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Il popolo di seattle




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IL POPOLO DI SEATTLE


(Si inizia con una introduzione breve, un giro di parole che serva a presentare l'argomento lungo che verrà trattato nel corso del tema)

Negli ultimi due anni si è sentito parlare con sempre maggiore insistenza da parte dei media di un argomento a metà fra la questione culturale e quella politica: il popolo di Seattle.
Questo movimento è sicuramente figlio dei nostri tempi - basti pensare che è attivo ovunque e in nessun luogo crescendo ed organizzandosi via Internet - e commentare la legittimità dei suoi blitz, manifestazioni, proteste implica la presa di coscienza su temi scottanti come gli effetti della globalizzazione.
(Si passa poi al primo, grande nucleo tematico del discorso, che è poi quello suggerito dalla traccia: in questo caso, il popolo di Seattle. Si presenta quindi il movimento con cenni storici che aiutino a tracciarne un ritratto e, soprattutto, presentando e commentando i fatti recenti, presentando la situazione per com'è ora -ricordiamo che il tema è d'attualità)

Ma chi sono esattamente quelli del Popolo di Seattle? Il movimento prende il nome dalla città in cui venne alla ribalta quando, nel Novembre del 1999, ebbe luogo la sua prima, grande uscita pubblica per dire no ai cibi transgenici e si alla remissione del debito dei paesi poveri. Allora i manifestanti diedero prova della loro forza eversiva e d'opinione tra lacrimogeni e sassaiole. Inizialmente non era facile dare loro un'etichetta : ecologisti, animalisti, sovversivi? Quasi tutti i gruppi 'contro' si trovavano schierati assieme, ma dopo Seattle tutto fu più chiaro : nemico unico di tutti questi micromovimenti era (ed è) la globalizzazione ed i suoi effetti devastanti per la popolazione mondiale. Già, dal momento che tra le conseguenze di questo sistema e possibile riconoscere il grande divario ( culturale ancor prima che economico) tra nord e sud del mondo, la mancanza di rispetto ed anzi l'abuso nei confronti dell'ambiente (acqua cielo o terra non importa: tutto viene ugualmente depredato, inquinato, rovinato), il raggiro dei consumatori, ripetutamente ingannati sui prodotti alimentari e farmaceutici.

Tutti temi che per la loro delicatezza obbligano ciascuno ad una seppur breve riflessione. Quelli di Seattle c'hanno solo preceduti di qualche anno e, a presa di coscienza avvenuta, stanno tentando di aprire gli occhi al mondo con la complicità di una tecnologia - il web - che sembra stare dalla loro parte. Così quelli che prima erano gruppi sparuti impegnati in proteste isolate ( e ingenuamente considerati innocui) si sono uniti in un'unica e grande battaglia, a dimostrare che l'origine di tutti i mali della società va ricercata nell'impostazione di un sistema (il mercato globale) che ha fatto il suo tempo. Ogni nuova uscita pubblica del popolo di Seattle rivendica variamente i diritti degli animali, considerazione per la natura, il rispetto dei consumatori, aiuti per i popoli arretrati. Tutti temi sacrosanti e condivisibili.

Tema di attualità: il popolo di Seattle




Qualche perplessità giunge invece sui mezzi usati da questi ecoguerrieri. Questo movimento infatti ha fatto e continua a far parlare di sé grazie all'esuberanza con cui ha saputo reagire ai manganelli delle forze dell'ordine. Ma non solo. Tra i colpi andati a segno si ricordano avvelenamenti di hamburger e panettoni o sabotaggi di tralicci dell'E.N.E.L. e delle antenne dei telefoni cellulari. Iniziative volutamente provocatorie ed estreme che tuttavia hanno lasciato nell'opinione pubblica qualche perplessità.

(Ecco quindi il secondo nucleo tematico: le opinioni personali. Il proprio parere, in un tema, conta molto: mette in evidenza le capacità critiche e i giudizio dello studente e, a livello tecnico, fa la differenza rispetto ad altre forme di scrittura come l'articolo. Un' ottima mossa è quella di integrare il proprio parere con dei collegamenti interdisciplinari, che facciano capire a chi legge la versatilità discorsiva e la competenza culturale di chi ha scritto il tema. Qui si trovano accenni alla filosofia di Herbert Marcuse).

Si può dire infatti di essere dei guerriglieri della pace? Non è una contraddizione in termini battersi per l'armonia del pianeta con mezzi e metodi propri della guerriglia urbana o del terrorismo? Dalle dichiarazioni rilasciate da alcuni manifestanti durante le varie proteste emerge un parere unanime, quasi un punto fermo : di fronte a valori intoccabili come la natura e il rispetto dell'individuo, il concetto di legalità si assottiglia visibilmente, per cui diviene legittimo ogni tipo di azione. Chi osserva il tutto dall'esterno attraverso il resoconto quotidiano dei media non riesce a coniugare questi due aspetti contraddittori del movimento, finendo col pensare che la giustezza delle richieste venga puntualmente vanificata da metodi inopportuni. O, peggio ancora, etichettando come buffoni e perditempo migliaia di ragazzi che, invece, credono nelle loro battaglie al punto da spostarsi senza remore da una parte all'altra del mondo per sostenerle.

Ma l'opinione pubblica, il parere generale che si forma attraverso notiziari televisivi e articoli di giornale, è un'opinione valida? Quando si parla del popolo di Seattle siamo di fronte ad un resoconto obiettivo e neutrale su quanto accade o non, piuttosto, davanti al proponimento di tesi già collaudate sull'argomento, e quindi davanti a condizionamenti politici del sentire comune?

Questa ipotesi è molto probabile, dal momento che, analizzando il materiale pubblicato o messo in onda sui manifestanti si nota come l'attenzione venga insistentemente spostata sul loro modus operandi più che sui problemi etici sui quali cerca di risvegliare le coscienze. Popolo di Seattle come ecoguerrieri, come ecoterroristi, come rivoltosi che causano disordini, ma mai come nuova generazione, valido movimento di pensiero, figli delle tesi di Marcuse sulla falsa coscienza in cui viene relegato l'uomo contemporaneo, obbligato dall'economia del consumo a desiderare l'inutile, schiavo di una produzione orientata al superfluo.

Personalmente, leggendo dei temi e delle istanze di questi giovani ribelli, ho pensato poco alle sassaiole e molto, invece, a quanto di giusto e drasticamente vero ci sia nelle loro motivazioni. Da quando sono nato ho guardato un apparecchio che mi ha fatto desiderare determinati prodotti. Sono cresciuto pensando che il possesso di quei prodotti fosse un'ottima carta da giocare sul terreno della socievolezza. Cresciuto, m'accorgo di essere stato allevato con cibi malati e vestendo materiali tossici, o per fabbricare i quali migliaia di miei coetanei sono stati costretti alla schiavitù laddove nessuno poteva accorgersi di loro. Noto che d'estate non posso più stendermi al sole o andare al mare con disinvoltura, senza pensare a tumori della pelle o al tasso d'inquinamento delle acque. O ancora, come pensare di essere entrato nel nuovo millennio quando, poco lontano dal mio paese, la gente deve combattere quotidianamente per restare in vita o compromettere la propria dignità per essere libera?

(Il finale è breve ma sicuramente d'impatto. In questo caso si è scelta una chiusura concisa perché il nodo del discorso è già stato ampiamente trattato nei due nuclei precedenti. Richiamarlo in causa sarebbe stato ripetitivo) Non mi serve credere in determinati valori politici piuttosto che in altri per accorgermi che nel mondo in cui vivo c'è qualcosa che non va. Un qualcosa che non è affatto marginale, ma grande, pesante sulla coscienza, sbagliato. E se un giorno dovessi unirmi al coro di chi dice basta, non penserò neanche io alla vetrina, quando infrangere un vetro vorrà dire scheggiare il muro del silenzio - mediatico e non - o svegliare qualche coscienza!



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