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I personaggi alienati di Luigi Pirandello
Carlo Salinari è tra i più importanti critici letterari degli anni cinquanta e per ciò che riguarda Pirandello il critico individua nello scrittore siciliano un testimone della crisi ideologica e culturale che ha coinvolto molti intellettuali europei agli inizi del Novecento. Pirandello rappresenta quell'avanguardia che seppe esprimere l'angoscia e l'opposizione dell'uomo moderno, dopo la crisi della società ottocentesca.
Come i poveri ragni
Noi siamo come i poveri ragni, che per vivere han bisogno d'intessersi in un cantuccio la loro tela sottile, noi siamo come le povere lumache che per vivere han bisogno di portare a dosso il loro guscio fragile, o come i poveri molluschi che vogliono tutti la loro conchiglia in fondo al mare. Siamo ragni, lumache e molluschi di una razza più nobile - passi pure - non vorremmo una ragnatela, un guscio, una conchiglia - passi pure - ma un piccolo mondo sì, e per vivere in esso e per vivere di esso. Un ideale, un sentimento, una abitudine, una occupazione - ecco il piccolo mondo, ecco il guscio di questo lumacone o uomo - come lo chiamano. Senza questo è impossibile la vita. Quando tu riesci a non avere più un ideale, perché osservando la vita sembra un'enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai; quando tu non hai più un sentimento, perché sei riuscito a non stimare, a non curare più gli uomini e le cose, e ti manca perciò l'abitudine, che non trovi, e l'occupazione, che sdegni - quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore - allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così. [.] Io scrivo e studio per dimenticare me stesso - per distormi dalla disperazione.
(da una lettera alla sorella Lina, 31 ottobre 1886)
Scrivere per dimenticare l'enorme pupazzata della vita.
Egli si confessa alla sorella per rivelarle il proprio malessere e la propria irrequietezza; sottolinea che il suo tormento discende dalla difficoltà di trovare un senso e un indirizzo alla propria esistenza, e tuttavia in ciò coglie non solo un tratto marcatamente individuale, bensì la qualità che gli pare caratterizzare la vita di tutti gli uomini. All'insensatezza dell'esistenza umana si contrappone la necessità di trovare un ideale, un sentimento, una abitudine, una occupazione, in cui credere e rifugiarsi. Tuttavia i sentimenti, le abitudini e le occupazioni, pur preservando l'uomo dalla disperazione, non sono che una "maschera", un'illusione con la quale gli uomini cercano di celare a se stessi la tragica verità della loro condizione. Egli scorge e rispecchia i segni del decadimento della civiltà italiana, il tramonto della cultura positivista e di un'ideologia fiduciosa riguardo al progresso. Il pessimismo di Pirandello che inizialmente è alimentato dal contesto regionale e dalla sua personale esperienza, si consolida con la lettura delle opere di filosofi europei: "l'alienazione umana non ha una ragione sociale o una causa politica; è una condizione universale che riguarda ogni individuo, non dipendente da alcuna contingenza storica".
La "Weltanschauung" e la poetica pirandelliana.
La visione della vita è in Luigi Pirandello fortemente influenzata da filosofi contemporanei quali Bergson, Freud e lo psicologo A.Binet (Les altérationes de la personnalité,1908). Proprio l'opera dell'ultimo di questi contribuirà a formare la concezione soggettivistica e relativistica verso cui si orienta lo scrittore agrigentino:
La presunta unità del nostro io non è altro in fondo che un aggregamento temporaneo scindibile e modificabile dei varii stati di coscienza più o meno chiari []. Con gli elementi del nostro io noi possiamo comporre, costruire in noi stessi altre individualità, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto
Nel saggio sull'Umorismo elabora una concezione dell'opera umoristica che deve essere il mezzo della riflessione.
Nella concezione dell'opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionatamente; ne scompone l'immagine; da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io infatti chiamo il "sentimento del contrario".
Il Pirandello porta un esempio per chiarire la sua visione. Ipotizza la visione di una vecchia signora goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili che suscita in lui il riso a causa dell' "avvertimento del contrario", infatti quella signora è il contrario di ciò che dovrebbe essere; questo è appunto il comico. Ma se interviene la riflessione che suggerisce che la vecchia signora si veste in quel modo solo per illudersi di nascondere la sua età agli occhi del giovane marito, allora non si può più ridere di lei perché la riflessione ha dato vita al "sentimento del contrario"; questo è ciò che l'autore intende per umoristico. Compito della riflessione umoristica è demistificare ogni illusione. L'uomo ha il privilegio assai triste di "sentirsi vivere" dentro la prigione di una forma che lo aliena dalla vita autentica. La poetica umoristica motiva l'interesse dello scrittore per tutto ciò che improvvisamente rompe l'ordine convenzionale e mette l'uomo a contatto con il flusso vitale. Dai molti testi si evince come il momento epifanico sia un'esperienza traumatica non voluta dai personaggi che, liberati dalla forma in cui la loro misera esistenza si è rifugiata, ne escono sconvolti (cfr. Mattia Pascal e Vitangelo Moscarda).
La parte e la maschera.
Dal punto di vista di Pirandello la vita sociale è il luogo dell'inautenticità che si copre e si difende con la menzogna. Da qui la convinzione che l'individuo nei rapporti con gli altri o simula recitando una parte o si chiude, per inettitudine, bisogno di sicurezza e di tranquillità, in una forma in cui si consolidano i ruoli imposti dalla società.
Nell'interpretazione di Elio Gioanola del "Fu Mattia Pascal" il protagonista vive proprio il dramma di una falsa esistenza turbata dal momento epifanico senza tuttavia approdare a nulla di certo.
.Un io che abbandoni le condizioni di un vivere convenzionale, nelle sociali e sentimentali ciecamente e pigramente accettate, quelle appunto che formano il sistema della "falsità"(detta anche alienazione), non compie un viaggio verso l'autenticità, ma verso la desolazione del nulla.
.Quali sono le prime reazioni di Mattia balzato giù dal treno, dopo la notizia del proprio suicidio? "Mi voltai a guardare il binario deserto, che si snodava lucido per un tratto nella notte silenziosa, e mi sentii come smarrito nel vuoto [.] La violenta impressione ricevuta alla lettura di quella notizia che mi riguardava così da vicino mi si ridestava in quella nera, ignota solitudine, e mi sentivo, allora, per un attimo, nel vuoto, come poc'anzi alla vista del binario deserto; mi sentivo paurosamente sciolto dalla vita, sperduto, in attesa di vivere oltre la morte".
Il tema dell'alienazione dalla vita si manifesta in tutte le opere pirandelliane, dalla narrativa al dramma teatrale in maniera più o meno marcata. Le opere più "filosofiche" del Pirandello si possono considerare il "fu Mattia Pascal", "Quaderni di Serafino Gubbio operatore" e "Uno, nessuno e centomila".
Nel primo si mette in luce come l'abbandono della routine, grazie ad un evento occasionale, apra una nuova vita al protagonista liberandolo dalle vecchie costrizioni e dandogli la convinzione che la nuova vita è solo nelle sue mani. Immediatamente si accorge di come la scoperta "libertà" sia in realtà fittizia e nella sua nuova vita di Adriano Meis subito viene travolto dagli stessi legami che lo opprimevano "da Mattia". La decisione di un ritorno alla vecchia esistenza lo porta a condurre una vita ormai priva dei precedenti legami e di una vera identità. Il tempo del romanzo si può dividere in quattro momenti speculari: -"la presunta scomparsa di Mattia", -"la nascita si Adriano Meis", -"la morte fittizia di Adriano Meis", -"la rinascita di Mattia". La costruzione circolare e la struttura simmetrica del testo contribuiscono a sottolineare l'idea base del romanzo, ossia che la condizione dell'esistenza è, di fatto immutabile.
Con i Quaderni di Serafino Gubbio operatore Pirandello ritorna alle tematiche del Fu Mattia Pascal. Il protagonista e narratore del romanzo, Serafino Gubbio, è un operatore cinematografico costretto dal suo lavoro ad adeguare i movimenti della mano alle necessità della ripresa, senza distogliere mai lo sguardo dall'obiettivo della macchina: una vera appendice (quasi un motore) dell'attrezzo, indispensabile e funzionale al suo uso. Una situazione alienante che si riflette sull'uomo, reso incapace di 'guardare' perso nelle cose che ormai si limita a 'vedere', riprendendole con freddo distacco. Serafino è, dunque, l'emblema della disumanizzazione, che aliena l'individuo identificandolo nel tirannico primato dello strumento. Egli trascrive nei suoi diari l'irreversibile processo di annichilimento della sua personalità. L'operatore vive in una dimensione visiva in cui si cristallizza la sua forma di uomo-macchina, separato e lontano dalla realtà. La macchina è allo stesso tempo strumento di alienazione e difesa dall'esistenza.
Uno, nessuno e centomila
È il romanzo della scomposizione della personalità. Esso giunge alle conclusioni più estreme, alle conseguenze più lontane. Spero che apparirà in esso, più chiaro di quel che non sia apparso finora, il lato positivo del mio pensiero. Ciò che, infatti, predomina agli occhi di tutti è solo il lato negativo: appaio come un diavolo distruttore, che toglie la terra di sotto ai piedi della gente. E, invece! Non consiglio forse dove i piedi si debban posare quando di sotto ai piedi tiro via la terra? La realtà, io dico, siamo noi che ce la creiamo: ed è indispensabile che sia così. Ma guai a fermarsi in una sola realtà: in essa si finisce per soffocare, per atrofizzarsi, per morire. Bisogna invece variarla, mutarla continuamente, continuamente mutare e variare la nostra illusione.
Il protagonista, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, entra improvvisamente in crisi allorché la moglie gli fa per caso osservare che ha il naso un po' storto. Il fatto banalissimo assume proporzioni e conseguenze impensabili per Moscarda, che non aveva mai dubitato della perfezione del proprio naso ritenendo che anche gli altri lo giudicassero dritto. La scoperta di questa dissociazione fra essere e parere è la "vispa infanzia della follia" di Gengè il quale si accorge che ognuno lo vede a suo modo, conforme all'immagine che di lui si è fatta: e non solo per l'aspetto esteriore ma anche e soprattutto per quello interiore. Ciascuno non è "uno" ma "centomila", e perciò "nessuno". Moscarda si ribella: vuole distruggere tutte le false immagini che gli altri si sono costruite di lui, alla ricerca di un vero io dietro le maschere o le 'forme' inautentiche e soffocanti. Comincia cosi a compiere atti gratuiti che lo qualificano come un pazzo. Vitangelo finisce in un ospizio dove vive una vita assolutamente nuova, a contatto con la natura che lo circonda e in cui si immedesima, rifiutando il proprio nome e la propria individualità, di volta in volta albero foglia nuvola vento, addirittura filo d'erba.
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