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Heiddeger
Cura enim quia prima finxit, teneat quamdiu vixerit
"Poiché infatti fu la Cura che per prima diede forma all'uomo, la Cura lo possieda finché esso viva"
Per molto tempo (dal 1930 al 1945 e oltre) Martin Heiddeger è stato considerato come "la maggior figura dell'esistenzialismo contemporaneo", ovvero come il filosofo che più di tutti avrebbe incarnato lo spirito e le istanze della filosofia esistenziale del Novecento. In seguito, con la pubblicazione degli inediti degli anni Trenta e dei nuovi scritti che lo studioso andava elaborando nello spirito della "svolta", è apparso evidente che il problema centrale di Heiddeger, coerentemente con il programma "ontologico" di Essere e tempo, non era quello dell'"esistenza", bensì quello dell'"essere".
La prima caratteristica dell'esistenza, evidenziata dalla sua capacità di porre il problema dell'essere, ovvero di rapportarsi in qualche modo all'essere (al proprio essere o all'essere in generale). La seconda caratteristica dell'esistenza risiede nel fatto che essa è essenzialmente possibilità d'essere. "L'Esserci, scrive Heiddeger, è sempre la sua possibilità". In altri termini, l'esistenza non è una "realtà" fissa e predeterminata, ma un insieme di possibilità fra cui l'uomo deve scegliere. La scelta, ogni scelta. È un problema che si pone di fronte al singolo uomo e che dà luogo a quella che Heiddeger chiama comprensione esistentiva od ontica, la quale concerne l'esistenza concreta di ognuno. La comprensione esistenziale od ontologica è invece quella che si propone di indagare teoreticamente le strutture fondamentale dell'esistenza (i cosiddetti "esistenziali). Ma poiché l'esistenza è sempre individuata e singola, cioè non è mai l'esistenza di un uomo in generale o della specie uomo, ma sempre la mia, tua, sua esistenza, è evidente che la stessa analitica esistenziale si radica nella condizione esistentiva od ontica dell'uomo.
Nell'analisi di quel poter-essere che è l'uomo, Heiddeger, conformemente ai presupposti fenomenologici dell'"imparzialità", comincia ad esaminare l'uomo in quella che egli chiama "quotidianità" e "medietà", ossia nelle situazioni in cui l'Esserci si trova "innanzitutto o per lo più".
Visto nel suo concreto e quotidiano esistere, l'uomo è in primo luogo un essere nel mondo, ossia un prendersi cura delle cose che gli occorrono: mutarle, manipolarle, ripararle, costruirle.
Poiché per l'Esserci trovarsi nel mondo significa prendersi cura delle cose, l'essere di queste ultime, in relazione all'uomo, coincide dunque con il loro poter essere utilizzate.
L'esistenza inautentica
Come l'esistenza è sempre un essere nel mondo, così è anche un essere tra gli altri; l'esistenza, fin dal principio, è apertura verso il mondo e verso gli altri. Come il rapporto tra l'uomo e le cose è un prendersi cura delle cose, così il rapporto tra l'uomo e gli altri è un aver cura degli altri; l'aver cura costituisce la struttura fondamentale di tutti i possibili rapporti tra gli uomini. Esso può assumere due forme diverse: può significare, in primo luogo, sottrarre agli altri le loro cure; in secondo luogo, aiutarli ad essere liberi di assumersi le proprie cure. Nella prima forma, l'uomo non si cura tanto degli altri quanto delle cose da procurar loro; la seconda forma apre agli altri la possibilità di trovare se stessi e di realizzare il loro proprio essere. Perciò la prima è la forma inautentica della coesistenza, è un puro "essere insieme"; mentre la seconda è la forma autentica, è il vero "coesistere". L trascendenza esistenziale, fondandosi sulle possibilità di essere dell'uomo, è nello stesso tempo un atto di comprensione esistenziale.
La comprensione inautentica è il fondamento dell'esistenza anonima; l'esistenza anonima è quella di tutti e di nessuno (è quella del si impersonale). Un esistenza così vuota cerca naturalmente di riempirsi e perciò è morbosamente protesa verso il nuovo: la curiosità è quindi l'altro suo carattere dominante; curiosità non per l'essere delle cose ma per la loro appartenenza visibile, che perciò reca con sé l'equivoco. L'equivoco è l'altro contrassegno dell'esistenza anonima che, in preda alle chiacchiere e alla curiosità, finisce per non sapere neppure di che si parla o a che si riferisce il "si dice".
La cura
Queste determinazioni non implicano, nel pensiero di Heidegger, una condanna dell'esistenza anonima, giacché l'analisi esistenziale non pronuncia giudizi di valore. Essa si limita a riconoscere che l'esistenza anonima fa parte della struttura esistenziale dell'uomo ed è un suo costitutivo poter essere. Alla base di questo poter essere c'è quella che Heidegger chiama la deiezione cioè la caduta dell'essere dell'uomo al livello delle cose del mondo. La deiezione non è un peccato originale né un accidente che il progresso dell'umanità possa eliminare; fa parte esistenziale dell'essere dell'uomo. E' un processo interno, per cui quest'essere, nei suoi commerci quotidiani con le cose, scende al livello di un fatto e diventa effettivamente un fatto. Questa condizione diventa evidente o meglio viene vissuta direttamente nella situazione emotiva in cui l'uomo si sente abbandonato ad essere ciò che è di fatto. La situazione emotiva si differenzia dalla comprensione esistenziale in quanto mentre questa è un continuo progettare in avanti, a partire dalle possibilità dell'esistenza, quella è piuttosto orientata all'indietro e fa perno sul fatto che l'uomo c'è ed è un esistente fra gli altri. La totalità di queste determinazioni dell'essere dell'uomo viene compresa nell'unica determinazione della Cura. La cura (nel senso latino del termine) è la struttura fondamentale dell'esistenza. La cura esprime così la condizione fondamentale di essere che, gettato nel mondo, progetta in avanti le sue possibilità; ma queste possibilità lo riconducono incessantemente alla sua situazione di fatto originaria, al suo essere gettato nel mondo. L' esistenza è in primo luogo un essere possibile, cioè un progettarsi in avanti; ma questo progettarsi in avanti non fa che cadere all'indietro, su ciò che già l'esistenza è di fatto. Tale è la struttura circolare e perciò conclusa e compiuta della Cura, in quanto costituisce l'essere stesso dell'uomo; tale essere è un essere nel mondo e decade perciò nell'esistenza anonima quotidiana. A questa esistenza anonima che come tale è inautentica, Heidegger assegna buona parte dell'esistenza umana. Per il filosofo, l'intero campo della normatività e dei valori, non essendo possibile né comprensibile fuori dal rapporto dell'uomo col mondo, appartiene all'esistenza quotidiana anonima e rimane fuori dalla soglia dell'esistenza anonima.
L'esistenza autentica
La morte
"L'estrema possibilità dell'esistenza è la sua rinuncia a se stessa".
Nell'Esserci, osserva Heiddeger, manca sempre ancora qualcosa che esso può essere o sarà. Ora, di questo qualcosa che manca fa parte la stessa "fine". La "fine" dell'Esserci è la morte. La morte, chiarisce Heiddeger, non è per l'uomo un termine finale, non è neppure un fatto perché in quanto tale, non è mai la propria morte. Essa è "come fine dell'Esserci, la possibilità dell'Esserci più propria, incondizionata, certa e , come tale, indeterminata e insuperabile". E' una possibilità incondizionata perché appartiene all'uomo in quanto individualmente isolato. Tutte le altre possibilità pongono l'uomo in mezzo alle cose o fra gli uomini; la possibilità della morte isola l'uomo con se stesso. Soltanto nel riconoscere la possibilità della morte, nell'assumerla su di sé come scelta anticipatrice, l'uomo ritrova il suo essere autentico e comprende veramente se stesso. Ma poiché ad ogni comprensione si accompagna una situazione emotiva che ci pone immediatamente di fronte al nostro essere di fatto, così anche la comprensione di noi stessi alla luce della morte è accompagnata da quella specifica tonalità emotiva che è l'angoscia. L'angoscia, che Heiddeger distingue dalla paura, è quella situazione capace di "tenere aperta la costante e radicale minaccia" che proviene dalla morte, ovvero lo stato emotivo in virtù del quale "l'Esserci si trova di fronte al nulla della possibile impossibilità della propria esistenza". Di conseguenza, l'angoscia colloca l'uomo davanti al nulla, e in virtù di essa la totalità dell'esistenza diventa qualcosa di labile, di accidentale e di sfuggente, in cui il nulla stesso si presenta nella sua potenza di annullamento. Ma così l'angoscia rivela anche il significato autentico della presenza dell'uomo nel mondo, la quale significa tenersi fermi all'interno del nulla.
L'esistenza quotidiana anonima è una fuga di fronte alla morte; quest'ultima non può venire intesa e realizzata che come pura minaccia sospesa sull'uomo. Non è neppure un'attesa, perché anche l'attesa non mira che alla realizzazione, e la realizzazione nega o distrugge la possibilità come tale. Essere per-la-morte significa accettare la possibilità più propria del nostro destino.
La "voce della coscienza"
Ciò che richiama l'uomo alla sua esistenza autentica è quel fenomeno che Heiddeger denomina "voce della coscienza", intendendo per essa, il richiamo dell'esistenza a se stessa che coincide con un sentimento di consapevolezza. Questa "voce" richiama l'uomo a se stesso, a ciò che egli autenticamente è e non può non essere. L'esistenza umana è costituita da possibilità, l'uomo, essendo un progetto-gettato, non risulta il fondamento del proprio fondamento. Da ciò la nullità di base che lo costituisce. L'esistenza autentica è così, secondo Heiddeger, quella che comprende chiaramente e realizza emotivamente (tramite l'angoscia) la radicale nullità dell'esistenza. In altri termini, se l'uomo, in quanto progetto-gettato è costituito da una "nullità essenziale", non rimane che anticipare e progettare questo nulla, sotto forma di una visione anticipatrice della morte, intesa come la possibilità propria ed estrema del nulla di sé. Solo in tal modo, l'Esserci, entra in possesso della proprio finitudine e si trova "in cospetto della nudità del suo destino". Solo in tal modo l'Esserci ratifica quella situazione per la quale egli, nello stesso momento in cui si apre all'essere, si installa e si mantiene fermamente nel nulla (di se stesso).
Il tempo e la storia
Il senso della Cura è la temporalità; il progetto proietta l'Esserci verso il futuro, l'essere-gettato inchioda l'Esserci al passato, la deiezione radica l'uomo nel presente inautentico del prendersi cura delle cose, cui si contrappone il presente autentico dell'attimo. In altri termini, la temporalità rappresenta il senso unitario della struttura della Cura, in quanto questa è "essere-avanti-a-sé" (progetto), "esser-già-in" (gettatezza) ed "essere-presso" (deiezione). Il tempo non si aggiunge all'esistenza: l'Esserci è tempo.
La storicità viene vista come "ripetizione" e "destino", ossia come assunzione consapevole dell'eredità del passato e come fedeltà al popolo cui si appartiene.
La storicità autentica è la scelta, per l'avvenire, delle possibilità che sono già state, ovvero un tramandarsi di tali possibilità, una loro ripresa decisa, che Heiddeger chiama anche destino (in senso attivo e non passivo).
Nella storicità inautentica, al contrario, l'estensione originaria del destino risulta nascosta.
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