i progressi della civiltà hanno corrotto la bontà naturale dell'uomo.

I movimenti d'idee esercitarono un influsso profondo sull'evoluzione dei generi letterari. Il romanzo diventò un genere di prima importanza con il Gil Blas (1715-1735) di Lesage, potente satira dei costumi, e Manon Lescaut (1731) dell'abate Prévost (1697-1763), con il quale i diritti del sentimento e della passione entrarono di prepotenza nella letteratura. La nuova Eloisa (1761) di Rousseau consacrò definitivamente la fortuna del genere. Le imitazioni si moltiplicarono: Paolo e Virginia (1787) di Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814), i romanzi di Restif de La Bretonne (1734-1806) e i Legami pericolosi di Choderlos de Laclos (1741-1803), che hanno, nei confronti degli altri, il merito della chiarezza e del vigore. Nel teatro si prolungò la tradizione classica di Molière con Destouches (1680-1754); Marivaux (1688-1763) introdusse le sottigliezze del gioco psicologico (Il gioco dell'amore e del caso, 1730); il sentimentalismo trovò libero sfogo nelle commedie larmoyantes di Nivelle de La Chaussée (1692-1754). Voltaire riprese la tradizione della tragedia classica, Diderot creò il “dramma borghese”, e Michel-Jean Sedaine (1719-1797) iniziò il genere della “commedia seria”. Beaumarchais (1732-1799) non si distaccò di molto dall'esempio di Molière (Il barbiere di Siviglia, 1775), se non per il fatto che alla vivacità comica accompagnò acute critiche della situazione sociale (Il matrimonio di Figaro, 1784). Negli ultimissimi anni del secolo Pixérécourt (1773-1844) iniziò il genere del melodramma, destinato a divenire assai popolare nel xix sec.

Per tutto il corso del secolo anche la poesia lirica continuò a essere coltivata, ma, se si eccettuano le Odi di Jean-Baptiste Rousseau (1671-1741), non si ebbero che poesie di circostanza e liriche galanti. Alla vigilia della Rivoluzione si levò la voce di André Chénier (1762-1794), che seppe fondere l'ideale classico della bellezza e il calore entusiastico delle idee nuove.

È innegabile che le discussioni dei philosophes abbiano contribuito non poco a creare lo stato d'animo che trovò nella Rivoluzione il suo sfogo naturale. D'altro canto è certo che la letteratura del xviii sec. conteneva già in sé i germi del successivo rinnovamento romantico. Durante il periodo rivoluzionario la letteratura propriamente detta non diede opere di rilievo; tuttavia con i discorsi di Mirabeau, Danton, Vergniaud, Saint-Just e Robespierre ebbe inizio l'eloquenza moderna, mentre sulle pagine dei giornali combattevano le prime battaglie vigorosi pubblicisti, come Chamfort (1740-1794) e Rivarol (1753-1801).

Alcuni scrittori emigrati durante la Rivoluzione rientrarono in Francia dopo il 1800, arricchiti nelle loro esperienze letterarie dai contatti con gli scrittori stranieri. A questo gruppo appartengono Joseph de Maistre (1753-1821), Senancour (1770-1846), Benjamin Constant (1767-1830) e soprattutto Madame de Staël (1766-1817), discepola di Rousseau e prima interprete del Romanticismo. Chateaubriand (1768-1848), pubblicando nel 1802 Renato, contribuì a creare il modello dell'eroe romantico, così come tutta l'opera sua definiva i grandi temi della nuova sensibilità.

Si fa iniziare la storia della poesia romantica dalla pubblicazione (1820) delle Meditazioni poetiche di Lamartine (1790-1869), nelle quali gli slanci lirici si fondono con i principi di una filosofia idealistica, mentre il romanticismo di Alfred de Vigny (1797-1863) si esprime in simboli di amaro pessimismo. Il vero caposcuola del nuovo movimento è tuttavia Victor Hugo (1802-1885), che dal 1829 al 1840 pubblicò cinque raccolte poetiche di ispirazione straordinariamente ricca. Alfred de Musset (1810-1857) fu il più appassionato dei romantici, anche se si prese gioco del loro sentimentalismo, e romantici furono Théophile Gautier (1811-1872) e Gérard de Nerval (1808-1855): Gautier anticipatore dei parnassiani per il suo culto della forma perfetta, e Nerval, con il suo limpido simbolismo, annunciatore della poesia di Baudelaire e di Mallarmé.

Il soffio della poesia romantica investì anche il teatro rompendo tutte le tradizioni: nella prefazione al Cromwell (1827), Hugo dava una definizione del dramma romantico, contrapponendolo alla tragedia classica. La rappresentazione di Ernani, nel 1830, segnò il trionfo della nuova scuola, nel cui ambito, tuttavia, ogni scrittore conservò la propria originalità: Musset trovò la sua forma nel dramma storico (Lorenzaccio, 1834) e nella commedia drammatica (I capricci di Marianna, 1833); Vigny espresse nei suoi drammi lo stesso sentimento di delusione che si ritrova nelle sue liriche.

Il Romanticismo arricchì anche la forma del romanzo, che ebbe interpretazioni e orientamenti molteplici. Musset confidò al romanzo le sue emozioni personali, mentre George Sand (1804-1876) vi effuse i suoi ideali sentimentali e umanitari; Alexandre Dumas padre (1802- 1870) raggiunse una popolarità immensa con i romanzi d'appendice, a sfondo storico; Honoré de Balzac (1799-1850), pur non estraneo all'influsso del Romanticismo, fu soprattutto il creatore del realismo moderno, e fece rivivere la società francese dell'inizio del xix sec. nel suo immenso ciclo della Commedia umana. Quanto a Stendhal (1783-1842), conoscitore perfetto, a un tempo lucido e appassionato, dell'animo umano, la sua grandezza e la sua opera stessa sono state capite e apprezzate appieno solo nel xx sec. Il nome di Prosper Mérimée (1803-1870) è soprattutto legato a brevi racconti (Colomba, 1840; Carmen, 1845).

Negli altri campi della letteratura sono da ricordare gli scritti polemici di Paul-Louis Courier (1772-1825), propagandista dell'idea liberale; né va dimenticato che il Romanticismo rinnovò profondamente gli studi storici specialmente per merito di Augustin Thierry (1795-1856), Michelet (1798-1874), Guizot (1787-1874) e Tocqueville (1805-1859). Un uguale rinnovamento si manifestò, per opera di Sainte-Beuve (1804-1869), nella critica letteraria. Gli scritti di Lamennais (1782-1854) e Lacordaire (1802- 1861), infine, rivelano l'influsso profondo esercitato dal Romanticismo anche sulle coscienze cattoliche.

Lo  scacco politico della rivoluzione del 1848 favorì la reazione contro il Romanticismo, che pareva identificarsi con il liberalismo. I maestri di pensiero della nuova generazione furono Ernest Renan (1823-1892) e Hippolyte Taine (1828-1893). Mentre Victor Hugo, dall'esilio, componeva le sue opere poetiche più vigorose (I castighi, 1853; Le contemplazioni, 1856), si imponeva un nuovo ideale di poesia impersonale: Leconte de Lisle (1818-1894) fu l'ispiratore della scuola parnassiana cui appartennero Théodore de Banville (1823-1891), Sully Prudhomme (1839-1907), François Coppée (1842-1908) e José Maria de Heredia (1842-1905). Ma il grande poeta del periodo fu Charles Baudelaire (1821-1867), che con i Fiori del male (1857) operò un vero rinnovamento della poesia lirica approfondendo l'universo poetico ereditato dal Romanticismo. Dopo di lui, Arthur Rimbaud (1854-1891) e Paul Verlaine (1844-1896) cercarono una nuova liberazione nell'ispirazione poetica e nella tecnica metrica, aprendo la strada alla poesia moderna.

Dopo Balzac, la tecnica del romanzo realista venne elaborata da Jules Champfleury (1821-1889) e toccò i più alti traguardi con l'opera di Flaubert (1821-1880). E mentre gli ideali umanitari e sociali del Romanticismo trovavano nuova espressione nei Miserabili di Hugo (1862), Edmond de Goncourt (1822-1896) e suo fratello Jules (1830-1870) aprirono con i loro romanzi la strada al naturalismo. Un poco appartati, ma elementi anch'essi di un quadro molto complesso, sono Dominique (1863), di Eugène Fromentin (1820-1876), romanzo d'analisi psicologica, classicamente controllata, e i romanzi e racconti (Il cavaliere Des Touches, 1864) di Barbey d'Aurevilly (1808-1889), d'ispirazione fantastica e simbolica.

Nel teatro si registra una decisa reazione contro i grandi drammi romantici. Emile Augier (1820-1889) e Alexandre Dumas figlio (1824- 1895) scrissero “drammi a tesi”. Grazie all'opera di Meilhac (1831- 1897), di Ludovic Halévy (1834-1908) e di Eugène Labiche (1815-1888) e al diffondersi di forme nuove, come l'operetta, la commedia leggera e il vaudeville, nacque ed ebbe grande fortuna il teatro del Boulevard.

Alla  fine del secolo si affermarono due opposte correnti di pensiero: il @19Naturalismo#518766Z2ZZZ@*19 che si proponeva di applicare alla letteratura il preciso rigore del procedimento scientifico, e lo spiritualismo, movimento di reazione, che trovava un appoggio nella filosofia di Bergson (1859-1941). Fra i romanzieri, Emile Zola (1840-1902), caposcuola del naturalismo e autore di un affresco potente della società contemporanea nei venti volumi dei Rougon-Macquart (1871-1893); Guy de Maupassant (1850-1893), autore dei lucidi e perfetti Racconti, nei quali al realismo si aggiungono via via interessi umani e psicologici. Questa fusione di commozione e di realismo è ancora più evidente nelle opere di Alphonse Daudet (1840-1897). Jules Renard (1864-1910) rimase fedele ai principi del realismo, ma un altro romanziere, Joris-Karl Huysmans (1848-1907) abbandonò il naturalismo iniziale per esprimere un suo personale misticismo cristiano. Altri, invece, si posero fin dall'inizio in polemica con il naturalismo tornando al romanzo d'analisi: Paul Bourget (1852-1935), Pierre Loti (1850-1923), Maurice Barrès (1862-1923). Una posizione a parte occupa Anatole France (1844- 1924), che, con eleganza e scetticismo, fece rivivere lo spirito volteriano.

Il rinnovamento poetico intrapreso da Baudelaire, Rimbaud e Verlaine trovò ulteriore approfondimento nella ricerca di assoluto poetico di Mallarmé (1842-1898), la cui influenza si estende fino ai giorni nostri. Ma accanto a questa figura di primo piano si colloca tutto il movimento simbolista e decadente, peraltro composto da autori dalle personalità ben distinte: Gustave Kahn (1859-1936), Francis Jammes (1868-1938), Paul Fort (1872-1960); gli esponenti della tendenza neoclassica dell'Ecole romane come Jean Moréas (1856- 1910) e Henri de Régnier (1864-1936); i poeti del Nord: Albert Samain (1858-1900); Georges Rodenbach (1855-1898) ed Emile Verhaeren (1855- 1916), che pur essendo belgi appartengono alla cultura francese contemporanea.

Nel teatro si manifestarono analoghe tendenze: il naturalismo è rappresentato da Henri Becque (1837-1899) e Octave Mirbeau (1848-1917); il simbolismo dal belga Maurice Maeterlinck (1862-1949) e, in parte, da Alfred Jarry (1873-1907), il cui umorismo stravagante si colloca però al di fuori di ogni tradizione e fa di lui uno dei precursori del surrealismo. Non mancarono i rappresentanti del teatro d'idee e del teatro psicologico, ma il pubblico tributò i massimi successi ai drammi e alle commedie di Victorien Sardou (1831-1908), alle commedie di Georges Courteline (1858-1929), ai drammi eroici in versi di Edmond Rostand (1868- 1918).

IL XX SECOLO

Se  l'inizio del secolo vide prosperare ancora la generazione letteraria di Barrès e Bourget, in piena evoluzione nazionalistica, di Loti, di Anatole France, vide anche l'insorgere di nuove tendenze, alcune delle quali operanti per tutto il periodo tra le due guerre: accanto al nazionalismo, l'internazionalismo e il socialismo, con Jean Jaurès (1859-1914), Romain Rolland (1866-1944), autore tra l'altro del primo romanzo- fiume Jean-Christophe, e Charles Péguy (1873-1914), il massimo esponente dello spiritualismo cattolico, caratteristico di un'epoca nella quale si colloca anche l'idealismo romantico di Alain-Fournier (1886-1914). Un posto a parte merita l'opera poetica di Paul Claudel (1868-1955), partecipe della rinascita cattolica, ma di significato più vasto e complesso. Gli annunci di una nuova rivoluzione furono diffusi da Guillaume Apollinaire (1880-1918), banditore del cubismo artistico e letterario.

Il  primo dopoguerra rimase legato al periodo precedente più di quanto la lunga interruzione della guerra non lasci pensare, anche per la profonda influenza che il filosofo Bergson aveva esercitato e continuava a esercitare sugli scrittori: su Marcel Proust (1871- 1922), artefice di un rinnovamento nella tecnica e nel contenuto del romanzo; su André Gide (1869-1951), il personaggio forse più seguito dai giovani, teorico dell'anticonformismo e fautore di un ritorno al rigore classico della prosa, nonché animatore della rivista che più di ogni altra ha rappresentato la cultura dell'epoca, La Nouvelle Revue française. Analogamente, Paul Valéry (1871-1945) perseguì un ritorno al razionalismo classico nei saggi e nella poesia, in cui trovò nuova forma il rigore assoluto di Mallarmé. Al periodo precedente si riallacciano anche i romanzi di Colette (1873-1954), che portò in una narrativa di stampo naturalistico le note d'un personale lirismo. Il romanzo annovera ancora i nomi di Raymond Radiguet (1903-1923), di Roger Martin du Gard (1881-1958), Georges Duhamel (1884-1966), Jules Romains (1885-1972), autori questi ultimi di vasti romanzi ciclici. I problemi psicologici, alla luce di un tormentato sentimento religioso, accomunano Georges Bernanos (1888- 1948), François Mauriac (1885-1970) e Julien Green (n. 1900). Il cosmopolitismo, altra caratteristica del periodo, ha trovato due validi rappresentanti in Valery Larbaud (1881-1957) e Blaise Cendrars (1887-1961). Molti scrittori difficilmente rientrano in correnti anche vagamente definibili: Jean Giono (1895-1970), André Maurois (1885-1967), critico e saggista, oltre che romanziere, André Malraux (1901-1976), fino a un certo momento rappresentante di un umanesimo eroico, abbastanza vicino a quello di Antoine de Saint-Exupéry (1900- 1944), che attraverso i progressi tecnici esalta i valori spirituali.

La poesia del Novecento è passata attraverso l'esplosione dadaista (1916), il cui principale esponente fu Tristan Tzara (1896-1963), e poi surrealista (1924), con André Breton (1896- 1966), impegnati entrambi a liberarla dagli ultimi impacci retorici. Al di fuori del surrealismo vero e proprio hanno dato la piena misura delle loro possibilità Louis Aragon (1897-1982), romanziere oltre che poeta, Paul Eluard (1895-1952), Jacques Prévert (1900-1977), Antonin Artaud (1896-1948), teorico del Teatro della crudeltà, cui si sono ispirati i drammaturghi d'avanguardia degli ultimi anni, René Char (1907-1988). Altri poeti hanno percorso strade indipendenti, anche se spesso vicine a quelle del surrealismo, come Jules Supervielle (1884- 1960), Saint-John Perse (1887-1975), Pierre Reverdy (1889-1960), e ancora Henri Michaux (1899-1984) e Francis Ponge (1899-1988), poeta in prosa che ha avuto influenza soprattutto sulle nuove generazioni di romanzieri.

Per il teatro, i nomi dei registi e degli interpreti contano quanto e, spesso, più di quelli degli autori: Jacques Copeau (1879-1949), Charles Dullin (1885-1949), Louis Jouvet (1887-1951), Gaston Baty (1885-1952), Georges Pitoëff (1884-1939) e, dopo la seconda guerra mondiale, Jean-Louis Barrault (n. 1910) e Jean Vilar (1912-1971). I maggiori successi hanno coronato l'opera elegante e leggera di Jean Giraudoux (1882-1944), di Armand Salacrou (n. 1899), del versatile Jean Cocteau (1889-1963), di Marcel Pagnol (1895-1974) e ancora di Claudel (benché risalente a un periodo precedente), di Montherlant (1896-1972), di Jean Anouilh (1910-1987), nonché di autori più leggeri, quali Sacha Guitry (1885-1957) e Marcel Achard (1899-1974).

Il secondo dopoguerra ha visto dapprima la diffusione, nel pensiero, nella letteratura e anche nel costume, delle teorie dell'esistenzialismo, che ha tra i suoi principali esponenti Jean-Paul Sartre (1905-1980), filosofo, saggista, romanziere e drammaturgo, al quale abitualmente si contrappone Albert Camus (1913-1960) che, partendo dall'assurdo, è passato alla concezione di un esistenzialismo umanistico e alla difesa della libertà dell'uomo.

Nel teatro figurano tra gli innovatori Samuel Beckett (n. 1906), Eugène Ionesco (n. 1912), Arthur Adamov (1908- 1970), Jean Genet (1910-1986), che tendono, nella loro opera, alla rottura di tutti gli schemi tecnici e morali prestabiliti.

L'eccezionale  divulgazione avuta dall'esistenzialismo nel dopoguerra ha posto parzialmente in ombra i veri maestri del secondo Novecento, gli autentici padri della modernità: Georges Bataille (1897-1962), l'arduo pensatore delle esperienze “sovrane”, estreme della vita (erotismo, angoscia, violenza), in cui l'affermazione della trasgressione dei tabù approda continuamente a una forma di negazione, riducendo la stessa espressione letteraria a traccia della morte; Henri Michaux (1899-1984), l'investigatore delle frammentazioni dell'essere, degli spazi ombrosi dell'inconscio e della “visione allucinogena”; Michel Leiris (n. 1901), che affronta con strumenti nuovi (etnografia, psicanalisi, linguistica) la ricerca autobiografica; Maurice Blanchot (n. 1907), il romanziere e il critico di una ripetuta, ossessiva meditazione dei rapporti fra essere e parola; il già ricordato Samuel Beckett, la cui esperienza letteraria appartiene ormai totalmente alla Francia, che nelle sue sperimentazioni teatrali e narrative riprende e continua la disgregazione della coscienza e del reale operata da Joyce, riducendo sempre più il personaggio alla labilità di una “voce” che si pone a un tempo come espressione elementare del vivere e sfigurato esorcismo del nulla. All'ombra di tali esperienze esemplari, reagendo a una sopravvivenza delle forme narrative tradizionali, e parallelamente all'attività di un certo numero di romanzieri variamente originali, fra cui si ricordano Raymond Queneau (1903-1976), Boris Vian (1920- 1959), Julien Gracq (n. 1910), A. Pieyre de Mandiargues (n. 1909), Pierre Klossowski (n. 1905), Jean Cayrol (n. 1911) e Marguerite Duras (n. 1914), s'impone fra gli anni Cinquanta e Sessanta il nouveau roman che continua, anche negli anni successivi, a dare nuove prove di sé. Più che di gruppo o di scuola, si tratta di convergenza di vedute circa la liquidazione dei costituenti del romanzo tradizionale (personaggio, trama, ambiente), della funzione onnisciente del narratore e di un certo antropocentrismo umanistico: sia che Nathalie Sarraute (n. 1902) esplori il mondo delle sensazioni allo stato nascente, sia che Claude Simon (n. 1913) si ispiri alla tecnica cinematografica nel montaggio di un testo che pare non avere mai inizio e mai fine, sia che Alain Robbe-Grillet (n. 1922) tenti di tradurre in forme “geometriche” i dati di una realtà che l'uomo non può comprendere, ma semplicemente “misurare”, o che Michel Butor (n. 1926) concepisca il romanzo come ricerca del senso in continuo divenire, tutti, coerentemente, contribuiscono a una radicale rimessa in questione del discorso narrativo e delle forme letterarie in generale. Il fenomeno si fa ancor più evidente negli sperimentalismi di Claude Ollier (n. 1922) e di Robert Pinget (n. 1919) e specialmente negli animatori della rivista Tel Quel (fondata nel 1960), quali Philippe Sollers (n. 1936), Jean Thibaudeau e Julia Kristeva (cui vanno aggiunti i nomi di Jean-Louis Baudry, Marcelin Pleynet, Pierre Rottenberg e Jacqueline Risset), interessati soprattutto a sperimentazioni di linguaggio, mentre a Change, fondata nel 1968, fanno capo Jean-Pierre Faye e soprattutto Roland Barthes (1915-1980), considerato il maggior esponente della nuova critica di orientamento strutturalista, la cui opera è fondamentalmente critica nei suoi tentativi di dare risalto a nuovi spazi per la narrativa. Un tale sovvertimento degli schemi letterari va collegato a quella vera e propria rivoluzione epistemologica, emersa, a partire dagli anni Sessanta, dall'attività, di risonanza internazionale, di etnologi come Lévi-Strauss (n. 1908; Antropologia strutturale, 1958; Il pensiero selvaggio, 1962), di filosofi come Michel Foucault (1926-1984; Storia della follia, 1961; Le parole e le cose, un'archeologia delle scienze umane, 1963) e Jacques Derrida (n. 1908; Grammatologia, 1967; La scrittura e la differenza, 1967; La disseminazione, 1972), di psicanalisti come Jacques Lacan (Scritti, 1966), indicati quali fondatori dello “strutturalismo”. Linguistica, psicoanalisi, etnologia, ormai strettamente collegate alla pratica letteraria contemporanea, rovesciano il primato del soggetto cosciente e raziocinante, considerandolo come decentrato, sottoposto a leggi che gli sfuggono, effetto di linguaggio, non suo produttore. Sotto l'influsso della psicoanalisi da una parte, e della novità riscontrabile nelle pratiche di linguaggio delle scrittrici donne, sorrette anche dal fenomeno del nuovo femminismo negli anni Settanta, si sono moltiplicate le ricerche narrative sui temi dell'identità, dell'infanzia, della frustrazione, della follia, dell'amore, della memoria. Il rinnovamento della ricerca storica nel senso della microstoria, della storia orale, della storia delle mentalità, e l'ondata di successo che ha accompagnato l'opera di Foucault hanno prodotto i loro effetti sulla narrativa: gli esempi di queste forme nuove basate sul trattamento metà “romanzesco” metà saggistico di documenti di archivio, di testimonianze, sono numerosi. Dalla storia delle donne alla follia, alla criminalità, al sesso, alle passioni, alla quotidianità, tutto è diventato materia di affabulazione. Un'altra tendenza è quella di rivisitare la letteratura del passato, personaggi, opere, atmosfere, in forme miste tra l'erudizione e il racconto, come L'insuccesso della festa di Florence Delay.

La critica letteraria — tematica o esistenziale con Poulet, Richard e Starobinski; formalista con il già citato Barthes, Genette, Todorov; sociologica con le varie posizioni di Caillois, Escarpit, Goldmann, Girard, Macherey — si segnala non tanto per la novità dei metodi quanto soprattutto per una totalità e profondità di discorso che tende a far cadere le tradizionali barriere tra riflessione critica e opera di creazione.

Quanto alla poesia, l'altezza della parola di Yves Bonnefoy (n. 1923) sembra offuscare altre esperienze, altre ricerche: affini, come in Jean Grosjean (n. 1912), in Jean-Claude Renard (n. 1922) e, anche, in André du Bouchet (n. 1924), o diverse, come nello sperimentalismo dei poeti di Tel Quel (Denis Roche, fra gli altri) o in quella riflessione sul linguaggio che è la poesia di Michel Deguy (n. 1930) e di Jacques Garelli; mentre ancora più appartata appare l'opera di Jacques Roubaud, caratterizzata dall'“atomizzazione” del linguaggio poetico.

Il teatro, dopo la svolta imposta in vari modi e misure da Beckett, Adamov, Genet e Ionesco sulla cui linea operano Jean Vauthier (n. 1910), Jean Tardieu (n. 1903), René de Obaldia (n. 1918), Roland Dubillard (n. 1923), sembra diviso fra il ricupero di Brecht e del teatro di intervento politico, da un lato, e quello di Artaud, dall'altro, su cui s'innestano le suggestioni di Jerzy Grotowski e del Living Theatre, teso a istituirsi come “teatro-panico” (rappresentato da Fernando Arrabal [n. 1933]), incentrato sulla prevalenza della gestualità e della fisicità rispetto all'espressione verbale.

Negli  anni Ottanta si registrano i fermenti di nuove ricerche, mentre ci si chiede se la nouvelle critique abbia conservato tutta la sua forza sovversiva, sia sul piano teorico sia nel determinare indirizzi; se si possa ancora parlare di nouveau roman; e quali siano le tendenze della più recente produzione letteraria. Per quanto concerne la critica si deve constatare una caduta di tensione nella polemica tra sostenitori di opposti indirizzi. L'apparizione de I moderni (1984) di J. P. Aron, in cui si denunciano gli intellettuali francesi come responsabili di aver soffocato la creatività attraverso l'astrattezza del pensiero critico, non ha provocato reazioni di rilievo. P. Sollers è ora uno dei sostenitori dell'indirizzo assunto dalla rivista L'infini, che dal 1983 ha sostituito la scomparsa Tel Quel. Nell'Infini si torna a parlare di soggetto, di invenzione, di immaginazione, senza tuttavia far mostra di voler tagliare i ponti con il passato. Un altro famoso formalista, il già ricordato Todorov, nato in Bulgaria, ma attivo in Francia, ha pubblicato nel 1984 La critica della critica, in cui rivede le sue posizioni precedenti e propone una ricerca dei valori umani e della verità attraverso il dialogo con l'autore e con l'opera. Risulta sempre di grande interesse l'indagine di J.-P. Richard (n. 1922) fondata su premesse formaliste arricchite di apporti psicoanalitici (Pagine- Paesaggi, 1984) e quella di G. Genette (n. 1930) che in Palinsesti (1982) ha affrontato l'attualissimo problema della “parodia” e della “riscrittura” nella letteratura classica e contemporanea. Di nouveau roman si parla tuttora, ma in maniera sempre meno convincente. N. Sarraute, A. Robbe-Grillet, M. Butor, C. Simon non hanno più l'esclusiva del “nuovo”; il campo della sperimentazione, infatti, si è da tempo allargato e soprattutto la narrativa più recente, in accordo con i repensamenti della critica a cui abbiamo fatto cenno, rivela l'esigenza di tornare alla “leggibilità” e di recuperare la nozione di “autore”, già radicalmente contestata.

Accanto alle ricerche e sperimentazioni, testimoniate da Jean-Marie Le Clézio (n. 1940), che affascinato dal mito di luoghi lontani e diversi cerca un linguaggio che sia simile a quello della natura, da Maurice Roche (n. 1925), da Georges Perec (1936-1982), che cerca il gioco letterario come sola risposta ai problemi dell'esistenza, la scrittura femminista apre di nuovo il romanzo alla realtà sociale attraverso il “massimo di soggettività” con H. Cixous (n. 1937), G. Serreau (1915-1981), L. Finas (n. 1921), M. Cardinal (n. 1929), Annie Ernaux (premio Renaudot 1984 per Il posto), le quali hanno voluto fare della loro opera un mezzo per esprimere i problemi della donna, oltre che i propri, e dare una polemica visione del mondo “al femminile”.

Tra gli scrittori più giovani ricordiamo: W. Prévost (n. 1956), G. O. Chateaureynaud (n.1947), P. Grainville (n. 1947), F. Rivière (n. 1949), J. D'Ormesson che ha recentemente pubblicato Il romanzo dell'ebreo errante (1992) e La dogana di mare (1994), J. Echenoz che con Noi tre (1994)ha sfruttatto l'eccesso di normalità per far scattare un meccanismo de-regolante, J. Roubaud che in La Boucle (1993) ha raccontato i suoi ricordi d'infanzia inventando un nuovo linguaggio con l'ausilio del computer e, in particolare, per i loro stretti legami con l'Italia, B. Visage (n. 1952), autore di Tutti soli, premio Femina 1984, ambientato a Catania,  J. N. Schifano (Cronache napoletane, 1984).

Nell'ultimo decennio si è assistito, sotto l'egida dell'assegnazione del premio Nobel a C. Simon (1985), a una liquidazione delle ideologie del ventennio precedente insieme con un notevole sviluppo della produzione saggistica: in campo filosofico con E. Levinas (Fra noi: saggi sul pensare-all'altro, 1991), e G. Deleuze (Cos'è la filosofia, 1991) e in campo politico-sociale con Politica dell'amiciziae Forza della legge (1994) di J. Derrida. Alla riflessione sull'arte ha invitato C. Lévi-Strauss con Guardare, ascoltare, leggere (1993) in cui evoca Poussin, Chardin, Ravel, Rimbaud e Diderot esponendo nel contempo il suo pensiero. Particolare è stato, negli ultimi anni, l'interesse per la memorialistica e l'autobiografia testimoniati fra gli altri dallo storico Georges Duby, autore, in collaborazione con M. Perrault, della monumentale Storia delle donne in Occidente (1991) oltreché del lavoro autobiografico Storia continua (1992); da Lo specchio che ritorna (1985) di A. Robbe-Grillet e Angelica o l'incanto(1988); da Ph. Sollers, con Ritratto di un giocatore (1985); da M. Yourcenar con il terzo volume del ciclo autobiografico Il labirinto del mondo, Che cos'è l'eternità? (1988) e, infine, da R. Queneau che con il suo Diario 1938-1940, (1986) risponde alla medesima attitudine spirituale ormai diffusa. Nel 1994 è avvenuta anche la pubblicazione di un incompiuto romanzo di Camus, a trentaquattro anni dalla sua morte: Il primo uomo che, annoverando noti temi, fondamentali nell'ispirazione dello scrittore: l'Algeria, la figura materna l'ingiustizia, l'assurdo, il piacere, rivela per la prima e unica volta le inconsolabili ferite dell'infanzia di Camus stesso.

Nella poesia si possono individuare alcune voci nuove, che subiscono l'influenza di un linguaggio venuto dagli Stati Uniti ed esprimono, in modo diretto, brutale, provocatorio, la violenza del quotidiano, ma i nomi (D. Biga, F. Venaile, L. Francoeur, P. Delbourg) sono ancora poco noti. M. Butor conferma che una delle aspirazioni della poesia contemporanea, dopo Ponge e Michaux, è proprio la “volontà di prosa”, da lui perseguita nella serie delle Illustrazioni e riscontrabile anche in J. Réda (n. 1929). Nasce così in molti quel “desiderio del libro” che abbiamo notato nei poeti più illustri, e pur seguendo criteri diversi, in questa direzione si muovono J. Sacré (n. 1939), E. Jabès (n. 1912) ed E. Guillevic (n. 1907). J. Roubaud (n. 1932) sembra accogliere in sé tutte le tendenze che attraversano il campo della poesia e in particolare quella che porta a costruire l'opera come un grande collage di citazioni: ciò riconduce alla caratteristica più rilevante della letteratura odierna, quella dello scrittore-lettore, rivolto alla “parodia”, convinto più di poter “riscrivere” che di creare. Testi sparsi, e talvolta già pubblicati, sono raccolti nei tre volumi dal titolo Nuova, nuova raccolta di F. Ponge (1992), mentre è l'amore a ispirare le raccolte di taluni giovani poeti quali J. Risset (Amor di lontano, 1992) e J. Ristat (Il parlamento d'amore, 1994). Sono da menzionare, inoltre, G. E. Clancier (A piena voce, 1992), J. L. Chrétien, (Fra le acque violente, 1993) e André du Bouchet (Materia dell'interlocutore, 1992)

Negli anni Novanta, infine, si ricorda il romanziere Daniel Pennac, che con l'invenzione di un personaggio -  Benjamin Malaussène, - dalla strana e fantasiosa famiglia, spaccato grottesco e realistico del quartiere parigino di Belleville, ha avuto un enorme successo nazionale e internazionale. Il ciclo iniziato con Il paradiso degli orchi(1985) è proseguito con La fata Carabina (1987), a cui hanno fatto seguito La prosivendola (1989) e Il signor Malaussène (1995).

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