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La nostra parte




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LA NOSTRA PARTE


L'11 settembre 2001 è finita l'era geopolitica cominciata il 9 novembre 1989. Crollava allora il Muro di Berlino, seguito due anni dopo dal suicidio dell'Unione Sovietica. Poco più di un decennio, periodo insufficiente per meritare una definizione propria. Per cavarcela, l'abbiamo battezzato "dopo-guerra fredda". Quella guerra che per noi europei occidentali é stata pace. Durante la quale siamo diventati più liberi e più ricchi, tanto quanto sono stati oppressi e impoveriti gli europei che l'avanzata dell'Armata Rossa aveva inghiottito e recluso nell'impero sovietico. La grande maggioranza degli europei che abitavano la parte fortunata della cortina di ferro, sotto la protezione americana, credevano che quella costellazione fosse per loro la migliore possibile. Lo pensavano persino i tedeschi dell'Ovest, poco propensi ad accollarsi I "fratelli separati" dell'Est. La paura dell'olocausto nucleare congelava le nostre frontiere.

Washington invece ragionava su scala planetaria. Perciò intendeva liquidare la superpotenza rivale. A noi bastava il pareggio in Europa, agli Stati Uniti interessava la vittoria nel mondo. Un analogo iato tra noi e gli americani rischia di riprodursi oggi, con l'attacco del terrorismo   internazionale al cuore dell'Occidente. Vedremo come questo sia oggi un pericolo mortale. Ma prima conviene ricordare a noi stessi che cosa fosse il 2dopo-guerra fredda" fino ad ieri, un'era geopolitica fa.

Nel 1992, essendo scomparsa l'Unione Sovietica, per la prima volta nella storia il centro esclusivo del potere mondiale non era più in Eurasia ma sul continente nordamericano. Allo zenit della sua potenza, ma anche della sua esposizione a culture e a popoli fors'anche alleati ma non sempre simpatizzanti, Washington si accingeva a godere dei dividendi della pace. In apparenza, il trionfo assoluto dell'America. Un pò troppo assoluto. Perché gestire da soli il disordine mondiale non é possibile. Superpotenza non significa onnipotenza.

Quando é caduta l'Unione Sovietica tutti i popoli sembravano destinati a diventare, nel tempo, simili a noi.. Quando l'America a provato a gestire le crisi aperte a ripetizione dalla complicazione degli spazi geopolitici dalla guerra del Golfo a quella del Kosovo lo ha fatto non in base ad un disegno imperiale, di cui é sempre stata priva, ma nell'illusione che presto o tardi tutti i popoli l'avrebbero seguita sulla via della redenzione.

Di qui il miraggio della pace ottenuta asportando la democrazia e affermando il primato della "nazione indispensabile", caro all'amministrazione Clinton. Incurante di affiancarsi potenze o gruppi di Stati amici, come tentò di fare Roosevelt poco prima di morire, l'America si é ritrovata sola e sovresposta. Un'"iperpotenza" arrogante. Così appariva soprattutto al mondo arabo e islamico, ripetutamente umiliato dagli USA e dal luogotenente in partibus infedelium, Israele. Sicché l'america trionfante non era per nulla egemone. Anzi, suscitava dovunque, Europa compresa, ondate più o meno esplicite d'antiamericanismo, proprio mentre l'opinione pubblica statunitense esibiva un quasi totale disinteresse per il resto del mondo. Ciò che non impediva al suo governo di disperdere le forze in costose "operazioni di pace" alle periferie del "non-impero".

Contraddizione ben colta da Henry Kissinger nel suo ultimo libro. Questo e altri testi confermano che una ristretta parte dell'establishment americano. In genere la più conservatrice, era consapevole del paradosso della superpotenza non egemone. In un ambiente internazionale favorevole al terrorismo, islamico e non si era quindi concentrata l'attenzione delle agenzie deputate alla difesa. Tanto che, con sinistra preveggenza, il documento prodotto l'anno scorso dalla Commissione nazionale sul terrorismo recava in copertina le Torri Gemelle.

La prima priorità di politica estera dell'amministrazione Bush era dunque di ridurre l'overstrecht, d'essere e apparire più modesti e di spartire il fardello (ma non il potere) con i neghittosi alleati, europei e non. Troppo poco. Troppo tardi.

E' questa l'america colpita al cuore dai terroristi islamici. Per la regia di Osama Bin Laden con l'appoggio di una rete di professionisti del terrore, annidati anche in quei paesi considerati amici (come l'Arabia Saudita). Per quei fanatici l'occidente è il regno di Satana. L'obbiettivo è annientare gli ebrei e i "crociati". A qualsiasi prezzo. In nome di Dio. Contro di noi -americani ed europei- hanno scatenato un attacco devastante. Hanno colpito i simboli del capitalismo globale e dell'invincibile esercito a stelle e strisce. Con l'obbiettivo di seminare il caos e di spingerci sul terreno fatale dello scontro di civiltà. I terroristi non possono vincere questa guerra. Noi possiamo perderla. L'unica soluzione è colpire con precisione chirurgica per evitare che la guerra diventi un assurdo, suicida scontro di religioni i veri colpevoli: i terroristi. Per colpire un avversario però bisogna conoscerlo: da dove nasce il terrorismo? Chi sono i terroristi? Dove sono i terroristi? Perché sono terroristi? Cercheremo di rispondere a queste e ad altre domande e quando avremo conosciuto meglio il nemico potremmo schierarci da una parte sola. La nostra.


STORIA DEL TERRORISMO


Il termine deriva dal "terrore" rivoluzionario francese del 1793-94 ed è stato impiegato anche per designare una politica di repressione violenta di ogni opposizione da parte delle forze che detengono il potere per opera di minoranze (o, talvolta, maggioranze) politiche, sociali e nazionali e di organizzazioni politico-militari che se ne assumono la rappresentanza. Le prime teorizzazzioni del terrorismo come metodo di lotta politica si possono trovare nelle opere di A. Bakunin, ma soprattutto nel suo Catechismo del rivoluzionario. Il pensiero di Bakunin e la sua predicazione rivoluzionaria non si esauriva certo nella formula del terrorismo; il fascino delle teorie bakuniane fu però grande, non solo in Russia, ove la strategia della congiura rivoluzionaria e la pratica dell'attentato divennero i punti cardine dell'ala estremista del movimento populista, ma anche in tutta Europa dove nella seconda metà del secolo XIX furono numerosi i "gesti esemplari". Metodi terroristici, nel senso più letterale (cioè volti a spargere il terrore tra gli avversari politici), furono usati in Italia dal fascismo nascente all'indomani della prima guerra mondiale, e dal nazionalsocialismo in Germania fra gli anni 20 e il 1933; ma si trattò di un terrorismo in un certo senso anomalo, in quanto non rivolto contro l'autorità statale, che non lo osteggiò né lo punì, ma contro le forze di sinistra che si battevano per impedire l'ascesa al potere dei movimenti di estrema destra.

Tra il 1916 e il 1922 assunse caratteristiche particolari il terrorismo antibritannico praticato dagli indipendentisti dell'Irlanda del sud, punte estreme di un movimento che raccoglieva il consenso della maggior parte della popolazione.

Terrorismo di una maggioranza contro una forte minoranza, può definirsi quello praticato, negli anni Venti e Trenta dalla setta razzista del Ku Klux Klan contro la popolazione nera del sud degli Stati Uniti, con forme di violenza indiscriminata.

Fra la prima e la seconda guerra mondiale, movimenti di estrema destra operarono con metodi terroristici in Francia (i cagoulards direttamente finanziati dal regime fascista italiano), in Jugoslavia (i nazionalisti croati ustascia, tuttora attivi fra i fuorusciti anticomunisti) e in Romania (Guardia di Ferro).

Il periodo dopo la seconda guerra mondiale vede l'estendersi dei metodi terroristici alla maggior parte del mondo, e un estremo differenziarsi di moventi ideali e politici. In Palestina, per esempio, si manifestano forme terroristiche di senso opposto: quella ebraica (banda Stern, Irgun Zwai Leumi), rivolta soprattutto contro le autorità mandatarie britanniche, ma anche contro le organizzazioni arabe, negli anni fino al 48; quella araba (Organizzazzione per la liberazione della Palestina e altri gruppi) contro lo stato israeliano dopo la sua formazione (1948). In altre parti del mondo si è assistito all'impiego di tecniche terroristiche da parte di gruppi politicamente disparati: da quelli che hanno una loro radice nella causa dell'indipendenza e dell'autonomia nazionale (Mau-Mau nel Kenia, separatisti baschi in Spagna, ribelli nordirlandesi nell'Urlster, canadesi francofoni nel Québec, autonomisti corsi) a quelli nei quali convivono l'aspirazione al riscatto dall'oppressione di una potenza egemone come gli Stati Uniti e l'anelito ad un profondo rinnovamento sociale (Tupamaros nell'Uruguay, ERP in Argentina) a quelli, infine, con matrice di estrema sinistra operanti in società capitalistiche avanzate, come la Rote Armee Fraktion nella Repubblica Federale Tedesca. Al terrorismo della suddetta può essere assimilato quello delle Brigate Rosse, di Prima Linea e di altri gruppi clandestini operanti in Italia, i quali, con atti che mirano a colpire soprattutto lo Stato e i suoi rappresentanti (momento culminante, il rapimento e l'uccisione del presidente del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana a. Moro nel 1978) intendono provocare un irrigidimento antidemocratico dello stato medesimo, che a sua volta dovrebbe innescare un processo rivoluzionario di massa. A imprimere una svolta antidemocratica in tutta la vita nazionale ha sempre teso del resto anche il terrorismo di estrema destra neofascista, prevalente in Italia tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni settanta, che ha conosciuto le sue più sanguinarie manifestazioni in numerosi attentati dinamitardi, come quello di piazza Fontana a Milano nel dicembre del '69. Ad una matrice di destra è probabilmente riconducibile anche quello della stazione ferroviaria di Bologna nell'agosto 1980.

CHI SONO I TERRORISTI


I terroristi non sono dei predoni. In totale, ci sono meno di diecimila terroristi, raggruppati in circa cinquanta organizzazioni di vario tipo. Potrebbe esservi un numero uguale di sostenitori. Quattro o cinque gruppi, comprendenti circa duecento terroristi - tedeschi, italiani, palestinesi e giapponesi - costituiscono la principale minaccia sul piano transnazionale, ma essi rappresentano soltanto la punta dell'iceberg, le squadre d'azione.

I "duecento sono stati addestrati a Cuba, nel Libano, in Libia e nella Corea del Nord. Le armi vengono fornite dai paesi del blocco comunista, specialmente dalla Cecoslovacchia. C'è stata anche probabilmente una perdita d'identità politica, col risultato del recente nichilismo. È sufficiente grattare appena la superficie del loro dichiarato marxismo per trovare il loro vero scopo: la distruzione dell'establishment, qualunque sia il governo al potere. Sebbene possa essere esagerato attribuire ai Sovietici il controllo centrale del terrorismo, è evidente che essi hanno contribuito in modo sostanziale a sostenerlo. Le armi vengono ottenute liberamente dai paesi comunisti; l'IRA, il Weather Underground e le Pantere Nere, come pure i duecento terroristi prima nominati, sono - o sono stati - addestrati nel blocco comunista, col permesso dei Sovietici e con promesse di un qualche tipo di contraccambio.

Le loro armi non sono solo pistole, fucili, mitragliatori o bombe; si sono avuti anche tentativi di usare missili terra-aria a ricerca di calore e armi anticarro di fabbricazione sovietica. I terroristi tedeschi hanno minacciato di diffondere gas tossici e sostanze che agiscono sul sistema nervoso, e nel 1975 sono stati arrestati a Vienna uomini d'affari tedeschi, sotto accusa di vendere gas nervino nel Vicino Oriente. C'è stato almeno un incidente nel quale un radioisotopo di iodio è stato spruzzato in un treno. Inoltre in Germania sono stati attaccati i mezzi di trasporto, in Spagna e Argentina gli studi radiotelevisivi e in Francia le centrali nucleari.



LE BASI DELLA DIFESA


Il terrorismo non è un fenomeno nuovo: sotto forme diverse è presente da sempre nella storia. Tuttavia, ogni volta che si ripresenta, esso appare come una nuova minaccia. I governi - specialmente quelli più liberali - trovano difficile affrontare il fenomeno terroristico.

La più forte banda di terroristi è molto più debole del più piccolo esercito. I terroristi derivano la loro potenza dalla vulnerabilità fisica e istituzionale della società che attaccano, e le loro imprese ottengono vasta risonanza attraverso i mass - media. A livello tattico, il terrorismo a dimostrato di avere generalmente successo. Sul fronte strategico tuttavia, non è altrettanto chiaro l'esito della lotta fra Stati e terroristi.

Il terrorismo attuale cerca di indebolire i governi attaccando i legami - spesso tenui - tra governo e governati. I gravi compiti dei governi sotto l'attacco terrorista sono il mantenimento delle libertà fondamentali e il rifiuto di cedere alle richieste dei terroristi. Il terrorismo può avere successo solo se la volontà di affrontarlo in modo realistico viene sostituita dalla paura dello Stato e dall'allarme del pubblico. Una reazione eccessiva, quale l'imposizione di un black out sulle notizie o la violazione della privacy dei cittadini, è un equivocabile invito alla catastrofe. La risposta giusta è la fermezza.

Alla base c'è la necessità di eliminare le cause del terrorismo ma un simile risultato può essere ottenuto soltanto attraverso un processo incerto e doloroso; per esempio, il conflitto arabo - israeliano non sarà certo risolto facilmente. Considerando comunque il terrorismo una forma intollerabile di dissenso, i governi sono obbligati a combatterlo con i mezzi della "dissuasione" e della "limitazione dei danni". Esse sono collegate, poiché quando il successo dei terroristi diminuisce in seguito alla costante azione delle forze governative, declinano anche il loro morale e le loro risorse.

Esistono tre mezzi pratici di difesa. Il primo è l'"informazione": l'osservazione di terroristi noti o sospetti e, se possibile, l'infiltrazione nelle loro organizzazioni.

Il secondo mezzo di difesa consiste nel rendere più inaccessibili i bersagli, predisponendo "filtri selettivi" che blocchino l'accesso ai terroristi dilettanti e aumentino i costi ai più abili. Si giunge così al terzo tipo di difesa. I governi devono sviluppare un'efficiente tale cioè da affrontare un'ampia gamma di crisi di portata nazionale: scioperi delle ferrovie, disastri naturali, scarsità di carburante, terrorismo e simili.


IL TERRORISMO CONTEMPORANEO


La caduta dei grandi imperi coloniali dopo la seconda guerra mondiale produsse una vasta e rapida riorganizzazione dell'assetto mondiale, intrapresa sotto la pressione del nazionalismo nascente nei paesi ex coloniali.

Molti dei gruppi terroristici separatisti o nazionalisti hanno operato in base all'assunto che l'uso della violenza può essere in certa misura necessaria per dare ad un popolo la sua terra.

In gran parte della comunità nazionale, il diffuso sentimento anticolonialista del periodo postbellico si è tradotto in un atteggiamento di simpatia verso il terrorismo di questo genere.

Per un'evoluzione parallela, si fa sempre più acuta la consapevolezza dell'interdipendenza di tutti i popoli, la sensazione che le grandi sfide che l'uomo deve affrontare abbiano dimensioni mondiali. Un epifenomeno di questa tendenza è l'implicita idea che le nazioni industrialmente avanzate siano direttamente responsabili dello stato di sviluppo delle nazioni più povere. Sia o no vera quest'idea contribuisce a creare un clima internazionale nel quale "vendicatori" (che si autoinvestono del ruolo) e possono cercare riparazioni mediante minacce o atti di violenza. Un terzo elemento è costituito dagli immensi progressi nelle comunicazioni. Gli immediati reportages televisivi mondiali, su guerre, insurrezioni, catastrofi e assasini contribuiscono a creare quel senso di apparente disordine e instabilità che, per molti, è la caratteristica principale della nostra epoca, e suggeriscono l'esistenza di ambienti nei quali sono quasi di prammatica le azioni violente di uomini e donne disperati. Nello stesso tempo, i satelliti televisivi forniscono un pubblico enorme alla "teatralità" dei terroristi.

Dobbiamo anche prendere in considerazione ciò che si potrebbe chiamare la "produttività" o efficacia del terrorismo. Uno dei più drammatici esempi è dato dall'emergere di Yasser Arafat capo dell'OLP, come riconosciuto portavoce del popolo, posizione rafforzatasi dopo il suo intervento - un fatto senza precedenti - all'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974.



STRUTTURA E STRATEGIA


I gruppi terroristici ben addestrati, altamente organizzati e ben finanziati sono formati generalmente da unità strutturate, indipendenti e sconosciute l'una dall'altra, con un gruppo che ha il controllo centrale. Nelle prime fasi della loro organizzazione, queste unità sono spesso delle piccole "cellule" con tre o quattro elementi. Il compito iniziale di queste unità è quello di rafforzare l'organizzazione. Il successivo importante compito è quello di ottenere il riconoscimento da parte dei mezzi di comunicazione di massa. All'inizio, ciò viene ottenuto attaccando bersagli facili, privi di un immediato valore politico e militare: il principale obbiettivo è quello di diffondere la paura. I terroristi palestinesi sono noti per avere di proposito evitato bersagli quali veicoli militari vulnerabili e chiaramente identificabili, e aver attaccato, invece, autobus scolastici pieni di bambini.

Simili attacchi hanno spesso lo scopo di attirare nuovi membri, richiamati dalla notorietà del gruppo e dalla sua abilità di mettere in imbarazzo le autorità. Nelle fasi successive delle campagne terroristiche, i bersagli divengono più complessi e più variati assumendo un maggior rilievo sia militare sia politico. In questa fase la strategia è quella di evitare battaglie generali, attaccando però con insistenza il governo e spaventandone i difensori. A questo punto, spesso i governi cercano di risolvere i loro problemi prendendo misure repressive e reagendo in modo irrazionale, col risultato di alienarsi progressivamente la cittadinanza. È difficile concepire una risposta globale peggiore.

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