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La Scuola di Francoforte
Il nucleo originario della Scuola di Francoforte si forma a partire dal 1922 presso l' "Istituto per la ricerca sociale", fondato da Felix Weil [1]e diretto da Karl Grünberg . Aderiranno al gruppo, successivamente, diverse personalità in vista del panorama culturale tedesco di quel periodo. Con l'avvento del nazismo il gruppo francofortese dovette emigrare all'estero, prima a Ginevra, poi a Parigi ed infine a New York. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, alcuni esponenti della Scuola sono rimasti in America, mentre altri hanno fatto ritorno in Germania, ove hanno dato nuovamente vita all' "Istituto per la ricerca sociale", nella cui atmosfera si è formata una nuova generazione di studiosi.
Sul piano filosofico la Scuola di Francoforte è sostanzialmente una teoria critica della società presente, alla luce dell'ideale rivoluzionario di un'umanità futura libera e disalienata, ossia una forma di pensiero negativo proteso a smascherare le contraddizioni profonde dell'esistente. E tutto ciò è da attuarsi attraverso un modello utopico in grado di toccare le coscienze, mutando radicalmente la società.
Gli autori fondamentali cui la scuola si rifà sono Hegel, Marx e Freud: dalla tradizione hegelo-marxista la scuola deriva la tendenza filosofica a impostare un discorso dialettico e totalizzante intorno alla società: si mette in discussione la società globalmente intesa (come sistema), esprimendosi su come dovrebbe essere; da Freud la Scuola deriva gli strumenti analitici per lo studio della personalità e dei meccanismi di 'introiezione' dell'autorità. I concetti di libido e ricerca del piacere, invece, devono essere interpretati come istinti creativi che devono essere liberati dalle imposizioni autoritarie di una società classista.
Tutte le elaborazioni teoriche della scuola devono essere messe in rapporto ai tre fenomeni storici principali dell'epoca: nazifascismo in Europa occidentale (che stimola la problematica dell'autorità e i suoi nessi con la società industriale moderna); stalinismo nella Russia sovietica (visto come l'altra faccia del capitalismo odierno); società moderna tecnologica e opulenta, soprattutto quella americana (di qui gli studi sull'industria culturale). Queste esperienze costituiscono agli occhi dei francofortesi il segno di una crisi socio-economica e teorico-filosofica di portata universale: il fascismo viene considerato come la verità esplicita del capitalismo; il marxismo ufficiale sovietico è l'antitesi del marxismo di Marx ed Engels; il pragmatismo[3] americano ha sostituito il concetto di verità con quelli di probabilità e utilità.
Horkheimer
Uno dei più importanti rappresentati della Scuola di Francoforte fu Max Horkheimer[4]. In un saggio del 1947, pubblicato in America e dal titolo "Eclisse della Ragione", egli operò una distinzione tra una ragione oggettiva ed una ragione soggettiva. La prima è quella dei grandi sistemi filosofici ( Platone, Aristotele, l' Idealismo tedesco), e consiste nella messa in luce di una ragione universale in grado di fungere da sostanza della realtà e da criterio del conoscere e dell'agire. La seconda è quella che si rifiuta di riconoscere uno scopo ultimo dell' agire, ma che si limita soltanto a determinare l'efficienza dei mezzi con cui si agisce. E questa secondo Horkheimer è la ragione della moderna civiltà industriale ( e delle filosofie che la rispecchiano come il neoempirismo ). Questa ragione persegue, come unico scopo, il dominio della natura e degli uomini, risolve la razionalità nella funzionalità (e quindi il sapere nella tecnica, la verità nell'utilità) generando un tipo di uomo asservito alle esigenze produttive. L'unica riflessione in una società di questo tipo è quella tecnica: l'uomo si interroga sui mezzi atti ad estendere il potere dell'industria e del capitalismo. E tutto ciò non fa altro che generare l'onnipotenza dell'uomo sull'altro uomo.
Questi concetti stanno già alla base di "Dialettica dell'illuminismo" del 1947, opera scritta da Horkheimer insieme ad un altro importante esponente della Scuola, Theodor Wisengrund Adorno[6]. Qui la parola illuminismo subisce un manifesto ampliamento di significato. Serve cioè per delineare quella linea di pensiero borghese moderno che celebra i suoi trionfi nella cultura del settecento e, più tardi, sulla scia di essa, nel positivismo e infine nel neopositivismo. Ma l'illuminismo di Horkheimer e Adorno non si riduce a una semplice linea di pensiero, ma si identifica con la logica del dominio che sta alla base della prassi occidentale. Rappresenta cioè quel complesso di atteggiamenti che ha perseguito l'ideale di una razionalizzazione del mondo tesa a renderlo plasmabile e soggiogabile da parte dell'uomo. L'apice di tale logica è rappresentato dalla moderna società industriale.
Ma l'illuminismo, e quindi l'intera civiltà occidentale, per questi pensatori, risultano segnati da un'interna dialettica auto - distruttiva, poiché la pretesa di accrescere sempre più il potere sulla natura tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell'uomo sull'uomo, e in un generale asservimento dell'individuo al sistema sociale. Il prezzo di questo processo di decadimento e imbarbarimento non è solo la libertà, ma anche e soprattutto la felicità dell'uomo.
A partire dagli anni '40 - '50, entra in crisi in Horkheimer anche l'adesione al marxismo (che agli inizi aveva ispirato la sua attività). Il filosofo infatti si rende conto che il marxismo finisce per rientrare esso stesso nella logica illuministica della civiltà in cui viveva. Questo allontanamento divenne esplicito negli ultimi tempi della sua vita come testimonia lo scritto che porta il titolo di "Nostalgia del totalmente altro"(1970). In quest'opera egli spiega di aver aderito al marxismo solo come risposta alla tirannide nazionalsocialista. Ma dice anche di essersi reso conto che Marx si è illuso su alcuni punti di fondo: egli pensava, ad esempio, che i proletari avrebbero potuto migliorare le proprie condizioni di vita solo con l'eliminazione del capitalismo. Invece la situazione sociale del proletario è migliorata senza rivoluzione, e ora l'interesse comune non è più il radicale mutamento della società, ma una migliore strutturazione materiale della vita. Marx riteneva pure che la società camminasse inevitabilmente verso il regno della libertà. Invece l'umanità, secondo Horkheimer, sembra marciare in gran fretta verso un mondo totalmente amministrato, ossia verso il definitivo compimento del regno moderno della schiavitù.
La messa in luce dei limiti del marxismo si accompagna, nell'ultimo Horkheimer ad un'apertura al discorso teologico: questo non significa che alla credenza nella rivoluzione egli abbia sostituito la credenza in Dio. Anzi egli afferma che non si può provare l'esistenza di Dio e che anzi di fronte al dolore del mondo, è impossibile credere a un Dio onnipotente e sommamente buono. Ma Dio è la speranza, o la nostalgia, che nonostante questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che libertà e felicità tornino ad essere espressioni legate all'esistenza umana.
Felix Weil: giovane studente agiato, laureato in Scienze Politiche, con la passione per Socialismo e Marxismo.
Karl Grünberg: storico austriaco fondatore dell' "Archivio per la storia del socialismo e del movimento operaio".
Pragmatismo: indirizzo filosofico contemporaneo, affermatosi a cavallo tra XIX e XX secolo negli Stati Uniti, per il quale la funzione fondamentale dell'intelletto di consentire una conoscenza obiettiva della realtà non è separabile dalla funzione di consentire un'efficace azione su di essa. Un pragmatista, in altre parole, sarà interessato a questioni di metodo o di fine nella misura in cui la loro risoluzione porta ad agire con profitto ed efficacia.
Max Horkheimer: appartenente a una famiglia borghese di Stoccarda, fu docente di filosofia sociale e direttore all' "Istituto per la ricerca sociale". Durante il nazismo insegnò a Parigi e poi negli Stati Uniti. Negli anni '50 tornò in Germania e riprese la direzione della Scuola e la cattedra universitaria.
Neoempirismo: anche noto come neopositivismo o positivismo logico, è una corrente filosofica che sorge nella prima metà del 1900, basata sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore proprio della scienza. Come si deduce dal nome, alla sua base stanno i concetti di "empirico", ossia relazionato all'esperienza, e "logico", dal momento che i suoi sostenitori ritengono che il sapere debba essere analizzato secondo i criteri logici propri dell'analisi del linguaggio.
Theodor Wisengrund Adorno: dopo aver studiato filosofia e musica, nel 1931 divenne libero docente a Francoforte. Con l'avvento del nazismo migrò prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Tornato in Germania nel 1950, diresse il rinato "Istituto per la ricerca sociale", insegnando filosofia e sociologia all'Università di Francoforte.
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