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La societa' italiana e' ormai multietnica. la diversita' e' una ricchezza o e' un problema?




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LA SOCIETA' ITALIANA E' ORMAI MULTIETNICA. LA DIVERSITA' E' UNA RICCHEZZA O E' UN PROBLEMA?



Da diversi anni ormai veniamo costantemente aggiornati dai mass media riguardo all'immigrazione degli extracomunitari in Italia, con tutti i casi di clandestini, trasbordati fin alle coste italiane da scafisti e altri traghettatori di dubbia onestà. Gli avvenimenti descritti hanno sempre un tono velatamente drammatico, quasi gli immigrati - clandestini e non - costituissero una minaccia; il problema dell'accoglienza di costoro sicuramente esiste e questo minaccia la struttura organizzativa italiana, così come spesso è drammatico, ma per gli immigrati stessi, il viaggio che li conduce ai nostri litorali.

Oltre a questo però bisogna pensare all'integrazione di questi stranieri in Italia, ad introdurli al mondo del lavoro, a garantire loro una condizione non precaria nella società nostrana. Poiché questo processo, seppur a rilento e con certi limiti, si sta verificando, l'Italia si può definire una società multietnica, e si trova quindi di fronte alla diversità: questo elemento si può considerare come un fattore positivo, un vantaggio che l'Italia può sfruttare, oppure costituisce un problema che l'Italia deve fronteggiare e proporsi di risolvere?

Nell'ambito europeo l'Italia è sicuramente favorita geograficamente, sia per la sua posizione che è più a sud est di tutti gli altri paesi "ricchi" d'Europa, sia per la sua conformazione, che fa della maggioranza dei confini italiani un facile approdo per tutti gli altri paesi che hanno uno sbocco sul mediterraneo; nonostante questo la Penisola annovera molti meno immigrati rispetto agli altri membri della CEE, in cui gli extracomunitari spesso provengono dalle ex colonie (si pensi alla Francia, destinazione preferita dai maghrebini anche per motivi linguistici). Queste premesse porterebbero a pensare che sia improbabile che la "diversità" in Italia possa essere vissuta come un problema da qualcuno, ma forse proprio perché meno avvezzi alla convivenza, rispetto ai "colleghi" d'Europa, con un grande numero d'immigrati, e forse anche per il fatto che l'Italia ha la fama di essere un enorme approdo, si apre un dibattito sul diverso modo di interpretare la "diversità".

Grazie ai documenti esposti, possiamo esaminare il periodo 1992-1997, che ha visto una costante crescita dei permessi di soggiorno, specialmente dal 1993, e un conseguente incremento delle iscrizioni in anagrafe di stranieri. Esaminando la tabella 1 notiamo però che c'è uno scarto fra i due valori, che si è mantenuto costante al crescere dei due parametri.

Leggendo accuratamente la tabella 2 si può notare che, sebbene l'Italia ospiti stranieri con permesso di soggiorno da tutto il mondo, dal 1992 al 1997 cinque sono i paesi che hanno fatto registrare la più grande crescita di afflusso di loro abitanti in Italia: in ordine sono il Perù, la Romania, l'ex-Jugoslavia, l'Albania e la Cina. La collocazione di geografica di questi paesi, ad eccezione del Perù, è ad Est del nostro paese. Questo dimostra che sono soprattutto le nazioni della penisola balcanica (ne troviamo ben 3 fra i primi 5) il punto di partenza delle più significative ondate di immigrati verificatesi ultimamente. Ora se contestualizziamo il dato vediamo che nel periodo considerato quest'area geografica è stata sconvolta da una guerra (quella che appunto ha sancito la fine della nazione unitaria "Jugoslavia"), che ha causato profughi e perseguitati politici, che vanno ad aggiungersi al normale flusso migratorio di una zona economicamente debole (ad esempio la confinante Albania). La tabella inoltre pone ai primi posti per comunità esistenti in Italia al 1997 tunisini e specialmente marocchini, nettamente primi con oltre centoquindicimila unità; si può quindi dedurre che il flusso migratorio verso l'Italia è iniziato da molto tempo in Marocco e in Tunisia, visti i più modesti aumenti di immigrati dal 1992 al 1997 di questi due paesi nordafricani rispetto a quelli balcanici.

Analizzando la situazione occupazionale degli extracomunitari grazie alla tabella 3, osserviamo che circa la metà dei quelli iscritti al collocamento è riuscita a trovare un lavoro e sebbene il numero delle presenze sia sempre cresciuto dal 1993 al 1997 il rapporto si è mantenuto costante: il nostro stato ha retto all'incremento delle presenze e i posti di lavoro per almeno la metà degli extracomunitari si è reperito. Da ciò si deduce che non abbiamo avuto un'ondata di disoccupati, che poi vengono spesso coinvolti dalla malavita locale, ma progressivamente si sono prese le misure per riuscire a indirizzare nel mondo del lavoro il maggior numero possibile.

Logicamente, anche nelle scuole italiane, come da tabella 4, si sta registrando un aumento di alunni stranieri: questo dato è indicativo dell'integrazione delle comunità straniere nella società italiana; i dati della crescita degli alunni extracomunitari (sono saliti dall'a.s. 1994-95) si riferiscono a qualche anno dopo l'arrivo massiccio di immigrati (1992-1993), poiché si tratta magari di famiglie che hanno raggiunto un loro parente che aveva conquistato un posto di lavoro.

Martin Buber, nelle poche righe riportate nel documento 5, fa un "elogio della diversità", basandosi sul fatto che le caratteristiche che differenziano gli uomini tra loro esistono per natura, e quindi non possono che essere positive, anzi egli le definisce come una risorsa.

Antiseri ricorda, nel documento 6, che la libertà si può raggiungere e mantenere solo guardandosi dalle degenerazioni che la diversità, in una società multietnica, può causare, come ad esempio l'intolleranza.

A questo punto, alla luce dei dati che mostrano un'Italia con marcate influenze straniere, qualcuno si chiederà dove vada a finire l'identità nazionale, che si trova in forse in pericolo di fronte a questa sempre più decisa presenza della "diversità". Ma è forse possibile che gli italiani non si sentano più tali solo perché si trovano a convivere con altre realtà culturali (che ovviamente gli immigrati portano con sé)? L'Italia vedrà nascere nuove tradizioni ma non perderà le proprie, anzi nel confronto, nel dibattito, ciascuna cultura potrà dare il proprio apporto al Paese che fruirà anzi di più aspetti senza tuttavia perdere gli originali.

Un altro mito da sfatare è il fatto che gli extracomunitari portino via il lavoro ai rampolli d'Italia: non c'è un maggior numero di persone in concorrenza per un uguale numero di posti di lavoro.  Escludendo il rimarchevole vantaggio che l'Europa unita offre ai giovani comunitari in quanto a mobilità al suo interno, sappiamo, dopo diversi studi in questo senso, che il tipo di lavori svolti dalla stragrande maggioranza degli immigrati appartiene ad una fascia di lavori che la maggior parte degli italiani non è disposta fare.

Inoltre chi pensa che la diversità sia un problema, si preoccuperà nel pensare a tutte le strutture che è necessario fornire agli immigrati, dai centri di accoglienza per fronteggiare i notevolissimi "carichi umani" orami sempre più copiosi, ai luoghi dove gli stranieri possano professare la loro religione; ma l'attuazione di questi servizi in modo efficiente e proficuo non porterà forse ad un miglioramento dei rapporti fra le comunità straniere e quella autoctona, ricavando quindi vantaggi in una prospettiva a più lungo termine?

La diversità è sempre stata fonte di una maggior valore: quello stesso telegiornale che ci propone con un alone di pericolo l'arrivo dell'ennesimo carico di immigrati, non è altrettanto costante nel proporre come modello, o come termine di confronto gli Stati Uniti d'America, a cui spesso associamo l'espressione "crogiolo di culture" ("meltin' pot"). Se poi guardiamo nella storia Europea vediamo che società forti economicamente e stabili socialmente come l'Inghilterra del XVI secolo o l'Olanda del XVII erano la meta dei perseguitati politici e religiosi di altri paesi europei.

La diversità é sicuramente sinonimo di ricchezza, ma bisogna sempre essere vigili affinché non diventi motivo di discordia e di conflitti, come può diventare quando è interpretata ad esempio da fazioni intransigenti ed intolleranti; il rispetto delle differenze, non solo etniche che sono proprio naturali, ma anche culturali, porterà ad una sintesi che sarà sicuramente migliore del punto di partenza. 





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