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IN CAMMINO
Una mostra di Sebastiano Salgado
"Ho viaggiato per sette anni in cinquanta paesi tra milioni di fuori posto: questa è la loro battaglia contro l'invisibilità."
La fama di Sebastiao Salgado che si è conquistato nell'ambito del foto-giornalismo internazionale credo sia dovuta alla sua straordinaria capacità di cogliere dietro ogni corpo ed ogni volto, la storia, il dramma, la miseria umana che attendono solo di essere raccontate nella loro semplicità e quotidianeità.
Esule politico scoprì la passione per la fotografia in Africa, dove si trovava a lavorare per una compagnia internazionale di caffè nei primi anni Sessanta. Trasferendosi a Parigi, lavorò come fotoreporter prima per l'agenzia Sygma, per cui realizzò servizi sulla rivoluzione in Portogallo, la guerra in Angola e il Mozambico, poi per la Gamma e la Magnum, All'America Latina dedicò il libro Altre Americhe e la mostra Terra sul Brasile. Tra i maggiori esponenti di una fotografia socialmente impegnata, preferisce il bianco/nero per conferire più forza alle sue immagini.
"Vorrei che il mio lavoro fosse una sorta di arringa in favore delle popolazioni in movimento e di quanti sanno e possono accoglierli; vorrei mostrare la loro dignità nel desiderio di inserirsi, il coraggio nelle prove da affrontare; vorrei sottolineare lo spirito di intraprendenza con cui accettano le nuove sfide e la ricchezza delle loro differenze; vorrei mostrare, attraverso l'esempio delle migrazioni, come la famiglia comune di tutta la specie umana debba fondarsi necessariamente sulla solidarietà e la condivisione."
Flussi migratori epocali, innescati dalle guerre, dalle carestie, dalle conseguenze di una globalizzazione economica spesso selvaggia. Trecento immagini divise in cinque sezioni:
L'istinto di sopravvivenza di emigranti e rifugiati è messo alla prova, ad esempio, nel tentativo di oltrepassare le barriere d'acciaio erette dagli Stati Uniti lungo i tratti urbani della frontiera con il Messico; oppure per i palestinesi in Libano, i rifugiati dell'ex-Jugoslavia, le migrazioni dal Vietnam, i kurdi, gli afghani, i kosovari, i bosniaci;
All'Africa ,sconvolta dalla fame, dal conflitto tribale e dal genocidio, non viene data nessuna considerazione. Viene considerata come un continente perduto per sempre quando non ci sono morti nel Sudan meridionale, nel Ruanda, nell'Angola, nel Mozambico, ma uomini e donne che sopravvivono grazie alla forza di abbandonare tutto dietro di loro cercando di fuggire in Tanzania o, semplicemente altrove;
L'esodo dalle campagne e il relativo caos delle città rappresenta lo stato di cose più diffuso in America Latina dove i contadini resistono senza speranza all'esodo imposto dal grande capitale, ma anche realtà come quella degli Indios amazzonici, delle comunità zapaniste dello Stato del Chiapas, in Brasile sono raccontate tramite l'immediatezza delle immagini;
Nelle megalopoli dell'Asia, la fuga dalle campagne filippine ed indiane sono la causa delle innumerevoli difficoltà di sopravvivenza e di alloggio, ma non certo della dilagante povertà;
L'ultimo blocco fotografico "a tutti i bambini che guardano queste foto, pensano alle vite vissute al di là dei ritratti", 90 ritratti di bambini "osservano" il visitatore della mostra, ricordano, creano un doppio nodo nella memoria perché "attraverso gli abiti, la posa, l'espressione e gli occhi, raccontano la loro storia con franchezza e dignità disarmanti."
E' una mostra colma di spiritualità questa di Salgado, la spiritualità altissima dell'uomo, quella che prescinde dai credo religiosi ed è in grado di sprigionarsi intensa a regalare una nuova concentrazione, a smuovere qualcosa che non tornerà più al suo posto.
La mostra è allestita presso l'Arengario in Piazza Duomo dal 26 ottobre 2000 fino al 7 gennaio 2001 su due piani. Al primo piano vi è un allestimento un poco confusionario e le foto sono raggruppate senza rispettare un ordine logico. Al piano di sotto l'allestimento è molto più preciso e lineare.
Ad ogni inizio di blocco c'è un'introduzione storica per preparare il visitatore. Le didascalie sono espresse in due lingue (italiano ed inglese) e sono quasi sempre esposte alla destra della foto. Sono inoltre di soddisfacente comprensione e chiarezza, purtroppo, di caratteri microscopici.
Verso la fine della mostra vi è una stanza non illuminata arredata con sedie e poltroncine per permettere la visione di un documentario sulla mostra trasmesso su un monitor.
Per quanto riguarda l'ultimo "blocco" di fotografie l'allestimento sarà presso l'Istituto Martinitt a Milano in via Pitteri n°3.
Immagini deplorevoli, tristi, crude. Sono rimasto molto colpito da alcune di esse:
Una foto che rappresenta l'interno di una scuola molto piccola nella quale era avvenuta una esplosione l'anno precedente.lì giacevano ancora i cadaveri putridi e semi-decomposti.
Una foto che rappresenta le rive di un mare sulle quali vi erano pezzi di carne umana, le carcasse erano seminate sulle superfici di aspri scogli.
Una foto che rappresenta San Paulo coperta di nuvole.uno spiraglio di luce usciva.qualcosa di innaturale.di divino.quello spiraglio era di colore giallo.un senso di speranza.
Una foto che rappresenta due o tre buldozer carichi di cadaveri.
Una foto che rappresenta un campo di terra diviso a metà da un filo di terra battuta, un bambino in primo piano che si sfrega gli occhi come se stesse piangendo. La terra finisce con un treno. Credo simboleggi la povertà da cui non si può scappare neanche morendo.
Nella nostra realtà queste immagini non esistono e quando le si vede ci si sente prendere dalla compassione, dalla tristezza.ci perdiamo negli occhi sinceri di bambini malridotti.e ci imbamboliamo davanti alle immense miniere a cielo aperto dove innumerevoli minatori trasportano sacchi pesanti di terra su altissime e strettissime scalette.
Il colore fa la sua parte, anzi non fa niente visto che non c'è. Il bianco e nero rinforza le immagini ed è tutto molto freddo e distaccato
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