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Per capire come e perchè in una zona si siano sviluppate alcune attività a scapito di altre, è opportuno ripercorrere le principali tappe, attraverso le quali si sono sviluppate determinate scelte.
Durante il secolo XVII il territorio veronese faceva parte della Repubblica di San Marco.
Di questo periodo esistono notizie frammentarie, tali da dare solo un panorama generale della situazione nella zona [18] : la popolazione era dedita all'agricoltura e nella vita economica persistevano le caratteristiche tradizionali, la proprietà fondiaria era generalmente condotta a mezzadria e i prodotti agricoli, in particolar modo l'uva, venivano suddivisi a metà tra il proprietario ed il mezzadro, salvo un quindicesimo del prodotto totale in più al padrone a titolo di regalia, considerato come compenso per i prodotti che il colono e la sua famiglia potevano consumare vivendo sul fondo. [19]
La lavorazione della vigna 'ad opera', cioè servendosi di lavoratori non fissi, invece, era rarissima e ristretta a piccoli poderi.[20]
La scarsezza e la povertà delle strade e dei mezzi di trasporto rendevano estremamente limitati e difficili gli scambi e il commercio; le produzioni agricola e manifatturiera convivevano negli stessi luoghi ed erano per lo più dirette all'autoconsumo.[21]
All'inizio del secolo XIX il territorio della Gardesana era suddiviso fra l'Austria e la Repubblica Cisalpina del Benaco voluta da Napoleone, che aveva Desenzano come capoluogo.
Il confine fra le due amministrazioni, tagliando a metà il lago, partiva immediatamente a nord di Lazise e procedeva verso sud-est fino a Verona, dove l'Adige divideva politicamente in due parti la città.[22]
Nel 1801 dopo la sconfitta dell'Austria a Marengo la delimitazione politica tra la nuova Repubblica Italiana e tutta la zona del Garda si ritrovò riunita nel 'distretto del Mincio', che comprendeva anche Verona, con capoluogo Mantova.
Questa situazione durò fino al termine della dominazione francese nel 1815 e nei successivi 'compartimenti' fino alla liberazione del Veneto nel 1866. [23]
Con l'entrata nel Regno Italico di Napoleone all'inizio dell'800, si ebbe un periodo funestato da guerre e occupazioni militari, che causarono il consumo e la dispersione di molte risorse.
La situazione divenne quasi insostenibile anche a causa di alcune stagioni avverse, che provocarono, attorno al 1815, una grave crisi agricola.
Nonostante le continue guerre, la dominazione francese rinnovò l'amministrazione, e pose le basi per una nuova struttura sociale e per nuove forme di produzione, che vennero agevolate dal miglioramento della viabilità, grazie alla sistemazione delle grandi arterie interprovinciali e la costruzione di nuove strade carrozzabili che collegavano i paesi fra loro e con la città. [24]
Cominciarono così a diminuire gli ostacoli al traffico e al commercio e si sviluppò un'economia di scambio, anche se le continue depredazioni e requisizioni napoleoniche ebbero gravi ripercussioni sull'agricoltura e sull'economia in genere.
Quando nel 1814 tornarono gli Austriaci, nel territorio lombardo-veneto, si trovarono di fronte a due realtà economiche estremamente diverse.[25]
Infatti, mentre la Lombardia poteva vantare un efficiente assetto delle attività agrarie, che già nel passato avevano dimostrato di poter competere con le più evolute strutture produttive nord europee, ben diversa era la realtà strutturale e produttiva del Friuli e del Veneto.
In particolare, le manifatture venete, che avevano subito gravi danni a causa della politica economica napoleonica, ormai languivano, subendo il nuovo assetto commerciale che privilegiava i cosiddetti 'beni nazionali' austriaci.
Nessun incentivo alle manifatture connotava la politica imperiale, quanto piuttosto la tendenza ad accattivarsi il ben volere delle popolazioni attraverso la riduzione e la perequazione della pressione fiscale e una attenta politica annonaria che garantisse i più elementari mezzi di sostentamento, per scongiurare la carestia.[26]
La viticoltura e la bachicoltura costituivano i pilastri produttivi e reddituali del mondo rurale veneto.
Con l'introduzione della ferrovia, la zona del Lago di Garda venne attraversata dall'importante linea Milano-Venezia e i commerci e i viaggi si moltiplicarono, e l'economia e l'agricoltura ne trassero grande giovamento. [27]
Verso il 1850 le coltivazioni viticole e gli allevamenti di bachi da seta furono colpite da due terribili malattie, l'oidio e il calcino, che, unite ad alluvioni e carestie incrinarono le già modeste potenzialità produttive della zona, cosicchè i primi anni dopo il 1866, quando il Veneto entrò a far parte del Regno d'Italia, furono caratterizzati da una grave depressione.[28]
Inoltre Verona non faceva più parte del Quadrilatero, zona militare formata da Verona con Villafranca, Peschiera e Mantova, e perciò aveva perso la notevole importanza di cui prima era investita.
Di conseguenza il valore del mercato cominciò a calare, la disoccupazione aumentò e si manifestò una forte emigrazione.[29]
Nei primi anni dell'attuale secolo, la viticoltura del territorio gardesano non era ancora stata colpita dalla fillossera; la zona di Bardolino ne fu colpita nel 1911.
Allo scoppio della prima guerra mondiale la parte della Gardesana confinante con il territorio trentino, occupato dall'Austria, venne direttamente investita nelle operazioni belliche.
Le imponenti operazioni militari connesse col primo conflitto mondiale interruppero la ricostruzione antifillosserica la quale, a causa di questi avvenimenti ed ai difficili anni che seguirono, subì un notevole ritardo.[30]
Durante la prima guerra mondiale si ebbe una diminuzione della produzione causata dalla sottrazione di braccia al lavoro, ma grazie all'impiego di donne, vecchi, bambini ed invalidi, cui venne affidata l'agricoltura, si riuscirono a garantire le produzioni fondamentali; inoltre vennero concessi esoneri e licenze per il personale delle aziende agrarie, per rendere meno gravi i danni alla produzione.[31]
Inevitabilmente la produzione successiva segnò una sensibile diminuzione.
I 13.500 ettari di vigneto specializzato esistenti nella collina veronese, prima della guerra, si erano ridotti nel triennio 1929-31 a soli 8.500, e la produzione dell'uva dai 514.000 qli del periodo 1909-14 era scesa a meno della metà, 207.300 qli.[32]
Dopo la guerra furono iniziate molte opere per ricostruire le zone sede di operazioni di guerra, e nonostante il clima della ricostruzione non fosse tranquillo a causa di scioperi e violenze, si riuscì a far ripartire le attività produttive.[33]
La ripresa non si fece attendere e quando salì al potere il governo fascista erano in fase di sviluppo varie nuove attività, fra cui quella industriale, grazie anche al clima di forzata 'tranquillità sociale' che venne instaurato.
In questo periodo, inoltre, l'agricoltura in particolar modo ebbe notevole impulso grazie al progresso tecnico e ai miglioramenti fondiari.
La viticoltura era però ristagnante, decaduta rispetto al periodo antecedente al 1914.
La causa fondamentale sembra legata al minor consumo da riferire al diminuito potere d'acquisto della popolazione, e alle minori possibilità di esportazioni. [34]
Nel 1939 ebbe inizio la seconda Guerra Mondiale : l'inflazione aumentò in maniera incontrollabile e i rifornimenti divennero sempre più difficili a causa della scarsità dei raccolti e dell'assorbimento da parte delle truppe tedesche di gran parte delle risorse.[35]
Anche quando cessarono le ostilità, la situazione non migliorò perchè i mezzi tecnici insufficienti, gli scioperi e le agitazioni non permisero una regolare ripresa dell'attività produttiva.
Dopo enormi sforzi per ricostruire le zone distrutte dai bombardamenti e per riportare l'economia verso i livelli prebellici, negli anni Cinquanta ebbe inizio il vero e proprio sviluppo economico, il cosiddetto 'boom', dovuto soprattutto ai settori secondario e terziario.[36]
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