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Nel 1930 Josè Luis Ortega y Gasset scrisse nel libro La ribellione delle masse:
Dal tono utilizzato in questa descrizione si può facilmente cogliere il fattore di novità rappresentato dalla nascente società di massa agli inizi del XX secolo.
Tuttavia il concetto di società di massa, inteso come apparato omogeneo in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo, iniziò a prendere forma tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, quando con la rivoluzione francese la cosiddetta massa entrò con forza nella scena politica.
Il 1789 infatti rappresenta un punto di svolta nella storia politica occidentale essendo l'anno zero della cosiddetta "età delle rivoluzioni", teorizzata dallo storico contemporaneo Eric Hobsbawm nella sua opera 1914-1991: Il secolo breve.
Da questo momento in poi il popolo visse in prima persona ogni mutamento politico e sociale della propria nazione, a differenza delle epoche precedenti in cui la vita della massa non era particolarmente sensibile ai cambi di regime politico.
Nel novecento dunque si è avuta la completa realizzazione della società di massa, la quale ha suscitato e continua a suscitare resistenze e reazioni di ogni sorta e che è stata dipinta, a seconda dei punti di vista, sia ottimisticamente come frutto della democratizzazione e della diffusione del benessere, sia con accenti di angosciata preoccupazione come simbolo dell'appiattimento generale e minaccia per le libertà individuali.
Come vedremo di seguito la società di massa è stata la protagonista indiscussa di tutte le dinamiche politiche del XX secolo, un periodo di stallo tra democrazia e la sua deriva più demagogica rappresentata dai totalitarismi.
Di fondamentale importanza nel processo di sviluppo e crescita della società democratica fu il ruolo giocato da istruzione ed informazione, che non a caso divennero poi gli strumenti di controllo più validi della massa da parte dei regimi totalitari.
A partire dagli anni '70 dell' XIX secolo tutti i governi europei si impegnarono per rendere l'istruzione elementare obbligatoria e gratuita, portando l'insegnamento sotto il controllo pubblico.
Di conseguenza si ebbe dunque un aumento generalizzato della frequenza scolastica e la rapida diminuzione del tasso di analfabetismo.
Tale conquista permise l'incremento della diffusione della stampa quotidiana e periodica, venendosi così ad allargare considerevolmente l'area di coloro che contribuivano a formare l'opinione pubblica.
Divenne così più facile per un numero in continua crescita di cittadini accedere alle informazioni di interesse generale, farsi una propria opinione sulle questioni socialmente più rilevanti e far pesare tale opinione sulle scelte di parlamenti e governi.
Società di massa e democrazia non sono sinonimi, ma quest'ultima è stata una delle conseguenze della prima.
Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX a fronte del nuovo scenario sociale si verificarono da parte dei governi dei regimi autoritari alcuni tentativi di coinvolgimento della massa, non tanto per darle peso ma per dar maggiore forza ai regimi stessi.
Nonostante il carattere plebiscitario di questo tipo di coinvolgimento, tutto ciò rappresento una prima legittimazione della forza della massa e cominciarono a prendere forma le fondamenta della democrazia moderna.
La società di massa infatti stimolò una più larga partecipazione alla vita politica ed infatti, seppur con tempi e modi diversi, in molti paesi europei venne adottata l'estensione del diritto di voto prima a tutti i maschi e più avanti ad ambo i sessi.
Tale allargamento del diritto di voto determinò il mutamento delle forme organizzative del dibattito politico, portando alla nascita dei partiti di massa.
Oltre a questi, che divennero protagonisti indiscussi della scena politica solamente dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, sono da segnalare un altro importante canale di socializzazione delle masse quali i sindacati e le loro confederazioni che rappresentavano il più grande fenomeno di associazionismo esistente nella storia europea.
Nonostante tali premesse non si ebbe il diretto passaggio, teorizzato da Polibio, dal regime oligarchico-autoritario alla democrazia: si dovette prima passare attraverso la degenerazione di quest'ultima, ovvero la demagogia dei totalitarismi.
Nella prima parte del Novecento infatti, grazie agli stessi strumenti figli della società di massa quali informazione e cultura, i regimi totalitari dominarono la scena politica europea minacciando e bloccando il processo di democratizzazione.
Se in Francia e Gran Bretagna la società di massa poteva riconoscersi in una sorta di apparato repubblicano piuttosto stabile e radicato, così non si poteva dire nel resto d'Europa dove l'influenza della monarchia era abbastanza forte, anche se in misura diversa.
In Italia e Germania Governo e Cancelleria rappresentavano infatti una forma di governo costituzionale, seppur giovane. In Austria-Ungheria e Russia l'Imperatore e lo Zar detenevano loro stessi il potere esecutivo.
Furono questi dunque i regimi politici delle nazioni che si scontrarono durante la prima guerra mondiale.
Alla conclusione di tale conflitto, con le democrazie vincitrici, il futuro dell'Europa appariva proiettato verso l'adozione paradigmatica della democrazia, anche in seguito al cambio di regime a cui fu obbligata la Germania con la nascente Repubblica di Weimar.
Tuttavia la guerra, che fu la prima grande esperienza di massa vissuta fino ad allora nella storia dell'umanità, aveva segnato profondamente le masse.
Nei paesi più colpiti dalla crisi economica post-bellica, quali Italia e Germania, la giovane democrazia stentava a radicarsi e si rivelò incapace di interpretare i bisogni della massa.
In tali zone, dunque, si conobbe nel corso degli anni '20 e '30 l'instaurazione dei regimi totalitari, populisti e demagogici che ebbero il merito di conquistare il consenso della massa apparendo ad essa in grado di migliorare la condizione sociale.
Prendendo i tre principali totalitarismi del Novecento, ovvero il fascismo italiano, il nazismo tedesco ed il comunismo russo si può notare che nonostante la divergenza ideologica le vie utilizzate per l'acquisizione ed il controllo del potere furono molto simili, se non le stesse.
Tali regimi riuscirono a comprendere a fondo la società di massa: ne interpretarono le componenti aggressive e violente e soprattutto ne sfruttarono a pieno le tecniche e gli strumenti di propaganda quali cinema e radio, i canali di informazione ed istruzione, le strutture associative, in particolare quelle giovanili.
Questa capacità di adattamento alla società di massa e di controllo sui suoi meccanismi costituì una caratteristica propria di tutti quei regimi che, per la loro pretesa di controllo totale della società e di condizionamento non solo dei comportamenti ma della stessa mentalità dei cittadini, sono stati definiti totalitari.
Sia in Italia che in Germania vennero istituiti dei ministeri appositi per il controllo della comunicazione di massa e della cultura ovvero il Minculpop e il Ministero della propaganda nazista affidato a Goebbels, i quali divennero dei centri strategici per il controllo del potere.
Cinema e radio rappresentarono inoltre nuove potenzialità, grazie a questi infatti la propaganda fascista riuscì ad entrare nelle case di molte famiglie italiane.
Fu dunque proprio in quegli anni che nacque il fenomeno della cultura di massa, che poi diventerà la cosiddetta cultura pop, con la diffusione delle canzonette, dei servizi sportivi, degli sceneggiati radiofonici, dei varietà e dei film di evasione.
Queste forme di cultura attraevano un considerevole numero di persone di istruzione anche elementare e si rivelarono sin dall'inizio degli importanti ed efficaci strumenti di propaganda tanto che lo stesso Mussolini affermò: "La cinematografia è l'arma più forte".
Alla fine del secondo conflitto mondiale la democrazia si rivelò davvero vincitrice ponendosi sempre di più come paradigma di libertà e benessere.
In tutto l'Occidente, con tempi diversi, lo sviluppo ed il predominio intellettuale della democrazia fu inarrestabile.
Gli stessi regimi comunisti orientali, dopo la morte di Stalin, allentarono sempre di più il controllo sulla cultura e sulla massa ponendo fine alle repressioni ed alle cosiddette purghe, fino ad arrivare nel 1991 alla formale affermazione democratica dopo la caduta del muro di Berlino del 1989 e lo scioglimento dell'Unione Sovietica.
Tale affermazione fu una conquista della società di massa mondiale e come tale accolta con gioia da tutte le popolazioni democratiche mondiali.
Ritornando alle democrazie dell'Europa occidentale, nella seconda metà del Novecento si ebbe un ulteriore ed importante processo di radicamento delle istituzioni democratiche, viste come garanti di pace, libertà e del nuovo ordine politico mondiale.
Continuò il processo di alfabetizzazione iniziato agli inizi del secolo, il suffragio divenne ovunque universale e le nuove apparecchiature tecnologiche a transistor favorirono lo sviluppo della cultura di massa: una cultura in cui l'immagine tende a prevalere sulla parola scritta ed in cui i prodotti e modelli di origine statunitense si diffusero in tutto i mondo imponendo ovunque nuovi linguaggi e valori a scapito delle culture tradizionali.
Un altro pilastro del nuovo universo culturale che si stava creando fu la musica leggera o pop che iniziò la sua diffusione a partire dagli anni '60.
La musica pop fu, ed è ancora oggi, una fonte inesauribile di modelli ed idoli popolari.
Questa inoltre contribuì alla diffusione dei nuovi valori di pace, indipendenza e uguaglianza tra i giovani, creando un linguaggio ed un sistema di espressioni internazionale.
Tutto ciò non può non esser visto anche come una conseguenza dell'espansione economica post-bellica che portò alla diffusione popolare del benessere nei paesi più industrializzati.
La società di massa divenne così una società opulenta e consumistica che per quanto potesse apparire migliore e naturale espressione della democrazia, con la sua standardizzazione ed omologazione, a detta di molti intellettuali del tempo, non era propriamente libera in quanto tale libertà era comunque relativa a quei sistemi economici e sociali creati dalla cultura pop e dalla società di massa stessa.
Si vennero così a creare delle correnti di rifiuto ideologico che ebbero la loro più forte espressione nei movimenti di contestazione giovanile e di rivolta studentesca del 1968.
Queste correnti, che riprendevano le ideologie rivoluzionarie di matrice marxista, rifiutavano la società consumistica la quale era accusata di sostituire allo sfruttamento economico di tipo tradizionale una forma più subdola e raffinata di dominio, esercitata come nei regimi totalitari attraverso i mezzi di comunicazione, addormentando i conflitti sociali con la diffusione di un benessere effimero, ottenuto a spese delle popolazioni del terzo mondo.
Le cosiddette rivolte studentesche, nonostante abbiano avuto dei risultati politici complessivamente modesti, lasciarono un segno profondo nella società occidentale: rinnovarono il mito di una trasformazione rivoluzionaria della società ed influenzarono i comportamenti individuali.
La rivolta sessantottina divenne essa stessa un mito, un'icona pari a quelle create dalla cultura pop e così vittima della stessa standardizzazione che si prefiggeva di combattere.
Il messaggio
rivoluzionario di questa rivolta si esaurì dunque abbastanza velocemente in
occidente tranne che in Italia dove sulla scia delle lotte studentesche ed
operaie vennero approvate importanti misure legislative di carattere sociale
quali l'introduzione nel 1970 dello Statuto dei lavoratori, l'accesso libero
alle facoltà universitarie ed il divorzio.
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