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Il carpe diem di Orazio




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Il carpe diem di Orazio..


Orazio nacque nella colonia romana di Venosa, in Puglia, l'8 dicembre del 65 a.C. Suo padre, uno schiavo affrancato, ne curò personalmente l'educazione nei primi anni e lo inviò poi a perfezionarla a Roma ; intraprese in seguito un viaggio ad Atene per compiervi degli studi filosofici e là combatté con l'esercito repubblicano la fortunata Battaglia di Filippi.

Tornato a Roma, approfittò dell'amnistia generale, ma il suo podere venosino fu confiscato ed egli dovette adattarsi a vivere esercitando il mestiere di contabile pubblico addetto ai questori.

Nello stesso tempo, cominciò a comporre versi ed entrò nell'amicizia dei poeti Virgilio e Vario Rufo, che lo presentarono nel 38 a.C. a Mecenate. Una reciproca simpatia, rafforzata anche dall'appartenenza alla comune scuola epicurea, legò subito i due uomini e, nel 33 a.C., Orazio ottenne dal suo potente amico il dono tanto sospirato di una villa nella Sabina.

Lì amò spesso ritirarsi, lungi dalla confusione di Roma, per godersi l'otium epicureo e meditare serenamente su problemi di filosofia morale: e per questa pace morale egli rifiutò persino l'offerta di Augusto che lo voleva come segretario particolare.

Nel 23 a.C. furono pubblicati i primi tre libri delle Odi, che gli acquistarono meritata fama di poeta lirico, e nel 17 a.C. Orazio ebbe l'alto incarico da Augusto di comporre l'inno celebrativo per i ludi secolari di Roma (il Carmen saeculare).

La compita maturità interiore e il sicuro equilibrio nei gusti letterari improntarono la produzione di quegli anni, il I e il II libro delle Epistole; mentre il IV libro delle Odi, pubblicato nel 14 a.C. circa, mostra lo sforzo del poeta di sollevarsi dal tono epico per cantare le campagne dei figliastri di Augusto: Tiberio e Druso.

Morì il 27 novembre dell'8 a.C., pochi mesi dopo la scomparsa del suo diletto amico Mecenate.


Carpe Diem

Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros.

Ut melius quicquid erit pati,seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques et spatio brevi

Spem longam reseces.

Dum loquimur, fugerit invidia Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.





Cogli l'attimo

Tu non chiedere (è inutile saperlo) quale fine gli dei abbiano assegnato a me, quale a te, oh Leuconoe, e non tentare i calcoli dei babilonesi.

Quanto meglio sarà sopportare qualsiasi cosa,

sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni, sia che che ci abbia assegnato l'ultimo,

che ora squassa il mar Tirreno sugli opposti scogli: sii saggia, mesci il vino e recidi la lunga speranza poiché lo spazio è breve.

Mentre parliamo il tempo invidioso sarà già passato: cogli l'attimo, fidandoti del futuro il meno possibile.


Orazio si rivolge a una ragazza ansiosa di conoscere il proprio futuro, il nome Leuconoe è già ricco di suggestioni perchè formato dalla radice leuk che indica"luce,chiarore" e dal termine greco nus cioè mente: l'idea di luce che il nome trasmette crea una significativa opposizione con l'oscurità che avvolge il domani e l'impossibilità per la mente di afferrarlo. Alla giovane vengono date alcune semplici norme di una vita ideale di saggezza: bisogna accettare il proprio destino e godere il tempo presente vivendo ogni giorno come se fosse l'ultimo della nostra esistenza perché la vita è precaria e fugace ed è praticamente impossibile sapere cosa ci riserverà il domani.

Il nocciolo della meditazione oraziana sull'esistenza può essere perciò rintracciato nel famoso motto "carpe diem".Spesso questo motto è stato male inteso, e ha attirato su Orazio l'accusa di edonismo o di superficialità; ma nel contesto delle odi in cui si trova non significa "godi la vita", ma "cerca di afferrare il tempo che scorre". Nel corso inesorabile del tempo che è al di fuori di noi e che noi non possiamo  prevedere né condizionare, il carpe diem suona come un invito a vincere la precarietà della nostra esistenza ritagliando dentro di noi un attimo di tempo e un punto di spazio interiore di cui noi stessi possiamo essere padroni. Chiaramente l'apparente edonismo di Orazio riceve profondità dal porre in rapporto la gioia interiore con il muro che sta al di fuori: il tempo, il destino, la morte. La migliore poesia di Orazio si svolge intorno a questo rapporto: da un lato la ricerca di un rifugio interiore, dall'altro la coscienza della precarietà di questo rifugio, di fronte a forze superiori, e l'accettazione del limite.


Alla concezione del tempo si dedicarono poi anche Seneca ed Sant'Agostino. L'idea centrale di Seneca è che 'non disponiamo di poco tempo, ma molto ne perdiamo' (De brevitate vitae). La vita ci sfugge di continuo, ma il tempo di cui disponiamo è sufficiente per compiere le più grandi imprese, per conseguire la virtù (vero obiettivo della vita umana): come ricchezze immense, se finite nelle mani di un incapace, vengono rapidamente dilapidate, così un piccolo gruzzoletto, se capita nelle mani giuste, viene investito e aumenta; così è per la vita, che è breve ma può essere ben sfruttata; questo punto è da Seneca compendiato (De brevitate vitae) nella scintillante sententia 'vita longa est, si uti scias' ('la vita è lunga, se sai farne uso'). Il guaio è che molti uomini si perdono in futili attività, sprecando in tal modo il loro tempo; ed è a tal proposito che Seneca fa (nel De brevitate vitae) un affresco di quelli che lui chiama gli 'occupati', e che noi potremmo definire 'i perdigiorno', coloro cioè che, immersi in attività del tutto inutili, non si accorgono che la loro vita sta scorrendo via. Ecco come Seneca spiega tutto questo al suo amico Lucilio: 

'La vita non è breve, ma tale la rendiamo noi', sprecando il nostro tempo in futili attività, senza accorgerci che 'mentre si attende di vivere, la vita passa':'comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell'agire diversamente dal dovuto. Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l'altro la vita se ne va. Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il tempo che ha ricevuto, quando è proprio l'unica cosa che neppure una persona riconoscente può restituire' (Epistole a Lucilio, 1).

Sant'Agostino affronta invece il tema del tempo nell'undicesimo libro delle "Confessiones". Dapprima afferma che Dio ha creato il tempo quando ha creato l'Universo e l'eternità perciò non esiste un prima e un dopo-creazione. Il suo pensiero sul tempo si articola in quattro passaggi:

Il tempo in sé non è niente,perché il passato non esiste più, il futuro non esiste ancora e il presente è transeunte,cioè scorre velocemente e tende a diventare passato.

Tuttavia noi parliamo di tempo lungo o breve (riusciamo a misurarlo!) riferito al passato e al futuro che quindi devono comunque esistere.

Le tre forme del tempo esistono perciò solo nell'eterno presente dell'anima: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l'intuizione diretta e il presente del futuro è l'attesa.

Misurare il tempo significa misurare la "distensio animi" cioè l'estensione dello spirito che fissa il perenne fluire del tempo


E il carpe diem nel cinema

Il tema del carpe diem è stato rivalutato (con poesia e vigore) in anni recenti nel film"L'Attimo fuggente" (1989, regia di Peter Weir).

Nell'autunno 1959 all'Accademia Welton il nuovo insegnante Keating affascina la sua classe non solo per intelligenza e simpatia, ma per novità pedagogiche: per lui la poesia sopra ogni altra cosa è il fulcro per far nascere e sviluppare lo spirito creativo e per 'liberare' nei ragazzi non solo l'amore per Keats, Withman o Shakespeare ma tutte le premesse migliori per la più indovinata e fertile scelta di vita. Sette allievi lo seguono con interesse particolare, capeggiati da Neil Perry, un diciassettenne da sempre dominato da un padre autoritario, che scopre in se stesso la vocazione di attore. I sette ragazzi hanno fondato la 'Società dei Poeti Estinti' e di notte lasciano spesso e volentieri l'Accademia per riunirsi in una grotta, per meglio comunicare tra loro e recitare versi, propri ed altrui. Ma i metodi del professor Keating e le azioni dei suoi allievi si scontrano con il conformismo e la serietà che sempre hanno regnato a Welton. I comportamenti di questi ragazzi hanno una tragica conseguenza nell'aspirante attore, che si toglie la vita nella casa paterna, dopo lo schietto successo riportato in una recita scolastica, avendo appreso che i suoi lo toglieranno dalla scuola per la sua insubordinazione. Seguirà una severa inchiesta a cura del preside Nolan che porterà alla denuncia della Società da parte di due ragazzi che ne facevano parte. Keating, ritenuto il vero responsabile di questa morte, deve lasciare l'insegnamento, mentre nella sua ex-classe tutto sta per tornare in ordine, sotto la temporanea e monotona guida personale dello stesso preside. Keating, ritirando i suoi libri,quelli dei Poeti che venera e che ha insegnato ad amare,vede il piccolo gruppo dei sette fedelissimi (che hanno 'dovuto' accusarlo) i quali, saliti in piedi sui banchi, recitano versi e lo guardano intensamente, salutandolo per sempre.

Nel film la massima oraziana è esemplificata dal comportamento di Neil Perry che, senza lasciarsi condizionare dai timori di un prevedibile rimprovero del padre, ha seguito il suo sogno di recitare nell'unica occasione che gli si è presentata. In modo analogo, ma con conseguenze più positive, aderisce al messaggio oraziano l'altro membro della Società Knox Overstreet quando bacia la ragazza dei suoi sogni.


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