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In questi ultimi tempi una serie di avvenimenti politici, economici ed istituzionali ha portato alla ribalta una regione d'Europa che in passato era stata luogo di frizioni di interessi contrastanti. Il Friuli-Venezia Giulia (appendice più orientale del prospero nord-est d'Italia), la Carinzia (land meridionale dell'Austria, se non addirittura il Paese nella sua interezza) e la Repubblica di Slovenia (ponte fra i tumultuosi Balcani e l'Europa centrale): sono queste le tre attuali realtà istituzionali che, dopo un passato fatto di contrasti, oggi sembrano puntare a costituire una di quelle macroregioni su cui l'assetto della claudicante Unione Europea in futuro dovrebbe strutturarsi.
In tale zona, che d'ora in poi per la sua ubicazione geografica possiamo chiamare alpeadriatica, si sta già attuando una serie di iniziative omogenee ("Senza Confini-Ohne Grenze-Brez Meja" comitato promotore per la candidatura alle Olimpiadi invernali, finanziamenti europei del fondo Interreg ad esempio), ma può essere interessante vedere come si è giunti a questa situazione, quali siano le sue prospettive future e quali gli interessi in gioco. Primo passo di questo percorso sarà un accenno alle vicende storiche che hanno caratterizzato questi luoghi nel corso del secolo che ci stiamo lasciando alle spalle, evidenziando come gli eventi siano stati la conseguenza di tre contrastanti motivazioni geopolitiche: dell'Italia verso est, del mondo tedesco verso il Mare Adriatico e di quello slavo per mettersi in contatto con i traffici marittimi adriatici. Quindi una disamina degli assetti politici delle tre entità facenti parte della regione alpeadriatica, anche per poter fare infine delle proiezioni in chiave futura sul destino di quest'area.
Prima Guerra Mondiale. L'alba del XX secolo vede Venezia Giulia, Austria e Slovenia inglobate nel traballante Impero Asburgico, impegnato più a sud a consolidare le sue posizioni a discapito della Russia zarista nelle regioni che gli Ottomani stanno perdendo (Guerre Balcaniche). Ma focolai di sommovimenti covano sotto la cenere. Il consolidarsi di una Grande Serbia di religione Ortodossa dà fiato alle teorie del cosiddetto panslavismo, che deve fare i conti oltre che con l'invadente vicino asburgico anche con una radicata presenza mussulmana, retaggio della passata dominazione turca (Bosnia, Albania). L'Italia guarda ad est, tanto per completare la sua unificazione territoriale a spese di Vienna (Trento, Trieste, Gorizia, Istria, Fiume e Dalmazia), tanto per partecipare alla spartizione della penisola balcanica (Albania).
L'assassinio dell'erede al trono asburgico Francesco Ferdinando a Sarajevo (28 giugno 1914) dà il via alla Terza Guerra Balcanica fra Austria-Ungheria e Serbia, che, con una reazione a catena, sfocia nella Prima Guerra Mondiale. Russi e Francesi confermano la loro tradizionale amicizia nei confronti dei Serbi, Bulgari e Turchi intendono rispettivamente ingrandirsi e recuperare il terreno perduto e, al pari dei Tedeschi, affiancano Vienna. Dopo un anno di esitazione, l'Italia, adeguatamente garantita dall'Intesa (Accordo di Londra del 26 aprile 1915), abbandona la Triplice Alleanza stretta nel 1882 con Austria e Germania per entrare nella Triplice Intesa appunto.
Fra le due guerre.I trattati di pace di Versailles lasciano l'amaro in bocca a più di qualcuno, essendo stati elaborati essenzialmente per soddisfare i desiderata di Francia, Inghilterra e Usa e trascurando il tanto sbandierato principio di autodeterminazione dei popoli. Dalle spoglie dell'Impero Austro-ungarico nascono la Repubblica d'Austria, l'Ungheria, la Cecoslovacchia (arbitraria unificazione a tavolino di Boemia e Moravia a forte componente tedesca con la Slovacchia) e il Regno di Jugoslavia dei Karageorgevic (inizialmente Regno dei Serbi, Croati e Sloveni), Romania e Grecia si allargano, mentre l'Italia ottiene sì il Trentino, l'Alto Adige fino al Brennero (con maggioranza tedescofona), Venezia Giulia, Istria e parte della Dalmazia (con minoranza slava), ma per arrivare a Fiume e a Zara ci vorranno tanto il colpo di mano di D'Annunzio nel 1919 quanto la via diplomatica a Rapallo nel 1920.
Il contesto alpeadriatico. Se andiamo ad analizzare l'area che ci riguarda più da vicino, notiamo come anche in un ambito ristretto la diplomazia non sia riuscita a sanare frizioni. A parte le già accennate tensioni legate alla Vittoria Mutilata di parte italiana, resta il problema delle minoranze slovene, presenti tanto al confine carinziano-sloveno, quanto nelle annessioni italiane. Nel 1919 si arriva addirittura ad una guerra fra Austria e Jugoslavia per l'assegnazione della Carinzia e della Stiria meridionale: con aiuti e consiglieri militari italiani (primo passo di un'amicizia italoaustriaca che si consoliderà al tempo del cancellierato di Dolfuss), la vittoria arride agli austriaci. L'Italia dal canto suo è uno Stato giovane, non abituato ad avere a che fare con siffatti gruppi minoritari ed i governi liberali dell'immediato dopoguerra compiono delle aperture verso le comunità di minoranza. Ben diversa la posizione del Fascismo, che mira ad una progressiva italianizzazione forzata facendo proprio un nazionalismo in cui non trovava posto il concetto di tolleranza, ma che allora era assai diffuso in Europa.
La Seconda Guerra Mondiale. L'Anschluss da parte di Adolf Hitler dell'Austria cambia ulteriormente la situazione, dopo che anni prima Mussolini aveva mobilitato le sue Divisioni al Brennero per scongiurare un precedente tentativo. L'Asse Roma-Berlino è consolidato, la corsa allo spazio vitale verso est della Germania si coniuga all'annessione nel Reich di tutte le comunità tedescofone, l'Italia ha nel frattempo consolidato il controllo sull'Albania. Se aggiungiamo che Ungheria, Romania e Bulgaria stanno affidando le proprie sorti a regimi semiautoritari, si comprende facilmente come i Karageorgevic abbiano optato per una politica filo-Asse. Nel 1941n colpo di stato militare filo-inglese segnò la fine della Jugoslavia: invasa da tutti i confini, venne spartita fra Italia (la quale completa l'annessione del litorale con l'aggiunta del Montenegro e del Kosovo, formalmente inglobato nell'Albania), Germania (Slovenia settentrionale unita direttamente all'Austria e Serbia occupata militarmente), Ungheria (Banato e Slovenia orientale), Bulgaria (Macedonia), Croazia (indipendente sotto la guida di Ante Pavelic e con il controllo sulla Bosnia). La lotta partigiana capeggiata da Tito e le sconfitte dell'Asse e dei suoi alleati fecero sì che tale assetto durasse ben poco. Nelle convulse fasi della primavera 1945 la regione alpeadriatica è il teatro delle più significative operazioni. Mentre l'Armata Rossa arriva anche a Vienna, le bande partigiane di Tito si scatenano a Trieste e nel suo entroterra. Il capo partigiano slavo ha infatti già in mente la nuova Jugoslavia: una Repubblica di tipo federale territorialmente pari al regno dell'anteguerra, ma includente anche, in guisa di Settima Repubblica (oltre a Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia) proprio Trieste e la sua provincia. Gli eccidi delle Foibe, le deportazioni, l'annientamento anche di esponenti della resistenza italiana attivi in zona: tutto rientra in un progetto di snazionalizzazione della città. Approdata finalmente sotto un Governo Militare Alleato, Trieste (con Gorizia) è l'unica zona delle annessioni italiane a oriente fra 1919 e 1941 a non venire inglobata nella Repubblica Federativa di Jugoslavia.
Il secondo dopoguerra. Nel 1954 Trieste ritorna effettivamente italiana, con il sacrificio del passaggio della Zona B alla Jugoslavia, nel frattempo diventata capofila dei cosiddetti Paesi non allineati (salvo poi mantenere un regime di chiara impostazione socialista al suo interno). L'Austria e Vienna, invece, proprio come la Germania e Berlino, vengono suddivise in zone di controllo fra gli Alleati, con la presenza di contingenti militari fino al 1955 (altro motivo per il perdurare della presenza del G.M.A. a Trieste in qualità di sicuro porto per i rifornimenti). Nelle trattative di pace l'Italia (nonostante l'8 settembre) viene considerata alla stregua di perdente mentre l'Austria viene ritenuta vittima dell'aggressione nazista e viene esplicitamente vietata qualsiasi futura unificazione austro-tedesca. In questo modo la cortina di ferro che calerà nel secondo dopoguerra passerà proprio in queste terre. Se le martoriate frontiere sembrano finalmente ferme, la situazione sul territorio è ben diversa. Nonostante l'Esodo di migliaia di nostri connazionali a guerra finita, in Istria, a Fiume e in Dalmazia resistono sacche di minoranza italiana. Nel minuscolo entroterra triestino, nella provincia di Gorizia (città selvaggiamente tagliata a metà dal confine italojugoslavo) ed in alcune valli del Friuli orientale ci sono presenze slovene, alle quali il centro-sinistra ha tentato in maniera clientelare di concedere il bilinguismo in più circostanze, l'ultima delle quali con il defunto Governo D'Alema. Per questa presenza e per la vicinanza del confine, la Regione Friuli-Venezia Giulia è stata gratificata di uno Statuto Autonomo. L'Austria che si riavvia alla normalità affida le sue sorti a governi costituiti da popolari e socialdemocratici ed è perfettamente inserita nell'assetto democratico occidentale mantenendosi però neutrale fra i due blocchi. L'Italia è invece partecipe e protagonista del contesto occidentale, essendo parte se non addirittura promotrice di forme di organizzazione infrastatale a livello europeo (fra cui la C.E.E.) e mondiale (N.A.T.O.). Al di là della cortina il carisma ed il pugno di ferro di Tito riescono a mantenere compatta una creatura artificiale di Versailles nata a nuova vita e con ulteriori tensioni nel 1945. Dal punto di vista economico Slovenia e Croazia hanno una marcia in più rispetto alle Repubbliche meridionali, alla preesistente frizione religiosa (cattolici a nord, ortodossi a sud con enclavi mussulmane non indifferenti) si sommano agli strascichi della guerra partigiana (croati filo-tedeschi, serbi appoggiati dagli anglo-sovietici). Nonostante le garanzie costituzionali (la presidenza della Federazione a rotazione fra le Repubbliche), in Croazia e Slovenia si diffonde l'impressione di far parte di una Grande Serbia, la quale tutto amministra a partire dall'elefantiaca burocrazia di Belgrado.
Gli anni Novanta. È in questo clima che si giunge alla caduta del Muro di Berlino. Nell'estate 1991 la Repubblica di Slovenia proclama la sua indipendenza, quasi contemporaneamente alla Croazia. Se la secessione di Zagabria scatena una reazione a catena i cui effetti non sono ancora finiti, Lubiana ha avuto una fase di scontri armati poco rilevante in confronto a quel che sarebbe successo più a sud. Lo Stato del Vaticano, Austria e Germania, la gran parte dei Paesi europei e l'O.N.U. s'affrettano a riconoscere le due Repubbliche. L'Italia non è da meno, anche se si erano aperti interessanti spiragli diplomatici. Belgrado infatti fa chiari riferimenti ai beni abbandonati dagli Italiani al tempo dell'Esodo (più per ledere gli interessi di Sloveni e di Croati che per un tardivo mea culpa), una delegazione del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale si reca in Jugoslavia per affrontare il problema. Effettivamente i trattati inerenti le perdite italiane al termine della Seconda Guerra Mondiale erano stati stipulati con la Jugoslavia, le cui competenze territoriali su quelle martoriate terre è finita e ci sarebbe la possibilità di ridiscutere tutto con chi ora quelle regioni amministra. Ma il Governo italiano non affronta la questione e riconosce Slovenia e Croazia.
E così siamo a oggi.
La situazione attuale.
Interessi in gioco. La solerzia con cui Austria e Germania hanno riconosciuto le Repubbliche secessioniste non è disinteressata. La Slovenia, in particolare, è un Paese che si è sempre sentito legato più al mondo tedesco che a quello slavo. I crolli dei regimi comunisti nell'Europa orientale mettono in contatto con il mondo occidentale ed il suo libero mercato nuove realtà. Trieste, Slovenia e Austria sono il ponte naturale fra questi due mondi, senza contare che tutta la cosiddetta Mitteleuropa può vantare un legame culturale, storico ed affettivo legato ai tempi in cui qui imperava l'Aquila Bicipite. La via degli ammodernamenti di questi Paesi che provengono dal socialismo reale trova oggi una possibilità concreta nel contesto dell'Unione Europea, cui prontamente Lubiana e Zagabria hanno fatto richiesta di adesione. L'accettazione dei parametri e dei vincoli europei impone però una serie di modifiche istituzionali non da poco, in particolare nel settore del mercato edile e della proprietà immobiliare dei cittadini stranieri: un tema che si intreccia con la questione delle case e dei terreni abbandonati dai nostri connazionali. Se un Governo forte ha la priorità in politica estera di far sentire la propria voce in capitolo, parimenti c'è la necessità per il porto di Trieste di recuperare un suo entroterra per lo meno in ambito comunitario, essendo irrimediabilmente perso quello nazionale. I travagli politici di quest'ultimo secolo hanno messo il capoluogo giuliano su una pericolosa altalena. Fino al 1918 sbocco al mare di tutto l'Impero austro-ungarico, un ampio hinterland, collegamenti ferroviari con Vienna efficienti, attività cantieristica, un prezioso Punto Franco all'interno del porto ed una città ricca di traffici. Il tanto agognato passaggio all'Italia mette però la città in diretta concorrenza con le realtà italiane e segna già una flessione nel volume d'affari. Se durante la Seconda Guerra Mondiale la città subisce meno danni per bombardamenti ed operazioni militari in confronto ad altre, paga il fardello delle mire jugoslave, con le Foibe prima e l'ambigua situazione del Territorio Libero di Trieste poi. Con il ritorno all'Italia ci si trova con la cortina di ferro a 7 kilometri dalla periferia ed uno sviluppo pesantemente condizionato che si rivolge al terziario. Senza contare che fino ad oggi le effettive applicazioni del Trattato di Parigi sulle zone franche e l'autonomia di Trieste hanno ampiamente foraggiato partitini locali che vivono nel rimpianto dell'Austria Felix e propugnano un fantomatico indipendentismo giuliano.
Ruolo strategico di Trieste. A nord d'altro canto il mondo tedesco cerca con il Marco forte di conquistare quel "Lebensraum" ad est che i panzer di Hitler non erano riusciti a garantire. Con l'aggiunta che oggi a est dell'Oder c'è una grande forza lavoro a buon mercato e che lo sviluppo e l'armonizzazione di questi Paesi ha serie possibilità di scaricarsi sui bilanci dell'Europa tutta e non della sola Germania. Considerando il problema dei trasporti, se Amburgo ed i porti anseatici sono un collaudato referente marittimo, è anche vero che Trieste è stata tradizionalmente legata a questi Stati, ma oggi gli investitori tedeschi hanno anche l'opzione di Capodistria in Slovenia, una realtà che sta affiancando Trieste come competitività, in quanto compensa le carenze strutturali con la manodopera a basso costo. Senza contare che la compagnia olandese dell'E.C.T. (un colosso della movimentazione di container) ha appena abbandonato lo scalo giuliano con la motivazione degli eccessivi gravami del nostro mercato del lavoro. Altra questione non da poco è la carenza di infrastrutture che rallenta ulteriormente il tragitto via terra delle merci congiuntamente agli italici lacciuoli burocratici: a Monaco di Baviera si arriva prima da Amburgo che da Trieste. Perfino Riccardo Illy, magnate del caffè e sindaco ulivista di Trieste ormai giunto all'ultimo anno del suo secondo mandato, si è reso conto della situazione, visto che il fulcro dei suoi import-export è proprio lo scalo istriano. In questi ultimi tempi ha anche preso corpo l'ipotesi di consorziare i due porti, ma da parte italiana c'è il rischio di dare lo slancio iniziale ad un concorrente che poi, una volta avviato, darebbe il ben servito e si metterebbe in proprio. Già passati dal Patto di Varsavia alla NATO sul piano strategico-militare, queste Nazioni ora sono in lista d'attesa sull'agenda del Presidente della Commissione Europea Romano Prodi come nuovi membri dell'Ue. Dimostrata una potenzialità di progressi adeguata ai requisiti minimi, lo sviluppo successivo sarà garantito dai fondi stanziati da Strasburgo, quelli stessi fondi che le Regioni italiane finora hanno sfruttato in minima parte, mentre altrove hanno rilanciato situazioni di arretratezza come nel caso della Spagna e dell'Irlanda.
Varie forme di cooperazione. Ma già adesso esistono delle possibilità: il fondo Interreg ad esempio sostiene progetti di cooperazione fra Regioni di Paesi membri e di chi ancora non lo è. E proprio nel comprensorio di nostra pertinenza finanziamenti di tale provenienza hanno avuto buoni esiti nell'agricoltura, nel turismo attraverso la valorizzazione di risorse naturali ed ambientali di luoghi finora tagliati fuori dalle principali linee di sviluppo, nello scambio di esperienze di formazione, nella cooperazione di imprenditori, nelle innovazioni nei servizi e nei prestiti agevolati a piccole e medie imprese. C'è da dire che per altro già negli anni '80 aveva preso il via il consorzio Alpe-Adria fra Regioni che orbitavano sul Mare Adriatico e sulla catena alpina: vi rientravano Lombardia e Triveneto in Italia, le Repubbliche slovena e croata all'interno della Jugoslavia, la Carinzia ed altri laender austriaci, la Baviera (Germania meridionale) ed alcuni distretti ungheresi di frontiera. Anche in questo caso scopi principali erano la promozione turistica ed il finanziamento di piccole realtà produttive, la promozione della cooperazione fra popoli vicini geograficamente ma distanti un abisso politicamente parlando ed una politica omogenea di sviluppo nel settore dei trasporti sia su gomma sia su binari. Da quest'alveo si è mossa l'iniziativa "Senza Confini", finalizzata all'assegnazione delle Olimpiadi Invernali del 2006 ad un comprensorio transfrontaliero articolato su Tarvisio nel Friuli-Venezia Giulia, Klagenfurt in Carinzia e Kranijska Gora in Slovenia: arrivato sino all'ultima selezione, il progetto è stato poi battuto da quello presentato da Torino-Val di Susa.
La rete dei trasporti (autostrade, viadotti, svincoli, alta velocità ferroviaria) è oggi uno degli argomenti più importanti in quest'area: si tratta infatti di decidere i canali di sviluppo preferenziali nei rinnovati legami fra Europa dell'est e dell'ovest, piuttosto che sull'asse nord-sud.
Trasporti marittimi. La navigazione è il primo tassello di questo mosaico. Trieste da "cul de sac" dell'occidente può finalmente tornare ad essere il sontuoso atrio dell'Europa orientale di asburgica memoria sia come volume di affari sia come interlocutori commerciali. E qui qualcuno ha già cominciato a scommettere. Compagnie bancarie e finanziarie non solo italiane aprono sportelli e filiali in città a ritmo vertiginoso ed i colossi marittimi si stanno interessando. La privatizzazione del Molo VII, il terminale più importante del Punto Franco Nuovo, ha visto gli olandesi dell'Ect prevalere su una cordata vicina alla Fiat nell'autunno 1997: come abbiamo riferito precedentemente l'esperienza non è però giunta a buon fine. La privatizzazione del Lloyd Adriatico ha visto la conquista da parte di Evergreen, gigante del mare targato Hong-Kong e che oggi potrebbe attivarsi anche per maggiori investimenti oltre che nell'attuale controllo delle tradizionali rotte di Trieste da e per l'Oriente, Medio ed Estremo. Va comunque detto che all'interno del Lloyd e della Ras (altro storico pilastro assicurativo triestino) si sono impegnate anche compagnie austriache e tedesche. La concorrenza odierna non è più solo Capodistria, ma anche piccole realtà in via di consolidamento quali Monfalcone (che ha già ereditato il patrimonio cantieristico triestino) e Porto Nogaro (satellite dell'orbita di Venezia). Non ci sono certo i fasti della Serenissima, ma in Laguna si trova il più potente avversario di Trieste: risolti i problemi del raccordo stradale di Mestre, il discorso potrebbe diventare preoccupante. La politica del centro-sinistra ha però una cognizione geografica dell'Adriatico che si ferma più a sud: è Ravenna infatti la grande scommessa delle amministrazioni sinistre e di tutte le Cooperative rosse dell'Emilia-Romagna.
Vie fluviali. Ma la navigazione fluviale ha voce in capitolo: l'asse Reno-Danubio (imperniato anche su una rete di canali) sembrava destinato ad ambire a traffici d'alta quantità, ma negli ultimi tempi ha subito duri colpi. Non è stata certamente la guerra fra Croazia e Serbia a condizionare i traffici (non avrebbe giovato a nessuno dei due), quanto l'intervento statunitense: le macerie dei ponti abbattuti con chirurgica precisione hanno sì colpito il traffico terrestre, ma la navigazione è a tutt'oggi impossibile. Senza tralasciare il disastro ecologico di qualche mese fa.
I "Corridoi". È in questo contesto che si inseriscono i finanziamenti comunitari per i cosiddetti "Corridoi plurimodali". Partendo da sud c'è il progetto del Corridoio 7, incardinato su Albania, Serbia, Romania e Turchia, il quale insiste sulla medesima direttrice di un oleodotto sostenuto da capitali americani. L'alternativa più a nord è il Corridoio 5, da Barcellona a Kiev, passando per Lione, Torino, Milano, Venezia, Trieste, Lubiana, Budapest e Leopoli. Questo è un piano ambizioso, che vuole armonizzare sia l'assetto autostradale sia quello ferroviario con i progetti dell'alta velocità. E l'area alpeadriatica si troverebbe all'incirca a metà del tragitto. L'anello debole della catena sembrerebbe proprio essere Trieste, ove da decenni langue il progetto della "Grande Viabilità", finalizzato alla costituzione di un agile raccordo autostradale fra gli impianti portuali giuliani ed il confine di Stato italosloveno, laddove parte un'autostrada che arriva sino a Lubiana, costruita dagli Sloveni in tempi da record con il sostegno tedesco. A livello ferroviario Trieste versa in condizioni disastrate, in quanto l'Italia su binari sembra finire a Venezia. La speranza è quella di saldare la città in maniera efficace all'arteria esistente attraverso il rafforzamento del nodo intermodale di Cervignano del Friuli e dell'unico aeroporto regionale di Ronchi dei Legionari. In parallelo capitali austriaci e tedeschi sostengono Slovenia e Croazia nella costruzione della "Y" stradale, un raccordo fra gli scali di Fiume e di Capodistria che procede a nord verso Lubiana (e quindi interseca il Corridoio 5 proponendosi come alternativa alla direttrice triestina) per poi innestarsi sul preesistente tracciato che insiste su Maribor e Graz e da lì su Vienna.
Uno sguardo al domani.
Questa la realtà odierna: quali proiezioni possiamo dare sull'immediato futuro su queste basi?
L'ingresso di Slovenia, Ungheria e Polonia nell'Ue garantirebbe sì una maggior velocità nei traffici, ma renderebbe inutili tutta una serie di servizi doganali in cui trovano lavoro molte persone. Onde evitare i licenziamenti è quindi fra le priorità della Giunta Regionale del Friuli-Venezia Giulia organizzare la riconversione e la riqualificazione del personale. E a proposito della Giunta (da due anni sostenuta dal Polo per le Libertà con l'appoggio esterno della Lega Nord), c'è da dire come i rapporti transfrontalieri e con l'estero in generale, siano stati più curati dal centro-destra che dalle precedenti gestioni di centro-sinistra e che nella primavera 1999 durante un faraonico congresso, ribattezzato "Gli Stati Generali del Friuli-Venezia Giulia", è stato ampiamente illustrato a partiti, sindacati e associazioni di categoria della Regione. La piattaforma programmatica della Giunta Antonione (esponente triestino di Forza Italia) elaborata in concerto con il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, è tutta proiettata a rilanciare la vocazione commerciale di Trieste ed il dialogo con i suoi clienti storici (anche attraverso l'armonizzazione delle economie con accordi transfrontalieri sulle strutture) e considerare il Friuli-Venezia Giulia area non più di frontiera, ma di transito, con tutte le sue risorse culturali, ambientali, turistiche e commerciali da offrire ad una rinnovata utenza: da qui il già ricordato sfruttamento di fondi ad hoc. E fra i referenti di Trieste e di tutta la sua Regione sono stati ripetutamente indicati la Carinzia e l'Austria, qualificandosi come loro naturale sbocco al mare: anche nei momenti più tesi della crisi-Haider, Illy come Sindaco di Trieste (di centro-sinistra) ed Antonione come Presidente della Regione (di centro-destra) l'hanno ribadito. Il leader della Destra austriaca, già come Presidente della Regione carinziana, era stato favorevole a questo tipo di rapporti ed ora che a furor di popolo ha conquistato Vienna, grazie soprattutto alle sue prese di posizione sull'immigrazione e la necessità di regolamentarla, non ha certo cambiato opinione, come del resto confermano visite più o meno ufficiali oltreconfine che ha già svolto o è in procinto di compiere. Sotto un aspetto finanziario, però, l'Austria si muove sì nel Friuli-Venezia Giulia (il capitale di parecchie banche e assicurazioni regionali parla prevalentemente tedesco), ma soprattutto in Slovenia, laddove le banche italiane sono invece assenti. Se aggiungiamo il fatto che dal giorno dell'Indipendenza Lubiana e Zagabria hanno adottato come moneta di riferimento il Marco tedesco, allora il controllo finanziario è ben che avviato. Neppure la componente religiosa non è un fattore da trascurare da queste parti, poiché il richiamo alla tradizione cattolica è forte tanto in Friuli che in Austria e Slovenia ed in particolare a Lubiana la longa manus del Vaticano s'è fatta viva alle recenti elezioni politiche che hanno visto l'affermazione dello schieramento moderato. Oltre a questo elemento di unità, da Vienna si ricorre spesso e volentieri al revival mitteleuropeo di asburgica memoria per legittimare un rapporto nei confronti di Friuli- Venezia Giulia e Slovenia che faccia capo all'Austria, sovvenzionando feste ed iniziative culturali che spesso rasentano il nostalgico del bel tempo che fu. E seguendo una logica adottata nell'Ottocento in tutto il suo Impero, Vienna segue in un certo qual modo il principio del "divide et impera", vedendo di buon occhio le diatribe tra triestini e friulani e le prese di posizione di questi ultimi in merito al "Friuli storico". Si tratterebbe della creazione di una Regione ad amplissima autonomia che raccolga le province di Udine e Pordenone e di parte di quella Gorizia, in quanto regione etnicamente differente non solo dalla Venezia Giulia, ma anche dall'Italia tutta, perché caratterizzata dal dialetto friulano, che a detta di alcuni è addirittura una vera e propria lingua di diretta emanazione dal latino e senza la mediazione dell'italiano. In termini pratici un altro satellite nell'orbita tedesca. Per Trieste, invece, si prospetta una sinergia di ampio respiro con gli altri porti dell'Adriatico settentrionale come Venezia, Capodistria e Fiume per avviare una razionalizzazione dei traffici e delle attività per unire le forze contro i colossi del Mediterraneo occidentale (Barcellona, Marsiglia e, in seconda battuta, Genova) e contro la concorrenza degli altri scali italiani. Dipende tutta dagli uffici di Strasburgo l'opportunità di istituire un Off-shore a Trieste: si tratta di un centro di servizi finanziari, assicurativi e di trading per la cooperazione economica e finanziaria con l'Europa centrale e balcanica da istituire nei Punti Franchi e che gode di uno speciale regime finanziario.
Conclusioni.
Questo è lo scenario. Dopo un secolo di guerre, conflitti e tensioni, sembra che la circolazione monetaria sia riuscita a mettere tutti d'accordo e che gli eserciti e le ideologie anche qui abbiano lasciato il passo agli affari e all'economia. Da quando Austria e Germania sono di nuovo assieme nel nome dell'Unione Europea ed in barba alle già ricordate clausole di pace della Seconda Guerra Mondiale il colosso tedesco è più che mai in piedi e la Slovenia appena uscita dall'ombra di Tito è subito entrata nella sua orbita. Si è quindi ottenuto partendo da un profilo economico quel che imperi millenari avevano in passato tentato invano: l'armonizzazione e la collaborazione per il medesimo obiettivo di tre gruppi etnici diversi che si spartiscono una regione strategicamente preziosissima.
L'Italia nel frattempo è rimasta a guardare, senza pensare a portare avanti le sue rivendicazioni storiche prima e le sue istanze economiche ora, mandando allo sbaraglio la sua Regione più orientale: un ulteriore dimostrazione che l'assetto federale e con maggiori deleghe alle Regioni, anche in materia commerciale e di scelta dei partner esteri, è quanto mai necessario. Quassù si spera che i poteri non arrivino troppo tardi, quando cioè la macroregione alpeadriatica che effettivamente si va delineando non sia già finita sotto l'egemonia del Marco tedesco e agli investitori italiani non rimangano altro che le briciole.
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