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"La difesa dell'ambiente in cui viviamo non può essere affidata soltanto a leggi, ma deve poggiare sull'affermazione di una più evoluta mentalità sociale e sulla diffusione di una nuova filosofia di vita"
L'uomo, nel cammino verso la civiltà, ha preso una direzione deviante, che lo sta allontanando progressivamente dalla natura. Tutto il pensiero moderno, laico e razionalista, è caratterizzato da un distacco progressivo dalla natura, dalle sue regole e dalle sue leggi. La natura sembra essere considerata una realtà da dimenticare perché ingiusta, cieca, irrazionale, assurda, casuale, priva di fini e di mete.
Eppure l'uomo non fa che continuare sempre il lavoro della natura, partendo dalle basi che essa gli propone e che ha creato. Egli, quindi, è strettamente connesso con la natura, ne continua la creatività e ne corregge i difetti. Ma proprio per questi motivi, ossia per la connessione spontanea e la continuità tra l'uomo e la natura, dovremmo cominciare a diffidare di tutte quelle concezioni che tendono alla sua svalutazione, alla sua negazione o all'allontanamento da essa. Uomo e natura non vanno contrapposti, perché il primo è soltanto un'appendice della seconda e, allontanandosi da essa, l'uomo non dimostra intelligenza ed autonomia, ma solo la vocazione alla morte e al nulla, perché più si allontana dalla natura, più si autodistrugge.
Se oggi l'aria è diventata pressoché irrespirabile, lo si deve, in realtà, soprattutto a cause legate alle attività umane. Le colpe maggiori ricadono sugli impianti di riscaldamento domestico, sulle attività industriali, sul traffico autoveicolare ed aereo, sugli impianti per l'incenerimento dei rifiuti, sulle stesse centrali termoelettriche e nucleari che, a loro volta, palesano l'incapacità di sviluppare fonti energetiche alternative.
Ma anche i gas emessi da una piccola ed apparentemente innocua bomboletta spray, possono contribuire a produrre effetti nefasti sull'uomo, le piante e gli animali. Si pensi a questioni di eco internazionale come il buco dell'ozono o l'effetto serra, che, a partire da un'eccessiva presenza di gas nell'atmosfera, prospettano il rischio di una pericolosissima rarefazione dell'aria in alcune zone del mondo, con i raggi solari messi in condizioni di poter penetrare più facilmente lo scudo atmosferico.
In queste circostanze appare con grande evidenza quanto l'uomo sia debole di fronte alle forze della natura, e come le sue conoscenze possano al più permettergli di limitare i danni, mai di fermare le catastrofi. La natura ha quindi una forza a cui l'uomo non può pensare di opporsi. Troppo spesso egli ha sottovalutato questo fatto comportandosi, di conseguenza, con una leggerezza arrogante nei confronti della natura. Il paradosso di oggi è che, mentre si riesce a prevedere alcune catastrofi naturali connesse alla conformazione stessa del nostro pianeta, siamo totalmente in balia di disastri causati da dissesti ambientali provocati da noi stessi in anni e anni di incuria e devastazione dell'ambiente. Le alghe che da qualche tempo infestano i mari non sono altro che il frutto di centinaia di anni di scarichi umani ed industriali; l'effetto serra è il risultato di un uso sconsiderato dei combustibili che ha aumentato la presenza di anidride carbonica nell'aria; l'inquinamento delle falde acquifere è dovuto alle quantità enormi di agenti chimici, quali gli insetticidi e i concimi, infiltrati nel terreno. A questi fenomeni che, pur nella loro gravità, hanno come alibi il fatto che sino a pochi anni fa l'uomo non era abituato a pensare agli effetti a lunga scadenza delle sue azioni, si aggiungono poi atti di vera e propria pirateria contro la natura. Ogni anno in estate devastanti incendi dolosi distruggono in poco tempo la vegetazione di intere zone per liberarle da vincoli edilizi. Periodicamente, alluvioni, frane e smottamenti provocano danni irreparabili in zone che hanno subito un disboscamento selvaggio, infatti bastano pochi giorni di pioggia violenta perché la terra, non più trattenuta dalle radici degli alberi, precipiti a valle, come è accaduto alcuni anni fa in Valtellina. Appare evidente da questi pochi esempi che l'uomo oggi, più che dalla natura, deve salvarsi da se stesso o meglio dai danni provocati da uno sfruttamento miope ed indiscriminato delle risorse naturali.
Fughe periodiche di sostanze tossiche causate da industrie chimiche, incidenti a centrali nucleari, fuoriuscita di petrolio dalle navi per larghi tratti di costa e di mare, lacerazioni nello strato protettivo di ozono che avvolge l'atmosfera, tendenza all'aumento della temperatura media a causa della percentuale di anidride carbonica nell'aria, progressivo scioglimento delle calotte polari: queste e simili notizie catastrofiche sono ormai all'ordine del giorno.
Al degrado atmosferico, dell'acqua, del terreno, all'impoverimento del patrimonio faunistico e floreale, al progressivo esaurimento delle fonti energetiche e delle risorse minerarie, si aggiunge l'aumento di terribili malattie, e il cancro, che, è ormai accertato, dipende in gran parte dal distorto rapporto dell'uomo con il proprio ambiente.
Si tratta di un degrado che coinvolge ormai tutto il pianeta e alcune delle azioni da esso innescate sono già irreversibili. Sono state necessarie centinaia di milioni di anni perché la vita sulla terra assumesse la forma che oggi conosciamo e raggiungesse l'attuale equilibrio con l'ambiente circostante, ma in pochi anni, almeno a partire dalla rivoluzione industriale, l'uomo sta provocando così rapidi sconvolgimenti nel mondo naturale da rendere impossibile la ricostituzione di un nuovo equilibrio. Poiché gli scempi commessi contro la natura sono stati giustificati in nome del progresso e dell'industrializzazione, appare quasi inevitabile additare lo sviluppo tecnologico e industriale il responsabile di questa situazione. Ad esempio in nome del progresso continua ad un ritmo impressionante il disboscamento selvaggio della foresta amazzonica, nonostante ciò comporti la riduzione della popolazione indigena e di intere specie animali e gli scienziati ammoniscano che essa produca quasi il 50% di tutto l'ossigeno del pianeta. Eppure è evidente in questo caso che dietro la parola progresso si mascherano gli interessi delle multinazionali che ottengono così, a condizioni economiche favorevoli, terreni da pascolo per i bovini che forniscono carne a buon mercato per gli hamburger o che sfruttano con notevoli facilitazioni da parte del governo brasiliano le enormi ricchezze del sottosuolo amazzonico. Non bisogna dare al progresso colpe che questo non può avere in sé. Sbagliano perciò, a mio avviso, coloro che propongono un arresto nello sviluppo tecnologico e un impossibile ritorno indietro, anche perché la tecnologia appare oggi indispensabile proprio per trovare soluzioni ai gravi problemi del degrado ambientale. Non si tratta quindi di arrestare l'evoluzione tecnico-scientifica, ma di correggerne l'uso distorto. A tale fine appare indispensabile modificare gi attuali modelli di sviluppo, basati su una logica miope di profitto e di potenza e su un consumismo irresponsabile, che hanno comportato un mostruoso saccheggio delle risorse, uno spreco enorme di materie prime, una strumentalizzazione della scienza, distolta dal fine del benessere dell'uomo per quello del potere. Forse solo oggi siamo veramente consapevoli dei danni che tale modello di sviluppo sta provocando e pertanto oserei dire che abbiamo il compito storico di operare un'inversione di tendenza, per un uso del progresso intelligente, non rapace, capace di mantenere un rapporto duraturo con la natura, veramente al servizio del benessere collettivo e del miglioramento della qualità della vita.
I mass media hanno, secondo me, un ruolo notevole nel contribuire a creare un orientamento sbagliato dell'opinione pubblica nei confronti delle emergenze ecologiche. La nostra immaginazione viene infatti sollecitata ogni giorno con prospettive apocalittiche, dalla catastrofe nucleare allo scioglimento dei ghiacci polari, che concorrono a creare un atteggiamento di pessimismo e di sfiducia nella possibilità di invertire la tendenza autodistruttiva dell'uomo. Troppo poco invece viene detto sul contributo al degrado dell'ambiente causato dalle nostre abitudini di vita, perché ciò metterebbe in discussione un modello di sviluppo oggi dato come unico ed insostituibile.
Il degrado ambientale ci tocca invece molto da vicino, con conseguenze sulla nostra salute e sulla nostra vita quotidiana, ed ha all'origine precise responsabilità, sia a livello individuale sia politico. E così, mentre di fronte a certe prospettive apocalittiche ci si sente impotenti e quindi non si cambia di una virgola il nostro comportamento, anzi si è portati a pensare in modo maggiormente egoistico, non viene approfondita l'analisi delle vere cause del degrado, non si critica l'attuale modello di sviluppo basato proprio sul saccheggio delle risorse e sullo spreco delle materie prime.
Oggi, l'ambiente naturale non viene più da noi creato, ma distrutto, e degradando sempre più non lascerà all'uomo alcun avvenire, per cui è urgente cambiare la nostra cultura. Essa però può cambiare, soltanto se esistono, collocati nel centro del nostro istinto più profondo, determinati presupposti. In altre parole, ciò che deve essere modificato, a livello dell'inconscio, è il nostro rapporto con la natura. Non è sufficiente possedere una convinzione razionale e scientifica della necessità di piantare alberi e difendere i boschi, perché noi non facciamo sempre ciò di cui siamo convinti sul piano razionale, quanto piuttosto ciò che ci suggerisce il nostro inconscio, nel quale va perciò ripristinata la convinzione profonda, istintiva, che l'albero, il bosco e la natura sono sacri.
Una soluzione potrà esistere solo se l'umanità giungerà ad avere una profonda coscienza ecologica in grado di far capire che ogni essere vivente è un sistema autonomo, ma anche dipendente dall'ecosistema. Più l'essere è evoluto, più è autonomo, complesso, e dipendente dall'ecosistema. Così l'uomo, più è autonomo come individuo, e più ha bisogno della società che, a sua volta, più è sviluppata e più ha bisogno della natura. Il possesso di una coscienza ecologica può aiutare a risolvere questioni di profondità e di ampiezza straordinarie, perché implica il sapere affrontare il problema della vita sul pianeta terra, quello della società moderna e quello del destino dell'uomo. Tutto questo obbliga a mettere in questione l'orientamento stesso della civiltà occidentale, giunto al suo culmine sulla spinta di tre principi organizzatori che diventano oggi i principi della sua rovina: la separazione dell'uomo dagli oggetti e dalla natura; la scienza concepita come conoscenza obiettiva che non si preoccupa né del suo senso, né dei suoi fini; la concezione dell'uomo conquistatore della terra. Bisogna rivedere, perciò, la nostra posizione nei confronti della natura, bisogna ripristinare l'armonia antica tra uomo e paesaggio, ricordando sempre che prima ci fu la terra, e poi venne l'uomo.
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