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Grecia (Stato)
(Hellàs) Stato dell'Europa sud-orient. il cui territorio, che corrisponde all'estrema sezione merid. della Penisola Balcanica e alle numerose isole che le fanno corona, si spinge a S nel cuore del Mediterraneo centro-orient. con l'isola di Creta. La configurazione dello Stato entro gli attuali confini è stata definitanegli anni immediatamente successivi alla I guerra mondiale con i trattati di Neuilly nel 1919 e di Losanna nel 1923; nel 1947, inoltre, la G. acquisiva dall'Italia, in forza del Trattato di Parigi, Rodi e il Dodecaneso. Attualmente confina con l'Albania a NW, la Repubblica di Macedonia (ex Iugoslavia) e la Bulgaria a N, la Turchia a NE e si affaccia con una costa estremamente articolata su tre fronti marittime, a W sul Mare Ionio, a E sull'Egeo e a S sul Mediterraneo.
LO STATO
Restaurate nel 1974 le libertà democratiche soppresse con il colpo di Stato militare del 21 aprile 1967, fu confermata con il referendum dell'8 dicembre 1974 l'istituzione della G. in repubblica unitaria. In base alla Costituzione, entrata in vigore nel 1975, capo dello Stato è il presidente della Repubblica, eletto per 5 anni dal Parlamento unicamerale, cui compete l'esercizio del potere legislativo e i cui membri sono eletti per 5 anni a suffragio universale. Il potere esecutivo viene esercitato dal Consiglio dei ministri, che risponde del suo operato al Parlamento, e il cui primo ministro è nominato dal presidente della Repubblica nella persona del leader del partito di maggioranza assoluta oppure relativa. Il Paese ha una superficie di 131.957 km2, di cui 25.042 km2 sono rappresentati da isole, Creta (8261 km2) compresa; la popolazione è di 10.450.000 ab. nel 1995. Il territorio è diviso amministrativamente in 52 nomói, raggruppati in 10 regioni; capit. è Atene. Lingua nazionale è il greco, nella forma dotta, o katharéyusa, ma è comunemente usata la forma popolare del neogreco, o demotike. La popolazione professa la religione greco-ortodossa; si hanno minoranze di musulmani (150.000), cattolici (49.000) ed ebrei (5000). Dal 1s gennaio 1981 la G. è entrata a far parte della C.E.E.
MORFOLOGIA, IDROGRAFIA E CLIMA: UN TERRITORIO FRAMMENTATO
Il territorio greco, prevalentemente montuoso (oltre il 40% si trova ad altitudini superiori ai 500 m), ha raggiunto la sua attuale configurazione solo in età geologica relativamente recente, alla fine del Cenozoico e all'inizio del Neozoico. In quell'epoca infatti ebbero luogo quei vistosi fenomeni orogenetici ed epirogenetici che provocarono lo sprofondamento sotto il livello marino di gran parte della vasta zolla paleozoica, costituita ora dal fondo dell'Egeo, il piegamento degli allineamenti montuosi del sistema dinarico e la formazione di sollevamenti localizzati, di bacini intermontani di sprofondamento e di depressioni costiere secondo un complesso e inarticolato sistema di fratture e faglie. Ne è risultata una struttura tettonicamente molto tormentata, che si esprime con grande evidenza nella frammentazione del territorio, cioè nell'alternanza frequente di rilievi e di depressioni, disposti secondo orientamenti quasi sempre irregolari e imprevisti, e nell'estrema articolazione del contorno costiero. Dal punto di vista litologico prevalgono le formazioni sedimentarie, specialmente calcaree, risalenti al Mesozoico e al Cenozoico superiore, nella regione montuosa occid. e centr., mentre nelle aree rivolte all'Egeo affiorano estese formazioni scistoso-cristalline del Paleozoico. Frequenti nelle zone calcaree sono i fenomeni carsici, che contribuiscono a dare al paesaggio greco quell'aspetto roccioso e riarso, povero di terreni coltivabili. Il settore nord-orient. del Paese, delimitato dal f. Mesta e dal confine con la Turchia (f. Marica) e con la Bulgaria, corrisponde alla parte occid. della regione storica della Tracia e si estende dal Rodope all'Egeo, comprendendo la dorsale più merid. di quel massiccio montuoso e i suoi ultimi contrafforti con varie cime superiori ai 1000 m, nonchéuna pianura alluvionale delimitata da una costa bassa e paludosa. A W della Mesta e fino al confine con l'Albania si estende il settore merid. della Macedonia, diviso con la Bulgaria e la Repubblica di Macedonia (ex Iugoslavia). Si tratta di una vasta regione costituita da rilievi montuosi, da conche intermontane e da una pianura alluvionale, formata dall'apporto sedimentario dell'Aliákmon e del Vardar, la cui valle – che si allunga profondamente entro il territorio ex iugoslavo – ha costituito, e rappresenta tuttora ma assai meno che in passato, una delle principali direttrici commerciali e culturali tra l'Oriente e l'Occidente. Tra la pianura percorsa dal Vardar e la valle della Struma si innalza l'ampia dorsale montuosa del Vertískos Óros, che si estende da NW a SE fino all'Egeo in corrispondenza del golfo di Orfánion. Tra questa profonda insenatura, in cui mette foce la Struma, e il più occid. golfo di Salonicco si spinge nell'Egeo la montuosa Penisola Calcidica terminante a S con le tre lunghe digitazioni peninsulari di Cassandra, Sithonia e Monte Santo, separate dai profondi golfi di Cassandra e di Monte Santo. Nella sezione occid. della Macedonia i rilievi sono più elevati e corrispondono ad ampi lembi di un antico penepiano, nel quale hanno operato profondamente i moti di assestamento tettonico, dando origine a pronunciate conche di sprofondamento. Più a W e SW il rilievo è formato da una serie abbastanza regolare di catene montuose che si estendono parallelamente allo Ionio in direzione NW-SE per una ampiezza di ca. 120 km e sono costituite in prevalenza da formazioni calcaree. La più elevata di queste catene (Smólikas, 2637 m) è quella del Pindo, profondamente incisa da lunghe valli trasversali che rendono più agevoli le comunicazioni tra l'Epiro e la Tessaglia. Dal Pindo si staccano vari poderosi contrafforti, diretti a NE, a E e a SE. Dei due maggiori che abbracciano la pianura di Tessaglia il più sett. attinge i 2917 m nel m. Olimpo, la cima più elevata di tutto il territorio greco. Procedendo verso S, il rilievo torna a frazionarsi in una successione irregolare di catene, massicci isolati, bacini intermontani e piccole pianure costiere.Una struttura del tutto particolare presenta il Peloponneso, che costituisce l'estremità merid. della G. continentale. Si tratta di una tozza penisola montuosa, nettamente staccata dal continente mediante i golfi di Patrasso, di Corinto e di Egina e collegata soltanto mediante lo stretto istmo di Corinto, tagliato dall'omonimo canale nel 1893. Essa rappresenta la continuazione diretta dei rilievi calcarei del Pindo e si ramifica a S in quattro penisole rocciose, separate dai golfi di Messenia, di Laconia e di Nauplia. La G. insulare, che rappresenta per estensione il 19% del territorio greco, è formata principalmente dalle parti più elevate di una vasta zolla paleozoica sommersa. Le isole principali sono le Ionie (Corfù, Leucade o Santa Maura, Cefalonia, Zante, Itaca e altre minori) nel Mare Ionio; Eubea, le Cicladi, le Sporadi Settentrionali e le Meridionali, in parte asiatiche, nell'Egeo; e infine Creta, la più estesa e più importante, tra l'Egeo e il Mediterraneo vero e proprio.
MORFOLOGIA, IDROGRAFIA E CLIMA: FIUMI E LAGHI
L'intenso frazionamento del rilievo e la sua vicinanza alla costa come pure le scarse precipitazioni non hanno consentito la formazione nel territorio ellenico di lunghi fiumi e di vasti bacini imbriferi. I corsi d'acqua hanno quasi tutti portate irregolari e un regime tipicamente torrentizio, con piene invernali e prolungate magre estive. I fiumi principali sono quelli della Macedonia e della Tracia, che interessano la G. solo con il tratto terminale del loro corso; essi sono ilVardar (in greco Axiós), che scende dalla Repubblica di Macedonia e si getta nel golfo di Salonicco, la Struma (in greco Strymón) e la Mesta (in greco Néstos), che nascono entrambi in territorio bulgaro e tributano all'Egeo, il primo nel golfo di Orfánion, l'altro di fronte all'is. di Taso formando un ampio apparato deltizio, e infine la Marica o Marizza (in greco Ébros), che nasce in Bulgaria e segna il confine tra la G. e la Turchia europea. Dei fiumi interamente greci i principali sono l'Aliákmon, che si getta nel golfo di Salonicco, e il Peneiós, che con le sue alluvioni ha dato origine alla pianura della Tessaglia, entrambi sul versante orient., e inoltre l'Aráchthos, che scorre tra gli altopiani calcarei dell'Epiro e la catena del Pindo sfociando poi nel golfo di Arta, l'Aspropotamo (o Acheloos), che attraversa l'Etolia e la Acarnania, e l'Alfeo, tributario del golfo d'Arcadia, sul versante ionico: questi ultimi, per la maggior quantità di precipitazioni raccolta dai loro bacini imbriferi e per la minore permeabilità dei suoli, hanno portate maggiori e regime più costante. Estese sono nelle aree calcaree a stratificazione suborizzontale le manifestazioni carsiche con lo sviluppo di una vasta rete idrografica sotterranea. I laghi principali sono quelli di Vólve e di Koroneia, alla base della Penisola Calcidica, di Vegorrítis, di Prespa e di Doiránes, pure in Macedonia, di Giánnina, in Epiro, e di Voiveís, in Tessaglia.
MORFOLOGIA, IDROGRAFIA E CLIMA: CLIMA E VEGETAZIONE
Il clima in generale è di tipo mediterraneo, con estati calde e asciutte e inverni brevi, miti e piovosi; ma la estensione in latitudine, la distanza dal mare e dai suoi benefici influssi, l'altitudine diversa dei vari settori montuosi interni e l'orientamento dei sistemi vallivi danno luogo a varianti climatiche non fondamentali ma pur sempre d'una certa ampiezza. Le escursioni termiche sono in genere contenute entro i minimi invernali di 4 sC a Salonicco e 9 sC ad Atene e a Corfù e i massimi estivi di 25 sC a Corfù, 26 sC a Salonicco e 27 sC ad Atene, mentre nelle aree montuose dell'interno i valori possono variare sensibilmente soprattutto in relazione alle altitudini diverse, dove si hanno caratteristiche climatiche di tipo semicontinentale o di alta montagna con maggiori escursioni termiche, estati fresche e ventilate ma inverni lunghi e rigidi. Le precipitazioni, concentrate in larga misura nei mesi invernali, sono quasi dappertutto scarse e spesso insufficienti ai bisogni agricoli, anche per la forte evaporazione cui è soggetto il suolo a causa degli intensi calori estivi e per l'estrema scarsità di piogge in primavera e in estate, cioè quando sarebbero più necessarie alle colture. In genere le piogge sono più abbondanti, per quanto mai copiose, sul versante ionico esposto ai più umidi venti provenienti da W: così a Corfù si registrano in media 1350 mm all'anno, a Giánnina 1000 e ad Atene appena 400. Fra i venti è da ricordare l'etesio, che giunge da N freddo e secco dando origine a un'atmosfera limpida e trasparente. Gli effetti delle condizioni climatiche si osservano nel manto vegetale, che è stato però profondamente alterato da millenni di diboscamenti, dall'intensa erosione meteorica e dall'estensione delle colture agricole. La formazione più diffusa è la macchia mediterranea, che interessa le aree pianeggianti, le isole e i pendii meglio esposti dei rilievi fino a una quota di ca. 1000 m. Nella fascia compresa tra i 1000 e i 2000 m si estendono boschi di latifoglie (faggi) e più in alto, specialmente sui versanti più piovosi, vaste formazioni di abeti e di larici, che cedono infine il posto, alle quote più elevate, ai pascoli di alta montagna.
GEOGRAFIA UMANA
La popolazione greca è caratterizzata da una forte omogeneità etnica, che è il risultato di complesse vicende storiche. L'ultima di esse, e non certo fra le meno drammatiche, fu lo scambio di popolazione tra la G. e la Turchia compiutosi nel 1923, alla fine della guerra greco-turca (1921-23), sotto il controllo della Società delle Nazioni, in applicazione del Trattato di Losanna: in quell'anno infatti 607.000 Turchi lasciarono la G. e 1.222.000 Greci provenienti dalla Turchia giunsero in G. e furono sistemati per più della metà nella Tracia occid. e nella Macedonia nelle zone lasciate dai profughi turchi, arrecando notevoli vantaggi all'economia di vaste aree in precedenza male e poco valorizzate. Quanto alla consistenza demografica, l'incremento dalla metà dell'Ottocento in avanti è stato veramente cospicuo: la popolazione, che alla metà del secolo scorso si aggirava intorno a 1.020.000 ab., risultava raddoppiata all'inizio del secolo attuale e toccava i 10.450.000 nel 1995. La densità (76 ab. per km2) è assai elevata, se considerata in rapporto allo sviluppo dell'economia greca che non è in grado di offrire redditi adeguati e decorose condizioni di vita alla manodopera in continuo aumento. Il tasso di natalità è sceso, dopo il 1951, a valori inferiori al 20‰ e, negli anni più recenti, ha mostrato la tendenza a decrescere ancor più rapidamente per stabilizzarsi intorno ai livelli dei Paesi europei più sviluppati (10,8‰ nel 1988). Parallelamente la mortalità è passata dal 20-18‰ dell'anteguerra all'attuale 9,3‰. L'emigrazione, che nei primi decenni di questo secolo privava il Paese in media di 30.000 unità all'anno (dirette in prevalenza verso l'America), è tuttora un fenomeno rilevante, anche se il flusso dei lavoratori verso l'estero è in gran parte compensato dal numero dei rimpatri, determinati dai mutamenti economici avvenuti in Europa. Ingenti permangono i movimenti migratori interni dalle aree esclusivamente agricole e silvo-pastorali a scarso reddito verso le pianure più fertili e specialmente verso i centri maggiori economicamente più sviluppati; in alcune regioni il numero degli emigranti ha superato il saldo naturale positivo. Ne consegue che il già forte squilibrio nella distribuzione della popolazione tende ad accentuarsi ulteriormente, incrementando il fenomeno dell'urbanesimo e aggravando i problemi socio-economici a esso collegati. Le aree più densamente abitate sono attualmente l'Attica, specialmente per la presenza della conurbazione di Atene, le Isole Ionie (specie Corfù), quelle orient. di Lesbo, Chio e Samo, il Peloponneso occid. e le pianure della Macedonia, rispettivamente con i centri di Patrasso e Salonicco; quelle meno popolate sono le zone montuose più impervie dell'interno, specie nell'Epiro. I maggiori poli di attrazione delle migrazioni interne sono Atene, Salonicco e Patrasso, tutti centri portuali dotati di vari complessi industriali. Atene soprattutto ha conosciuto un'ingente espansione demografica ed edilizia passando dai 100.000 ab. della fine del secolo scorso alla grande conurbazione con Il Pireo che raggiungeva al censimento del 1981 i 3.027.000 ab., corrispondenti al 31% della popolazione di allora. Nello stesso periodo le conurbazioni di Salonicco e di Patrasso raggiungevano rispettivamente i 706.000 ab. e i 155.000 ab. Pochi, invece, i centri che superano i 50.000 abitanti (Volo, Candia, Larissa, La Canea, Kavála) nonostante il crescente aumento della popolazione urbana. Secondo una stima del 1995 la G. ha raggiunto i 10,4 milioni di ab., con una densità di 79 ab./km2. Dai primi anni Novanta il declino del tasso di natalità (9,8‰) è stato compensato da un consistente flusso di immigrazione (in parte clandestina) proveniente dalle aree di crisi dei Balcani, dai Paesi dell’ex U.R.S.S., dell’Asia sudorientale e del Vicino Oriente. Nel 1997 è stata annunciata la regolarizzazione degli immigrati clandestini, che si calcola siano per la metà albanesi e che forniscono un elevato numero di manodopera a basso costo, e l’anno successivo si è avuta l’abolizione della norma che permetteva di privare della cittadinanza i Greci “non etnicamente ellenici”. Il riesplodere della questione del Kosovo e gli eventi bellici che ne sono seguiti nei primi mesi del 1999 hanno riacutizzato il problema della pressione dei profughi e della loro accoglienza.
STRUTTURA ECONOMICA: GENERALITÀ
Per la G. l'entrata nella C.E.E. (1981) aveva coronato un intenso sforzo, iniziato sin dagli anni Settanta, per raggiungere un livello economico tale da far sì che il Paese venisse considerato alla stessa stregua dei principali Stati dell'Europa occidentale. Malgrado taluni progressi negli anni Ottanta, testimoniati dall'accresciuta diversificazione delle esportazioni (maggiore partecipazione dei prodotti industriali), l'economia greca è rimasta comunque segnata da condizioni di debole sviluppo, caratterizzandosi in ambito comunitario come la più arretrata insieme a quella del Portogallo. Indicativi di ciò, in quanto nettamente superiori alla media C.E.E., sono stati il livello della disoccupazione e il forte ruolo ancora esercitato nel sistema produttivo dal settore primario, le cui prospettive, apertesi proprio con l'ingresso nella Comunità, hanno teso a ridursi a seguito della sopravvenuta concorrenza dei Paesi iberici. Pure negativo è stato il contrasto fra la debolezza degli investimenti produttivi e la consistenza delle operazioni speculative in campo immobiliare. Stante questa situazione, all’inizio del 1999 la G. non è riuscita ad entrare nell’U.E.M. con il primo gruppo di Paesi, ma lentamente sta avvicinandosi ai criteri di Maastricht e, per ottenere l’ammissione all’area dell’euro nel 2001 o nel 2002, il governo, oltre a svalutare del 14% la moneta, ha programmato numerose misure di austerità economica, soprattutto nell’ambito del settore pubblico, dove è ancora diffusissimo il clientelismo, e nella politica del salari. Inoltre è stata impressa un’accelerazione alla privatizzazione delle banche. L'inizio delle radicali trasformazioni delle strutture produttive elleniche data in pratica da appena trent'anni; rimasta per millenni una terra quasi esclusivamente agricola, ancora nel 1960 la G. esportava per ca. il 90% prodotti agricoli e zootecnici, mentre quelli industriali contribuivano al reddito nazionale in modo estremamente esiguo; dieci anni dopo, per la prima volta, i prodotti industriali superavano quelli agricoli nella formazione del reddito, il cui incremento annuo si è aggirato negli anni Ottanta intorno al 2%. A partire dagli anni Sessanta si è avviato quel processo d'industrializzazione che sta man mano mutando la fisionomia socio-economica della G., e ormai un discreto ruolo hanno alcuni settori come il chimico, il tessile, l'elettromeccanico e – più direttamente collegati con l'accresciuta attività estrattiva – il metallurgico e il siderurgico. Permangono tuttavia gravi problemi, che il processo di sviluppo sembra anzi accentuare; in primo luogo, la forte dipendenza dall'estero dovuta alla necessità d'importare tutti i rifornimenti energetici, nonché il macchinario di base, la tecnologia avanzata e gran parte dei mezzi di trasporto. Si sono aggravati altresì i preesistenti squilibri regionali, giacché l'area che gravita su Atene sta diventando sempre più congestionata, sia per il forte movimento migratorio delle altre zone del Paese sia per l'eccessiva concentrazione delle attività industriali: la Grande Atene accoglie oltre la metà degli operai, e quindi delle fabbriche, di tutta la G. Inoltre, preoccupante è la questione della disoccupazione (9,6% nel 1997) e problematica è l'azione dell'amministrazione sul fronte delle privatizzazioni, rallentate dalla necessità di risanare i bilanci delle aziende statali prima di immetterle sul mercato. Gli unici introiti di una certa consistenza sono forniti dal turismo (10,6 milioni di visitatori nel 1997), dalle rimesse degli emigrati dispersi nell'Europa occidentale, in America Settentrionale e in Australia, dai guadagni degli armatori greci, che possiedono una delle più grandi flotte mercantili del mondo, e dai profitti delle attività che commercianti, investitori e imprenditori hanno avviato in Romania, Bulgaria, Albania e Serbia, nonché in Russia. Infine, nel corso degli anni Novanta si sono fatte sentire pesantemente e sono state quindi determinanti nella scelta delle recenti politiche di austerità economica l'inflazione (16,4% nel periodo 1985-93, 5,5 nel 1997) e la crescita del debito estero, i cui interessi ammontano a circa un terzo del valore delle esportazioni. In deficit anche la bilancia commerciale (16,6 miliardi di dollari nel 1996).
STRUTTURA ECONOMICA: AGRICOLTURA, ALLEVAMENTO E PESCA
Benché, come si è detto, sino a epoca recente l'economia greca sia dipesa pressoché esclusivamente dall'agricoltura, il Paese non è stato molto favorito quanto a condizioni climatiche e pedologiche, data la diffusione delle zone montuose e di vaste aree degradate dall'erosione, dalla frequente povertà dei terreni agrari, dalle precipitazioni quasi ovunque scarse, anzi addirittura spesso insufficienti, e dalla carenza di adeguati impianti d'irrigazione (è irrigato ca. un quinto delle terre arabili); a ciò si aggiunge lo spezzettamento dei fondi, specie nelle aree montuose, che costituisce un grave ostacolo per l'impiego di moderne tecniche agricole. Tuttavia si vanno estendendo, soprattutto nelle regioni merid. e nelle pianure, colture ortofrutticole e industriali, che si avvalgono sempre più largamente di sistemi moderni di conduzione dei fondi. Arativo e colture arborescenti coprono il 29,6% della superficie territoriale e interessano il 24,8% della popolazione attiva. Oggi il settore primario (21% della forza lavoro e 15% del prodotto interno lordo) non svolge più il ruolo di settore guida dell'economia. Un terzo dell'arativo è occupato dal frumento (21 milioni di q), fornito soprattutto dalle pianure della Macedonia e della Tracia; seguono l'orzo (ca. 5 milioni di q), il mais (17 milioni di q) e, a distanza ancora maggiore, altri cereali come il riso e l'avena. Assai più rilevanti ai fini commerciali sono però le colture arboree, come l'olivo (15 milioni di q di olive; 3,2 milioni di q di olio, per cui la G. è il terzo produttore mondiale), la vite e gli agrumi (7 milioni di q), tutti largamente avviati all'esportazione. Dall'uva (17 milioni di q) si ricavano buoni quantitativi di vino, taluni dei quali assai rinomati anche all'estero, ma ancor più importanti sono le uve passe (1,5 milioni di q), che provengono per lo più dalle Isole Ionie, da Creta e da Samo. Particolare incremento ha avuto la cotonicoltura, tanto che la G. è oggi il maggior produttore europeo di cotone (3-4 milioni di q tra fibra e semi), mentre contende il primato, a seconda degli anni, a Italia e Bulgaria per il tabacco (oltre 1 milione di q). Tra gli altri principali prodotti agricoli vi sono alcune piante oleaginose (arachidi, sesamo, girasole), le barbabietole da zucchero e vari prodotti ortofrutticoli: patate (10 milioni di q), pomodori (21 milioni di q), cipolle, mele, pere, noci, fichi, ecc. Assai povero è il manto forestale che occupa meno di un quinto della superficie territoriale e fornisce annualmente 3 milioni di m3 di legname; diffuso è il pino di Aleppo, utilizzato per la resina (utile alla produzione di colofonia e di essenza di trementina). La scarsità di buoni pascoli limital'allevamento di bovini (1 milione di capi); più numerosi sono gli ovini e i caprini (16 milioni complessivamente), cui sono sufficienti terreni più poveri, e i volatili da cortile (31 milioni). Relativamente carente è il settore della pesca (130.000 t di pescato), eccetto quella delle spugne, di antica tradizione.
STRUTTURA ECONOMICA: RISORSE MINERARIE E INDUSTRIE
I minerali sono numerosi, ma in genere non abbondanti; la G. è tuttavia il primo produttore europeo di nichel (10-15.000 t) e il secondo per la bauxite (ca. 3 milioni di t) e la magnesite (ca. 910.000 t). Si estraggono inoltre lignite (48 milioni di t), minerali di ferro, manganese, argento, zinco, cromite, ecc.; molto pregiato è lo smeriglio dell'is. di Nasso e sin dall'antichità sono famosi i marmi. Scarsa è tuttora la produzione di energia elettrica (33.100 milioni di kWh annui), per lo più d'origine termica; sono stati individuati due giacimenti petroliferi (giacimenti di Prinos) al largo dell'is. di Taso, nella G. settentrionale. L'industria ha registrato notevoli sviluppi nei settori tessile (soprattutto del cotone, con ca. 142.000 t di filati, e delle fibre artificiali e sintetiche), alimentare (industrie enologiche, zuccherifici, oleifici, conservifici, birrifici, ecc.) e del tabacco, nonché una sensibile espansione della chimica (fertilizzanti, acido solforico e nitrico, soda caustica) e della petrolchimica, del materiale elettrico, della siderurgia, della metallurgia del piombo e dell'alluminio, della gomma, della carta, del cemento (13 milioni di t), della concia e del cuoio, ecc.; più carente appare invece nel complesso l'industria meccanica. Il settore secondario, basato su un grande numero di piccole imprese con meno di 10 dipendenti e pochissime grandi società, statali o controllate ancora da gruppifamiliari, fornisce il 26% del prodotto interno lordo dando occupazione al 27% della forza lavoro complessiva (i comparti manifatturieri partecipano rispettivamente con il 15 ed il 19%).
STRUTTURA ECONOMICA: COMUNICAZIONE E COMMERCIO
Benché la G. orient. sia servita da una rete di vie di comunicazione molto più fitta rispetto alla G. occid., sono tuttavia ovunque inadeguate le comunicazioni sia stradali (38.106 km) sia ferroviarie (2479 km, con principale linea Salonicco-Atene, da cui si dipartono vari tronchi minori). Sviluppati sono invece i servizi marittimi, tanto di piccolo cabotaggio quanto d'alto mare: la G. dispone della quinta marina mercantile del mondo, con oltre 20 milioni di t di stazza lorda; salvo che per le piccole unità, le navi sono di costruzione straniera. Da tali servizi deriva ben un terzo del reddito prodotto dal settore terziario. Il principale scalo marittimo è Il Pireo, al servizio della capit.; Atene è sede di un attivo aeroporto internazionale (compagnia di bandiera è la Olympic Airways, che effettua buoni collegamenti sia all'interno del Paese sia con vari Stati esteri). Nei collegamenti interni, per la parte continentale, ruolo fondamentale hanno gli autobus. L'intensificata industrializzazione ha naturalmente incrementato il movimento commerciale; la G. importa quantitativi ormai molto ingenti di macchinari e mezzi di trasporto, combustibili e materie prime, oltre a una vasta gamma di manufatti che l'industria locale non è ancora in grado di fornire, mentre le esportazioni sono soprattutto rappresentate da frutta fresca e secca, ferro e acciaio, alluminio, tabacco, prodotti chimici, tessuti, ecc. Gli scambi si svolgono eminentemente nell'ambito della C.E.E., specie con la Germania e con l'Italia; fortissimo è il deficit commerciale: le esportazioni coprono meno della metà delle importazioni. Un'importante fonte di valuta è costituita però dal turismo: nel 1992 il Paese è stato visitato da ca. 10 milioni di stranieri, attirati dalle molteplici testimonianze storiche e artistiche e dalla bellezza delle spiagge e dei paesaggi marini. Notevole è stata la crescita del debito estero, quasi quadruplicato dalla seconda metà degli anni Settanta e determinante nella scelta delle recenti politiche di austerità economica: il servizio del debito ammonta così oggi a un terzo ca. del valore delle esportazioni.
ISTRUZIONE E SERVIZI D'INFORMAZIONE
L'educazione dell'antica G. subì una notevole trasformazione dalle sue origini al periodo greco-romano. Da uno stadio iniziale in cui l'educazione si basava sull'esercizio fisico, sulla preparazione alla guerra e sulla formazione musicale, si passò a un'istruzione intellettuale fino a giungere alle note scuole filosofiche. A Sparta l'educazione era informata a uno spirito aristocratico, ad Atene era più democratica e liberale. I sofisti introdussero per primi alcune discipline scolastiche, cioè le “arti liberali”. Gradualmente si costituì un tipo di educazione simile a quello moderno diviso in cicli (elementare, medio, superiore). Durante la supremazia di Bisanzio e fino alla caduta di Costantinopoli (1453) le scuole greche di antica tradizione decaddero completamente o furono soppresse. Nel periodo della dominazione turca fino alla guerra d'indipendenza (1821) l'educazione fu prerogativa della Chiesa ortodossa; vennero costituite scuole d'insegnamento superiore che avevano lo scopo di mantenere viva la cultura classica. Nel 1834 l'istruzione elementare fu dichiarata obbligatoria. Alla fine della I guerra mondiale vennero fondate numerose scuole primarie. Con la Costituzione del 1975 l'obbligatorietà scolastica fu stabilita fino a 15 anni. La scuola primaria ha la durata di sei anni ed è seguita o da un corso triennale di scuola media (o pre-ginnasio) e dal ginnasio – anch'esso triennale e aperto ai più dotati, che si basa sull'insegnamento del greco classico e del latino e si conclude con un diploma di licenza o con un esame per chi voglia iscriversi all'università – o dal liceo, che ha la durata di 6 anni ed è un istituto in cui l'insegnamento generale è dedicato soprattutto alle scienze. Date le carenze nel campo della formazione di quadri e di forza lavoro qualificata, particolare attenzione viene rivolta agli studi tecnici e professionali. L'accademia pedagogica, biennale, alla quale si accede dopo il ginnasio o il liceo, cura la formazione dei maestri. L'istruzione superiore viene impartita nelle università di Atene (1837), Salonicco (1925), Giánnina (1971) e Patrasso (1966). Secondo stime dell'U.N.E.S.C.O., nel 1990 la percentuale di analfabeti era soltanto del 6,8%. L'impulso nazionalista greco del sec. XIX provocò l'apparizione di varie pubblicazioni, di vita effimera; nel 1881 comparve l'Akropolis, quotidiano conservatore tuttora esistente. Con il colpo di Stato del 1967, tutta la stampa d'opposizione dipendente dall'E.D.A. fu soppressa e così vari organi liberali contrari alla dittatura (Augé, Athenaiké, ecc.). Con la restaurazione delle libertà democratiche (24 luglio 1974) il rigido controllo statale sulla stampa è stato abolito. Fra i quotidiani più importanti vi sono: Ta Nea, Apogevmatini, Ethnas, Kathmerini, Vradyni, Athlitiki Icho. Nel 1987 erano stimati in circolazione 4.100.000 apparecchi radio e 1.750.000 televisori.
ORGANIZZAZIONE MILITARE
Il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini di età compresa tra i 18 e i 40 anni. La ferma ha la durata di 21 mesi nell'esercito, 25 nella marina e 23 nell'aviazione. L'esercito (160.000 uomini) è organizzato in tre regioni militari e comprende divisioni, brigate corazzate, gruppi di artiglieria da campagna e contraerea. L'armamento comprende quasi 2000 carri armati di vario tipo. L'aviazione leggera dispone di ca. 150 elicotteri e 20 velivoli ad ala fissa. La marina, 20.500 uomini, dispone di ca. 160 unità tra cui sommergibili Diesel, cacciatorpediniere, fregate, lanciamissili. L'aviazione navale impiega idrovolanti HU 16 Albatross per il pattugliamento, elicotteri AB 212 per la guerra antisommergibile e Alouette per la ricerca e il soccorso. L'aviazione, 24.000 uomini, ha ca. 300 aerei da combattimento, tutti di produzione occidentale, ripartiti in 14 gruppi e inoltre gruppi da trasporto con aerei ed elicotteri e reparti contraerei equipaggiati con missili Nike Hercules e Hawk. La Grecia, dal 1980, è di nuovo entrata a far parte della N.A.T.O.
PREISTORIA
Il Paleolitico inferiore in G. non è ancora ben conosciuto. Tra i ritrovamenti più antichi deve essere segnalato il cranio di Petralona, rinvenuto all'interno di una grotta della Penisola Calcidica, fuori contesto stratigrafico. Di età imprecisabile, il cranio presenta caratteri per i quali è stato proposto un suo accostamento agli anteneandertaliani europei. Una sequenza con Musteriano di tecnica Levallois alla base, seguito da un micro-Musteriano datato a circa 40.000 anni fa, è conosciuta nel riparo di Asprochaliko, nell'Epiro, nel vicino sito di Kokkinopilos e a Vasilaki(Elide). Industrie del Paleolitico superiore, comprese tra il XXI e il XIV millennio da oggi, caratterizzate dalla frequenza di lamelle a dorso abbattuto, sono note nella grotta di Kastritsa in Epiro. Una lunga sequenza preistorica è conosciuta nella grotta di Franchthi (Argolide), con Paleolitico superiore alla base, seguito da importanti livelli mesolitici e neolitici. Dei tempi neolitici sono rilevanti i resti di culture preceramiche, risalenti al VI millennio, provenienti dalla Macedonia, dalla Tessaglia e da Cipro, nonché di quelle successive assegnabili soprattutto alle culture di Sesklo e di Dimini. Molto copiosi i resti dell'Età del Bronzo per la quale si individuano le culture tessalica, elladica, cicladica e minoica con cui ci si affaccia ai tempi protostorici.
STORIA, GENERALITÀ
Virtualmente la storia della G., o meglio la storia dei Greci, può dividersi in tre epoche: età arcaica, dai secoli bui del Medioevo Ellenico fino all'epoca delle guerre persiane (dai sec. XI-IX al 490-479 a. C.); età classica, che, successiva alle guerre persiane, termina convenzionalmente con la battaglia di Cheronea, che segna il trionfo dell'egemonia macedone (479-338 a. C.); età ellenistica, dall'asservimento alla Macedonia alla conquista romana (338-146 a. C.). La prima, in cui la polis non è ancora divenuta l'unità politica fondamentale del mondo greco, si contraddistingue nel potenziamento del vincolo dell'anfizionia come elemento di coesione fra le varie stirpi elleniche; l'età classica è invece dominata dall'ideale della polis, in cui s'identifica storia culturale e politica dei Greci, e infine l'età ellenistica è caratterizzata dall'affermazione in tutto il mondo greco degli Stati territoriali a base federale.
STORIA: L'ETÀ ARCAICA
Dopo il tramonto degli Stati micenei, la G. fra i sec. XI e IX a. C. subì un decadimento violento, investita da una radicale crisi di trasformazione che convenzionalmente va sotto il nome di Medioevo Ellenico. In questo periodo – in cui si assiste al succedersi della civiltà del Ferro a quella del Bronzo – le rocche micenee presentano segni di distruzione violenta, decaddero le arti, talune città cambiarono nome; commerci e attività artigianali ristagnarono e l'economia tornò alla terra. Nella città greca, ancora retta a monarchia, s'instaurò ben presto un braccio di ferro fra re e aristocrazie di sangue, destinato a risolversi a favore di queste ultime; nei sec. VIII-VII prevalsero governi aristocratici, per lo più succedutisi senza azioni di forza alle antiche monarchie: al loro interno si manifestò una lotta di classe, indice della formazione di un ceto “borghese” che a lungo andare determinò il loro tramonto. Il nuovo ceto era espressione della profonda rivoluzione economica che ha caratterizzato il sec. VII e che schematicamente può riassumersi in tre momenti: introduzione della moneta, potenziamento di grandi imprese coloniali in terre lontane (che aprirono al commercio greco il controllo delle principali rotte mediterranee), nascita di un'economia mercantile. Si formava così, a vantaggio di un ceto “borghese”, una ricchezza mobile che si opponeva alla ricchezza fondiaria della classe aristocratica: il potere dei nobili veniva a essere sempre più minato e sorsero le tirannidi, appoggiate alle nuove borghesie e al popolo, che, nel rotto equilibrio sociale, alzava la testa per affermare i suoi diritti e richiedere leggi scritte. I tiranni, nel sec. VI ancora al potere nel mondo greco, tesero ad affermare in campo internazionale il prestigio della loro città e si circondarono di corti di artisti e poeti.Tutto ciò contribuì inevitabilmente a rendere ereditario l'istituto della tirannide: famose le signorie degli Ortagoridi a Sicione, dei Cipselidi a Corinto, dei Pisistratidi ad Atene. Il loro crollo, a favore di nuovi governi aristocratici, oppure – per la prima volta – di governi democratici, coincise grosso modo con l'avvento dell'età classica. Sparta e Atene, due poleis successivamente destinate a dominare la scena politica del mondo greco, erano emerse con particolare prestigio già in età arcaica ed erano espressione di due antitetiche concezioni politico-istituzionali. Sparta era indubbiamente la polis militarmente più potente: a capo della Lega Peloponnesiaca era venuta gradatamente asservendo i paesi vicini, i cui abitanti costituivano l'attuale classe servile della sua cittadinanza (gli Iloti). Il potere era in mano alla ristrettissima classe degli Spartiati, cittadini-soldati che si consacravano esclusivamente al servizio dello Stato: il governo era retto a diarchia, ma sostanzialmente era sempre più controllato da una ristretta classe aristocratica, tutta tesa a salvaguardare lo Stato da qualsiasi forma di innovazione. Atene, al contrario, si evolse verso ordinamenti moderatamente democratici già nel corso del sec. VI. Tappe fondamentali di questa evoluzione furono, agli inizi e alla fine del secolo, la costituzione soloniana (595-594 o 594-593) e quella clistenica (508): nel mezzo ci fu la parentesi della tirannia dei Pisistratidi, che fu in fondo una tappa obbligata della marcia dei ceti popolari verso la conquista delle istituzioni democratiche.
STORIA: L'ETÀ CLASSICA
L'età classica si aprì sulla scena politica internazionale con le guerre persiane e con il decisivo apporto di Atene per la vittoria sul barbaro. Le prime avvisaglie del conflitto si ebbero in Asia Minore, dove i Persiani, nel 494, domarono nel sangue una rivolta delle città della Ionia: successivamente la guerra, in due riprese, venne portata sul suolo ellenico. Nel 490 Dario, dopo aver distrutto Eretria, sbarcò la sua armata in Attica, ma fu fermato dagli Ateniesi nella piana di Maratona. Nel 480 Serse coinvolse inun unico conflitto tutte le città della G., le quali – salvo poche eccezioni – resistettero in armi, unite in una grande lega panellenica capitanata da Sparta. Sconfitti alle Termopili, i Greci riuscirono a debellare il nemico a Salamina e a Platea. La battaglia di Salamina segnò la tappa decisiva della vittoria: il successo fu merito esclusivo di Atene e della politica di armamenti navali voluta da Temistocle. Da quel momento Atene poté sostenere a buon diritto di essersi opposta da sola al barbaro per la libertà di tutta la G. e poté sfruttare il prestigio conquistato per sviluppare una politica che, nel cinquantennio compreso tra il conflitto persiano e la guerra del Peloponneso, determinò l'ascesa della città. In questo periodo, che si definisce col nome di pentecontetia (478-431), Ateneraggiunse il massimo della sua floridezza e poté ideologicamente propagandare un duplice ideale di lotta: contro la Persia, in nome dei principi di libertà, contro Sparta, in nome dei principi di democrazia. Fu in quel periodo infatti che Atene, grazie ad alcuni grandi uomini come Efialte e Pericle, elaborò una costituzione democratica a carattere diretto che rimase modello di perfezione in tutti i tempi: per essa sostanzialmente qualsiasi cittadino – anche il meno abbiente – poteva raggiungere le massime cariche pubbliche e teoricamente, almeno una volta nella sua vita, aspirare alla presidenza dello Stato per la durata di ventiquattro ore. Contemporaneamente Atene riunì in un'unica confederazione difensiva (la Lega Delio-Attica) le principali poleis dell'Egeo e della costa ionica, elaborando uno strumento bellico di grande efficacia e di cui essa sola deteneva il comando. La confederazione, nata in funzione della lotta contro il barbaro, divenne però ben presto strumento di potenza e di aggressione imperialistica da parte della città dominante, che tese sempre più a considerare come sudditi i propri alleati. All'apice del fulgore Atene raggiunse al suo interno la massima espressione di un assetto democratico, mentre all'esterno svolse una politica imperialistica e antidemocratica nei confronti di popoli fratelli; questa contraddizione segnò i limiti della sua potenza; lo squilibrio sempre più accentuato fra cittadini e alleati-sudditi fu la causa prima della sua decadenza. Proprio il contrasto fra Atene e gli alleati offrì infatti a Sparta il destro per l'urto frontale e per trionfare sulla rivale. Si giunse così alla guerra del Peloponneso (431-404), che logorò per una trentina d'anni le due principali città della G. e terminò con la vittoria di Sparta: Atene fu vittima delle proprie contraddizioni, ma anche, nell'ora del pericolo, dell'inevitabile degenerazione demagogica delle sue istituzioni democratiche. I decenni seguenti furono contraddistinti da un'effimera egemonia spartana sulla G.; ma l'imposizione di presidi spartani e di governi oligarchici sollevò presto contro Sparta le principali città greche. Atene, rialzatasi dallaprostrazione seguita alla guerra del Peloponneso, si oppose ancora a Sparta, con Tebe, Argo e Corinto, nella guerra corinzia (395-386). Dopo la pace generale imposta dal re dei Persiani alla G. sotto il controllo di Sparta (Pace di Antalcida, 386), Atene riuscì a ricostituire, su nuove basi, la Lega Navale (379), ma non trovò più energie interne e spazio politico esterno per riconquistare quel ruolo di potenza egemone che, nel decennio 371-362, fu assunto da Tebe. Questa, con Pelopida e con Epaminonda, riuscì a portare le sue armi vittoriose fin nel cuore della Tessaglia e del Peloponneso, provocando una tale brusca rottura di equilibrio internazionale da spingere addirittura Atene a un riavvicinamento a Sparta. Ma l'egemonia tebana fu unicamente legata al successo militare e al genio politico dei suoi due grandi capi, morti i quali la città non riuscì infatti a sfruttare e a imporre il nuovo ruolo di grande potenza. Nella crisi politica che ormai agitava le principali città della G. si faceva sempre più strada l'idea di costituire una confederazione panellenica a carattere supercittadino. I Greci erano ormai giunti all'antitesi della polis, proiettati verso un ideale irraggiungibile senza rinunziare alla concezione municipalistica della città-Stato. Ma proprio questa istanza unitaria, questa formula propagandistica vanamente agitata dalla pubblicistica contemporanea, offrì il destro alla Macedonia di intromettersi con sempre maggiore insistenza nelle cose greche, fino a sopraffare in armi, nel 338, l'ultima lega della G. delle poleis nella piana di Cheronea. L'ideale panellenico si realizzò formalmente nella Lega di Corinto presieduta da Filippo II, offrendo però in olocausto allo straniero l'autonomia municipale e la libertà nazionale.
STORIA: L'ETÀ ELLENISTICA
L'età ellenistica si aprì con le conquiste di Alessandro Magno, che, in nome della grecità, portò le armi macedoni fino all'Indo, e fu caratterizzata dal diffondersi, a seguito delle imprese del Macedone, della cultura greca in tutto l'Oriente mediterraneo. Ciò avvenne in un'età in cui le poleis della G. erano irrimediabilmente asservite allo straniero: per cui in fondo la storia politica delmondo greco in questo periodo non fu che un'appendice della più vasta storia dei monarcati ellenistici (del riflesso che al mondo ellenico derivò dai loro equilibri di potenza e dai loro appetiti egemonici). Comunque ancora in quell'età la G. delle poleis tentò più volte, seppur inutilmente, di ribellarsi all'asservimento straniero. Le due pagine più gloriose di queste lotte furono segnate dalla guerra lamiaca (323-322) e dalla guerra cremonidea (267), ma ormai sia Atene sia Sparta non erano che fantasmi della loro antica potenza. Atene ospitava presidi macedoni dislocati in varie parti del suo territorio e sopravviveva come capitale intellettuale solo in nome del grande passato. Sparta, che fino al 222 rimase indipendente, pagò questo privilegio con il completo isolamento e fu per giunta agitata da lotte di classe che sconvolsero gli atavici equilibri del suo assetto istituzionale. Di contro al tramonto delle poleis, si potenziarono, nel corso del sec. III, organismi federali, quali la Lega Achea e la Lega Etolica, destinati a dominare, pur fra reciproci, cruenti contrasti, la scena politica greca fino alla conquista romana. Roma, come la Macedonia, trovò giustificazione al suo operato nel presupposto di imporre una pacificazione generale e intervenne risolutamente con la forza dinanzi alle sempre risorgenti rivalità municipalistiche. La distruzione di Corinto a operadei Romani (146) chiuse così la storia della G. dell'età ellenistica, come la distruzione di Tebe (335) a opera di Alessandro Magno l'aveva virtualmente aperta: panellenismo macedone e pace romana, al di là di qualsiasi finzione diplomatica, saranno per sempre legati al ricordo di queste barbarie nell'animo dei vinti.
STORIA: LA DOMINAZIONE ROMANA
Dopo il 146 a. C. Roma rispettò le autonomie locali ma tolse ogni valore politico alle leghe, che spesso furono sciolte; i territori conquistati vennero attribuiti alla provincia di Macedonia (Macedonia et Achaia). Secondo Cicerone passò sotto il dominio romano (con l'imposizione del tributo) solo quella parte della G. che aveva combattuto nella guerra achea (il Peloponneso, tranne la Laconia, la Megaride, la Locride orient., la Focide, la Beozia, Calcide), mentre gli altri territori (fra i quali Atene e l'Attica) rimasero indipendenti. All'ideale greco-classico di libertà subentrò sempre più il concetto di autonomia, inteso dai Romani come un'indipendenza non disgiunta da una serie di obbligazioni (tributo, prestazioni di manodopera, ecc.) cui erano tenuti non i cittadini direttamente, ma le poleis che ne erano anche garanti. Le città rimaste libere godevano invece dell'immunità ed erano considerate da Roma liberae et amicae, con un rapporto di collaborazione che venne spesso accentuato da uno spontaneo e graduale adeguamento all'egemonia romana. Vano fu il tentativo di riconquistare la completa indipendenza durante la guerra tra Roma e Mitridate VI che, dopo aver conquistato l'Asia Minore (88 a. C.), si era presentato come sostenitore della grecità e si era alleato con Atene. La guerra causò l'intervento vittorioso di Silla, che conquistò Atene dopo un lungo assedio (86 a. C.). Più tardi le guerre civili tra Pompeo e Cesare e, in seguito, tra i triumviri e i cesaricidi e tra Ottaviano e Antonio ebbero sul suolo greco le loro battaglie risolutive (Farsalo, Filippi, Azio). Costituita nel 27 a. C. come provincia senatoria a sé stante col nome di provincia d'Acaia, la G. ebbe una momentanea indipendenza dal 67 d. C., quando Nerone, da Corinto, proclamò la piena libertà dei Greci, fino a poco prima del 74 quando Vespasiano ridusse nuovamente la G. a provincia senatoria. Le condizioni generali del Paese furono abbastanza favorevoli nei primi due secoli dell'impero: oltre alla fondazione di colonie, fra le quali Nicopoli (Azio), da parte di Augusto, gli imperatori dettero grande impulso alle opere pubbliche delle principali città, ma questi interventi non frenarono il processo di decadenza, specie delle aree extraurbane, che fu aggravato dalle invasioni barbariche. Nel 170 l'invasione dei Costoboci giunse a devastare Eleusi; nel sec. III Alamanni e Goti devastarono molte città fra cui Corinto, Atene e Sparta, ma furono poi respinti e sconfitti da Gallieno in Tracia. Indipendentemente dalla disgregazione causata dalle invasioni, l'autonomia delle città greche era già spenta nel corso del sec. III; così pure decaduta era la vita religiosa e le stesse tradizioni: gli ultimi giochi olimpici furono celebrati nel 393. Due episodi fondamentali segnano la fine della continuità culturale greca: la proibizione di Teodosio (379-395) di celebrare culti pagani e il divieto di Giustiniano di esercitare l'insegnamento della filosofia.
DIRITTO
Per diritto greco si intende il complesso degli ordinamenti giuridici vigenti nel mondo greco (poleis) e greco-orient. (colonie greche) dal I millennio a. C. fino alla compilazione giustinianea. Nonostante il marcato particolarismo che ha caratterizzato l'esperienza giuridica greca, sembra si possa parlare, anziché di singoli diritti greci, diun diritto greco, costituito dai principi fondamentali presenti nei vari ordinamenti cittadini, i quali formano un substrato comune (la posizione giuridica degli schiavi, il diritto ereditario, l'istituto della vendita e altri), che sopravvive al venir meno dell'indipendenza delle città-Stato e al loro assoggettamento ai sovrani ellenistici prima e a Roma poi. Il fenomeno concerne, evidentemente, non gli istituti di diritto pubblico, che scomparvero col venir meno dell'indipendenza, bensì il diritto privato nel suo complesso, la cui sostanziale omogeneità esercitò più tardi un'influenza non trascurabile nell'evoluzione di molti istituti giuridici romani. Particolare fu la situazione dell'Egitto, dove il principio della personalità del diritto rese possibile la coesistenza di due ordinamenti giuridici diversi e solo limitatamente ad alcuni istituti anche la formazione di un diritto greco-egizio. Lo studio del diritto greco concerne prevalentemente il diritto di Atene, sia per la supremazia conseguita dalla città in campo politico e culturale, sia per la maggior quantità di fonti da utilizzare per la ricostruzione del relativo ordinamento. La documentazione più consistente è rappresentata dall'opera degli oratori (Lisia, Iseo, Demostene): p. es. lo studio del prestito a cambio marittimo, istituto di larga applicazione nei rapporti commerciali fra città greche, viene quasi esclusivamente condotto sulla scorta dei dati forniti da una serie di orazioni di Demostene. Caratteristiche del diritto greco sono la coesistenza e la compenetrazione fra vari ordinamenti giuridici, in quanto al diritto della polis si affiancano: un diritto sacrale, indipendente e preesistente al primo, un diritto familiare, anch'esso preesistente, un complesso di rapporti consuetudinari, nonché altre istituzioni risalenti nel tempo, quali le fratrie. Questi ordinamenti, interferenti tra loro, disciplinano rapporti non presi in considerazione dal diritto della polis, tra soggetti che non sono cittadini: donne, minori, schiavi. La polis interviene con proprie norme soltanto nell'ipotesi di lacune o d'impossibilità di funzionamento di tali ordinamenti. Così, p. es., in caso di omicidio, la polis interviene stabilendo che, dove manchi un soggetto legittimato ad agire secondo il diritto familiare, la persecuzione dell'omicida spetti ai membri della fratria. Altra caratteristica dell'esperienza giuridica greca è la mancanza di una scienza del diritto, di una qualsiasi elaborazione sistematica. Ciò non significa, peraltro, mancanza di una coscienza giuridica che affiora nella letteratura greca e che investe tutte le manifestazioni della vita del popolo greco. Nel diritto greco il cittadino aveva in sé la capacità potenziale a ogni diritto, ma essa diventava effettiva solo al momento in cui egli, al compimento del suo diciottesimo anno di età, si trasformava da semplice abitante di una città ('astós) in polítes e partecipava alle assemblee cittadine. Una volta immesso nella vita pubblica, il nuovo cittadino godeva della pienezza di diritti riconosciuti ai suoi pari: diritto di possesso d'immobili, a contrarre legittimo matrimonio, a partecipare alle assemblee, ai giudizi e alle magistrature e di conseguenza il diritto, teoricamente uguale per tutti, ad accedere e a percorrere tutte le pubbliche carriere. Contrasta invece il trattamento riservato alla donna, che rimase sempre succuba al kúrios (o pater familias) ed ebbe sempre limitato il proprio ambito d'azione attorno al focolare domestico; quasi inesistente fu pure la capacità giuridica delle larghe categorie d'indigeni, ai quali era negata persino la proprietà della terra, riducendoli praticamente nell'anonimato di poveri servi della gleba, e dei meteci (stranieri residenti), costretti a difendere con mezzi propri la loro proprietà mobiliare per mancanza di diritti effettivi.
RELIGIONE: LA MATRICE MEDITERRANEA E QUELLA INDOEUROPEA
Gli studi sulla religione greca sono generalmente orientati ad attribuirle due matrici fondamentali: la mediterranea e l'indeuropea. La prima, considerata geneticamente affine a quelle delle religioni dell'ambiente mediterraneo, viene connotata come una formazione locale, di carattere agrario, imperniata sul culto di una “grande dea”, la Terra Madre. La seconda, attribuita agli invasori di lingua indeuropea, portatori di una civiltà nomadico-pastorale, è caratterizzata, dal punto di vista religioso, dal culto di un Essere supremo celeste, il Cielo Padre. Su questa linea interpretativa, l'originaria Terra Madre è stata riconosciuta soprattutto in due figure della religione greca storica: Gaia (Terra), la madre primordiale protagonista dei miti cosmogonici, e Demetra (Demeter, Terra Madre), la dea dell'agricoltura. Il Cielo Padre è stato facilmente riconosciuto nel dio Zeus (Zeus pater, Cielo diurno padre), sovrano degli dei e degli uomini. Questo schema, se rispondeva in qualche modo a un indirizzo di studi tendente a stabilire le origini remote dei fatti religiosi, per trovare in quelle la spiegazione storica dei fatti stessi, in verità non serve molto per migliorare la nostra comprensione della religione greca. Non spiega, p. es., perché l'unica Terra Madre si sarebbe scissa in almeno due figure, Gaia e Demetra. E si aggiunga che, nel tentativo di risalire a ogni costo alla originaria “grande dea” mediterranea, sono state interpretate quasi come sue ipostasi anche altre divinità femminili della grecità, quali Rea, Afrodite e persino Artemide, che non è né “madre” né “agraria”. Per quanto riguarda Zeus poi, la sua derivazione da un Essere supremo celeste indeuropeo (Dyaus, da cui gr. Zeus, lat. Iu-piter, sanscrito Dyaus-pita, germ. Tyr, ecc.) non spiega la sua posizione di sovrano degli dei che non trova riscontro né nel Dyauspita vedico, né nel Tyr germanico, né in altri (escluso lo Iuppiter romano per il quale non è da escludere un influsso greco). Lo schema-ipotesi dell'incontro tra una religione della Terra Madre con una religione del Cielo Padre, in definitiva, non spiega la formazione politeistica greca per la quale Terra Madre e Cielo Padre non potrebbero in alcun modo monopolizzare la realtà. La realtà, invece, come in ogni altro politeismo, era rappresentata e organizzata da una molteplicità di dei, posti in varia relazione tra loro e raccolti in un consesso (pantheon) che dava universalità e sistematicità alla religione. Se si tiene presente tutto ciò si ridimensiona automaticamente il valore fin qui attribuito alle componenti originarie, o “matrici”, della religione greca e, al contempo, non si perde di vista il carattere etnico di questa religione; vale a dire: non si dimentica che essa è una religione che nasce e vive in funzione della cultura greca globalmente intesa, e non per eventuali contenuti autonomi trascendenti la grecità, o comunque sorti in funzione di altre culture (sia quelle dell'ambiente mediterraneo, sia quelle di altri popoli di lingua indeuropea). Fissati questi limiti, si può anche accettare una prospettiva storica che faccia della civiltà greca una formazione sorta per influsso di civiltà medio-orientali (o mediterranee di derivazione medio-orientale) su popolazioni di lingua indeuropea stanziatesi nell'Ellade: quasi una risposta di tali popolazioni agli stimoli derivati dal contatto con culture giudicate superiori alla propria. In un processo di acculturazione così delimitato, diventa anche accettabile l'idea di un politeismo greco che si formi su modelli politeisticidi derivazione mesopotamica, ma non come una copia, bensì come un prodotto originale realizzato a partire da elementi pregreci (o non-greci) o prepoliteistici (greci) in un'evoluzione che segue di pari passo l'evoluzione della civiltà greca, dalla fase “micenea” (II millennio a. C.) all'epoca della cosiddetta “invasione dorica” (inizio del I millennio), che prelude a quella formazione culturale sostanzialmente nuova che si svolse appieno nella grecità classica. In questa formazione, dunque, si includerà anche la religione, non come un retaggio di epoche passate, ma come una creazione originale. E proprio dal confronto con le epoche passate – variamente documentate dalle religioni medio-orientali e mediterranee, o di popolazioni di lingua indeuropea – emerge viva e incontestabile la sua originalità.
RELIGIONE: ETHNOS E MITO
L'etnicità della religione greca, ossia la sua immanenza all'ethnos o alla nazione greca, porta a considerare non solo la frattura tra il pregreco e la grecità storica, ma anche la sua frammentazione in funzione della divisione politico-territoriale dei Greci. Così che, a rigore, si sarebbe portati a parlare di tante religioni quante furono le città-Stato. Il che ci darebbe conto della funzione civica di queste “religioni” ciascuna delle quali ha come fine l'edificazione della polis che ne è portatrice. E tuttavia è corretto parlare di una religione greca, così come si parla di una civiltà greca, per definire un'unità culturale panellenica da cui traggono fondamento e giustificazione le stesse città-Stato con le loro particolari tradizioni e istituzioni religiose. Per intendere ciò in chiave specificamente religiosa si può dire: l'uomo greco si inserisce sacralmente in un sistema di credenze e di culti che procedeva, senza un reale distacco, dall'ambito familiare e gentilizio (a livello di quelle comunità claniche che erano dette fratrie), fino all'ambito politico-sociale della polis, e quindi giungeva, tramite la polis, a organismi superordinati (sul tipo delle anfizionie, leghe tra città vicine) e, via via, ai grandi culti panellenici (Olimpiadi, oracolo delfico, misteri eleusini, ecc.), in cui ciascuno si riconosceva come “greco”, oltre che come cittadino di una certa polis, membro di una certa fratria e di una certa famiglia, figlio di un certo padre. Ciò si comprende meglio se si pone mente al fatto che in G., come in altre civiltà arcaiche, l'impegno religioso si esplicava soprattutto nell'esecuzione di culti. Sul piano più propriamente familiare e gentilizio si svolgevano i culti del ciclo di vita individuale (riti di nascita, nuziali, funerari), i culti domestici, di antenati, ecc., variamente adattati al culto pubblico della polis. Sul piano civico si svolgeva ogni culto destinato all'edificazione sacrale della polis: qui si esprimeva appieno il sistema politeistico che faceva della città un piccolo mondo a immagine del grande mondo (cosmo) governato dagli dei. Questi erano raggruppati nel numero canonico di dodici, con variazioni da città a città, tranne che per una decina di divinità di cui nessuna città sembrava poter fare a meno, per esprimere la propria cosmologia. La tradizione ionica, risalente almeno al sec. VI a. C., elencava i seguenti dei: Zeus (il sovrano), Era (sua sposa), Posidone, Demetra, Apollo, Artemide, Ares, Afrodite, Ermete, Atena, Efesto, Estia. La varietà delle tradizioni si spiega, oltre che con la loro rispondenza alle realtà particolari delle singole città-Stato, con la mancanza di una sistemazione teologica di tipo dogmatico-sacerdotale. L'interpretazione, o la “rivelazione”, delle figure divine era demandata ai poeti, ai quali si attribuiva tanta autorità in materia che le prime critiche filosofiche alle credenze religiose si rivolsero propriocontro i poeti, accusati di averle inventate e diffuse. Un riconoscimento, non “critico” ma “storico”, della funzione del poeta è quello celeberrimo di Erodoto che attribuisce a Omero e a Esiodo la ricognizione e la denominazione degli dei greci. Era come se i poeti, narrando miti, svelassero la realtà divina del mondo. Il che spiega l'importanza del mito e dei suoi modi di espressione in tutta la cultura greca. La realtà divina del mondo era intesa come un cosmo, un ordine universale, a cui si opponeva dialetticamente un anticosmo (caos), o una non-realtà. Ma anche la non-realtà era rappresentata da figure divine, in perfetta coerenza con la mentalità politeistica greca. Ade, fratello di Zeus inteso quasi come uno Zeus negativo, era il dio sovrano della non-realtà, come Zeus lo era della realtà: regnava sull'“irreale” mondo dei morti che i Greci concepivano in antitesi al “reale” mondo dei vivi. Dio della non-realtà – in quanto esprimeva un “divenire”, contrapposto dialetticamente all'“essere” – era anche Dioniso. E lo erano tutte quelle divinità minori (satiri, ninfe, ecc.) che agivano nel non-abitato (selve, monti, ecc.) o extra-urbano, concepito come caotico rispetto al microcosmo delimitato dalla città. La qualificazione negativa del caotico (o “irreale”) diventava positiva quando venivano messi in crisi i valori del cosmico: erano crisi istituzionalizzate, come le feste di fine d'anno che realizzavano una temporanea sospensione dell'ordine per procedere quasi a un rinnovamento del mondo; oppure occasionali, dovute a calamità o a iniziative (fondazioni, immissione dei giovani nella società degli adulti, ecc.) che trasformavano in qualche modo l'ordine costituito. Ma poteva trattarsi anche di crisi inerenti alla condizione umana che dunque potevano risolversi soltanto con un rovesciamento di valori che, significando un rifiuto della “realtà”, facesse diventare negativo il cosmico e positivo il caotico: si avevano allora formazioni religiose mistiche in permanente opposizione alla religione civica, in quanto edificatrice di un universo da rifiutare per poter accedere a una salvezza extra-mondana. L'uomo greco trovava nel sistema politeistico una garanzia alla sua presenza in un mondo ordinato, in cui ciascuno aveva il proprio posto e chi superava i propri limiti peccava di hybris (superbia, tracotanza: il peccato per antonomasia nella cultura greca). Ma il sistema, che dava la certezza di una vita “civile”, condannava anche alla infelice condizione di “mortali”, inesorabilmente distinta dalla felice condizione degli dei “immortali”. Per evadere da questa condizione si doveva rinunciare al sistema e a tutti i vantaggi civico-politici che esso offriva – e questo fu soprattutto facile per le donne e per le classi che, come le donne, erano escluse dalla vita politica – per rifugiarsi nell'anti-sistema, ossia nel campo d'azione delle divinità dell'irreale e del caotico. Di qui ebbero origine quelle formazioni mistiche che fecero capo a Persefone, la regina dei morti, sposa di Ade, e a Dioniso, il dio delle trasformazioni, invocato contro una “immutabilità” indesiderata. Il culto mistico di Persefone, associata alla madre Demetra, si esplicò nei misteri di Eleusi, da dove si diffuse per tutta la grecità e oltre. Il culto mistico di Dioniso si espresse soprattutto in quelle formazioni che vennero chiamate orfiche dal mitico poeta Orfeo che ne avrebbe rivelato i principi fondamentali.
RELIGIONE: L'EROE CULTURALE E IL CULTO DEGLI ANTENATI
Una via non mistica per sfuggire alle strette del sistema potrebbe essere considerata la concezione dell'eroicità, una elaborazione tipicamente greca di retaggi prepoliteistici, quali la nozione dell'eroe culturale e il culto degli antenati. L'eroe greco è un personaggio mitico che proprio per mezzo della morte, ossia per mezzo del marchio stesso della condizione umana, raggiungeva una condizione sovrumana caratterizzata da poteri divinatori, guaritori e genericamente salvifici. L'eroizzazione, oltre che un concetto, fu anche una pratica rituale riservata a personaggi storici che parvero ricalcare le imprese degli eroi mitici (guerrieri, agonisti, poeti, fondatori, ecc.). Le fonti del comportamento religioso greco, sia a livello civico sia a livello individuale e mistico, furono soprattutto i santuari, di cui si ricordano quelli che ebbero importanza panellenica: i santuari di Olimpia e di Dodona che, sia pure diversamente (il primo con gli agoni e il secondo con un culto oracolare), imposero la sovranità di Zeus; il santuario di Delfi che con i suoi responsi oracolari esercitò un grandissimo influsso nella costituzione di una religione panellenica; il santuario di Eleusi che suggerì ai Greci le formule di una soteriologia a carattere mistico.
FILOSOFIA: LE ORIGINI E IL NATURALISMO
La filosofia greca nacque a contatto con l'Oriente. Mitici teologi quali Orfeo e Lino, autori di teogonie e di cosmogonie mentre ancora la religione e il mistero non erano ben distinti dalla pura speculazione critica, furono tra i primi pensatori originari della Ionia e furono influenzati dal misticismo degli orientali. In poeti quali Omero ed Esiodo la mitologia assunse poi contorni più netti e lo sguardo si volse più precisamente al mondo e all'agire umano. Ma di filosofia vera e propria si può parlare soltanto con l'emergere di un atteggiamento critico nei confronti della tradizione (sia essa o meno derivata dall'Oriente) e con l'istituzione di un tipo di ricerca disinteressata che trova in se medesima la propria norma: questo atteggiamento si manifestò chiaramente appunto nella G. del sec. VII a. C. e giustamente i Greci sono considerati “inventori della filosofia”. Il primo problema che i filosofi della G. si posero fu quello della natura e origine del mondo, affrontato appunto a partire dal sec. VII dagli Ionici, in modi e con soluzioni diversi. Primo nome è quello di Talete di Mileto, scienziato e filosofo, che indicò nell'acqua l'elemento originario di tutte le cose. Pur nell'ambito ancora naturalistico della ricerca si ebbe un tentativo del pensiero di unificare la varietà del reale, di scoprire l'inizio del suo divenire mutevole. Così Anassimandro (sec. VI), autore di un poema Della natura, come molti di questi filosofi, indicò nell'infinito, nell'indeterminato (ápeiron), il principio da cui tutto nasce e in cui tutto si dissolve. Per Anassimene, anch'egli di Mileto e della stessa scuola, questo è invece l'aria, mentre per Eraclito di Efeso, verso il 500, è il fuoco. Ma Eraclito approfondiva già anche altri problemi e probabilmente il fuoco era per lui solo un simbolo del flusso incessante del tutto, in cui si armonizzava la guerra dei contrari: la vita era un'inseparabile concordia discorde di opposizioni e la realtà era divenire. All'opposto di Eraclito si pose un secondo, vigoroso genio filosofico di quell'età, Parmenide, fondatore della scuola eleatica nella Magna Grecia. Per Parmenide, la realtà si risolve nell'Essere, immutabile oggetto del pensiero, organo della verità che con l'Essere coincide, e il divenire è mera apparenza, oggetto di opinione instabile e ingannevole. Parallelamente si svolgeva intanto, appartata, la speculazione di Pitagora di Samo (sec. VI) e della sua setta segreta a Crotone prima e poi, con Archita, a Taranto. Per i pitagorici “la verità è numero”, tutta la realtà si può ridurre a numeri ossia in rapporti che si possono calcolare. Eraclito e Parmenide innalzarono la speculazione greca a unlivello squisitamente metafisico e chiaramente posero problemi, come quello del rapporto fra l'essere delle cose e il loro divenire, opinione e scienza, che a lungo hanno tormentato la speculazione occid.; i pitagorici invece, con il sottolineare la struttura matematica del reale, diedero all'Occidente un'altra fondamentale intuizione, variamente ripresa e trasmessa, dal cui grembo doveva nascere la scienza della natura modernamente intesa. Un primo sforzo di risolvere l'antinomia fra essere e divenire si ritrova nei cosiddetti filosofi della natura o “fisici” posteriori. Così Empedocle (metà del sec. V) considerò le cose mutevoli e contingenti, risultanti dalla mescolanza dei quattro elementi o “radici” immutabili ed eterni: fuoco, aria, acqua, terra. Così la scuola di Abdera, con Leucippo e Democrito (seconda metà del sec. V), considerò le cose, che i sensi ci attestano nella loro varietà mutevoli, risultanti dall'unione e dalla separazione degli “atomi”, infiniti di numero e solo quantitativamente diversi fra di loro, che si muovono costantemente nel vuoto combinandosi secondo leggi meccaniche. Così infine Anassagora di Clazomene, vissuto ad Atene nell'età periclea, spiegò la realtà a partire da “particelle similari” qualitativamente diverse sempre presenti in ogni cosa sebbene in proporzioni differenti (donde appunto la diversità e mutevolezza delle cose stesse): egli ancora chiaramente pose il problema dell'ordine della natura cercandone il principio in una mente (Nous) che la anima.
FILOSOFIA: DALL'UNIVERSO ALL'UOMO
Dall'universo all'uomo: questa la tappa ulteriore del pensiero greco durante il sec. V, che dal naturalismo lo porta all'umanesimo. Atene, la sua società fervida e articolata, gli splendori e i drammi della sua storia ne sono il quadro. Prima i sofisti (Gorgia, Protagora, Prodico, Ippia, ecc.) posero in discussione la validità del pensiero e della conoscenza, relativizzarono tutto, e con questa critica affinarono il mezzo di convinzione delle opinioni: il discorso. L'uomo e il suo comportamento etico-politico costituirono il centro della speculazione socratica. Socrate (469-399) mise tutto in discussione come i sofisti, ma al fine di giungere a una verità universalmente valida che al tempo stesso intendeva come principio della vita “giusta”: per lui la conoscenza della verità e del bene si identifica con la pratica della virtù che da essa discende. Scambiato per un critico distruttivo e sospettato di turbamenti politici, Socrate fu condannato a morte dagli Ateniesi nel 399; la sua eredità passò a uno dei discepoli, Platone (428-347), il massimo filosofo greco.
FILOSOFIA: PLATONE E ARISTOTELE
Ateniese anch'egli, aprì una scuola nel ginnasio dell'eroe Accademo (Accademia) ed espose le sue teorie in splendidi dialoghi. Il grande tema della speculazione di Platone, che ha cercato di dare un fondamento metafisico alla speculazione morale di Socrate, è quello dell'essenza delle cose, le “idee”, che costituiscono il regno dell'essere e della verità. Esse trascendono le cose imperfette terrene, ma sono anche causa di quest'ultime e principi ispiratori della nostra attività come di quella del Demiurgo, il divino artefice che plasma la materia (talvolta da Platone assunto come intermedio fra le idee stesse e la materia). La natura dell'anima umana è di essere principio di vita, anch'essa eterna e conoscitiva delle idee, che ha contemplato nella vita anteriore e che ora, incarnata nel corpo, a contatto col mondo sensibile ricorda. Al mondo delle idee l'uomo attinge la norma di vita che gli ispira la giustizia, o armonia interiore tra la ragione e la passionalità, e la concezione dello Stato ideale, fondato sulla giustizia, come armonia fra le varie classi che lo compongono nel perseguimento dellavirtù che a ognuna di esse è specifica in vista del bene comune. In un piano diverso si è posto Aristotele (384-322), già discepolo di Platone, poi fondatore di una scuola sua nel Liceo: la scuola peripatetica (si discuteva “passeggiando”). L'aspetto stesso del suo pensiero, empiristicamente orientato, lo ha portato a cercare di dare maggior valore al mondo reale, minacciato dall'“idealismo” platonico nella sua consistenza effettiva. Raccogliendo in sé le teorie e le aporie della filosofia presocratica, elabora i principi della sua metafisica. La realtà per eccellenza è l'individuo, l'insieme di sostanza e accidente, materia e forma, atto e potenza. Forma e materia, atto e potenza sono principi non solo dell'essere, ma anche del divenire delle cose: il divenire è infatti concepito come attuazione di ciò che è in potenza; esso è a sua volta reso possibile da ciò che è in atto e infine dall'atto puro che Aristotele identifica con Dio chiamandolo “pensiero del pensiero”. Proprio in questa concezione di Dio come principio supremo del divenire attorno a cui ruota l'universo con le sue sfere permane in Aristotele l'ispirazione platonica, nonostante il diverso orientamento già segnalato. La felicità e la virtù di ogni cosa consiste nell'attuazione della sua possibilità e della sua natura e quindi, per l'uomo, nella vita conforme a ragione culminante nella pura contemplazione. Fisica e psicologia, etica e politica, retorica e poetica, logica costituiscono altrettanti campi in cui Aristotele esercitò la sua ricerca sino a rappresentare una vera e propria enciclopedia del sapere. Nella serrata compagine del suo sistema egli ha racchiuso la filosofia che l'ha preceduto e ha chiuso l'età antica della speculazione essenzialmente metafisica.
FILOSOFIA: L'ETICA, STOICI E EPICUREI
La filosofia greca divenne quindi piuttosto ricerca di un metodo di vita, cioè etica, anche adattandosi a un mondo che si faceva sempre meno eroico e più cosmopolitico, travagliato da un ordine diverso di problemi, specializzato in diverse attività e in uno studio specifico delle scienze. L'Accademia stessa di Platone cadde, nel corso dei sec. III e II a. C., nel probabilismo o in un deciso scetticismo (Carneade); fra i peripatetici si accentrarono interessi scientifici (Teofrasto). Ma soprattutto stoici ed epicurei attrassero gli animi, muovendo in direzioni opposte da esigenze e da punti di partenza uguali. Gli stoici si volsero alla psicologia e alla condotta morale dell'uomo; predicarono l'apatia, o assenza di passione, per evitare la sofferenza, e indicarono nella virtù il sommo bene. Iniziato da Zenone, che insegnava nel portico (stoà) Pecile ad Atene, da Cleante e da Crisippo, lo stoicismo ebbe fortuna soprattutto in Roma, dove venne introdotto da Panezio e da Posidonio; sue dottrine innovatrici, come quella della legge di natura per cui tutti gli uomini, quali esseri razionali, devono riconoscersi uguali, ebbero grande spazio anche in età imperiale, l'età di Epitteto e di Marco Aurelio. Epicuro invece (341- 270 a. C.), riprendendo l'atomismo di Democrito, negò la spiritualità e l'immortalità dell'anima, i rapporti del mondo con gli dei, ridusse la conoscenza ai sensi e la felicità a un giudizioso godimento di piaceri fisici. Anche le sue teorie ebbero fortuna a Roma, nell'età di Cesare e di Augusto. Già fin dai primi decenni dell'Impero si manifestarono per altro, con l'avvento anche di culti orientali, più profondi bisogni religiosi, un'ansia mistica che, a ritroso, solo il platonismo poteva di nuovo soddisfare. Dopo un primo tentativo di Antioco d'Ascalona (sec. I a. C.) di tornare alla primitiva Accademia e di Filone Alessandrino (sec. I d. C.) di plasmare il platonismo nei termini della religione giudaica, all'inizio del sec. III Plotino offrì uno sviluppo innovatore (un neoplatonismo) delle dottrine platoniche. Muovendo dall'anima quale principio motore dei corpi, Plotino stabilì una scala di realtà: dalla materia all'anima umana, all'anima del mondo, all'intelligenza, all'Uno, principio supremo e ineffabile. Quello di Plotino, affiancato in forme più tipicamente orientaleggianti e manichee dallo gnosticismo del suo discepolo Porfirio e poi di Proclo (sec. V) e di Simplicio (sec. VI), fu l'ultimo tentativo pagano di rispondere razionalmente e misticamente alla sfida che il cristianesimo pose alla civiltà antica.
PENSIERO SCIENTIFICO
Nonostante i numerosi contributi tramandati dagli Egizi e dagli Assiro-Babilonesi, la tradizione colloca in G. la nascita del vero e proprio sapere scientifico. Infatti la matematica, l'astronomia, la statica e la medicina trovarono in G. le condizioni per costituirsi come discipline fornite di preciso contenuto e di caratteristiche metodologiche assai ben delineate. Iniziatori del lungo processo che portò all'affermazione di un orientamento razionale, liberando la cultura greca nel suo complesso dalle influenze mitico-religiose precedenti, furono i filosofi o fisici della scuola di Mileto (sec. VI a. C.). Ma fu con Pitagora e la sua scuola che vennero poste le basi di una scienza razionale, formulata nei suoi fondamenti astratti e avulsa da ogni contesto empirico: la matematica. I pitagorici, attratti in modo particolare dalla regolarità dei fenomeni celesti, tentarono di spiegare tutta la realtà sulla base dei numeri, delle loro proprietà e armonie, creando l'aritmo-geometria, dottrina che ebbe il merito di conseguire importanti risultati quali la generalizzazione dei procedimenti matematici allora in uso e la formulazione della teoria dei numeri razionali. Quest'ultimo risultato si dimostrò abbastanza presto inadeguato di fronte ai sottili problemi sollevati dalle grandezze incommensurabili. Inoltre, lo studio dei tre classici problemi della quadratura del cerchio, della trisezione dell'angolo e della duplicazione del cubo impose, oltre che l'abbandono dell'aritmo-geometria, un notevole potenziamento degli strumenti concettuali. Protesi a questo scopo furono i lavori del matematico Ippocrate di Chio, di Archita di Taranto e soprattutto di Eudosso di Cnido, che delineò una geniale teoria delle proporzioni, poi ripresa e utilizzata da Euclide. Il punto più alto raggiunto dalla matematica greca si colloca però tra il sec. IV e il III, nel periodo alessandrino, nel quale operarono Euclide, Archimede di Siracusa e Apollonio di Pergamo. Euclide ebbe il merito di raccogliere tutte le ricerche precedenti in un edificio che per il rigore delle argomentazioni e per la chiarezza concettuale fu guardato per secoli come esempio prestigioso di cosa deve essere “scienza”. Archimede, approfondendo le ricerche di Eudosso sul metodo di esaustione ed estendendo i suoi studi sui centri di gravità alla geometria, giunse a trattare problemi attinenti coni e cilindri e superfici limitate da sezioni coniche e loro solidi di rivoluzione, con un metodo originalissimo, descritto nella famosa lettera a Eratostene. Ad Archimede si devono pure la fondazione della statica, da lui trattata come un vero e proprio capitolo della meccanica razionale, nonché ricerche sulle leve e sull'equilibrio dei liquidi, che segnarono una decisa rottura nei confronti della fisica qualitativa di Aristotele e furono utilizzate ampiamente nel corso della rivoluzione scientifica del sec. XVI e XVII. Apollonio studia le proprietà delle figure coniche elementari: ellisse, iperbole, parabola. Strettamente collegate con la matematica furono le ricerche di astronomia che culminarono nel sec. IV a. C. con la teoria delle sfere omocentriche di Eudosso e con l'ipotesi di Eraclide Pontico secondo cui, mentre il Sole gira intorno alla Terra, Mercurio e Venere ruoterebbero intorno al Sole. La spiegazione puramente matematica dell'universo formulata da Eudosso fu successivamente inserita nella fisica di Aristotele. Il successo vieppiù incontrastato del sistema aristotelico non impedì l'enunciazione di altre ipotesi sull'universo destinate a riemergere in epoca moderna. Tipiche sotto questo profilo sono la geniale teoria eliocentrica di Aristarco di Samo e quella di Ipparco di Nicea, il quale introdusse per primo nel sistema aristotelico gli epicicli, ripresi, in epoca romana, da Tolomeo. Una profonda svolta si ebbe in G. anche nell'ambito della medicina e della biologia, che da scienze o arti puramente empiriche e pratiche, acquistarono già con Alcmeone di Crotone una dignità teoretica notevole. La scoperta che il centro di coordinamento delle varie percezioni risiede nel cervello portò a respingere le teorie che presupponevano un rapporto naturale e immediato tra uomo e natura. La scienza medica non poteva fondarsi su un'osservazione immediata dei vari casi, ma esigeva una specificazione dei metodi e dei concetti in base a un'esperienza criticamente concepita. La critica di Alcmeone, nonostante varie resistenze incontrate, fu ripresa nella controversia che oppose le due scuole mediche più importanti del sec. V: la scuola di Cnido e quella di Cos. La prima, nella quale si distinsero Eurifonte ed Erodico, cercò di legare strettamente la medicina all'osservazione immediata, escludendo ogni genere di teorizzazione: ne derivò una medicina empirica, rozza, che prescriveva una molteplicità illimitata di rimedi alquanto incontrollati, taluni stranissimi, alla cui base stava la mancanza assoluta di una prognosi. Contro questo indirizzo si pose la scuola di Cos con un complesso di lavori ascritti al leggendario Ippocrate. Con tale scuola la medicina ha trovato una sua originalissima collocazione nell'ambito del sapere. A una valorizzazione dell'esperienza critica nel senso di Alcmeone si accompagna in Ippocrate una profonda consapevolezza dell'importanza della teoria come momento di sintesi del particolare, di “comprensione”, di previsione. Un rivolgimento diverso per significato ma altrettanto profondo fu compiuto da parte di Aristotele nell'ambito della biologia, che riuscì a levare dalla pura speculazione per collegarla a un'esperienza sistematicamente condotta. Frutto di questo orientamento metodico fu un'importante classificazione degli animali, una teoria della generazione legata a una concezione vitalistica dei fenomeni biologici. Tale concezione si inserisce in una visione teleologica di tutti i processi naturali, che trionfò sulla opposta concezione meccanicistica, sostenuta in precedenza da Democrito di Abdera, dominando sino al periodo moderno tutta la cultura occidentale. Oltre agli stretti legami con la filosofia della natura, caratteristica della scienza greca, a eccezione della medicina, è lo scarso interesse per le applicazioni tecnologiche. Ciò è dovuto probabilmente al carattere schiavistico della società greca che comportava un basso costo del lavoro. Infine la sperimentazione, pur venendo usata, non trovò un'applicazione sistematica e rigorosa anche per lo scarso interesse a definire in modo quantitativo le leggi di natura.
LINGUA
La prima fase della documentazione del greco, lingua appartenente alla famiglia indeuropea, è rappresentata dal miceneo, i cui testi in scrittura Lineare B, decifrati e interpretatida Michael Ventris, risalgono alla seconda metà del II millennio a. C. Molto più ampia e sicura è però la conoscenza che noi abbiamo del greco nel I millennio a. C. sia perché la documentazione epigrafica si presenta molto più ampia e varia di quella micenea (le iscrizioni greche non micenee risalgono ai sec. VIII-VII a. C.), sia perché questa preziosa documentazione epigrafica è integrata da una prestigiosa tradizione letteraria che fa capo a Omero. La tradizionale suddivisione dei dialetti greci antichi in ionico, attico, dorico, eolico riflette sostanzialmente le forme dei dialetti letterari, ma non tiene sufficientemente conto della molto più complessa situazione delle parlate locali e regionali. All'interno del dorico, p. es., si possono scorgere numerose varietà dialettali che costituiscono il dorico merid. e il dorico sett. che viene considerato un gruppo a sé, quello dei cosiddetti dialetti nord-occid., cui appartiene fra gli altri anche l'acheo. Si possono però cogliere alcuni tratti caratteristici e specifici della grecità linguistica nel suo insieme: nel campo fonetico la conservazione del sistema vocalico indeuropeo con la distinzione della triade vocalica a, e, o (solo lo schwa è continuato da a: gr. pater, padre, ind. ant. pita, indeuropeo pater); lo sviluppo delle liquide e nasali sonanti r, l, n, m in ar/ra, al/la, a/an, a/am (árktos, orso, ind. ant. rksah); la risoluzione delle occlusive sonore aspirate in sorde aspirate, cioè dh>th, bh>ph, gh>kh (thymós, animo, ind. ant. dhumáh; phéro, io porto, ind. ant. bhárami; omíkhle, nube, ind. ant. megháh); il triplice esito delle labiovelari condizionato dalla vicinanza di determinati suoni, cioè qu>k, t, p (bou-kólos, pastore di buoi <-qu olos, ai-pólos, pastore di capre <-qu olos, tís, chi?<qu is); l'aspirazione di s iniziale antevocalica e la sua scomparsa in posizione intervocalica (heptá, sette, lat. septem); la riduzione di m finale a n (lýkon, lupo, lat. lupum); la caduta di tutte le consonanti finali a eccezione di n, r, s; la conservazione dell'accento musicale indeuropeo e, pur nell'ambito della legge del trisillabismo, della sua originaria posizione libera (pater, padre, nominativo sing., ind. ant. pita; patéra accusativo sing., ind. ant. pitáram; páter vocativo sing., ind. ant. pítah); nel campo morfologico la conservazione dei tre generi grammaticali (maschile, femminile e neutro) e dei tre numeri (singolare, duale e plurale); la formazione in periodo storico dell'articolo originato da una deflessione semantica dell'originario pronome dimostrativo (questo processo non è stato senza significato nello sviluppo dall'originario pronome dimostrativo latino all'articolo delle lingue romanze); le flessioni nominale e pronominale caratterizzate ancora in certi casi da desinenze distinte; l'espressione dell'aspetto dell'azione nel sistema verbale; il progressivo affermarsi e generalizzarsi dell'aumento nei tempi storici; il raddoppiamento nel perfetto. Nel periodo ellenistico si forma, su basi essenzialmente attiche, una lingua comune, detta koine, in cui si dissolvono tutti gli antichi dialetti greci (solo lo zaconico continua in epoca moderna un antico dialetto greco). Nel periodo bizantino la lingua ufficiale dell'alta letteratura, della scuola, della Chiesa e dell'amministrazione statale si presenta come un ritorno artificioso al greco classico, ma la lingua parlata continua la sua evoluzione staccandosi sempre più dalla lingua scritta. Questa situazione si riflette nella diglossia che caratterizza l'epoca moderna in cui la lingua popolare o volgare (demotike) si contrappone nettamente alla lingua classica (katharéyusa). L'importanza del greco nella storia della civiltà umana non si può valutare intutta la sua portata se non si tiene conto dell'influenza che il greco ha esercitato sul mondo latino e, anche per il suo tramite, su tutta la civiltà europea. Molte parole greche comuni sono passate in latino sostituendovi la parola indigena, e dal latino sono passate a tutte le lingue romanze. L'influsso linguistico greco sul latino si configura in tutta la sua ampiezza e profondità anche nel caso dei calchi per cui la parola greca non viene mutuata nella sua forma originaria, ma viene tradotta nei suoi elementi costitutivi. A questo proposito si può dire che quasi tutta la terminologia tecnica, filosofica, retorica, grammaticale latina sia stata forgiata sul modello della corrispondente terminologia greca. E ancor oggi gran parte della terminologia tecnica e scientifica è continuamente creata o ricreata con materiale lessicale greco. Per non parlare dell'importanza che i Greci hanno avuto nell'adattare l'alfabeto fenicio alla propria lingua in modo così geniale e funzionale da fornire un modello, diretto o indiretto, alla formazione di tutte le scritture dell'Occidente.
LETTERATURA: OMERO E L'EPOCA DELLA LIRICA
La letteratura greca si apre col suo nome più grande, quello di Omero; ma Omero è a sua volta la conclusione di un grande sviluppo di carmi, che si perdono nei tempi e che cantavano allo stesso modo le gesta di dei e di eroi. Vari cicli epici, tipici di popoli avventurosi e del “medioevo” delle varie civiltà, sono alle origini di questa letteratura. Il loro centro di sviluppo fu la Ionia, paese di vivaci rapporti commerciali e di rapido arricchimento materiale e spirituale. Di Omero si sa ben poco di sicuro; persino la sua esistenza è molto discussa, così come l'epoca in cui furono redatti i due grandi poemi che gli antichi gli attribuivano: l'Iliade e l'Odissea. Già in età alessandrina si tendeva a considerarli opera di due poeti diversi e la questione ha interessato i critici fino ai giorni nostri. La stesura definitiva del testo, comunque sia, sarebbe avvenuta verso i sec. VIII-VII a. C., e di lì prende le mosse la letteratura greca, già definita nei suoi caratteri: libertà e senso critico, spontaneità, finezza, lirismo e drammaticità, grazie anche all'ausilio di una lingua chiara, armoniosa, duttile, capace di ogni sfumatura. Omero – o chi per lui – cantò lo spirito eroico dei Greci: una loro spedizione in età micenea contro Troia, città fiorente dell'Asia Minore (Iliade), e il ritorno avventuroso di uno degli eroi, Ulisse, in patria (Odissea). Poeta antieroico fu invece Esiodo di Ascra in Beozia (forse metà del sec. VIII a. C.), autore di due poemetti di modesta e sofferta umanità: la Teogonia (sull'origine dell'universo e genealogia degli dei) e Le opere e i giorni (vicende, virtù, vizi e fatiche degli uomini). Intanto, forme di poesia più elaborata, con o per accompagnamento di musica e di danza, servivano ad altre manifestazioni dello spirito greco: le feste, i banchetti, l'esposizione di massime morali e l'espressione di sentimenti collettivi e individuali: sono i canti lirici, monodici o corali, in dialetto ionico (elegia e giambo), eolico (canti d'amore, di guerra, di simposio), dorico (canti corali religiosi e sportivi). L'età d'oro di questa poesia, cui partecipano tutte le stirpi greche, va dal sec. VII al V a. C. Si segnalano i giambi di Archiloco di Paro, di Semonide e d'Ipponatte; le elegie patriottiche di Callino e Tirteo, quelle gnomiche di Solone, quelle morali di Teognide, quelle amorose di Mimnermo; ma soprattutto i due grandi lirici di Lesbo, Alceo e Saffo, il primo impetuoso nei suoi carmi di lotta politica, la seconda impareggiabile nelle canzoni d'amore; solo si avvicina a essi lo ionico Anacreonte, molle cantore di feste e d'amore. Nella lirica corale, per le festività, si esprimono i sentimenti o le tradizioni religiose della collettività, soprattutto dei Dori, che avevano più forte il senso della stirpe, della patria, della religione. Dopo le più antiche canzoni per cori femminili di Alcmane (sec. VII-VI) e quelle mitologiche del suo contemporaneo Stesicoro, grandi carmi corali produssero tra il sec. VI e il V Simonide di Ceo (ca. 556-468), Bacchilide, suo nipote (ca. 520-450), e Pindaro di Cinocefale (522/18-438): tutti e tre scrissero soprattutto canzoni in lode dei vincitori delle gare panelleniche (olimpiche, pitiche, istmiche, nemee) in ampie composizioni articolate in strofe e in metri vari. Anche i primi filosofi della G. espressero in quegli anni le loro idee, soprattutto sulla natura e sulla formazione del mondo: quelli della scuola ionica, tra il sec. VII e il VI (Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito), e quelli dell'Italia merid. e di Sicilia, nel sec. VI (Senofane, Parmenide, Empedocle). Accanto all'epica, alla lirica, alla filosofia, il sec. VI vide fiorire un altro genere letterario: la favolistica. Essa trovò in Esopo un personaggio oscillante tra storia e leggenda, un raccoglitore, se non un inventore, di racconti popolareschi, animati da bestie umanizzate che più tardi ispirarono altri poeti, da Fedro a La Fontaine. L'epoca della lirica chiude l'età arcaica della letteratura greca, il periodo delle invenzioni di grandi generi letterari, rimasti in tutte le posteriori letterature europee, e delle più alte creazioni fantastiche e sentimentali, col piacere del racconto, con la fusione di più arti in una sola espressione umana.
LETTERATURA: IL SECOLO DEL TEATRO E DELLA PROSA
È una stagione felicissima, che prosegue nello splendore supremo del secolo seguente: il secolo del teatro e dell'inizio della prosa. Dalle aree periferiche la letteratura si concentrò in Atene, campione della democrazia e della libertà individuale, e si espresse nel suo stesso dialetto, l'attico. Atene creò del resto in quegli anni anche i capolavori dell'architettura, della scultura, della pittura, mentre al predominio artistico si accompagnò quello politico della città. Ci è poco nota invece l'origine del teatro greco, di cui è considerato iniziatore Tespi negli ultimi decenni del sec. VI. Col sec. V la tragedia entrò nella vita pubblica ateniese, oltre che nel suo grado massimo di sviluppo. Più volte durante l'anno si svolgevano cicli di rappresentazioni drammatiche, con concorsi ufficiali tra i poeti. Questi presentavano un gruppo di tre tragedie (che, se svolgevano uno stesso mito, costituivano una “trilogia”) e un dramma satiresco, breve atto comico finale. I sommi tragediografi ateniesi del sec. V furono Eschilo (525-456 a. C.), Sofocle (497/96-406 a. C.) e Euripide (480-406 a. C.). Squarci di liricità assoluta si alternano nel teatro di Eschilo a profonde meditazioni teologiche e umane; vi si esprime, in uno stile intenso e arduo, il timore greco per il destino, la condanna dell'orgoglio, il senso religioso della vita. Con Sofocle, il più puro, il più limpido, il più sereno e semplice dei tragediografi greci, s'amplia e si approfondisce l'azione e il ruolo in essa dell'uomo, un uomo sempre grande e nobile. L'oggettività classica di Sofocle già s'incrina con Euripide, allievo dei sofisti, spirito più irrequieto e dubbioso. Il suo è un teatro meno grandioso e più mosso nelle rappresentazioni, con la discussione critica che s'insinua nell'azione. Il pessimismo avvolge il mondo euripideo, dove emergono eroine patetiche o tragiche in sommo grado. Tutto rispecchiava ormai una società e un momento politico in evoluzione; il teatro si orientava verso il dramma borghese, quello della commedia di mezzo. La commedia antica nacque contemporaneamente alla tragedia e le sue origini non sono meno oscure. In Attica, nel sec. V si sviluppò in varie scene, intercalate da intermezzi corali, e assunse un carattere di sbrigliata, fantasiosa comicità non disgiunta da un continuo richiamo alla realtà del momento e alla satira politica, religiosa, artistica, di costume. Genio sommo ne fu Aristofane (ca. 445-dopo il 388), che tra la fine del sec. V e l'inizio del IV compose una quarantina di commedie. Aristofane appare sostanzialmente un conservatore, avverso alla filosofia nuova dei sofisti; ma, al di là della satira, attraggono la fertilità delle sue invenzioni e il lirismo di molti passi soprattutto corali, contrasto delicato con frequenti laidezze (di qui il capolavoro degli Uccelli). Il capovolgimento del teatro comico successivo rispetto a questa impostazione è totale: fuori d'Atene e dal suo regime politico si sviluppa la commedia borghese, nella seconda metà del sec. IV, in età ormai alessandrina. Il cosmopolitismo, le filosofie morali, atteggiamenti più pacati e rinunciatari in tutta la società si riflettono in intrecci più realistici, anche se complessi nelle loro peripezie quasi costanti; l'azione e il dialogo sono ora predominanti. Tra i molti autori, di cui non abbiamo quasi nulla, ci è meglio noto il più grande, Menandro, ateniese (342/41-291/90 a. C.). Menandro osserva la vita intorno a sé e se ne fa malinconicamente specchio; comincia una timida rappresentazione di caratteri, si esprime in uno stile naturale, in una lingua semplice, com'è nelle conversazioni quotidiane. Egli è perciò il maestro di successivi comici latini e in certa misura, attraverso loro, della commedia moderna. Si è accennato alla più lenta maturazione della prosa rispetto alla poesia. I primi scritti prosastici greci furono di storia: taluni “logografi” ionici narrano le origini delle loro città, genealogie di eroi, viaggi. Il primo storico di cui possediamo per intero l'opera fu Erodoto, ionico anch'egli (di Alicarnasso, ca. 485-ca. 425 a. C.), vissuto però soprattutto in vari altri Paesi d'Asia e d'Europa: viaggiò molto, molte cose vide e studiò e poi le espose in 9 libri di Storie, opera di grande bellezza e interesse. Narrò la geografia e le vicende della Persia, dell'Egitto, degli Sciti, poi soprattutto lo scontro, di poco anteriore a lui stesso, fra i Persiani e i Greci a Maratona e a Salamina. Se la precisione dei suoi dati e l'esattezza del suo racconto non sono assoluti, egli ha però, per primo, il senso della storia (ne fu detto “il padre”), ossia del valore, dell'interesse, dell'organicità e di un senso delle vicende umane. Quella successiva, di Tucidide (ca. 460-ca. 395 a. C.), è già a questo confronto un'opera letteraria. Nella sua Storia della guerra del Peloponneso tutto spira meditazione e ricostruzione critica dei fatti: Tucidide dichiara di non voler attrarre il lettore, ma di esporre la verità come una conquista utile per sempre. È un altro aspetto dello spirito greco, quello che sta rapidamente muovendo verso la grande meditazione filosofica e che già si mostra nelle discussioni dei sofisti. L'intellettualismo, il razionalismo di Tucidide, il suo discernimento della complessa trama dei fatti sono invero una conquista definitiva per la storiografia. Il terzo storico di quest'età non può che soccombere di fianco al genio dei primi due: Senofonte (ca. 430-ca. 350 a. C.), ateniese, che narrò vivacemente nell'Anabasi una spedizione di mercenari greci in Persia. Ma la sua continuazione delle storie di Tucidide fino al 362 (Elleniche) è fin troppo debole, così come mostrano solo doti di stile e una lingua pura la biografia di Ciro il Grande (Ciropedia) e vari suoi opuscoli storici e filosofici. Senofonte fu in giovane età allievo di Socrate e difese poi anch'egli la memoria del maestro.
LETTERATURA: FILOSOFIA ED ELOQUENZA, LA FINE DELL'ETÀ D'ORO
Quella di Socrate fu in realtà una vicenda di grande significato nell'Atene del tempo: nel dilagare della sofistica, con Protagora, Gorgia, Prodico, Ippia, Zenone, che relativizzava ogni conoscenza e ogni valore, egli propose – quale almeno ci appare dal ritratto dell'altro suo discepolo Platone – di affermare la loro validità, con la fede in un dio, con la necessità di praticare la virtù per essere felici, con la convergenza di bene e di utile, con l'esistenza, soprattutto, di una legge morale universale o naturale. Confuso forse coi sofisti stessi, nel 399 Socrate fu condannato a bere la cicuta. Ne colse l'eredità Platone, nella cui speculazione s'incarna l'anelito fondamentale dello spirito greco verso la perfezione; tanto più che il suo sistema filosofico trova anche un'espressione estetica altissima. In tutt'altra direzione si muove il suo antico discepolo Aristotele, che fu anzitutto un grande sistematore di tutto il pensiero filosofico a lui anteriore e dell'esperienza umana nella sua totalità. Con la filosofia, ha un grande sviluppo nel sec. IV l'eloquenza, favorita da circostanze politiche oltre che dalla pratica processuale. I Greci, e gli Ateniesi in particolare, amarono sempre molto le discussioni; la democrazia favoriva i dibattiti nelle assemblee, il diritto impegnava i contendenti nei tribunali. Già negli ultimi decenni del sec. V praticarono l'eloquenza, perché coinvolti in casi politici o per la loro professione di retori e logografi (qui, “scrittori di discorsi”), Antifonte, Andocide e Lisia. Di quest'ultimo ci resta un buon numero di discorsi scritti in uno stile fluido, semplice ma efficace, e in una lingua pura, che lo fanno modello di atticismo: di quella corrente cioè della retorica greca e romana che punta sull'attrazione di un discorso preciso, concreto ed elegante, di contro ai cosiddetti asiani, i retori patetici e gonfi, che già in quegli anni sono rappresentati da Isocrate (436-337 a. C.). Tra gli oratori del loro tempo (Iseo, Licurgo, Iperide, Dinaro) emergono soprattutto per passione politica Demostene (384-322 a. C.) ed Eschine (ca. 390-ca. 314 a. C.), i cui destini s'intrecciano per un certo periodo strettamente. Nodo politico fu allora, a metà del sec. IV, l'espansione macedone e l'autonomia delle città greche, centri di libertà ma ormai anacronistici. Eschine, ateniese di umili condizioni, prese posizione, a un certo punto, per i Macedoni; Demostene lottò fino in fondo per la libertà della sua patria. Con Demostene tramontò la libertà greca, e con questa l'oratoria stessa, che passò nel chiuso delle scuole di retorica e là si fuse con la critica letteraria. Si chiudeva così anche l'età d'oro della letteratura greca, il periodo delle creazioni.
LETTERATURA: IL PERIODO ALESSANDRINO, TECNICA E INTELLETTUALISMO
A essa succedette il periodo del ripensamento, dell'elaborazione dei generi letterari e delle tecniche più raffinate. Con le conquiste di Alessandro Magno, tra il 333 e il 323 a. C., il mondo greco si ampliò a dismisura; la lingua e la cultura greche si diffusero nei nuovi regni ellenistici di Macedonia, Pergamo, Siria, Egitto, e poco più tardi anche Roma assorbì la civiltà più raffinata della Grecia. Il nuovo centro culturale fu per tre secoli Alessandria (e il periodo si suole chiamare alessandrino, o “ellenistico” in contrasto con “ellenico”). Ad Alessandria i Tolomei fondarono una sorta di università (il Museo), con una grande biblioteca, e lì lavorarono i maggiori ingegni dei sec. IV e III nell'ambito della letteratura e delle scienze. Zenodoto, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia studiarono, commentarono e pubblicarono gli antichi poeti, soprattutto Omero, tramandandoci con la loro attività la maggior parte della cultura precedente. Ma furono letterati e critici, prima ancora che poeti, anche i due maggiori poeti dell'età alessandrina, Callimaco e Apollonio Rodio. Callimaco (ca. 310-ca. 240 a. C.) ruppe con la tradizione anteriore, trattò tutti i generi poetici, in tutti imprimendo geniali innovazioni, secondo lo spirito del tempo. In luogo della grandiosità, mirò alla perfezione, all'eleganza, all'originalità, all'invenzione; scrisse in una lingua artificiosa, con ricercatezze stilistiche e metriche di ogni sorta. Con lui la tecnica si sostituì all'ispirazione, l'intellettualismo ai sentimenti. In opposizione a Callimaco scrisse Apollonio Rodio (ca. 295-ca. 215 a. C.). Il suo tentativo polemico di dimostrare la persistente vitalità dell'epica si risolse in realtà nella dimostrazione del suo tramonto: le Argonautiche non vivono per gesta eroiche (vi si affaccia se mai il moderno amore di Medea per Giasone), per unità d'azione e di motivi, ma per la ricchezza dei molti brevi episodi, per la squisitezza dello stile; e sono appesantite dall'erudizione, da strani miti, da un'elaborazione tecnica spinta all'assurdo. Grandi poeti del sec. III furono fra i tragici Licofrone, fra gli elegiaci e gli epici Euforione, ma ben poco si conosce di loro. Si hanno invece i poemi didascalici di Arato (Fenomeni e Pronostici) e di Nicandro (Rimedi contro le morsicature degli animali velenosi e Contravveleni) e gli stupendi carmi di Teocrito (ca. 310-ca. 260 a. C.). Siracusano, fece suoi tutti gli artifici dell'ellenismo che poi sovrappose, nella sua poesia, a una materia fragile, quale la vita dei pastori, dei campi, e, quel che più conta, non lasciò soffocare il suo genuino senso della natura. I suoi 30 idilli, in cui crudezza realistica e sentimento romantico, ingenuità di temi e raffinatezza tecnica si fondono, rappresentano l'ultima, originale e grande poesia della G. antica.
LETTERATURA: SCIENZE E ERUDIZIONE
L'età alessandrina vide un grande sviluppo delle scienze, per la disposizione generale dell'uomo e della società. Le matematiche antiche ebbero allora il loro genio in Euclide (sec. IV-III a. C.), mentre Archimede di Siracusa (287-212 a. C.) coltivò, oltre la matematica, l'ingegneria; la medicina aveva avuto in Ippocrate, contemporaneo di Socrate, il suo grande maestro, fondatore di una scuola celeberrima a Cos, cui si deve quel Corpus Hippocraticum rimasto a lungo fondamentale per tale disciplina. Ancora tra le scienze fiorirono la geografia e l'astronomia; anche qui, dopo i grandi studi di Metone e di Eudosso, si ebbero quelli di Aristarco di Samo (ca. 310-ca. 230 a. C.), di Eratostene di Cirene (ca. 275-194 a. C.) e di Ipparco di Nicea (sec. II a. C.), il massimo astronomo dell'antichità. Gli storici, infine, scrissero opere soprattutto di erudizione, caratterizzate da una curiosità per l'aneddoto e il romanzesco; si segnalarono Manetone di Sebennito per l'Egitto e Timeo di Taormina per la Sicilia. In filosofia continuarono le scuole di Platone (Accademia Media, con Arcesilao, e Nuova, con Carneade) e di Aristotele, col grande scienziato Teofrasto. Ma apparvero soprattutto altri indirizzi con l'affermazione dei cinici (Diogene, Menippo), degli scettici (Pirrone, Timone), degli stoici (Zenone di Cizio, Cleante, Crisippo) e degli epicurei (Epicuro).
LETTERATURA: CULTURA GRECA E CULTURA ROMANA
La fusione tra la cultura greca e la romana divenne di fatto sempre più stretta dopo la caduta della G. sotto il dominio di Roma. I Greci dominarono le scuole, ispirarono un affinamento della letteratura latina; scrittori greci si trasferirono in Italia, i Romani andarono a studiare in Grecia. Ancora viva per qualche decennio, la produzione letteraria greca si affievolì tra il sec. I a. C. e il I d. C., per rinascere nuovamente verso il 100 d. C. e conoscere un estremonotevole splendore tra il sec. II e il V. Solo la poesia pare ormai del tutto isterilita: unico suo frutto delizioso, brillantissimo ma esile, l'epigramma. Questo genere, già tipicamente alessandrino, si sviluppò per tutta l'età romana attraverso decine di poeti; se ne trovano adunati moltissimi in una raccolta in 15 libri che si venne costituendo a più riprese a partire dal sec. I a. C. e intitolata Anthologia Palatina dall'unico manoscritto a noi giunto, conservato nella Biblioteca Palatina di Heidelberg. I temi sono quelli funebre, amoroso, descrittivo, trattati con un'arguzia, che è carattere comune a questi brevi, forbiti componimenti. I maestri più antichi furono, nel sec. III a. C., Asclepiade di Samo, Leonida di Taranto e Nosside; in età romana, Meleagro di Gadara (sec. I a. C.) e Filodemo, suo concittadino e contemporaneo, attivo a Ercolano con grande influenza sui poeti latini del tempo. Notevole sviluppo ebbe invece la prosa, anzitutto quella storica con uno dei suoi massimi geni, Polibio di Megalopoli (ca. 200-ca. 120 a. C.). Le sue Storie (40 libri, a noi noti i primi 5) sono uno studio autentico della crescita di Roma, dalle guerre cartaginesi ai suoi tempi, con la presentazione dei fatti e la discussione delle loro cause. Sono invece banditi i discorsi e gli altri abbellimenti retorici: l'opera è delle più spoglie e incolori letterariamente, con stile impacciato e pesante; anche la freschezza della scrittura greca è tramontata per sempre, ma è nato un nuovo, moderno modo di fare la storia come scienza. Solo come compilatori di ampie sintesi storiche vanno poi ricordati Dionisio d'Alicarnasso, che fu anche retore, e Diodoro Siculo nel sec. I a. C.; Appiano e Dione Cassio nel II d. C.; e per la geografia Strabone (sec. I a. C.-sec. I d. C.) e Pausania (sec. II d. C.). Più interessanti per la partecipazione personale, La guerra giudaica e le Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe, un ebreo palestinese coinvolto nello scontro fra i suoi connazionali e i Romani a Gerusalemme nel 70 d. C.; e, per i loro valori intrinseci e per l'enorme fortuna nei secoli seguenti, fino al nostro, gli scritti di Plutarco di Cheronea (ca. 46-ca. 125 d. C.). Nelle Vite parallele, serie di biografie di Greci e di Romani in parallelo, gli avvenimenti cedono al tipo, alla caratterizzazione umana e morale del personaggio. L'opera è significativa del suo tempo proprio per questa minuzia storica collegata con la filosofia e per il senso estetico greco accoppiato al patriottismo romano. Il suo alto senso morale risente dell'epoca, quando lo stoicismo si diffonde a Roma fino a raggiungere il trono. Già tra il sec. II e il I a. C., Panezio e Posidonio Rodio avevano recato la ricchezza delle scienze e del pensiero greci, con eclettismo, fra le classi colte romane. Nel sec. I d. C. fu Epitteto, uno schiavo frigio domiciliato a Roma e poi in Epiro, ad attrarre col suo insegnamento e il suo esempio stoico. Poi lo stesso imperatore Marco Aurelio scrisse in greco i suoi Ricordi, austeri e persino cupi per gli insegnamenti dello stoicismo e ancor più per una profonda personale malinconia. Ma il suo stesso secolo (II d. C.) vedeva ormai piuttosto la risurrezione della sofistica: filosofi-retori acquistavano successi con le loro conferenze vuote e negative ma brillanti; il più celebre è Luciano di Samosata (ca. 120-ca. 180), che incarnò un'età ormai priva di ideali e di fermenti culturali vivi e originali. Alla fine del sec. II fiorì anche un genere poco coltivato nell'antichità: il romanzo, d'avventura e d'amore, che ebbe i suoi autori più rappresentativi in Senofonte Efesio, Longo Sofista, Achille Tazio.
LETTERATURA: RETORICA E SOFISTICA, IL PERIODO BIZANTINO
La retorica e la sofistica occuparono il secolo seguente, quando pur nacque l'ultimagrande scuola filosofica del paganesimo, il neoplatonismo: una ripresa a sfondo fortemente mistico e irrazionale del pensiero di Platone, con tutte le complicazioni ma anche gli ammodernamenti del pensiero orientale e cristiano, che ha avuto il suo maestro nell'egiziano Plotino (205-270). Ancora nel sec. IV, accanto a retori e sofisti come Imerio, Temistio e Libanio, e nella scarsità di altre manifestazioni letterarie, la filosofia neoplatonica ebbe grandi cultori, quali Giamblico, scolaro di Porfirio, e l'imperatore Giuliano (331-363), e più tardi ancora, agli inizi del sec. V, una donna, Ipazia, e Proclo. Per il resto, non continuarono che gli studi retorici, le compilazioni storiche e grammaticali, il romanzo, la poesia epigrammatica. Un'ultima fiammata la letteratura greca ebbe sotto Giustiniano, imperatore a Costantinopoli dal 527 al 565: fu l'età dei poeti Agatia e Paolo Silenziario e delle Storie di Procopio, con cui si apriva ormai il periodo bizantino. Del resto, caratteri suoi particolari di spirito, se non di lingua, e in parecchi casi anche di idee, aveva già avuto negli ultimi secoli la letteratura cristiana in greco, accanto a quella pagana: in greco si erano diffuse le Sacre Scritture, greci erano stati i primi apologisti della nuova religione, quali Giustino e Clemente Alessandrino nel sec. II; poi i grandi teologi quali Origene (sec. III), i polemisti quali Atanasio, gli storici quali Eusebio, e i padri della Chiesa, Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, nei sec. IV e V.
ARTE: GENERALITÀ
L'arte greca, che ha affrontato e risolto, in un'evoluzione dinamica e in una sempre maggiore varietà di forme, i problemi artistici più importanti, quali anzitutto la costruzione organica della figura umana nello spazio e l'equilibrata aderenza tra l'immagine artistica e la realtà, ha influenzato più o meno profondamente quella di tutte le popolazioni con cui venne a contatto (arte etrusca e italica, gallica, iberica, punica, in Occidente; arte scitica del Mar Nero; arte della Battriana e della Commagene, sino all'arte indiana del Gandhara in Oriente) e costituisce il fondamento non solo dell'arte romana (insieme alla quale forma l'“arte classica”) ma anche – in modo più o meno evidente nei diversi periodi storici – di tutta l'arte europea: da ciò la sua importanza eccezionale.
ARTE: IL PERIODO ARCAICO
Le più antiche civiltà della G. sono poco note. Le culture neolitiche tessaliche di Sesklo e di Dimini hanno ceramica dipinta a bande e linee parallele spezzate e ondulate e idoletti steatopigi in pietra e terracotta (Musei di Atene e Volo). Nei villaggi fortificati ma senza particolare assetto urbanistico è già riconoscibile il caratteristico mégaron rettangolare. Nell'Età del Bronzo (III-II millennio a. C.), mentre a Creta fioriva la grande civiltà minoica, nelle isole dell'Egeo si sviluppava la civiltà cicladica e nella G. continentale quella elladica. Il complesso archeologico più noto della civiltà cicladica è quello di Filacopi nell'isola di Milo, con tre cittadelle successive. Caratteristici sono gli idoli di marmo di Paro e di Nasso che riproducono la figura umana in un'originale, stilizzatissima interpretazione (Atene, Museo Archeologico Nazionale). La civiltà elladica è attestata da molti ritrovamenti in Attica, nel Peloponneso (Lerna presso Argo; Asine presso Epidauro) e soprattutto a Orcomeno di Beozia, capitale dei Minii. Minia è chiamata la caratteristica ceramica monocroma imitante prototipi metallici (minio grigio, o anche rosso e giallo) che è stata collegata con l'arrivo, verso il 1900 a. C., di nuove popolazioni di origine anatolica parlanti un dialetto indeuropeo da cui sembra derivare la lingua greca. Il periodo tardo-elladico èquello della civiltà micenea, conosciuto anche dai poemi omerici. Ampiamente diffusa in tutta la G. (Arne nell'isola di Gla in Beozia; Asine presso Epidauro; Midea presso Argo; Pilo nella Messenia; la stessa Acropoli di Atene), ha i suoi monumenti più significativi nei grandi palazzi fortificati di Micene “ricca di oro”, e di Tirinto “murata”, mentre le oreficerie e le altre suppellettili preziose sono raccolte oggi soprattutto nel Museo Archeologico Nazionale di Atene. Dopo il crollo della civiltà micenea, conseguente alla cosiddetta invasione dorica (1200 a. C.), l'arte submicenea è attestata da modesta ceramica e da poche figurine di animali in terracotta o bronzo. Fu solo dopo il 1100 a. C. che nuove forme decorative, esasperatamente rettilinee, sostituirono l'ornato curvilineo miceneo dando origine allo stile protogeometrico, che si considera convenzionalmente la prima manifestazione dell'arte greca, e per arte greca s'intende l'arte prodotta da popolazioni parlanti il greco non solo in G. e nelle isole dell'Egeo, ma anche nelle colonie greche dell'Asia Minore, del Mar Nero, dell'Italia merid. (Magna Grecia) e, dopo Alessandro Magno, in tutti i territori ellenizzati dell'Asia anteriore e del bacino del Mediterraneo. Culla della nuova arte fu l'Attica, dove lo stile si sviluppò con una sempre maggiore armonia tra forma e decorazione. Lo stile geometrico vero e proprio, che raggiunse la sua maggior perfezione nel sec. VIII a. C., introdusse anche la figura umana severamente stilizzata. Poche le statuette di terracotta e le figurine bronzee di guerrieri (Museo di Olimpia) raffiguranti la più antica immagine di Zeus. Alla fine del sec. VIII si ebbe il passaggio dalla ceramica tardogeometrica a quella protoattica, che riservò sempre maggiore spazio alla figura umana, in scene mitologiche derivanti forse da pitture. Sorsero intanto nuove fabbriche a Corinto i cui vasi, protocorinzi e poi corinzi, conquistarono nel sec. VII i mercati non solo della G. ma di tutto il Mediterraneo e furono anche abbondantemente imitati (ceramica etrusco-corinzia). Nello stesso secolo la G. importò oreficerie e oggetti preziosi dall'Oriente e impiegò e assimilò nelle sue decorazioni schemi e motivi orientali come rosette, palmette, fiori di loto, teorie di animali reali o fantastici (ceramica corinzia; ceramica orientalizzante di Rodi e altre isole egee; oreficerie di Rodi). Del sec. VII sono i più antichi esempi di scultura greca dello stile detto dedalico, dal nome del leggendario artista cretese; a Creta se ne hanno importanti esempi nelle rigide e astratte sculture dei templi di Priniás, la cui pianta bipartita ricorda il mégaron miceneo. Dalla metà del sec. VII l'arte della G., concluso il suo periodo di formazione, presentò uno sviluppo razionale e organico in tutte le sue manifestazioni (solo la pittura è quasi tutta perduta).
ARTE: IL PERIODO CLASSICO
Al periodo arcaico (ca. 650-480 a. C.) risale la comparsa del tempio in pietra o in marmo, massima espressione dell'architettura greca. L'Heraion di Olimpia è il prototipo dello stile dorico, che ebbe i suoi migliori esempi nei templi, più grandi e spesso meglio conservati, della Sicilia e della Magna Grecia, i quali presentano spesso forme più libere e originali nell'organizzazione degli spazi interni (la cosiddetta basilica di Paestum). Nell'età arcaica apparvero già quasi tutte le forme di templi, da quello a semplice cella rettangolare preceduta da un pronao colonnato (forma che restò canonica nei thesaurói, cioè nei tempietti votivi dei santuari) a quello periptero, tutto circondato da colonne. Nella G. continentale dominò l'ordine dorico; quello ionico, che compare nelle città dell'Asia Minore prima che in G. (grande Artemision di Efeso, tempio di Apollo Filesio a Didime presso Mileto), è presente nelle isole egee, nell'Heraion di Samo della metà del sec. VI a. C. e anche a Locri e Siracusa. La decorazione templare fu dapprima in terracotta dipinta (metope del tempio di Termo della fine del sec. VII), poi in pietra o marmo, anch'essi dipinti. I frontoni arcaici sono ornati di sculture in un primo tempo a bassorilievo o a mezzo tondo (frontone della Gorgone a Corfù; frontoni arcaici dell'Acropoli di Atene), poi a tutto tondo (frontoni del tempio di Afea a Egina, dell'inizio del sec. V, oggi a Monaco, Antikensammlungen). Il tesoro dei Sifni a Delfi, del 530 a. C. ca., era ornato anche da un fregio figurato. Importanti esempi di scultura architettonica sono in Italia le metope del thesaurós della foce del Sele o del tempio C di Selinunte (Palermo, Museo Archeologico), anteriori al 550 a. C., e, sulle coste asiatiche, le basi figurate delle colonne dell'Artemision di Efeso. Nella scultura arcaica la figura, prima rigida e squadrata perché vista dall'artista secondo piani paralleli, trovò poi punti di visione molteplici e un migliore inserimento nello spazio, passando così dall'astrazione dedalica a una maggiore aderenza alla realtà. Oltre che architettonica la scultura era votiva, funeraria, onoraria (statue di vincitori di gare atletiche; gruppo dei Tirannicidi). Perduta è la grande scultura in bronzo (prima martellato o a fusione piena, ma già dall'inizio del sec. VI a fusione cava), ma restano molti originali in pietra o marmo; numerosissime poi le piccole statuette di divinità o di offerenti, in bronzo, avorio, terracotta, provenienti da diversi santuari greci. Pochi erano i tipi della grande statuaria, tra cui anzitutto quello del koúros (statua maschile nuda, in piedi, con la gamba sinistra avanzata) e della kóre (statua femminile in posizione analoga, vestita di chitone e himátion), tipi documentati dai numerosi esempi trovati nella cosiddetta colmata persiana dell'Acropoli di Atene e oggi al Museo dell'Acropoli (dalla metà del sec. VI a. C. ai primi decenni del V) ma presenti in Attica (Atene, Museo Archeologico Nazionale) e in altre località già alla fine del sec. VII; in essi è soprattutto evidente la progressiva conquista della conoscenza dell'anatomia umana. Si distinguono convenzionalmente lo stile dorico, proprio della G. continentale e del Peloponneso, piuttosto rigido e pesante; lo stile ionico, proprio delle isole egee, più ricercato e decorativo; e, dalla metà del sec. VI, lo stile attico, proprio di Atene, che fonde la severità dorica con l'eleganza ionica. Le sculture di Mileto, tra cui le squadrate statue dei Branchidi (Londra, British Museum) sulla via sacra che portava al Didimeo, costituiscono il più ricco complesso di arte arcaica della Ionia asiatica. La ceramica figurata ebbe nel periodo arcaico una grandissima fioritura, ciò che compensa solo in parte la quasi totale scomparsa della pittura. Oltre alla decorativa ceramica corinzia che terminò alla metà del sec. VI e all'elegante e delicata ceramica figurata laconica dal 600 al 540 a. C. ca., fabbriche di vasi figurati furono attive tra il sec. VII e il VI a. C. in diverse località greche. Il sec. VI fu dominato però dalla ceramica attica, prima a figure nere e poi, dal 530 a. C., a figure rosse. Diversi artisti, noti da opere sparse in tutti i musei del mondo, firmarono i loro vasi (per le figure nere è famoso Exechia; per le figure rosse si ricordano tra i molti Eufronio ed Eutimide). Il passaggio dall'arte arcaica a quella classica si ebbe attraverso lo stile severo, dalle guerre persiane (480 a. C.) alla metà del sec. V: in esso si fusero le precedenti esperienze e, superata l'astratta monumentalità arcaica, si affrontarono i problemi del naturalismo e del movimento. Il tempio di Zeus a Olimpia è, in G., il capolavoro del periodo, soprattutto per le sue metope figurate e le sue sculture frontonali. L'architettura dei numerosi templi della Magna Grecia e delle colonie asiatiche è vicina a quella della madrepatria, anche se non mancano eccezioni (Olympiéion di Agrigento, con le pareti esterne della grande cella sorrette da telamoni). Tra le sculture architettoniche, le metope del tempio E di Selinunte (Palermo, Museo Archeologico) si avvicinano nella loro intensità espressiva all'arte di Olimpia. Note solo da copie sono le opere dei maggiori scultori, come il gruppo dei Tirannicidi di Crizio e Nesiote, l'Afrodite Sosandra del delicato Calamide, il Discobolo di Mirone, in cui si ha un più libero articolarsi delle membra nello spazio. Non mancano però insigni originali di artisti anonimi, come i grandi bronzi dell'Auriga di Delfi (Delfi, Museo) o dello Zeus (o Poseidon) di Capo Artemision (Atene, Museo Archeologico Nazionale) e, tra i marmi, la testa dell'Efebo biondo dell'Acropoli e alcune belle stele attiche. La ceramica attica a figure rosse, nello stile detto per quest'epoca “grandioso”, in cui sono superati i problemi dello scorcio, sembra ispirarsi alle grandi figure eroiche e tragiche di Polignoto.
ARTE: IL PERIODO ELLENISTICO
Il periodo classico dell'arte greca, dalla metà del sec. V alla morte di Alessandro Magno (323 a. C.), ebbe il suo inizio, e anche il suo maggior splendore, nell'età di Pericle, in cui si raggiunse un felicissimo e uniforme equilibrio in tutto il mondo greco (i templi di Agrigento e Siracusa non si discostano dai canoni della madrepatria). L'Acropoli di Atene, nella nuova sistemazione periclea, accolse i monumenti più significativi dell'arte classica, dal Partenone dorico – anche se ingentilito dal lungo fregio continuo – di Ictino, l'architetto più famoso del tempo, ai propilei di Mnesicle (in cui l'ordine dorico si unisce a quello ionico), all'Eretteo di Filocle e al tempietto di Atena Nike di Callicrate, di pieno stile ionico. Tutti i più importanti santuari del mondo greco si arricchirono di templi dorici e quindi anche ionici e corinzi (i tre ordini furono impiegati insieme da Ictino nel tempio di Figalia), di tesori, di monumenti votivi, in un primo tempo ancora non coordinati tra loro, secondo un concetto che fu abbandonato del tutto solo in età ellenistica. Più rapidamente si regolarizzarono le città, che si impostarono su criteri urbanistici basati su assi ortogonali secondo il sistema detto ippodameo dal nome di Ippodamo da Mileto, autore della nuova sistemazione della città del Pireo, che Temistocle aveva congiunto ad Atene con le “lunghe mura” in un unico sistema difensivo. Le opere di fortificazione, in grossi blocchi perfettamente squadrati, difendevano e abbellivano le città (bastioni di Messene, fortezza di Eleutere in Beozia). L'Agorá, centro politico e, in un secondo tempo, soprattutto commerciale, assunse aspetto monumentale con la costruzione di templi, di portici (stoai), di fontane monumentali, di altri monumenti pubblici (presso l'Agorá di Atene, della fine del sec. V, è anche il Theséion dedicato a Efesto, il tempio dorico meglio conservato). L'architettura teatrale ha importanti esempi nel sec. IV nel teatro di Dioniso ad Atene (il primo impianto è ancora del sec. VI a. C.), in quelli di Delfi e Megalopoli e nel teatro di Epidauro, dall'acustica ancor oggi perfetta, creato da Policleto il Giovane insieme alla thólos, edificio circolare corinzio riccamente ornato, che completa la sistemazione di quel santuario, il cui tempio di Asclepio, pure del sec. IV a. C., fu opera di Teodoto. Sale di riunione di nuova forma che danno sempre miglior struttura architettonica agli spazi interni sono, nel sec. V a. C., il Telesterio di Eleusi, opera di Ictino, il Bouleuterion dell'Agorá di Atene e, nel sec. IV a. C., la grande aula colonnata del Thersilion di Megalopoli. Notevole anche l'architettura funeraria, illustrata soprattutto dalle tombe reali di Macedonia, con sale a volta e ricca decorazione, da quelle principesche dell'Asia Minore (mausoleo di Alicarnasso, monumento delle Nereidi di Xanto) e dai vari tipi di monumenti della necropoli di Cirene. Assai più modesta, invece, l'edilizia privata, nota soprattutto dagli scavi di Olinto (distrutta nel 348 a. C.), con case molto regolari caratterizzate da un cortile interno con un portico (pastás) su uno dei lati; in alcuni ambienti sono i più antichi mosaici pavimentali figurati, formati da sassolini policromi. In tutto il mondo greco (tranne in qualche zona periferica) la scultura classica presenta differenze di qualità più che di stile e gli scultori nativi od operanti nelle diverse città si ispirarono all'uno o all'altro dei grandi maestri che, d'altra parte, erano chiamati a operare anche fuori della Grecia. Nella scultura del sec. V a. C. Policleto diede nobiltà ideale ai corpi dei suoi atleti e, nel Doriforo, un nuovo canone di proporzioni della figura umana, concepita come una costruzione architettonica, mentre Fidia impostò nuove concezioni artistiche nella grandiosità di composizione delle scene, nella serena idealizzazione delle sue figure maestose, nell'abilità di trattazione del panneggio, come si riscontra non solo nelle sculture del Partenone (in parte oggi al British Museum di Londra) ma anche nelle opere note solo da copie, come lo Zeus di Olimpia e l'Athena Parthénos. Accanto a lui operarono Agoracrito (autore della Nemesi di Ramnunte), Alcamene (il cui capolavoro è l'Afrodite dei giardini), Crésila (cui si deve un ritratto di Pericle). Alla corrente manieristica postfidiaca appartennero Callimaco, indicato dalle fonti come l'inventore del capitello corinzio, al quale si devono forse i rilievi “dal panneggio bagnato” della balaustra del tempietto di Atena Nike, e Peonio di Mende. Scultori ionici scolpirono nella seconda metà del sec. V a. C. i più antichi sarcofagi di Sidone (Istanbul, Museo Archeologico) e, poco dopo, i rilievi e le statue del monumento delle Nereidi di Xantos (Londra, British Museum). Gli scultori del sec. IV, reagendo all'idealizzazione fidiaca, diedero maggiore importanza all'uomo e ai suoi sentimenti. Famosi furono Prassitele, dolce e raffinato (forse originale è il famoso Ermete del Museo di Olimpia), Scopa, dalle figure colme di páthos, autore delle sculture del tempio di Atena Alea a Tegea, e Lisippo, lo scultore dell'ideale atletico, che fa muovere le sue figure nello spazio in piena tridimensionalità, introducendo l'arte ellenistica. La celebrità di questi artisti è attestata dalle fonti classiche e da numerose copie delle loro opere, che consentono di ricostruirne la personalità. Altri artisti famosi furono Cefisodoto, padre di Prassitele (gruppo di Irene e Pluto), Timoteo (scultore del tempio di Asclepio a Epidauro), Briasside (base votiva di Atene; famosa era la sua statua di Serapide ad Alessandria), Leocare (autore di un gruppo raffigurante Ganimede rapito dall'aquila), Silanione, noto per i suoi ritratti, Eufranore. La conoscenza della scultura dei sec. V e IV è completata da numerose opere anonime, anzitutto dalla serie di stele funerarie attiche (Atene, Museo Archeologico Nazionale). I nomi e le caratteristiche di numerosi pittori del periodo classico sono noti dalle fonti antiche e, indirettamente, dalla ceramografia contemporanea o da pitture e mosaici dietà posteriore. Conquistato lo scorcio già alla fine del sec. VI a. C., si affrontarono nel V i problemi di ombreggiatura (Apollodoro skiagráphos, cioè pittore delle ombre) e di prospettiva (Agatarco “scenografo”). Nomi famosissimi sono quelli di Zeusi e Parrasio, che operarono ad Atene alla fine del sec. V. Nel secolo seguente, in cui sembrarono affermarsi la scuola realistica e la pittura su tavola, il pittore più famoso fu Apelle, che lavorò per Alessandro Magno, mentre altri nomi noti sono quelli di Pausia, Aristide e Nicia. Nel periodo classico la ceramica attica, che dalla metà del sec. VI dominò tutti i mercati del mondo greco, passò dallo stile “grandioso” allo stile “bello” e divenne sempre più manierata nello stile “fiorito” (di cui è caposcuola il Pittore di Midia), decadendo poi fino a estinguersi alla fine del sec. IV. Originali sono, tra il sec. V e il IV a. C., l'ampio gruppo di lékythoi funerarie dipinte a colori tenui su fondo bianco (Atene, Museo Archeologico Nazionale) e, nella seconda metà del sec. IV a. C., i vasi policromi a rilievo detti di Kerc (San Pietroburgo, Ermitage). Dopo il 450 a. C. sorsero nell'Italia merid. fabbriche locali di vasi figurati similissimi a quelli attici a figure rosse (vasi protoitalioti), che nel sec. IV (vasi italioti) assunsero caratteristiche proprie in relazione alle diverse fabbriche (vasi apuli, campani, lucani, pestani, sicilioti). Anche la ceramica italiota cessò, come quella attica, alla fine del sec. IV a. C. Nel periodo ellenistico, in cui l'arte greca si diffuse sempre più estesamente in tutto il bacino del Mediterraneo e nell'Asia ellenizzata, Atene e la G. non furono né il solo né il più importante centro artistico. L'architettura ebbe il suo maggiore sviluppo nelle ricche città dell'Asia ionica, con edifici monumentali coordinati in impianti urbanistici regolari (Priene, articolata su 4 terrazze quasi parallele). Peonio e Dafni ricostruirono in forme grandiose il Didimeo di Mileto, Ermogene quello di Artemide a Magnesia sul Meandro. L'assetto urbanistico delle città divenne sempre più regolare (Agorá di Atene, con nuovi grandiosi portici a più piani, tra cui la Stoà di Attalo II, 159-138 a. C., ricostruita nel 1953-56 dalla Missione Archeologica Americana). Si svilupparono o si inventarono nuovi tipi edilizi, come ginnasi grandiosi (Delfi, Delo, Olimpia, Pergamo), ninfei monumentali, grandi sale per riunioni (bouleutéria) anche di pianta complessa (l'Arsinoéion di Samotracia è una grandiosa sala circolare), scene monumentali nei teatri, biblioteche a nicchie. Predominò l'ordine ionico, codificato dall'architetto Ermogene tra il sec. III e il II a. C. (e la sua teoria influenzò notevolmente Vitruvio e l'architettura romana), e si affermò quello corinzio, il cui esempio più grandioso è il colossale Olympiéion di Atene, la cui costruzione riprese attorno al 170 a. C. e venne poi completata da Adriano. Importante fu anche l'architettura privata: le case, più ricche, si svilupparono attorno al peristilio (Delo) e furono spesso ornate da mosaici. Dopo il 146 a. C., quando la G. diventò una provincia romana, l'attività edilizia diminuì ma l'architettura, basata essenzialmente sulla linea retta e sull'architrave, che la distinguevano dall'architettura curvilinea romana, mutò molto lentamente le sue caratteristiche. Di età romana sono, oltre al monumento di Paolo Emilio a Delfi e all'odeon di Agrippa nell'Agorá di Atene, i monumenti della ricostruzione adrianea di Atene, come la biblioteca di Adriano nell'Agorá romana, il completamento dell'Olympiéion e l'arco di Adriano, che divideva la “città di Adriano” dalla “città di Teseo” e che unisce le caratteristiche della porta ad arco romana a quelledell'architettura lineare greca. Altri monumenti (odeon alle pendici dell'Acropoli, grande stadio) sono dovuti al mecenatismo del filosofo e retore Erode Attico. Importante a Salonicco l'arco di Galerio (fine sec. III a. C.), adorno di bassorilievi. La scultura, che ebbe alcuni tra i suoi centri più importanti nell'Asia Minore e anzitutto a Pergamo, continuò, con numerosi maestri, le tradizioni di Scopa, Prassitele e soprattutto Lisippo. Del primo ellenismo furono Eutichide (Tyche di Antiochia) e Cherestrato (Temi di Ramnunte); al sec. III a. C. appartengono Dedalsa (Afrodite al bagno), Polieucto (Ritratto di Demostene) e Archelao di Priene (rilievo con Apoteosi di Omero); al secondo periodo appartenne Damofonte di Messene, autore del colossale Gruppo di Licosura. Particolare importanza ebbe la scuola rodia (che inizia con Carete di Lindo, autore del Colosso di Rodi). Si svilupparono il ritratto e, soprattutto ad Alessandria, il rilievo paesistico e la scultura di genere. L'ultima fase della scultura ellenistica ebbe nuovamente il suo centro ad Atene col neoclassicismo, che riprodusse, anche con varianti, capolavori classici od opere d'arte arcaica a uso soprattutto della clientela romana (Eubulide, Dionisio, Timarchide), mentre molti artisti greci (Arcesilao, Pasitele) si spostarono a Roma. La pittura ellenistica è documentata dalle fonti, da più tarde riproduzioni in pitture e mosaici di età romana, da pochi documenti originali (stele di Pagasai in Tessaglia, ora al Museo di Volo). A Filosseno di Eretria, della fine del sec. IV a. C., la tradizione attribuisce l'invenzione della pittura “compendiaria”, che si sviluppò poi nella pittura “a macchia” propria di tutta l'età ellenistica e romana. Si predilessero le scene di genere, la pittura di paesaggio, le nature morte. Caposcuola della pittura rodia fu Protogene, “pittore di navi” e ritrattista di Alessandro, che sembra essere stato anche scultore. Proprie dell'età ellenistica furono la ceramica detta megarese, i cui vasi emisferici ornati a rilievi impressi si fabbricavano, oltre che ad Atene e in altre città greche, in tutti i principali centri ellenistici, e la ceramica a fondo nero con motivi ornamentali sovradipinti, detta delle Pendici Occidentali dell'Acropoli, anch'essa ampiamente diffusa. Sono anche da ricordare l'abbondante coroplastica, con eleganti figurine fittili ispirate al mondo di Afrodite (le cosiddette tanagrine, della fine del sec. IV, da Tanagra in Beozia) o con statuette di genere, e le numerose oreficerie (Museo Archeologico Nazionale di Atene, Museo Archeologico di Salonicco). In età imperiale romana le sculture (soprattutto ritratti), i mosaici, i prodotti di arti minori non furono particolarmente significativi né originali, pur conservando una classica purezza di linee che li distinse da altre opere di arte romana.
MUSICA
La musica greca antica può essere considerata un fatto per noi definitivamente perduto, la cui reale portata ci è dato soltanto immaginare dall'importanza conferita all'arte dei suoni dal sistema educativo dell'età classica. Fin dalle prime testimonianze a noi note, i poemi omerici, la musica si rivela strettamente collegata alla poesia: si parla tra l'altro di cantori professionisti, gli aedi, che narravano gesta mitiche ed eroiche accompagnandosi con una sorta di cetra, la phórminx. Si definirono poi diversi generi di canto accompagnato da strumenti con la codificazione dei nómoi, nuclei melodici cui il poeta-musicista poteva rifarsi sviluppandoli. Si distinsero il nómos aulodico (canto e musica prodotta da un aulós) e auletico (destinato al solo strumento), e analogamente citarodico e citaristico.I grandi lirici, come Alceo, Archiloco, Saffo, furono poeti-musicisti; altrettanto si può dire degli autori di lirica corale. Vanno menzionati inoltre Terpandro, che perfezionò la lira portandone le corde da 4 a 7 (sec. VII a. C.) e Sacada, virtuoso di aulós (sec. VI a. C.). La musica aveva grande importanza nelle cerimonie religiose, nei giochi e nella tragedia; quale peso avesse nella formazione del cittadino greco è testimoniato soprattutto da Platone, che teorizzò anche sui riflessi etici del fatto musicale. Già nel sec. IV a. C. tuttavia, a opera di Filosseno e Timoteo, sembra che si apportassero radicali innovazioni al sistema classico. La decadenza cui ci si avviava nell'età ellenistica portò alla separazione dell'unità classica di musicista e poeta e all'affermarsi di professionisti virtuosi. Contemporaneamente si sviluppò la teoria musicale. La musica greca presentava senza dubbio punti di contatto con quella dell'Asia Minore; di origine asiatica furono considerati strumenti a fiato come il già citato aulós e la sýrinx. Altri strumenti erano la sálpinx (tromba), gli strumenti a percussione, come cimbali, sistri e crotali, e le varie forme di lira o citara (phórminx, bárbitos, magádis, péktis, ecc.). La musica era di natura monodica: l'accompagnamento strumentale consentiva però forme di eterofonia (lo strumento eseguiva la stessa melodia della voce improvvisando però abbellimenti e varianti). Ci sono giunti pochissimi frammenti di musica, tutti appartenenti all'età postclassica, a eccezione di un frammento del primo stasimo dell'Oreste di Euripide (pervenuto su un papiro di età romana, per cui la datazione della musica è discussa). Tra gli altri documenti sono due inni delfici ad Apollo (130 e 128 a. C.), l'epitaffio di Sicilo (sec. I d. C.), alcuni frammenti strumentali e due inni a Elio e a Nemesi attribuiti a Mesomede (sec. II d. C.) e nel sec. XVI pubblicati da V. Galilei, la cui musica secondo alcuni studiosi è però una ricostruzione di un dotto bizantino. Molto dubbia è l'autenticità dell'inizio di un'ode pitica di Pindaro pubblicata da A. Kircher nel 1650. La teoria musicale, di cui è impossibile stabilire con certezza la concreta rispondenza alla pratica, ci è tramandata in numerosi testi e ha influenzato largamente la teoria medievale e rinascimentale. Base del sistema era il tetracordo, insieme di quattro note formanti due intervalli di tono e uno di semitono. La diversa posizione dei semitoni caratterizzava le armonie (o modi) dorica, frigia e lidia, che venivano a formare scale composte dall'unione di due tetracordi dello stesso genere. Si è soliti far corrispondere il dorico a una scala diatonica discendente da mi a mi, il frigio da re a re, il lidio da do a do. Asimmetrica è invece l'armonia misolidia (da si a si). Con lo spostamento dei tetracordi si ottenevano le armonie iperdorica, iperlidia e iperfrigia (una quarta sopra) e ipodorica, ipolidia e ipofrigia (una quarta sotto). Si distinguevano inoltre i generi diatonico, cromatico ed enarmonico, per cui, restando immutate le note estreme del tetracordo, variavano gli intervalli all'interno. Dunque un tetracordo dorico nel genere diatonico si configura in senso discendente (mi-re-do-si), cromatico (mi-do diesis, do-si), enarmonico (mi-do seguito dalla divisione del semitono do-si in due parti di tono). La trattatistica ci tramanda due sistemi di notazione alfabetica, uno per la musica vocale e uno per quella strumentale. Dopo le età ellenistica e romana si sviluppò in G. il canto bizantino.
TEATRO
La prima figura di rilievo nelle vicende del teatro greco fu quella, tra storia e leggenda, di Tespi, attore, drammaturgo, regista e impresario venuto ad Atene dall'Icaria nel sec. VI a. C., per tradizione l'inventore della tragedia. Sull'origine di questo genere la discussione è tuttora aperta: l'antecedente immediato era il ditirambo, componimento poetico corale collegato al culto di Dioniso, ma le radici più profonde si collocavano verosimilmente nelle cerimonie magico-religiose legate alla vita dei campi e alla vita degli uomini, nel culto degli eroi e in riti esoterici sotto l'egida dello stesso Dioniso o di Demetra. Tespi unì al coro del ditirambo un vero e proprio intreccio, staccò dal coro un personaggio (hypocrites) che con esso si pose in dialogo, modificò la maschera costruendola non più con cortecce d'albero ma con stucchi e stracci. Nel 535 a. C. Pisistrato stabilì che, in occasione delle annuali Dionisie, alle manifestazioni sportive, religiose e musicali si affiancasse una gara fra tre poeti drammatici, scelti da un apposito funzionario, ognuno dei quali avrebbe dovuto presentare tre tragedie e un dramma satiresco. La città pagava l'autore, il coro e gli attori solisti (due e poi tre, sempre uomini, che potevano interpretare nel corso di un'opera più personaggi), mentre alle altre spese provvedeva un ricco cittadino, il corego. Il poeta aveva anche il compito di scrivere le musiche, istruire il coro e gli attori, ideare la coreografia e assumere, insomma, la responsabilità totale dello spettacolo. Alla fine una giuria stabiliva una graduatoria fra i tre contendenti assegnando i rispettivi premi. Assistevano alla recita almeno 1600 spettatori, in origine ammessi gratuitamente, poi dietro pagamento di una piccola somma. Dal 422 a. C. la competizione tra autori comici avvenne invece durante le Lenee, altra festa in onore di Dioniso. All'origine della commedia, il secondo dei due generi teatrali fondamentali, furono probabilmente riti grotteschi, danze licenziose e beffe di villaggio. La sua prima forma (commedia attica antica) fu strutturalmente assai simile a quella della moderna rivista: una mescolanza di scenette d'attualità, di feroci allusioni personali, di episodi scurrili, cui si aggiunsero, nel caso di Aristofane, brani di straordinario lirismo. Soltanto verso la fine del sec. IV a. C. (commedia attica nuova) il genere assunse carattere di vicenda coerente, con personaggi standardizzati. Commedie e tragedie erano presentate nei teatri, la cui forma – passata da un semplice spiazzo in terra battuta a un insieme di strutture lignee e quindi di pietra – si conosce soltanto nell'ultima conclusiva versione attraverso rovine monumentali non anteriori al sec. IV a. C., collocate ai piedi di una collina, incavata in modo da accogliere le gradinate per il pubblico, e comprendenti anche un'orchestra destinata al coro e ai danzatori e una skené, specie di baracca di legno che in origine serviva agli attori soltanto per cambiarsi e che divenne poi un elemento scenografico (sebbene non vi fosse una vera e propria scenografia ma si facesse uso di macchine per effetti speciali). L'attore tragico, per rendersi meglio visibile agli spettatori, spesso seduti a distanza di alcune decine di metri, portava una grossa maschera, modellata a grandi linee secondo i tratti che si confacevano al carattere del personaggio rappresentato, e i coturni, cioè scarpe dalla suola molto spessa, che lo rendevano non solo più visibile, ma anche fisicamente più imponente, come si conveniva al dio o all'eroe che era chiamato a impersonare. Indossava inoltre elaborati e pesanti costumi, che intralciavano la sua mobilità, tanto che probabilmente comunicazione ed espressione erano affidate soprattutto al gesto e alla voce, quest'ultima in una sorta di nenia monodica accompagnata dalla musica. All'attore protagonista erano concessi vari privilegi: poteva vincere un premio speciale in occasione dei vari concorsi, era esente dal servizio militare ed era autorizzato a partecipare ad agoni drammatici anche in altre città (un successo ad Atene gli assicurava prestigio e onori). Diverso era l'aspetto dell'attore comico: la sua maschera era grottesca, il suo costume caratterizzato dalla presenza di un enorme fallo, residuo forse di remoti riti dionisiaci, la sua recitazione ricca di gesti scurrili e di trovate esteriori. Quando poi le condizioni di Atene mutarono e alla libertà della commedia attica antica si sostituirono le commedie di Menandro e degli altri autori “nuovi”, cambiò anche, ma non si sa come, lo stile di recitazione, mentre il carattere realistico dei testi impose scene più costruite e un diverso rapporto fisico tra attore e pubblico. L'epoca d'oro del teatro greco era però finita: l'età ellenistica vide soltanto una grande diffusione di edifici teatrali sul modello ellenico in vari centri del Vicino e del Medio Oriente, riprese e sistemazioni, anche filologiche, dei capolavori del sec. V e spettacoli nei quali contavano soprattutto l'attore e la scenografia. Nacque in compenso il mimo. Poi la G. divenne provincia degli imperi romano, bizantino e ottomano.
DANZA
Le prime manifestazioni della danza ellenica, che ebbe uno sviluppo eccezionale ed esercitò sempre enorme influenza sulla danza classica e libera, risalgono alla fine del II millennio a. C. e la loro evoluzione si compì con l'acquisizione di elementi egizi, ebraici (figurazioni acrobatiche e pantomimiche) e cino-indiani (espressività religiosa e moralità cinese), elaborati e ricreati con amore da un popolo per il quale ideale supremo fu l'equilibrio armonico del corpo e dello spirito – la euritmia –, raggiunto con la perfetta unità lirica di danza, musica e poesia (gli stessi Eschilo, Sofocle e Aristofane furono musici, poeti, coreografi e anche danzatori). Considerata di origine divina e comprensiva di manifestazioni eterogenee come parate militari, processioni ed esercizi ginnici, la danza greca si divideva in orchestica e palestrica. Per comodità di studio si accoglie anche in questa sede la suddivisione operata da Nietzsche in danze apollinee e danze dionisiache: severe, etiche e rituali le prime, orgiastiche e scomposte le seconde. Alle danze apollinee – di origine cretese o dorica – appartengono la grave emméleia, danza della tragedia, che conobbe grande fortuna con Frinico ed Eschilo; la danza ciclica del géranos (farandola della gru o danza degli Ateniesi a Delo); il gioioso peana, danza magica apotropaica cantata ed eseguita da tutto il coro; e la vivace iporchematica, tendente al dionisiaco. Nello stesso gruppo un posto a sé occupano le danze didattiche (gimnopediche), prima fra tutte la pirrica o danza rossa (pyrríchios), ideata secondo Platone dalla dea Atena ed eccelsa tra le danze guerriere, tutte poste alla base dell'arte militare e comprendenti, fra l'altro, anche la thermastrís, danza dai movimenti convulsivi, e la xiphismós, danza con la spada. Alle danze dionisiache, di origine tracica e ionio-asiatica, violente e satiresche, appartengono l'acrobatico óklasma, di origine persiana, la vivace e volgare danza della commedia kórdax (cordace) e la scurrile sikinnis (sicinnide), propria del dramma satiresco. Anche fuori dell'ambito teatrale si svilupparono numerosissime danze: private (prevalentemente conviviali) e popolari (tra cui la danza del torchio o del palmento, sulla vendemmia, e la hórmos o danza della collana). Le figurazioni della danza ellenica – che secondo la tecnica esecutiva può esseresuddivisa in processionale, mimetica, cinetica e acrobatica – sono giunte fino a noi attraverso innumerevoli testimonianze archeologiche (soprattutto della pittura vascolare), letterarie (Plutarco, Luciano, Senofonte, Polluce), metriche e musicali, ma il tentativo di riprodurre su queste basi un'antica danza è di somma difficoltà. In questo senso va ricordata l'opera di Dora Stratou, creatrice del Teatro della danza greca ad Atene, attiva dal 1953 come regista di spettacoli di danza popolare comprendenti danze greche antichissime come le cretesi pentozali e sousta e la chaniotiko, ma anche danze moderne come la tráta, derivata dall'emméleia.
STORIA, DOMINAZIONE ROMANA E DECADENZA
Come già nell'ambito dell'Impero Romano, la G. rimase subalterna anche dopo la costituzione dell'Impero Romano d'Oriente (395), come Provincia di Acaia. L'invasione dei Goti di Alarico (396) fu un duro colpo: la decadenza economica e la flessione demografica in atto furono seguite (dopo che Giustiniano fece chiudere le Scuole di Atene nel 529) anche dalla decadenza culturale, mentre nuove invasioni barbariche di Unni e Slavi si susseguirono fra il sec. VI e l'VIII. Con la riforma generale dell'amministrazione (sec. VII), la Provincia di Acaia fu divisa in due “temi”: l'Ellade (Attica, Beozia, Focide, Locride, parte della Tessaglia, Eubea ed Egina), con capitale Tebe, e il Peloponneso, con capitale Corinto. La Tessaglia sett. e l'Etolo-Acarnania furono invece assegnate al tema dell'Epiro, e Tessalonica al tema omonimo. All'atto della crisi iconoclastica la G. si schierò con gli iconoduli (727): la rivolta fu soffocata nel sangue e la Chiesa greca (fino ad allora dipendente da Roma) fu posta sotto la giurisdizione di Costantinopoli. Intanto gli Arabi premevano a sud (823: caduta di Creta) e i sec. XI-XII videro i Normanni passare all'offensiva (1147: saccheggio di Atene, Corinto e Tebe). Con la prima caduta di Costantinopoli (1204) la G. fu smembrata fra i vari conquistatori crociati: Bonifacio di Monferrato, re di Tessalonica, conquistò parte dell'Ellade (1204-05), i Veneziani occuparono le isole, i Franchi si spartirono il Peloponneso. Al frazionamento in decine di staterelli si aggiunsero, nei sec. XIII e XIV, le ondate migratorie di Valacchi e Albanesi. Della debolezza delle signorie franche approfittarono i Bizantini per riconquistare il Peloponneso, che fra il sec. XIV e XV (costituito in despotato con capitale Mistrà) conobbe un periodo di grande splendore culturale e artistico. La caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453) aprì la via alla conquista della G. che (a parte le isole) fu completata dagli Ottomani nel 1460. Con il 1453, dunque, comincia il periodo detto della turcocrazia, che per gran parte della G. durò fino al 1821 e oltre (alla turcocrazia sfuggirono solo le is. Ionie). I primi due secoli di tale periodo – nonostante i conquistatori avessero generalmente rispettato i beni di comunità e città che si fossero sottomesse spontaneamente – rappresentarono un periodo di stasi e di involuzione economica per la G., che ricadde nell'economia curtense. Il commercio rifiorì verso la metà del sec. XVII: nelle isole (Idra, Spetse, Psará, Mýkonos, Kásos) si costruirono flotte, mentre Salonicco, il Pelio, il Peloponneso divennero centri di scambi internazionali. Il commercio marittimo ebbe impulso ancora maggiore nel sec. XVIII, prima con l'apertura del Mar Nero (1738), poi col blocco della flotta francese durante la Rivoluzione. Con lo sviluppo dei commerci si affermò anche una nuova classe borghese, i cuiinteressi si differenziavano da quelli dell'aristocrazia tradizionale (fanarioti, kotsambàsides) e la cui cultura – anche per influsso delle idee europee assorbite nelle fiorenti “comunità” insediate all'estero – era più decisamente orientata verso idee progressiste. Con lo sviluppo dei commerci, tuttavia, crebbe anche lo sfruttamento dei ceti subalterni, oppressi – in fase di accumulazione capitalistica – da tasse, decime e corvées da parte di Turchi, kotsambàsides e alto clero: si moltiplicarono così i clefti, tanto che i Turchi rilanciarono l'istituto dell'armatoliki (concessione di un territorio e di amnistie ai clefti più potenti, in cambio del controllo degli altri “banditi”). Si creò così un clima favorevole all'accoglimento delle idee in gestazione allora in Europa, nell'ambito dei vari risorgimenti nazionali: l'insofferenza delle popolazioni si manifestò qua e là con insurrezioni, generalmente soffocate nel sangue (rivolta della Morea nel 1769-70), mentre i nuovi intellettuali elaboravano l'ideologia che doveva dar vita all'esplosione del 1821 (si vedano soprattutto Rígas Feréos, ma anche A. Koraís e poi i fondatori della Filikí Etería). In proposito va ricordata anche l'attività obiettivamente progressista di !Ali Tepedelenli, che intuì il mutare dei tempi e, nei territori da lui governati, promosse riforme per favorire lo sviluppo commerciale, entrando così in urto con le aristocrazie tradizionali.
STORIA: L'INSURREZIONE DEL 1821 E LE GUERRE BALCANICHE
Con l'insurrezione del 1821 comincia la storia della G. moderna: il Battaglione Sacro, al comando di A. Ipsilanti, diede il segnale della rivolta a Iassi, in Moldavia, sull'onda dei moti europei. Subito la rivolta dilagò in G.: già nel settembre cadde Tripoli e nel 1822 si riunì a Epidauro la I Assemblea Nazionale, che emanò la prima Costituzione. Dopo gli iniziali successi cominciarono però le discordie fra i dirigenti politici (per lo più fanarioti) e i capi militari: la riscossa dell'Impero turco, a cui era venuto in aiuto il viceré d'Egitto Ibrahim, favorì la riconciliazione, ma contemporaneamente attirò l'ingerenza della Gran Bretagna, che nel 1824 aveva prestato 8 milioni di sterline agli insorti. Il 1825-26 vide una serie di sconfitte dei Greci (caduta di Missolungi, assedio di Atene); ma dopo la caduta di Atene (1827) la rivoluzione divampò con rinnovato vigore e la battaglia di Navarino decise le sorti della lotta. Fu nominato capo del governo G. A. Capodistria, e col Protocollo di Londra (1828) la Francia fu incaricata di sgombrare il Peloponneso dai Turchi, mentre la capitale fu fissata a Nauplia. L'indipendenza della G. fu sancita dalla Pace di Adrianopoli (1829) fra la Russia e la Turchia: il confine del nuovo Stato venne fissato dal Golfo Ambracico al Golfo Pagasitico (Volo). Con la Conferenza di Londra del 1832 alla G. fu imposta la monarchia, insieme con la “tutela” dell'indipendenza. L'autoritarismo di Capodistria e le ingerenze straniere portarono alla secessione di Idra, alla rivolta di Mani e infine all'assassinio dello stesso governatore, fatti ai quali seguì una guerra civile. Nel gennaio 1833 sbarcò infine a Nauplia il re designato, Ottone di Baviera, con la sua corte e un contingente di truppe. Straniero nel Paese che doveva governare, il giovane re inaugurò una politica autoritaria, che eludeva le reali necessità del popolo, circondandosi di fanarioti e reprimendo gli ex combattenti: anche la scelta della lingua “pura” (katharéyusa) come lingua ufficiale del nuovo Stato fu un sintomo dell'indirizzo antipopolare della sua politica. Risultato di ciò fu, nel 1843, la ribellione della guarnigione di Atene, che costrinse il re a firmare la Costituzione. Con lo scoppio della guerra di Crimea (1854) la politicairresponsabile del re diede i primi frutti: la Tessaglia insorse, Inglesi e Francesi occuparono Il Pireo per impedire l'intervento della G. e il Paese dovette assistere impotente a una sanguinosa repressione. Con una rivolta (1862) Ottone venne deposto e sostituito da un governo provvisorio che convocò un'Assemblea Nazionale. Nel 1863 venne nuovamente introdotta la monarchia, con Giorgio di Gluecksburg, principe danese gradito alla regina Vittoria: si consolidava così lo stato d'interferenza della Gran Bretagna negli affari interni greci, destinato a durare fin dopo la II guerra mondiale. Negli anni seguenti la G. continuò a essere tormentata dai problemi delle zone irredente (1866: rivolta di Creta; 1875: mobilitazione per la Tessaglia in seguito alla guerra russo-turca) e dalla piaga del brigantaggio. Col Congresso di Berlino (1878) la G. ottenne la Tessaglia e l'Epiro che occupò solo in parte (1881) per l'opposizione della Turchia (mentre la Gran Bretagna ebbe Cipro), ma dovette poi subire l'umiliazione del blocco e del disarmo, imposti dalle grandi potenze per impedire una guerra contro la Turchia (1885). In conseguenza di tali ingerenze straniere e del fallimento di un prestito statale, nel 1893 il governo greco dichiarò bancarotta: alla caduta di Ch. Trikupis, rappresentante la borghesia liberale, nel 1895 andò al potere Th. Dilighiannis (espressione degli “irredentisti”), che mandò una flotta a Creta insorta con i Turchi (1897). Seguì una guerra a cui la G. non era in grado di far fronte e che finì disastrosamente, con ritocchi ai confini, risarcimento alla Turchia e obbligo per la G. di accettare il controllo economico delle potenze. La situazione interna ne risentì gravemente e si ebbe anche un attentato (fallito) contro il re. Per Creta le potenze decisero di inviare come governatore il principe greco Giorgio. Tornato al potere il partito di Trikupis, il governo fu di nuovo abbattuto (1901) in seguito ai moti provocati dalla traduzione del Vangelo in lingua popolare. Il primo decennio del sec. XX fu un periodo di instabilità governativa, caratterizzato da fermenti nazionalistici e irredentistici (infiltrazione in Macedonia di corpi di volontari). A Creta, intanto, Eleftherios Venizèlos capeggiava una rivoluzione (1905) che portava al ritiro del principe Giorgio e alla nomina di A. Zaìmis a governatore. Le alterne vicende politiche greche videro moti popolari e pronunciamenti militari (rivolta di Gudì, 1909), finché fu chiamato a formare il governo (1910) E. Venizèlos, che fondò il Partito liberale e impostò una serie di riforme, a cominciare dalla Costituzione (1911); realizzò inoltre la riorganizzazione delle strutture statali e della Difesa, introdusse l'istruzione elementare obbligatoria e stabilì l'inamovibilità dei funzionari. In politica estera profondi mutamenti nei rapporti con gli Stati balcanici portarono a una nuova guerra contro la Turchia (I guerra balcanica, 1912), conclusasi vittoriosamente con l'annessione di Creta e delle isole dell'Egeo (tranne il Dodecaneso, occupato dall'Italia nel 1912), dell'Epiro e della Macedonia nord-occid. fino a Salonicco. Turchia, G. e Serbia sconfissero poi anche l'ex alleata Bulgaria (II guerra balcanica): con il Trattato di Bucarest (1913) la G. ottenne anche la Macedonia orientale.
STORIA: LA I GUERRA MONDIALE
L'anno seguente scoppiò la I guerra mondiale. A Giorgio I era intanto succeduto (1913) il figlio Costantino: filogermanico (era cognato del Kaiser), questi si scontrò con Venizèlos che propugnava l'entrata in guerra della G. contro gli Imperi Centrali. Il governo Venizèlos si dimise, ma, quando Turchi e Bulgari invasero la Macedonia orient. (1916), a Salonicco scoppiò unarivolta militare, sostenuta dalle forze dell'Intesa: si costituì un governo provvisorio (la cui presidenza fu assunta dallo stesso Venizèlos), che dichiarò guerra agli Imperi Centrali. Il 18 novembre 1916 ingenti forze dell'Intesa occuparono Il Pireo e, dopo alterne vicende, re Costantino e l'erede al trono Giorgio lasciarono la G. (19 maggio 1917), mentre saliva al trono il secondogenito Alessandro. Poco dopo Venizèlos, lasciata Salonicco, diventava primo ministro del nuovo governo che, nonostante l'impegno bellico, promuoveva immediatamente una riforma scolastica, nel quadro dell'opera intrapresa dai liberali nel 1911. Dopo la sconfitta degli Imperi Centrali, la G. sbarcò un contingente a Smirne: con il Trattato di Sèvres (1920) ottenne la Tracia orient. (fino a 30 km da Istanbul) e il protettorato di Smirne. Dopo la firma del trattato (che la Turchia non ratificò) Venizèlos fu però fatto segno di un attentato e nelle elezioni del novembre fu battuto. Intanto, morto Alessandro, un referendum popolare aveva decretato il ritorno di Costantino che non fu però accettato dagli ex alleati; la Francia ruppe ogni legame con la G., favorendo la Turchia nella campagna di Asia Minore, che si concluse con un rovescio dell'esercito greco (1922). Alla sconfitta seguì una rivolta militare, che fra l'altro ottenne l'abdicazione di Costantino in favore del figlio Giorgio. La Pace di Losanna (1923), che prevedeva l'evacuazione della Tracia a W dell'Ebro da parte dell'esercito turco e lo scambio delle popolazioni, provocò in G. un vero sconvolgimento economico. Il Paese (ca. 6 milioni di ab.) si trovò infatti a dover sistemare 1 milione e mezzo di profughi. Seguì un altro periodo travagliato, caratterizzato da una controrivoluzione militare (ottobre 1923) capeggiata da I. Metaxàs (che fallì e portò all'abdicazione di Giorgio II, accusato di averla favorita), dalla proclamazione della Repubblica (25 marzo 1924) e dal ritorno di Venizèlos, richiamato da imponenti manifestazioni di piazza. Il 25 giugno 1925, però, il generale Pàngalos instaurò con un colpo di Stato una dittatura militare, che fu a sua volta rovesciata da un colpo di Stato del generale Kondilis (22 agosto 1926). Questi indisse nuove elezioni e cedette il potere a un governo di coalizione. Le elezioni del 1928 diedero la maggioranza assoluta al Partito liberale, di nuovo capeggiato da Venizèlos, che governò fino al 1932, in un periodo reso difficile dal crollo di Wall Street e dalla crisi economica che seguì in tutto il mondo occidentale. Le elezioni del 1933 riportarono al potere i monarchici che si diedero a epurare gli elementi venizelisti. Seguì un periodo di instabilità, caratterizzato fra l'altro da un secondo attentato a Venizèlos, a opera di elementi legati al governo. Nel 1935 un tentativo di colpo di Stato organizzato dal generale repubblicano N. Plastiras fu sventato da Kondilis che riportò Giorgio II in Grecia. Dopo le elezioni del 1936 che diedero un risultato incerto (143 seggi ai monarchici, 142 ai repubblicani, 15 ai comunisti), la morte quasi contemporanea di Kondilis, Venizèlos e Tsaldaris offrì il destro al re di affidare il governo a Metaxàs, che il 4 agosto 1936, col pretesto di uno sciopero generale, proclamò la dittatura. La Costituzione fu abolita, il Parlamento venne sciolto, i partiti proibiti, i sindacati ridotti all'impotenza: confini e prigioni si riempirono di oppositori del regime, mentre la stampa veniva imbavagliata e si intraprendeva l'organizzazione della gioventù sul modello nazifascista.
STORIA: LA II GUERRA MONDIALE
Le contraddizioni del regime esplosero allo scoppio della II guerra mondiale: la G. tentò dapprima di mantenersi neutrale, in equilibrio fra i sentimenti filonazistidi Metaxàs e i legami del re con la Gran Bretagna. Gli indugi di una situazione grottesca, caratterizzata dalle provocazioni dell'Italia e dalle ingerenze della Germania, vennero rotti il 28 ottobre 1940 dal pesante ultimatum dell'Italia che imponeva l'occupazione di alcune basi. Scoppiò così la guerra sul fronte albanese, sostenuta da un tale slancio popolare e da una tale spontanea mobilitazione che, nonostante l'inadeguatezza degli armamenti, le difficoltà degli approvvigionamenti e il disfattismo dello Stato Maggiore, l'esercito greco non solo contenne l'avanzata italiana, ma la rintuzzò e spostò il fronte ben oltre la frontiera, fino a Corizza. Gli aiuti ottenuti dalla Gran Bretagna dal re, che alla morte di Metaxàs aveva praticamente assunto il governo, furono insufficienti. I rovesci dell'esercito italiano, d'altro canto, avevano spinto Hitler a intervenire e il 9 aprile 1941 le truppe tedesche, nonostante la strenua resistenza dei difensori, entrarono a Salonicco. Oltre che dalla schiacciante superiorità numerica e tecnica, l'avanzata tedesca fu favorita dal clima che regnava fra i quadri superiori dell'esercito: il 17 aprile due generali al fronte intimarono al governo di chiedere la resa, nominando il generale Tsolàkoglu capo di Stato Maggiore in luogo di A. Papàgos. La resa venne firmata e il re con la corte abbandonò la G. trasferendosi prima a Creta e poi in Africa. Il 28 aprile le truppe tedesche entrarono in Atene: la G. fu divisa in tre zone d'occupazione (tedesca, italiana e bulgara) e il 20 maggio incominciò anche l'attacco a Creta, difesa da poche forze inglesi e greche sostenute dalla popolazione. Con la caduta della G. e di Creta cominciò anche la resistenza spontanea: molti prigionieri politici evasero ed entrarono nella clandestinità (gli altri furono consegnati ai nazisti). Gli occupanti favorirono la costituzione di un governo fantoccio, presieduto da Tsolàkoglu, incaricato di “mantenere l'ordine pubblico”.
STORIA: LA RESISTENZA E LA GUERRA CIVILE
Il Paese precipitò in una gravissima carestia e subito si formarono le prime organizzazioni di resistenza (E.A.M. – che organizzò un proprio esercito, l'E.L.A.S. –, E.D.E.S., E.K.K.A.). Si fa convenzionalmente cominciare la resistenza armata dal 25 novembre 1942, quando guastatori inglesi, protetti da partigiani greci, sabotarono il viadotto di Gorgopòtamos. La resistenza in G., dalla fine del 1942, si estese a macchia d'olio: intere zone del Paese vennero liberate. Il governo fantoccio organizzò i Battaglioni di Sicurezza, tristemente noti per la loro spietata caccia ai patrioti (coadiuvati in ciò dalle bande “X” di G. Grivas). Nel 1943 (anno di vittorie della resistenza e di terribili rappresaglie) il prestigio dell'E.A.M. divenne tale che alla fine di luglio si costituì il Quartier Generale dei Partigiani (3 seggi all'E.L.A.S., 1 all'E.D.E.S., 1 all'E.K.K.A., 1 alla Missione Militare Britannica). Dopo il ritiro degli Italiani dalla guerra (8 settembre 1943), si crearono le condizioni per un vero governo provvisorio, il Governo della Montagna (o P.E.E.A.), costituitosi il 10 marzo 1944 e presieduto dal socialista A. Svolos. Si intensificarono le trattative col governo in esilio, presieduto da G. Papandréu, e, nonostante i contrasti sulla questione istituzionale (problema della monarchia), si concordò la formazione di un governo di unità nazionale, con la partecipazione dell'E.A.M. Gli accordi anglo-sovietici del maggio 1944 sulle “zone d'influenza” davano intanto mano libera alla Gran Bretagna in Grecia. Il 18 ottobre il governo di unità nazionale presieduto da Papandréu sbarcava ad Atene e le tensioni e i contrasti si acuirono: già nel novembre i rappresentanti dell'E.A.M.si dimisero, per protesta contro la politica ispirata dagli Inglesi il cui primo obiettivo sembrava essere il disarmo dell'E.L.A.S. Gli scontri tra polizia e dimostranti si moltiplicarono finché, dopo un mese di scontri tra E.L.A.S e truppe realiste e britanniche ad Atene, si giunse all'Accordo di Vàrkiza (febbraio 1945) che prevedeva tra l'altro la creazione di condizioni minime per convocare le elezioni, l'organizzazione di un referendum che decidesse le sorti della monarchia e il disarmo totale dell'E.L.A.S. Tensioni e scontri cominciarono quasi subito, le elezioni del 31 marzo si svolsero senza la partecipazione dell'E.A.M. che ne aveva chiesto il rinvio (Gran Bretagna e U.S.A. si erano opposte): la vittoria della concentrazione monarchica fu perciò facile e scontata; l'anticipazione del referendum e la sua trasformazione in un plebiscito pro e contro la persona del re riportarono in G. Giorgio II. Moltissimi ex partigiani si diedero alla macchia e si giunse così alla guerra civile. Punto “caldo” in un clima “di guerra fredda”, la G., in base alla dottrina di Truman, passò dall'influenza inglese a quella americana. La guerra civile, che costò al Paese più di mezzo milione di morti, si concluse alla fine del 1949.
STORIA: INSTABILITÀ POLITICA E CRISI ECONOMICA
La G. usciva dal periodo bellico distrutta e dissanguata e più che mai soggetta al controllo esterno. L'instabilità politica continuò fino al 1954, con governi alterni di S. Venizèlos, N. Plastiras (sotto il quale fu emanata, nel 1952, la nuova Costituzione, e la G. aderì alla N.A.T.O.) e A. Papàgos. Alla morte di quest'ultimo, re Paolo (succeduto al fratello nel 1947) nominò primo ministro K. Karamanlís, gradito agli U.S.A. Questi fondò l'Unione Nazionale Radiale (E.R.E.), un nuovo partito con il quale rimase al governo (con metodi non sempre limpidi) per tre legislature. In quegli anni (1954-63) la G. fu travagliata dal problema di Cipro, in rivolta contro gli Inglesi, e dal problema economico: l'associazione al M.E.C. (1962) non portò tutti i vantaggi sperati. La situazione interna vide la riorganizzazione delle sinistre nell'E.D.A. (in cui erano confluiti i membri del Partito comunista ufficialmente fuori legge) e di una coalizione di centro che riuniva gli appartenenti al Partito liberale guidati da S. Venizèlos e G. Papandréu. L'assassinio del deputato della sinistra G. Lambrákis (1963), per cui si dimostrò la responsabilità di settori dell'esercito e della polizia, e la ferma reazione popolare costarono a Karamanlìs il governo e l'esilio a Parigi. Nuove elezioni diedero la maggioranza all'Unione di Centro, gradita anche agli U.S.A., il maggior alleato della G., che dopo un iniziale favore nei confronti dell'E.R.E., temeva ora che l'eccessivo autoritarismo di Karamanlís esasperasse l'alternativa tra destra e sinistra. G. Papandréu formò un primo governo cui seguì il successo travolgente alle elezioni del 1964 (53% dei voti). Ma d'improvviso il 15 luglio 1965 re Costantino (succeduto al padre nel marzo 1964) tolse la fiducia al governo Papandréu, aprendo così la crisi più pericolosa di tutta la storia greca. Durante il periodo di instabilità governativa che ne seguì, i gruppi oltranzisti intensificarono una trama di provocazioni per alimentare la strategia della tensione, approfittando del fermento popolare. Alla vigilia delle elezioni (che promettevano una maggioranza schiacciante all'Unione di Centro), una giunta di colonnelli impose alla G. una dittatura militare (21 aprile 1967). Dopo un iniziale atteggiamento attendista, il giovane re tentò (dicembre 1967) un “controcolpo” che, fallito, portò alla fuga della famiglia reale (che si stabilì a Roma) e a una massiccia epurazione delle Forze Armate. Al generale E. Zoitakís succedeva nella reggenza (1972) il primo ministro, ministro degli Esteri, della Difesa, della Presidenza, nonché capo della giunta, G. Papadópulos, che riceveva dagli U.S.A. aiuti economici e militari. Nel 1973, a un tentativo di colpo di Stato monarchico della marina Papadópulos rispose con la proclamazione della repubblica (1s giugno) di cui egli stesso divenne presidente. Intanto si andava deteriorando la situazione economica del Paese e cresceva il malcontento in tutti gli strati sociali. Quando, scoppiata la guerra del Kippur, Papadópulos vietò agli Americani l'uso delle basi aeree greche per aiutare Israele, anche l'appoggio degli U.S.A. venne meno e un putsch militare spodestò il colonnello-presidente (25 novembre). Salì al potere il generale F. Ghizikis, cui si affiancò il capo della polizia D. Ioannidis. Ma neppure il “regime dei generali” si dimostrò in grado di risolvere la situazione del Paese.
STORIA: DALLA RESTAURAZIONE DELLA VITA DEMOCRATICA A OGGI
Nel luglio 1974 la G., a causa del golpe filoellenico di Cipro, si trovò sull'orlo della guerra con la Turchia: in tale circostanza Ghizikis decise di richiamare in patria l'esule Karamanlís e di affidargli le redini del governo. Fu questo l'avvio di una progressiva restaurazione della vita democratica parlamentare: nel novembre furono indette elezioni che dettero la maggioranza a Karamanlís e al suo partito, Nuova Democrazia, mentre nel dicembre un referendum confermò l'abolizione della monarchia e nel giugno 1975 fu promulgata la nuova Costituzione repubblicana. Dalle elezioni del novembre 1977 emerse vincitore ancora Karamanlís, eletto poi presidente nel maggio 1980. Egli impresse un nuovo indirizzo alla politica estera volto a evitare l'isolamento internazionale della G. e a risolvere diplomaticamente i contenziosi con la Turchia: di qui il reinserimento della G. nella struttura militare della N.A.T.O. (1980), dalla quale era uscita nel 1974 durante la crisi di Cipro, e l'entrata nella C.E.E. (1981). Dopo le elezioni dell'ottobre 1981 divenne primo ministro A. Papandréu, leader del Movimento socialista panellenico (P.A.S.O.K.). Nel marzo 1985 C. Sartzetakis fu eletto alla presidenza della Repubblica, mentre usciva di scena il vecchio Karamanlís. Nel mese di giugno le elezioni politiche furono vinte ancora una volta dal P.A.S.O.K.; tuttavia l'opposizione di destra (Nuova Democrazia) registrò un grosso balzo in avanti che segnalava la perdita di carisma di Papandréu. Sottoposto a tensioni già per il piano economico intrapreso (blocco di prezzi e salari e tagli di bilancio, congiuntamente alla limitazione del diritto di sciopero), verso la fine del 1988 tale governo entrò in crisi a seguito dello scandalo che vedeva coinvolto il suo presidente, accusato di corruzione nelle vicende riguardanti la Banca di Creta. Introdotta la modifica del sistema elettorale (da maggioritario in proporzionale), nelle consultazioni del giugno 1989 il P.A.S.O.K. subì una netta sconfitta, cedendo la maggioranza relativa a Nuova Democrazia. Data l'impossibilità di costituire una formazione governativa ideologicamente omogenea, quest'ultima e il Partito comunista diedero vita a una coalizione anomala, a termine, guidata da T. Tsannetakis, con il compito di indagare sullo scandalo: deliberatosi il rinvio a giudizio di Papandréu, le elezioni tenutesi (luglio 1989) sotto la presidenza ad interim di Y. Grivas, precedute da una recrudescenza del terrorismo, confermarono i rapporti di forza creatisi in giugno. Ciò consentì la realizzazione di un governo di coalizione e quindi uno “di affari”, composti di soli tecnici e presieduti da X. Zolotas, ex governatore della Banca di Grecia, in attesa di un maggiore chiarimento politico. La vittoria di Nuova Democrazia (aprile 1990) portò alla guida dell'esecutivo C. Mitsotakis e il mese successivo Karamanlís fu nuovamente eletto capo dello Stato. La maggioranza conservatrice, però, si sfaldò ben presto e nel settembre 1993 il Parlamento fu sciolto. Le successive elezioni sanzionarono il ritorno al potere di A. Papandréu. In omaggio al diffuso sentimento nazionalista il leader socialista inasprì i rapporti con la Macedonia e con la stessa Albania nonostante ciò determinasse le rimostranze dell'Unione Europea. Ma le elezioni europee del 1994 (giugno) fecero registrare la flessione di Nuova Democrazia e del P.A.S.O.K., che rimase comunque il partito di maggioranza relativa, mentre ebbero una buona affermazione il Pola, i comunisti e l'Alleanza di sinistra. Nel 1995, dopo l’elezione di Kostas Stephanopoulos a capo dello Stato, un “terremoto politico” investì il P.A.S.O.K. nello stesso momento in cui, alla fine di novembre, le gravi condizioni di salute di Papandreu privarono i socialisti di un punto di riferimento. Nel giugno 1996, dopo le dimissioni di Papandreu (che morì nello stesso mese), i membri del P.A.S.O.K. elessero capo del Governo Costas Simitis, ex ministro socialista dell'Industria. La conferma definitiva della sua leadership nel partito e nel Paese gli veniva dalla vittoria alle elezioni politiche svoltesi il 22 settembre 1996. Europeista convinto, Simitis si impegnava particolarmente nel risanamento dell'economia greca con l'obiettivo di portare il Paese nell'Europa del Duemila e nel frattempo accelerava il vasto progetto di modernizzazione della capitale. Nonostante questi sforzi, all’inizio del 1999 la G. non riusciva a entrare nell’U.E.M. con il primo gruppo di Paesi; per ottenere l’ammissione all’area dell’euro nel 2001 o nel 2002, Simidis, oltre a svalutare del 14% la moneta, programmava numerose misure di austerità economica. Per quanto riguarda la politica estera, la G. scelse di confermare la sua linea antimusulmana assumendo una posizione di totale chiusura nei confronti della Turchia. Buoni rapporti invece intercorsero con la Russia, con la quale venne siglato (settembre 1995) un accordo per la costruzione di un oleodotto dal porto bulgaro di Burgos alle coste greche di Alexandroupolis. Migliorarono anche le relazioni diplomatiche con la Macedonia.
LETTERATURA E TEATRO: LETTERATURA NEOGRECA E BIZANTINA, I CANTI POPOLARI
Gli inizi di una letteratura neogreca con caratteristiche distinte da quella bizantina, cioè una lingua e una forma proprie, sono rintracciabili sin dal sec. X, anche se fino al 1453 e oltre si può riscontrare ancora la convivenza di entrambe. La letteratura neogreca nasce e si sviluppa durante l'Impero bizantino e si concretizza inizialmente in un poderoso corpo di canti, per lo più tramandati oralmente. Si tratta di canti popolari che traggono origine dall'esperienza quotidiana e che sono intimamente legati alla cultura della G. antica di cui sono diretti discendenti. Questi canti si dividono in tre cicli diversi. Il primo comprende quelli il cui tema di base riguarda la vita in genere: canti nuziali, ninnananne, canti di festa (chelidonìsmata) e d'amore, mirologi, canti dell'esilio, del lavoro, ecc. Il secondo ciclo è composto dalle Paralogès, brevi composizioni di tipo romanzesco ed epico, la cui antichissima provenienza è testimoniata dal ritrovamento di analoghi miti e canzoni nelle culture di altri popoli indoeuropei. Una delle più famose è il Canto del fratello morto che, con la sua diffusione in tutta la penisola balcanica, ha reso celebre il tema antichissimo del ritorno dall'Ade di un defunto per ottemperare a un giuramento. Infine il terzo ciclo, cui appartengono canti con un marcato carattere storico, tra cui il nutrito e importante gruppo dei canti acritici. Il ciclo acritico è formato da composizioni in versi che descrivono la vita militare ai confini dell'Impero. Da questo ciclo, successivamente, un ignoto e dotto letterato, forse monaco, ha tratto spunto per un intero poema, il Dighenìs Akrítas. L'opera, che ha radici storiche ormai accertate, costituisce la maggiore espressione della letteratura neogreca di età bizantina e ha esercitato una grande influenza sulle successive creazioni popolari ispirate specialmente all'episodio della morte dell'eroe. Allo stesso periodo appartengono altre opere di carattere molto diverso, come le Poesie Prodromiche, sei composizioni satireggianti in lingua popolare attribuite a più di un letterato della corte dei Comneni (sec. XII), tra i quali il più conosciuto è Teodoro Prodromo che, attraverso la narrazione delle sue tribolazioni, ricostruisce un quadro della vita cittadina nell'Impero bizantino. Notevoli sono alcuni poemi parenetico-didascalici: lo Spaneas, direttamente influenzato da uno scritto isocrateo; i Versi Grammatici di M. Glikàs; lo Ptocholeon. L'impulso religioso del tempo è presente in buona parte della produzione letteraria dell'epoca, con una serie di testi di argomento anche satirico e parodistico (Filosofia del beone, Cerimonia dell'imberbe, Leggenda dell'asino onorato). É bene inoltre ricordare il genere letterario della cronografia, diffuso anche tra il pubblico meno colto (Battaglia di Varna, Cronaca dei Tocco), e, infine, quello naturalistico (Porikologos, Psarologos, Prosaica narrazione dei quadrupedi, Pulologos, molto simile al precedente, Fisiologos, prototipo di questo tipo di componimenti).
LETTERATURA E TEATRO: LE INFLUENZE LETTERARIE DELL'OCCIDENTE
Nel sec. XIII la G. si apre alle influenze letterarie dell'Occidente, incorporando motivi, forme metriche e temi soprattutto dalla Francia e dall'Italia. Rappresentativi di questo periodo (1204-1453) sono la Cronaca di Morea, di interesse prettamente storico e linguistico, che narra l'occupazione del Peloponneso da parte dei Franchi e che rispecchia gli ideali della vita cavalleresca importati dalla Francia; l'Achilleide, romanzo mitologico-cavalleresco la cui struttura segue da vicino quella del Dighenìs; un gruppo di romanzi in versi politici (Imberio e Margarona, Florio e Plaziaflora, Callimaco e Crisorroe, Beltandro e Crisanza, Libistro e Rodamne), tutti datati fra i sec. XIV e XV, di influenza prettamente occidentale ma fortemente impregnati di un'atmosfera ellenica, con numerosi elementi della cultura e della tradizione orientale. Dal punto di vista linguistico, essi rappresentano il risultato dell'incontro tra elementi popolari e dotti.
LETTERATURA E TEATRO: CIPRO RODI E CRETA E LA CRISI DELLA CULTURA CONTINENTALE
Con la caduta di Costantinopoli (1453) si apre uno dei periodi più bui della letteratura neogreca, durante il quale si ha una flessione della produzione letteraria nella G. continentale. La cultura rimane appannaggio di quei pochi intellettuali rimasti in patria, come G. Etolo, C. Lùkaris, M. Kastorianòs, V. Stavrinòs, ecc. La produzione letteraria è costituita essenzialmente da opere di argomento teologico o filosofico, cronografie in lingua demotica (cioè popolare) e lamenti sulla caduta di Costantinopoli. La maggior parte dei dotti, invece, si sparge per l'Europa, alla ricerca di uno spazio culturale più consono alle proprie esigenze, diffondendo ovunque opere antiche e moderne che forniscono materiale di enorme importanza a movimenti culturali come Umanesimo e Rinascimento. L'esodo si verifica soprattutto verso Venezia, che da sempre aveva stretti legami con l'Eptaneso e Creta, ma anche verso altre città d'Italia. Si formano consistenti comunità greche, si fondano scuole (la Cottoniana e la Flanghiniana a Padova e Venezia; il Collegio Greco a Roma) e si aprono tipografie, come quella di Manuzio a Venezia, che stampano esclusivamente testi greci. Gli intellettuali che gravitano intorno a queste comunità sono numerosi; ne citiamo solo alcuni: G. Trapezunzio (1396-1486), M. Margunio (1549-1602), N. Sofianòs (XVI sec.), L. Allacci (1586-1669), M. Kariofillis (1565-1635), Th. Koridalleos (1574-1646), i fratelli Làskaris. Nei sec. XVI e XVII, mentre nella G. continentale la cultura langue e l'attività letteraria è destinata soprattutto alla conservazione e alla riproduzione in mani ecclesiastiche, sulle isole fiorisce una letteratura viva e popolare in lingua demotica. Per la loro strategica posizione, le isole dell'Egeo erano il ponte tra Est e Ovest, punto d'incontro tra la rozza cultura asiatica e l'umanesimo occidentale. La fusione tra le due culture avviene sia nei contenuti, con l'adozione di temi tipicamente italiani e francesi, sia nella forma, con l'uso ormai non più episodico della rima e del metro occidentali. Gli esempi più rappresentativi di questa fioritura sono riscontrabili a Cipro, Rodi e Creta. A Cipro dominano i nomi di L. Machieràs e G. Bustròn con le loro cronache degli avvenimenti dell'isola lungo tutto il sec. XV. Ricordiamo inoltre la Canzone di Arodafnusa e una traduzione del Canzoniere di Petrarca, opera di un ignoto cultore delle lettere italiane. A Rodi spicca il nome di E. Georgilla, autore di La peste di Rodi e Interpretazione storica di Belisario. Ma è a Creta che si possono riscontrare le opere migliori di questo periodo. Tra i nomi più importanti ricordiamo quello di L. Della Porta e di S. Sachlikis, entrambi noti per alcune opere di carattere morale; Bergadìs, M. Faliero, I. Pikatoros e M. Defaranas, per le opere accomunate dal ricorso al tema del sogno; E. Sklavos, A. Achelis e M. Zane Bunialìs, per le opere di argomento storico. Inoltre vi è un nutrito gruppo di componimenti che appartengono al cosiddetto teatro cretese, alcuni dei quali sono di V. Kornaros e G. Chortatzis, i due maggiori poeti di Creta. Vanno perciò ricordate alcune tragedie (Re Rodolino, Zenone, Erofile, Evjena), alcune commedie (Panoria, Stathis, Katsurbos, Fortunatos), un dramma religioso (Il sacrificio di Abramo) e infine due opere di carattere epico-lirico, la Bella pastora e l'Erotòcrito, maggiormente rappresentative della letteratura cretese poiché racchiudono tutti gli aspetti presenti nelle opere sopra citate: influsso italiano, metrica occidentale, forte atmosfera ellenica. Con la caduta di Creta nelle mani dei Turchi (1669) tutte queste opere vengono portate nelle isole dell'Eptaneso, dove una certa attività letteraria continua anche se in maniera limitata.
LETTERATURA E TEATRO: IL SECOLO DEI FANARIOTI (1669-1774)
Dal 1669 al 1774 si ha il cosiddetto secolo dei fanarioti. In questo periodo la cultura greca si trova ancora in una situazione di stasi, anche se i primi segnali di rinnovamento sono evidenti, p. es., attraverso la moltiplicazione delle scuole. L'attività letteraria si sviluppa per lo più nelle comunità greche all'estero (Venezia, Trieste, Roma) e in particolare tra i fanarioti dei principati danubiani. Un esempio di questa tendenza è la silloge poetica Fiori di pietà (1704), composta dagli studenti della Scuola Flanghiniana di Venezia, tra i quali spicca la figura di E. Miniatis (1669-1714): è un'opera di squisita qualità artistica, pur se molto influenzata dal barocco italiano. Ma la produzione poetica in generale è piuttosto scarsa: tutto il secolo è antipoetico, e prevale l'impulso verso la conoscenza e non verso l'arte in sé. É il secolo dell'illuminismo e la sete di conoscenza porta alla diffusione di opere soprattutto scientifiche. Fa eccezione la personalità di K. Daponte (1714-1784), unica voce poetica del periodo con lunghe composizioni didattiche e moraleggianti (Lo specchio delle donne, Il giardino delle Grazie). Per il resto circolano libelli, traduzioni, opere scientifiche ed ecclesiastiche spesso in lingua arcaicizzante (katharéyusa). Ma gli ideali dell'illuminismo pongono sul tappeto il problema dell'uso di una lingua comprensibile a tutti. In questa direzione si muove E. Vùlgaris (1716-1806), intellettuale libertario, responsabile della diffusione di Voltaire in G. e pieno di fiducia, come molti suoi connazionali, nella politica di Caterina di Russia per la liberazione della sua patria. Il problema della lingua era particolarmente sentito tra gli intellettuali greci, sia per l'enorme differenza ormai creatasi tra la lingua comunemente parlata e quella utilizzata negli ambienti colti, sia perché intimamente legato al problema dell'identità nazionale e quindi a quello dell'occupazione straniera. L'uso di una lingua comune avrebbe favorito la nascita di una letteratura veramente nazionale e la formazione di una coscienza, accelerando così il processo di liberazione. Questo pensavano gli intellettuali più illuminati del periodo, come I. Misiòdakas (ca. 1730-1800), noto per aver dato dignità ad una disciplina relativamente nuova, la pedagogia, D. Katartzìs (ca. 1730-1807), intellettuale progressista, col quale si può cominciare a parlare di storia della lingua. L'illuminismo attecchisce a tal punto tra gli intellettuali, che crea una vera e propria moda che influenza anche la formula stessa del libro. Prodotto di questa tendenza è l'Anonimo del 1789, un libello in forma narrativa, imbevuto dello spirito e del pensiero di Voltaire. Inoltre si ha una forte spinta nell'attività letteraria con numerose traduzioni di opere straniere, con la pubblicazione di nuovi vocabolari e con la nascita di una nuova concezione della storiografia. Lo storico G. Zaviras (1744-1804) è un esempio di questo filone della cultura greca di fine secolo. Spicca la figura di Rígas Feréos (1757-1798) che con la sua instancabile attività letteraria e politica in senso nazionalista e progressista ha contribuito enormemente alla creazione di un movimento di liberazione; di Rígas si ricorda anche il famoso Inno in lingua demotica, che rimane fondamentale nella storia e nella letteratura neogreche. L'attività letteraria della seconda metà del sec. XVIII si muove ancora esclusivamente in ambiente fanariota; la poesia si ispira prevalentemente al neoclassicismo con conseguenze dirette anche per la lingua. I maggiori esponenti di questa generazione sono D. Fotinòs (1777-1821), ricordato anche per alcune opere storiche e per una parafrasi in versi dell'Erotòcrito; M. Perdikaris (1766-1828), autore di una satira della società del tempo, rivolta sia contro la nobiltà e il clero, sia contro i progressisti; G. Sakellarios (1765-1838), personaggio particolare a metà tra il preromantico e il neoclassico, noto per aver introdotto Shakespeare in G. e per un carteggio in versi con Perdikaris. Un posto a sé meritano due figure del periodo per la loro posizione progressista nei riguardi del problema della lingua e per la qualità della loro produzione poetica; si tratta di A. Christópulos (1772-1847) e di I. Vilaràs (1771-1823). Il primo è considerato il maggiore poeta della generazione ed è ricordato fra l'altro per l'uso di un demotico molto elegante, del tutto estraneo alla tradizione dei canti popolari. Il secondo è noto per un'opera di carattere linguistico, la Romèiki Glossa, e per il legame strettissimo con le autentiche espressioni della cultura popolare. Ma la figura più grande sia per il lavoro da lui svolto in campo filologico, sia per l'infaticabile attività di propaganda politica ispirata al nazionalismo, rimane indubbiamente quella di A. Koraìs (1748-1833), convinto della necessità di liberare la G. dall'occupazione turca attraverso la rivalutazione e lo studio sistematico dell'eredità classica, considerata fonte di luce per il rafforzamento della coscienza nazionale. Intellettuale dalla poderosa erudizione, influenzato dall'illuminismo, Koraìs è portato dalla sua cultura classica alla ricerca di una via di mezzo, dell'equilibrio e dell'armonia in tutte le cose, anche nella questione linguistica, in merito alla quale egli assume una posizione progressista, proponendo però soluzioni spesso fraintese e scambiate per conservatrici. Oltre a numerosi seguaci e ammiratori, tra cui K. Kumas (1777-1836), Th. Farmakidis (1784-1860), A. Psalidas (1764-1829), le opinioni di Koraìs sulla lingua gli procurano molti oppositori, tra cui A. Parios (ca. 1725-1813), P. Kodrikàs (1762-1827), N. Dukas (ca. 1760-1845).
LETTERATURA E TEATRO: LA 'SCUOLA EPTANESIACA' E IL RITORNO DELLA POESIA
Alla fine del Settecento, dopo la Rivoluzione francese, anche in G. si ha una svolta verso la conservazione; le opere di Voltaire vengono messe al bando e si apre una frattura tra la Chiesa greca, conservatrice da sempre, e i fanarioti, affascinati invece dagli ideali dell'illuminismo. Il ritorno della poesia sulla scena letteraria avviene all'inizio dell!Ottocento con la cosiddetta “Scuola eptanesiaca”. L'Eptaneso, rimasto sotto Venezia fino al 1797, era stato occupato dai Francesi e successivamente dagli Inglesi. Aveva sempre mantenuto un ambiente culturale più indipendente, maggiormente rivolto verso la cultura europea, ma anche più legato alle tradizioni popolari del Paese. Già alla fine del Settecento si levavano da qui alcune autentiche voci popolari, che preludevano a una successiva maturazione della poesia eptanesiaca: Th. Danelakis (1775-1828), N. Kutuzias (1746-1813), A. Martelaos (1754-1819), autore di versi ardentemente ispirati all'amore per la patria. Tra i maggiori rappresentanti della scuola eptanesiaca ricordiamo A. Kálvos (1792-1869), che esprime il suo sentimento patriottico in odi dallo stile classicheggiante, in lingua demotica frammista a forme e vocaboli antichi. Le sue poesie risentono dell'influsso foscoliano ma non raggiungono una grande diffusione tra i contemporanei. Kálvos, infatti, è stato riscoperto molto più tardi e finalmente rivalutato da un saggio di K. Palamas. Con D. Solomós (1798-1857), padre della moderna poesia neogreca e cantore della rivoluzione greca, la poesia eptanesiaca si tinge di colori romantici e acquista piena dignità artistica e letteraria in una nuova sintesi degli elementi della tradizione popolare. Il nome di Solomós è legato all'Inno della libertà, divenuto poi inno nazionale, e a Liberi Assediati, un poema patriottico ispirato dall'assedio di Missolungi. Tutte le altre opere sono rimaste incompiute e talvolta addirittura solo abbozzate, per via della sua parossistica tendenza all'autocritica e alla riflessione, causata forse in parte dalla non completa dimestichezza con la lingua madre (aveva vissuto molti anni in Italia). Le sue poesie traggono in buona parte spunto dall'Epopea cleftica, un gruppo di canti che celebrano le gesta dei clefti, protagonisti della guerra di liberazione. Dopo il 1821 molti, letterati e non, sentono il bisogno di scrivere le memorie per comunicare le impressioni suscitate in loro da quell'indimenticabile periodo. Tra gli autori più rappresentativi ricordiamo P. Skuzès (ca. 1773-1863), A. Gèrontas (1785-1862) e N. Vamvas (1776-1855) per le cronache della rivoluzione; I. Makrijannis (1797-1862), che è tra i migliori scrittori di memorie dell'epoca, Fotakos (1798-1879) dallo stile semplice e non affettato, Th. Kolokotronis (1770-1843), eroe della rivoluzione che ne scrive in collaborazione con G. Tertsetis; e infine K. Paparrigòpulos (1815-1891) che viene ricordato per una voluminosa opera che ripercorre la storia della G. dall'antichità fino ai suoi giorni.
LETTERATURA E TEATRO: IL ROMANTICISMO
Il romanticismo in G. è generalmente fissato tra il 1830 e il 1880 e si sviluppa sulla scia di quello francese, soprattutto in ambiente fanariota. I temi utilizzati sono piuttosto comuni a tutti i poeti della prima e della seconda generazione: amore, patria, libertà, natura. I fanarioti della prima generazione, eredi e rappresentanti della tradizione bizantina, scrivono le loro opere in lingua arcaicizzante, rafforzando così una tendenza riscontrabile anche successivamente nella cosiddetta scuola ateniese. Alla prima generazione appartengono I. R. Nerulòs (1778-1850), noto per un'opera teatrale che satireggia la lingua di Koraìs; I. R. Rangavís (1779-1855), autore di opere teatrali di stile neoclassico e di liriche ispirate al romanticismo; suo figlio, A. R. Rangavís (1809-1892), dinamico uomo politico ed eclettico scrittore anche in demotico; A. Sutsos (1803-1863), famoso per le satire politiche; suo fratello P. Sutsos (1806-1868), poeta lirico ed elegiaco; I. Tantalidis (1818-1876), rappresentante della cultura fanariota a Costantinopoli e autore di poesie in volgare. Dopo la rivoluzione, l'attività letteraria si sposta ad Atene; le comunità greche all'estero perdono importanza, mentre le altre province del Paese soffrono della mancanza di scuole. Ad Atene, infatti, si concentra l'attività della seconda generazione romantica (scuola ateniese), di cui fanno parte Th. Orfanidis (1817-1886), poeta e critico, autore di poesie epico-liriche e satiriche; D. Valavanis (1824-1854), di cui rimangono poche opere dal tono elegiaco, anche in demotico; I. Karasutsas (1822-1873), autore di poesie di argomento idillico; D. Paparrigòpulos (1843-1873), poeta, filosofo e storico dai toni enfatici e dai temi commoventi e tendenti al pessimismo; S. Vasiliadis (1845-1874), che usa uno stile elegante per temi classici e scrive prose e critiche su argomenti sociali e spirituali; D. Vernardakis (1833-1907), filologo, storico e grande drammaturgo dell'epoca; A. Vlachos (1838-1920), noto per le sue traduzioni di opere teatrali straniere e per l'impulso dato al teatro con la sua attività di direttore del Teatro Reale di Atene; e infine A. Paraschos (1838-1895), considerato il poeta romantico per eccellenza, famosissimo e molto amato dai suoi contemporanei. Mentre la cultura si concentra ad Atene e le altre province languono, l'Eptaneso sforna poeti di grandi qualità sia grazie all'università, la famosa Accademia Ionia, sia grazie all'eredità di Solomós. Questi poeti riprendono tematiche e forme artistiche proposte dal maestro; così fanno A. Màtesis (1794-1875) e I. Tipaldos (1814-1883), considerato il più tipico continuatore dello spirito di Solomós. Un particolare di rilievo è l'assenza quasi totale della prosa tra questi cantori imbevuti di spiritualità e idealismo: la loro produzione è solo poetica. Essi inoltre sfuggono alla generale tendenza all'uso della lingua arcaicizzante. Tra questi ricordiamo ancora I. Polilàs (1825-1896), esponente principale della critica neoellenica con i suoi Prolegomeni alle opere di Solomós, oltre che ottimo traduttore di Shakespeare e Omero; e G. Kalosguros (1849-1902), anch'egli critico e traduttore oltre che poeta di buona qualità. Ad alcuni poeti eptanesiaci va il merito di aver portato ad Atene elementi della tradizione poetica dell'Eptaneso, rivitalizzando una scuola letteraria altrimenti destinata a finire. Tra questi emergono G. Tertsetis (1800-1874), G. Markoràs (1826-1911), A. Valaoritis (1824-1879), che si distacca dalla tradizione eptanesiaca per accostarsi a quella cleftica, e A. Laskaratos (1811-1901), con versi di satira sociale, contro il clero e i costumi del tempo. Nello stesso periodo riprende vigore anche la prosa e, sull'onda della diffusione del romanzo in Europa, anche in G. si rafforza l'interesse per questo genere letterario, considerato dagli intellettuali un mezzo adatto all'espressione della coscienza nazionale; si traducono romanzi da altre lingue e si utilizza ancora una volta la katharéyusa. I maggiori esponenti di questo filone sono S. Xenos (1821-1894), ricordato per aver introdotto il romanzo storico in G.; P. Kalligàs (1814-1896), autore del primo romanzo sociale, caratterizzato da una certa attenzione per la psicologia dei personaggi e per i costumi dell'epoca; D. Vikelas (1835-1909); E. Roidis (1814-1896), grande critico letterario e autore di un famoso romanzo in lingua arcaicizzante, La Papessa Giovanna, che fece molto scalpore e fu condannato dalla Chiesa. La diffusione dei concorsi poetici all'interno delle università favorì lo sviluppo della critica letteraria e una nuova spinta all'uso del demotico. Tra i critici dell'epoca sono da menzionare, oltre a Roidis, K. Asopios (1785-1872) e S. Kumanudis (1818-1899). I concorsi universitari incentivavano anche la produzione poetica, contribuendo alla diffusione del genere tra il vasto pubblico. Alcune opere nate in questo contesto meritano di essere ricordate: La voce del mio cuore, di D. G. Kambùroglos (1852-1942), silloge lirica in demotico dai toni familiari e antiromantici; Vipere e tortorelle, di I. Papadiamantòpulos (1856-1910), annuncio di una poesia ormai rinnovata, sulle cui orme si incamminarono i poeti della generazione successiva. Quest'ultima rappresenta un enorme passo avanti nella letteratura neogreca, una nuova alba della poesia di ispirazione popolare imperniata sull'uso, ormai definitivamente accettato, della lingua demotica.
LETTERATURA E TEATRO: LA GENERAZIONE DEL 1880
La produzione poetica dell'ultimo ventennio del sec. XIX è caratterizzata da un abbassamento dei toni, non più altisonanti, e dalle tematiche non più patriottiche ma ispirate alle gioie quotidiane, alla casa, alla semplicità. Proliferano i periodici letterari, che ospitano sulle loro pagine le giovani leve della poesia, come N. Kambàs (1857-1931), soddisfacendo così le esigenze spirituali sia del pubblico sia degli artisti. E infine l'attenzione si canalizza verso le nuove correnti poetiche provenienti dall'estero come il parnassianesimo, seguito, p. es., da G. Drosinis (1859-1951), e nuovi studi come l'etografia, incentivata da N. Politis (1852-1921), fanno la loro comparsa. Questa è anche l'epoca in cui la questione linguistica torna d'attualità e la battaglia in favore del demotico viene portata avanti da illustri esponenti della cultura come I. Psicharis (1854-1929), il quale individua nel problema linguistico un problema sociale: lingua e patria si identificano, perciò la vittoria del demotico non può che portare al riscatto dell'ellenismo. Bisogna dire comunque che di fronte alla gravità del problema molti letterati rimangono incerti e una diglossia è in parte ancora riscontrabile. Tale è il caso di G. Viziinòs (1849-1896), che ha introdotto il racconto psicologico; A. Provelenghios (1850-1936); I. Polèmis (1862-1924), poeta dai toni sentimentali e malinconici, K. Kristallis (1868-1894), fortemente influenzato da Valaoritis e dalla tradizione dei canti popolari, A. Pallis (1851-1935), famoso per una curiosa traduzione di Omero che modernizza l'antico poema epico, A. Eftaliotis (1849-1923) che, dopo aver cominciato a scrivere in katharéyusa, si orienta sulle posizioni di Psicharis. Anche la prosa attraversa un periodo di rinnovamento, grazie alla maggiore indipendenza dal romanticismo ateniese, e si arricchisce delle scoperte dell'etografia e delle moderne correnti letterarie del realismo e del naturalismo. I maggiori rappresentanti di questa generazione di prosatori sono A. Moraitidis (1850-1929), M. Mitsakis (1868-1916), con novelle in demotico, e A. Papadiamandis (1851-1911) che, pur collocandosi nell'ambito della tradizione popolare e religiosa, si serve unicamente della katharéyusa per i suoi numerosissimi racconti. Ma senza dubbio la figura di maggior rilievo della “generazione del 1880” è quella di K. Palamas (1859-1943) che, per profondità di ispirazione e fedeltà al magistero dell'arte, è unanimemente considerato un pilastro della letteratura della G. moderna. Le sue poesie sono ricche di echi della tradizione popolare e non sfuggono alle influenze del parnassianesimo e del simbolismo. Il suo ideale di poesia è costituito da un'unità che racchiuda tutti i principali elementi della tradizione culturale dell'ellenismo, dall'antichità fino alla scuola eptanesiaca. Con lui la battaglia per la lingua si conclude con l'indiscusso trionfo del demotico come lingua nazionale con il chiaro riconoscimento da parte delle nuove generazioni. Sulla stessa linea si muovono altri che, pur conseguendo risultati artistici di notevole livello, non hanno la statura del grande poeta. Si tratta di K. Chatzòpulos (1868-1920), il più importante rappresentante del simbolismo greco ed editore del famoso periodico di avanguardia Techni; L. Porfìras (1879-1932), nostalgico e malinconico, dai toni crespuscolari; I. N. Griparis (1872-1942), che fonde elementi della tradizione fanariota con le nuove correnti del simbolismo e del parnassianesimo; M. Malakasis (1869-1943) dai toni elegiaci e dallo spiccato senso del ritmo e della melodia del verso; Z. Papantonìu (1877-1940), critico e autore di libri per l'infanzia; infine gli ultimi rappresentanti della scuola eptanesiaca, G. Markoràs (1826-1911) e L. Mavilis (1860-1912). La prosa di questo periodo è caratterizzata da uno spiccato interesse sociale; la diffusione delle teorie socialiste introduce in G. i romanzi dei grandi scrittori sovietici, ai quali molti letterati greci si rifanno. Sono da menzionare: I. Kondilakis (1861-1920) che, influenzato dal naturalismo di Zola, scrive novelle ispirate alla vita popolare di Creta; A. Karkavitsas (1865-1922), autore di efficaci bozzetti realistici sulla vita di pescatori e diseredati e la loro difficile lotta per la sopravvivenza; G. Vlachojannis (1868-1945); K. Theotokis (1872-1923) che, con grande finezza psicologica e un certo qual verismo verghiano, analizza la vita agreste sottolineandone gli aspetti più gretti e meschini; G. Xenopulos (1867-1951), creatore del romanzo sociale e fondatore, insieme a K. Christomanos (1867-1911), del teatro moderno; D. Vutiras (1871-1958); e, infine, D. Kokkinos (1884-1967), che ha contribuito in maniera determinante alla creazione del romanzo borghese. Dopo l'esempio di Palamas e dopo la vittoria della lingua demotica, le nuove generazioni poetiche trovano un terreno quanto mai fertile e in un certo senso anche una tradizione artistica più o meno consolidata. Inoltre possono giovarsi delle esperienze culturali maturate all'esterno in questo periodo di fervida attività letteraria, tentando tra l'altro di introdurre elementi dotti nella tradizione ellenica. Sono molti i personaggi di grande levatura artistica la cui fama ha oltrepassato i confini. Si pensi, p. es., a N. Kazantzakis (1883-1957) o a A. Sikelianòs (1884-1951) che, nel desiderio di creare una sintesi tra correnti poetiche francesi ed elementi dotti della tradizione nazionale, si fa interprete dell'“idea delfica”, tesa a ridare alla città di Delfi il ruolo di centro di cultura internazionale. Ricordiamo poi K. Vàrnalis (1884-1974), K. Uranis (1890-1953), Mirtiotissa (1885-1968), poetessa dall'ispirazione marcatamente sentimentale, e F. Filiras (1889-1942). Personalità del tutto singolare è quella di K. Kavafis (1863-1933), poeta non degnamente apprezzato dal pubblico se non dopo la morte. Uno dei grandi del Novecento, le sue liriche epigrammatiche dal tono narrativo traggono ispirazione dalla storia antica o da eventi autobiografici; caratteristica anche la lingua usata, un demotico misto a vocaboli dialettali costantinopolitani ed espressioni classicheggianti, il tutto plasmato in maniera neutra e antiretorica.
LETTERATURA E TEATRO: IL 'TEATRO CRETESE' E LA DRAMMATURGIA NEOGRECA
La prima opera teatrale greca dopo la caduta dell'Impero bizantino (si pensa sia stata rappresentata la prima volta a Mantova nel 1478), è una commedia di D. Moschos, La Neaira, scritta in prosa e a imitazione delle commedie antiche, che sicuramente costituisce un esempio a sé stante e non può essere considerata iniziatrice di una nuova tradizione della letteratura teatrale. Il vero punto di inizio della drammaturgia neogreca si deve individuare nel cosiddetto “teatro cretese” che nel corso di due secoli, il XVI e il XVII, ispirandosi non poco al teatro italiano, dà una svolta verso la modernizzazione del dramma e il definitivo riscatto dall'antichità. L'opera che cronologicamente dà inizio a questa scuola è Il sacrificio di Abramo, datata intorno al 1600, un mistero in 2 atti di 1154 decapentasillabi rimati. Segue la tragedia Erofile di G. Chortatsis, pubblicata postuma nel 1637, considerata, accanto al Sacrificio, l'opera più importante del teatro cretese. É una tragedia truculenta che ricalca molto da vicino le Orbecche di G. B. Giraldi. Un'altra tragedia, di difficile datazione, di cui si conserva un'unica copia a stampa datata 1647, è Il re Rodolino, un sapiente rimaneggiamento del Torrismondo di T. Tasso per mano dell'autore G. A. Troilo. La terza tragedia cretese, Zenone, è un rifacimento in versi politici di un dramma latino del gesuita inglese G. Simon. Ma il teatro cretese non produsse solo tragedie; tra le opere a noi pervenute troviamo anche il Ghiparis, un dramma pastorale, attribuito allo stesso autore delle Erofile, e tre commedie: Katzurbos, scritta dal Chortatsis tra il 1595 e il 1601, lo Stathis, di cui ci è giunta un'unica redazione abbreviata, e il Fortunatos, sicuramente posteriore alle altre due, che è stata composta dal veneto-cretese M. A. Foscolo. Accanto a queste opere è giusto citare l'Evjena, una tragedia di T. Montselese, scritta nel dialetto letterario di Creta ma con elementi della parlata locale dell'isola di Zante, che è ritenuta il luogo di origine della composizione, ipotesi rafforzata anche dal nome dell'autore. Con l'avvento della dominazione turca a Creta tutte le manifestazioni intellettuali attraversano un periodo di stasi. Le is. Ionie, unica regione libera dal giogo ottomano perché sotto la giurisdizione veneziana, mantengono forti legami culturali con l'Italia, legami che fanno sentire il loro influsso anche in campo teatrale. Sappiamo che nell'Eptaneso, durante il sec. XVI, sono numerose le rappresentazioni di tragedie antiche o di commedie plautine, ma anche di opere scritte in italiano, lingua abbastanza diffusa tra i notabili delle Sette Isole, oltre che rappresentazioni di atti unici in greco detti Omilies.
LETTERATURA E TEATRO: TEATRO E PATRIOTTISMO TRA SETTE E OTTOCENTO
Per avere delle vere e proprie opere teatrali autoctone dobbiamo aspettare due secoli. Infatti è solo nel Settecento che alcuni autori iniziano a scrivere di teatro. Purtroppo però a noi è giunto, oltre alle due mediocri tragedie del cefalonita P. Katsaitis, l'Ifigenia (1720) e il Tieste (1721), solo il testo di un'opera, il Chasis (1795) dello zantiota D. Guzelis. É una commedia in 4 atti scritta in decapentasillabi rimati che ritrae con vivace realismo gli aspetti comici della vita popolare di Zante. Abbiamo inoltre notizia di due commedie fortemente satiriche, I Giannotti di G. Kantunis e I Moraiti di un certo S. Surmelis, il cui testo è andato perduto. Tra la fine del sec. XVIII e gli inizi del XIX, il teatro svolge una funzione importante come luogo di incontro e di divulgazione delle idee patriottiche presso le comunità greche all'estero, soprattutto in Valacchia, in Moldavia e a Odessa, dove si fondano teatri che allestiscono rappresentazioni di opere di autori sia stranieri che greci, capaci di ispirare sentimenti di rivolta nei confronti dei Turchi. Così, accanto alla messa in scena delle tragedie di Alfieri, Metastasio, Voltaire e Racine, alcuni autori greci si cimentano nella composizione di opere che, se dal punto di vista artistico non hanno un grosso valore, riescono però a infiammare di fervore patriottico l'intera platea. Ricordiamo: I. Zambelios (1787-1856), autore di quattro tragedie: Timoleon, Costantino Paleologo, Giorgio Kastriotis e Rigas Thesalos; I. R. Nerulos (1778-1850), che scrisse l'Aspasia, una tragedia in versi in 3 atti, Korakistikà, una commedia in prosa in 3 atti, Polyxeni, una tragedia in versi in 5 atti e due commedie in prosa, La famiglia inquisitrice e Colui che ha paura dei giornali, pubblicate sotto uno pseudonimo illeggibile e impronunciabile (BDZKMXPRATH); A. Christopulos (1770-1847), autore di un solo dramma che non ha nemmeno un titolo definitivo e che è generalmente designato col nome di Achille; N. Pikkolos (1792-1866) con la tragedia La morte di Demostene. Una volta che, nel 1821, la G. diventa uno stato indipendente, una miriade di autori comincia a cimentarsi nella composizione di opere teatrali, spinta anche dall'entusiasmo del particolare momento storico. E sono così tanti gli inneggiamenti alla libertà che anche le idee più elevate si trasformano in banali luoghi comuni; oltretutto, in mancanza di un teatro regolare, gli autori non sono in grado di avere una verifica ufficiale. Il fatto che le composizioni fossero scritte in katharéyusa, lingua antiteatrale per eccellenza, e che i loro autori persistessero nell'imitazione del teatro straniero, falsava il gusto nazionale e creava un repertorio ibrido. Comunque anche in questo periodo non mancano autori di valore, come i fratelli Sutsos: Alexandros (1803-1863), che scrive commedie impregnate di spirito romantico e ribelle, tra cui Il prodigo (1830); Panaghiotis (1806-1868), di spirito più mite, autore de Il viandante (1831) e Il Messia (1839). Degna di interesse è l'opera di M. Churmuzis, di cui ricordiamo le commedie L'impiegato (1835) e Il fanariota. Sicuramente l'opera di maggior valore in questo periodo è Il basilico di A. Matesis (1784-1875), scritta nel 1830, ma pubblicata soltanto nel 1854, che precorre di almeno due generazioni il sorgere del dramma sociale nel teatro greco moderno. Il problema della lingua, che aveva già ispirato R. Nerulos nella sua commedia Korakistikà (1810), costituisce il tema fondamentale di Babilonia (1836), di D. Vizantios (1790-1840), il quale descrive in modo arguto e vivace la situazione linguistica di Nauplia, prima capitale dello stato greco. Su di un tono molto differente si esprimono invece, D. Vernardakis (1834-1907) e S. Vasiliadis (1845-1874), autori di tragedie classicheggianti che dominano le scene, commuovendo il pubblico, per circa mezzo secolo.
LETTERATURA E TEATRO: IL 'TEATRO DELLE IDEE'
Solo allo scoccare del nuovo secolo il teatro in G. inizia la sua vera ascesa, rompendo le barriere del provincialismo. Dal punto di vista letterario, autori come B. Anninos, N. Laskaris e A. Vlachos introducono temi ispirati alla realtà quotidiana e traducono molte opere della drammaturgia straniera, mentre, grazie alla fondazione Nuova Scena (1901-05) e all'istituzione del Teatro Reale (1901-08), si procede a un rinnovamento anche esteriore dell'allestimento scenico. Un posto di spicco in questo rifiorire del teatro spetta a G. Xenópulos (1867-1951) che, con una sapiente architettura della trama, una vivace caratterizzazione dei personaggi, una profonda penetrazione psicologica e l'adeguata rappresentazione di stati d'animo e di problemi sociali, crea drammi di grosso spessore come Tentazione e Il segreto della contessa Valeria. Il teatro di Ibsen influenza molto da vicino le opere di autori come P. Nirvanas (1866-1937), G. Kambisis (1872-1902) e in un certo senso anche i lavori di D. Tangopulos (1860-1926), che però ben presto si lascia affascinare dalle idee socialiste e viene a creare opere che lo faranno definire il maggior rappresentante del “teatro delle idee”. Altra figura importante è quella di S. Melas (1883-1966), autore molto interessante per la fine psicologia e l'umanità dei suoi personaggi (Il figlio dell'ombra, Camicia rossa, Bianco e nero). Inoltre è suo il merito di aver introdotto sulle scene greche il teatro di Pirandello. Alla stessa generazione appartiene P. Chorn (1881-1941), che ha portato il realismo nel teatro, distinguendosi per la felice rappresentazione di tipi delle classi popolari. Tra le sue opere ricordiamo Bocciolo, Ponentino, Flandrò. Sulla stessa linea di Chorn possiamo collocare le opere di K. Bastias (1901-1972), La pietra dello scandalo, Uccello notturno, mentre una vena satirica pervade i lavori di T. Moraitinis e T. Sinadinos. Meritano di essere citati autori come D. Bogris, famoso per il dramma Fidanzamento, A. Terzakis per le tragedie di soggetto bizantino (L'imperatore Michele, Croce e spada, ecc.) e B. Rotas, soprattutto per Rigas Veestinlis. Anche autori famosi in altri campi della letteratura si sono cimentati con successo nel teatro. É il caso di K. Palamas, con la sua tragedia in versi Trisevjeni; di N. Kazantzakis con numerosi drammi tra cui Niceforo Foca, Prometeo, Capodistria; di A. Sikelianos con il Ditirambo delle rose, Dedalo a Creta e La morte di Dighenis. Dopo la II guerra mondiale la trasformazione sociale e la nascita della piccola borghesia danno una svolta definitiva al teatro neogreco. Svolta che inizia con Il cortile dei miracoli (1957) di I. Kambanellis, che apre un filone ricchissimo e decreta la definitiva europeizzazione della drammaturgia neogreca. Fondamentale è il contributo della cosiddetta “generazione del Sessanta”, che comprende autori quali B. Ziogas, D. Kechaidis, L. Anagnostaki, S. Karràs, P. Matesis, K. Murselas, M. Pontikas, G. Skurtis. I loro temi e le loro scelte estetiche saranno poi variamente sviluppati da un'altra scuola di autori che compare sulle scene negli anni Settanta; tra di essi ricordiamo: M. Efthimiadis, A. Sevastakis, Bost, G. Maniotis, P. Markazis, K. Mitropulu, G. Dialegmenos, M. Korrès.
LETTERATURA E TEATRO: IL NOVECENTO, IMPEGNO SOCIALE E SPERIMENTALISMO
Dopo un movimentato periodo storico caratterizzato dal susseguirsi di conflitti militari (guerre balcaniche, I guerra mondiale) si assiste a una generale crisi dei valori tradizionali all'interno della società greca, crisi alla quale neanche i letterati riescono a sfuggire. Si diffonde un atteggiamento di sfiducia nei confronti della vita e un sentimento di impotenza rispetto ai grandi problemi dell'epoca. La poesia di questo primo dopoguerra si tinge di colori simbolisti, ermetici e surrealisti e ripudia ogni tipo di costrizione metrica come la rima; i temi sono quelli legati all'esistenza individuale. C'è chi esprime il suo stato d'animo attraverso il sarcasmo, come K. Kariotakis (1896-1928), e chi cerca qualche certezza nella religiosità, come T. Papatsonis (1895-1976); chi si abbandona alla suggestione e al pessimismo, come T. Agras (1899-1944), chi si fa prendere dai propri problemi esistenziali, come G. Sarandaris (1908-1941), o, ancora, chi soccombe in un mondo di contraddizioni e di rapidi cambiamenti, come M. Poliduri (1902-1930). Anche nella prosa c'è un certo rinnovamento nei temi e l'atmosfera bellica permea fortemente la produzione letteraria del periodo. Tra i personaggi più rilevanti ricordiamo S. Mirivilis (1892-1969), autore di storie di guerra e drammi quotidiani espressi con un linguaggio ricco e vivace, E. Venezis (1904-1973), G. Theotokàs (1905-1966), K. Politis (1893-1974), scrittore dallo stile vivo e sensibile e dai molteplici contenuti, F. Kòndoglu (1897-1965), K. Bastiàs (1901-1972), Th. Kastanakis (1901-1967), M. Karagatsis (1908-1960), autore di romanzi di chiara ispirazione freudiana, A. Tertzakis (n. 1907), P. Prevelakis (1909-1986), G. M. Panajotòpulos (1901-1982), insigne critico letterario e poeta, oltre che narratore, e infine M. Ludemis (n. 1912), scrittore autobiografico che ci ha lasciato testimonianze del carcere e del confino. Successivamente si affacciano alla scena letteraria diversi personaggi dall'elevata statura poetica e dalla spiccata tendenza alla sperimentazione. La loro comparsa si deve anche al periodico Ta Nea Grammata, fondato nel 1935 da A. Karandonis (n. 1910) e G. Katsìmbalis (1899-1978), che ha ospitato sulle sue pagine le produzioni giovanili di questi poeti di fama ormai europea. Si tratta di G. Seferis (1900-1971), premio Nobel nel 1963, che risente dell'influenza di T. S. Eliot; I. Ritsos (1909-1990), profondo ammiratore di Majakovskij, le cui poesie rappresentano il suo contributo alla soluzione del problema dell'identità storica del popolo greco. Influenze della guerra sono riscontrabili anche nelle liriche di O. Elitis (n. 1911), premio Nobel nel 1979, che ha contribuito alla diffusione del surrealismo in G. insieme a A. Embirìkos (1901-1975) e a N. Engonòpulos (n. 1910). Tra gli esponenti del surrealismo greco ricordiamo ancora N. Vrettàkos (n. 1911), N. Gatsos (n. 1911), M. Sachturis (n. 1919) e N. Karuzos (1926-1991). Allo stesso periodo appartengono alcuni poeti della cosiddetta scuola di Salonicco, tra i quali citiamo i più importanti: G. Vafòpulos (n. 1904), T. Varvitsiotis (n. 1917), G. Thèmelis (1900-1976) e G. Ioannu (1927-1985). Nel panorama della poesia moderna spiccano le figure di avanguardia di alcuni artisti che tentano un rinnovamento delle forme e dei temi non senza un certo anticonformismo; si tratta di N. Kavadias (n. 1910) che si rifà al cosmopolitismo di Uranis; M. Dimakis (1913-1980), esponente del cosiddetto realismo lirico; R. Bumi-Papà (1906-1984), poetessa impegnata politicamente e collaboratrice della rivista di sinistra Elèfthera Grammata (1945-50). Inoltre ricordiamo tre poeti accomunati dall'interesse per i problemi sociali e dal rifiuto della società borghese in nome di un marxismo non del tutto ortodosso: A. Alexandru (1922-1978), T. Patrikios (n. 1928) e M. Anagnostakis (n. 1920). Dal secondo dopoguerra in poi, il ruolo della prosa si è notevolmente rafforzato proseguendo nell'ambito del realismo e dei temi politico-sociali. Gli avvenimenti storici, tra cui la dittatura dei colonnelli (1967-74) e l'occupazione turca di Cipro (1974), hanno spesso costituito lo spunto per la nascita di romanzi caratterizzati da un chiaro impegno ideologico. La vita dei soldati al fronte è uno dei temi più diffusi nella produzione letteraria del secondo dopoguerra: lo ritroviamo in A. Kotzias (n. 1926), N. Kàsdaglis (n. 1928), A. Vlachos (n. 1915), R. Provelenghios (n. 1924). La tragica sorte dei profughi dell'Asia Minore è invece al centro dei romanzi di alcune narratrici, tra cui L. Naku (1905-1989) e T. Stavru (n. 1924). Molti sono gli scrittori che durante la dittatura dei colonnelli si sono impegnati attivamente pubblicando e facendo circolare di nascosto romanzi e racconti ispirati a fatti realmente accaduti; tra questi ricordiamo M. Chakkas (1931-1972), S. Tsirkas (1911-1980), V. Vasilikos (n. 1934), K. Mitropulu (n. 1935). Tra coloro che si sono occupati di problematiche sociali menzioniamo S. Plaskovitis (n. 1917), A. Samarakis (n. 1919), M. Liberaki (n. 1919), K. Kotzias (n. 1921), E. Alexìu (1895-1988), G. Kazantzakis (1886-1962), I. Skarìmbas (1897-1984) e K. Sterjòpulos (n. 1926), molto noto anche come critico letterario.
LETTERATURA E TEATRO: RAPPRESENTAZIONI E TEATRI
Per quanto riguarda le rappresentazioni, benché la riconquistata indipendenza avesse visto una fioritura di iniziative a tutti i livelli, soltanto nel 1932 si aprì ad Atene un Teatro Nazionale, assurto presto a prestigio europeo soprattutto per le sue esemplari riprese del grande repertorio ellenico. Nel 1936 si ricominciò anche a recitare nei grandi teatri all'aperto. Accanto al Nazionale, che inscena anche Shakespeare e autori moderni nazionali e stranieri, operano oggi ad Atene una ventina di teatri privati, molti dei quali con meri spettacoli di costume. Maggior rilievo ha invece il Teatro d'Arte diretto da Carolos Cun, che ha presentato anche all'estero eccellenti edizioni di opere aristofanesche. Una certa importanza ha Salonicco, sede dal 1961 di un Teatro Nazionale della G. settentrionale.
ARTE: DAL IV SECOLO AI PRIMI DEL NOVECENTO, UN PANORAMA STILISTICO
La G. conserva un ricco patrimonio di arte medievale. Naturalmente non si tratta di arte propriamente “greca”, ma dell'arte bizantina della G., in stretto rapporto con quella dei Balcani e dell'Asia Minore, cioè dei territori che con la G. costituirono per lungo tempo il nucleo fondamentale dell'Impero bizantino. Nel periodo che va dal sec. IV al XV crebbero, accanto ai centri antichi, numerose città nuove (Arta, Giànnina, Serre, Castoria, Naupatto, Monemvasia, Coroni, Methoni, Mistrà, Muchli, Chio, Paro, Mitilene, Candia), mentre fuori delle città sorsero ovunque monasteri ortodossi e intere località erano destinate a luoghi santi (il Monte Athos; le Meteore in Tessaglia ). Una prima fase di attività architettonica data ai sec. V e VI e termina in pratica con Giustiniano. Dei pochi edifici sopravvissuti di questo periodo i più importanti sono le chiese di Salonicco, sontuosamente decorate con lastre marmoree, sculture e mosaici a fondo oro che offrono una testimonianza fondamentale della pittura di questo periodo. Resti di grandi basiliche sono stati messi in luce dagli scavi a Filippi, Nicopoli, Atene, Corinto, Corfù, Lesbo, Chio, Samo, Coo, Delo, Rodi, Creta. Il tipo di basilica più diffuso è quello detto “ellenistico”, con abside semicircolare sporgente, tetto a capriate, tre navate, transetto, atrio, nartece comunicante con le navate attraverso ingressi liberi con tende (Filippi, basilica A di Nicopoli, Atene, Creta, Corinto), ma vi sono anche basiliche con volte e transetti absidati (Epiro), con 5 navate (S. Demetrio di Salonicco; basilica B di Nicopoli), a cupola (Filippi, Gortina). La pianta centrale, usata per gli edifici annessi (battisteri e martýria), è rara in edifici indipendenti (S. Davide a Salonicco, a croce greca iscritta). Alla fioritura dei sec. V e VI seguì un periodo di stasi (sec. VII-VIII) corrispondente all'espansione araba e alla crisi iconoclastica (721-843). Intorno alla metà del sec. IX, con l'avvento della dinastia macedone, iniziò un nuovo periodo di fioritura artistica (sec. X e XI), che proseguì nel sec. XII sotto i Comneni ed ebbe termine con la conquista di Costantinopoli da parte dei crociati (1204). Nei sec. IX-X continuarono a essere costruite basiliche di tipo “ellenistico” che testimoniano il recupero della tradizione paleocristiana. Accanto a esse si diffusero le basiliche di tipo “anatolico” (con navata centrale a volta). A partire dal sec. XI il tipo di chiesa più comune diventò quello con pianta a croce greca iscritta nel quadrato e cupola centrale. Si distinguono alcune varianti. Il tipo “greco” o semplice (4 volte a botte sostenute da due colonne o pilastri a W e da due pareti a E) comparve per la prima volta nella Panaghia di Skripu (873) e fu il più diffuso (se ne hanno begli esempi ad Atene). Il tipo “costantinopolitano” o complesso (4 volte a botte su 4 colonne isolate, presbiterio di 3 campate e 3 absidi), più raro, si trova soprattutto a Salonicco (Vergine dei Calderai, S. Pantalimon, SS. Apostoli, S. Caterina), ma anche ad Atene (Kesariani), in Beozia (Sagmata) e nel Peloponneso. Assai comune il tipo a triconco, che si affermò nei monasteri del Monte Athos e divenne il tipo classico di chiesa conventuale: più rare le chiese a tetraconco (SS. Apostoli di Atene). Va infine ricordata la pianta ottagonale, comune soprattutto tra il sec. XI e il XIII (Osios Lukas; Dafní; Sotira Likodimu ad Atene, del sec. XI; S. Sofia di Monemvasia, del sec. XII; S. Teodoro di Mistrà e S. Parigoritissa di Arta, del sec. XIII). Il periodo macedone fu anche il periodo aureo della pittura monumentale bizantina, di cui proprio in G. si trovano i maggiori esempi sopravvissuti. Per la pittura a mosaico si ricordano i cicli di S. Sofia di Salonicco (sec. IX), del catholicón di Vatopedi sul Monte Athos, delle chiese di Osios Lukas, di Nea Monì a Chio e di Dafní, tutti del sec. XI. Più diffusa fu la pittura a fresco, che seguiva per lo più lo stile popolare di Osios Lukas, ma che nei complessi di Castoria (sec. XII) raggiunse una notevole autonomia stilistica. Nel periodo della dominazione franca (sec. XIII-XV) si diffusero motivi dell'architettura gotica occidentale, soprattutto a Creta, nel Peloponneso, nell'Eubea, nelle isole dello Ionio e dell'Egeo. Nelle isole Ionie e a Creta i Veneziani innalzarono chiese cattoliche gotiche; a Rodi sorse la “città dei Cavalieri” (1309-1522); a Lesbo, Lemno e Chio vennero erette fortificazioni. A Mistrà, Arta, Giànnina, Castoria, Verria, Salonicco, alle Meteore, sul Monte Athos fiorì un'architettura bizantina che continuava quella tradizionale, sia pure con esterni più ricchi e con strutture e piante più semplici (come nelle chiese a croce libera o iscritta ma con tetti congiunti, senza cupola). Nel campo della pittura la tecnica del mosaico divenne più rara, mentre dominava l'affresco. Salonicco divenne il centro di diffusione di uno stile mosso e drammatico, caratterizzato da forme e colori violenti (“scuola macedone”). Formatosi a Neresi e a Castoria nel sec. XII, lo stile macedone dominò nella G. sett. e nella Serbia nel sec. XIII e nella prima metà del XIV (Protaton, Chilandari e Vatopedi sul Monte Athos; Omorfi Ekklisia presso Atene; Omorfi Ekklisia presso Castoria). A partire dalla metà del sec. XIV lo stile macedone fu soppiantato da una nuova ondata idealizzante di derivazione costantinopolitana (Mistrà), che trapiantatasi a Creta nei sec. XIV-XV diede origine alla “scuola cretese”. Dopo la caduta di Costantinopoli (1453), la G. passò gradualmente in mano ai Turchi: l'evoluzione artistica fu quindi diversa nelle differenti zone: mentre nella G. centro-sett. continuava un'architettura tardobizantina di tradizione medievale, nelle città della costa e delle isole controllate dai Veneziani prevalse l'influsso occidentale. Nel Cinquecento e nel Seicento i Veneziani eressero imponenti fortificazioni contro i Turchi (le più belle sono quelle di Creta, dei due Sanmicheli). Nella G. continentale l'architettura bizantina continuò, impoverita, in chiese a una navata e volte a botte e in chiese a croce greca con cupola o a tetti congiunti. Solo alle Meteore e sul Monte Athos, che come luoghi santi godevano di particolari privilegi, si costruirono chiese conventuali a triconco di tipo più ricco. In pittura dominò la cosiddetta “scuola cretese”, che continuava i moduli bizantini accentuandone l'astrattezza e il dogmatismo. Nella “scuola cretese” vengono compresi sia i pittori cretesi che decorarono con affreschi le chiese e i monasteri delle Meteore, del Monte Athos, dell'Epiro, ecc., improntando del proprio stile tutta la pittura greca dei sec. XVI e XVII, sia i pittori di icone attivi a Creta nello stesso periodo. Le icone cretesi venivano esportate in tutto il mondo ortodosso e attraverso le is. Ionie e l'Adriatico giungevano anche a Venezia, dove nel sec. XVI operarono numerosi i “madonnari” cretesi. L'architettura sacra tardobizantina, che si espresse soprattutto nei monasteri di campagna, non fu praticamente influenzata da quella dei dominatori turchi, che innalzarono nelle città moschee e fontane (Atene, Nauplia, Creta, Chio, Paro, ecc.). Molto forte fu invece l'influenza musulmana nel campo dell'architettura privata, soprattutto nei sec. XVII e XVIII e nelle città del nord (Giànnina, Arta, Verria, ecc.). Con l'indipendenza (1830) giunsero in G. architetti tedeschi e danesi che vi importarono lo stile neoclassico (palazzo reale, Università e Accademia di Atene; ampliamento della nuova capitale). Si formò così una solida tradizione neoclassica durata fino agli inizi del Novecento, soprattutto a opera di architetti locali.
ARTE: L'ARTE NEOGRECA, VECCHIE E NUOVE AVANGUARDIE
L'architettura moderna si è affermata in G. con notevole ritardo e con la tendenza alla contaminazione con le forme architettoniche nazionali. Episodi significativi dell'architettura contemporanea sono l'ambasciata U.S.A. di W. Gropius (1956), la Pinacoteca Nazionale di P. Mjlonas, D. Fatouros, D. Antonakakis, e il Museo d'Arte Moderna (1973) ad Atene. Noti architetti, come G. Candilis (n. 1913), svolgono la loro attività quasi totalmente all'estero. Dagli anni Settanta si assiste a una ripresa di interesse verso la ricerca architettonica, guidata da J. Vikelas, che risolve magistralmente la questione della continuità del contemporaneo: Ministero degli Esteri (1975), Museo Goulandris d'Arte cicladica (1986) e la sede della Lufthansa (1989). Per quanto riguarda le arti figurative, l'eredità iconoclasta isaurico-bizantina continuò a imporre le sue leggi in G. sino al sec. XIX, periodo a cui risale la prima scultura a tutto tondo della G. moderna, per opera dello scultore P. Prossalentis. Eccetto l'area delle is. Ionie (sottratte alla conquista turca e aperte all'influenza europea), segni di un risveglio artistico nazionale provennero dal pittore P. Zogràfos e più tardi dal pittore naïf T. Hadijmichaìl, considerato il primo pittore nazionale della nuova G. Culla dell'arte neoclassica e romantica fu la Scuola di Belle Arti di Atene, fondata nel 1837, che faceva riferimento agli insegnamenti dei tedeschi L. Thiersch e P. Hess della Scuola di Monaco e che vide come interpreti i pittori Nikìphoros Lytras (1832-1904) e N. Gysis (1842-1901), entrambi attivi a Monaco. Alla fine dell'Ottocento l'interesse si trasferì da Monaco a Parigi, ma l'assenza di informazione, affidata in pratica ai pochi che potevano permettersi di studiare in quelle due città, l'emarginazione dall'Europa e dai grandi movimenti, impedirono in G. la formazione di un tessuto artistico organico e autonomo. L'adesione alla lezione di Cézanne è comunque riscontrabile nelle opere di artisti come M. Ekonòmou (1888-1933), Kikolaus Maleas (1879-1928), Nikolaus Lytras (1883-1927) e K. Parthenis (1878-1967), mentre quella di S. Papaloukas (1892-1957) è più vicina agli insegnamenti di Van Gogh. Le vicende storico-politiche degli anni Venti, nell'arte, segnarono un prepotente ritorno alla tradizione bizantina, imperativamente consacrata a modello da applicare ai nuovi paradigmi dell'arte moderna. Proprio in questo rapporto con il passato risiede l'originalità dell'arte neogreca. Il decennio 1920-1930 fu dominato dalla presenza di K. Parthenis, nella cui opera si coniugano la ieraticità dell'icona con la fluidità grafica di Matisse, la spazialità di Cézanne e la tensione di El Greco. Testimone delle avanguardie tedesche fu invece Y. Bouzianis (1885-1959), rappresentante con Y. Mytarakis (1898-1963) e Y. Mavroidis (n. 1913) dell'espressionismo. Y. Gounaròpous (1890-1977), S. G. Steris (1895-1988), N. H. Ghikas (n. 1906) sono invece i cosiddetti pittori “parigini”, legati alla pittura orfica e al cubismo. In questo periodo, polo d'avanguardia divenne la galleria Stratigipoulos di Atene, che nel 1928 scandalizzò il proprio pubblico presentando opere cubiste di N. H. Ghikas e dello scultore M. Tombros (1889-1974), fondatore tra l'altro della prima rivista d'avanguardia greca, Trito Mati. Verso gli anni Trenta emersero due importanti figure artistiche: Y. Tsaurochis (1910-1989), partito dal recupero di forme d'arte nobile e popolare per arrivare a una sintesi di crudo e sensuale realismo, e N. Engonòpoulos (1910-1985) d'estrazione surrealista. Altri artisti, il cui momento più significativo risale all'immediato anteguerra sono A. Georgiadis (1892-1981), N. Nikolaou (1909-1986), D. Diamantòpoulos (n. 1914), tutti di estrazione realistica, e Y. Mòralis (n. 1916), la cui formula figurativa, prossima all'astrazione geometrica, è mediata dagli insegnamenti di Tiziano, Courbet e Matisse. La II guerra mondiale e l'occupazione della G. provocarono l'arresto di ogni attività artistica. L'unico avvenimento di rilievo in questo periodo fu la fondazione del teatro Techni di K. Koun. Dopo la diaspora di artisti (tra i quali T. Tsingos, 1914-1965, e K. Koulentianòs, n. 1918, la cui meta d'obbligo è Parigi dove già vive il pittore surrealista M. Pràssinos, 1916-1985), provocata dalla guerra civile, alla fine di questa, nel 1949, A. Kondòpoulos (1905-1975) fonda, insieme a Y. Gaitis (1923-1984), A. Aperghis, G. Simossi, Y. Matezos, K. Antypa, L. Lameras e D. Chytiris, il gruppo “Extremistès”, il cui manifesto promuove tutte le avanguardie vecchie e nuove: cubismo, espressionismo, surrealismo e astrattismo. Gli anni Cinquanta sono quelli della rinascita. La regolare partecipazione di artisti greci alle più importanti manifestazioni artistiche internazionali (Biennale di Venezia, Biennale di San Paolo), i frequenti scambi con istituti culturali stranieri aprono le porte dell'Europa alla Grecia e viceversa. Verso la metà di quel decennio si delinea un fronte non-figurativo il cui massimo esponente resta il pittore informale Y. Spyròpoulos (1912-1989), che ottenne il Premio Unesco alla Biennale di Venezia nel 1960. Se da una parte molti artisti greci si stabilirono a Parigi, altrettanti si mossero in direzione di New York (T. Stamos, N. Daphnis, S. Antonakos e A. Oudinotti) e dell'Italia, dove, tra l'altro, si trasferì J. Kounellis (1936), uno dei capi storici dell'arte povera. Gli ultimi trent'anni vedono l'adeguamento della ricerca visiva greca alle tendenze internazionali. Eccetto i grandi nomi di Takis (n. 1925) e Kounellis, l'arte greca contemporanea è poco conosciuta, nonostante apprezzabili tentativi, soprattutto in campo informale e nella ricerca intorno al motivo della fisicità con l'applicazione di tecniche multimediali, campo nel quale spicca il nome di K. Tsoklis (n. 1930), rivelazione della Biennale di Venezia del 1986.
MUSICA
In età moderna si riscontra in G. una ricca tradizione popolare e, dal sec. XIX, una produzione di musica colta, detta neoellenica. La musica popolare rivela radici molto antiche, risalenti all'epoca bizantina: ebbe però il suo periodo di maggior sviluppo nei secoli della dominazione turca. Il ricco patrimonio di canti e danze, in parte conservato, comprende canti per nozze, funebri, conviviali, di lavoro, pastorali, ecc.; particolarmente notevoli sono i canti dei clefti e i canti di liberazione, destinati alla sola voce maschile e caratterizzati, come gran parte del repertorio vocale greco, che è essenzialmente monodico, da grande ricchezza melismatica e libertà ritmica. Grande rilievo hanno anche le danze, fra cui il cretese pyrríchios, il syrtós e la tráta (danza di pescatori). Tra gli strumenti più usati sono la lyra (specie di ribeca, che non ha nulla in comune con la lira antica), il sanduri (liuto), la pipiza (oboe) e la tsambuna (cornamusa), oltre a diversi tipi di tamburelli, tamburi, ecc. La ripresa di una vita musicale colta si ebbe soltanto dopo la conquista dell'indipendenza. Il Conservatorio di Atene fu fondato nel 1871. Primo compositore di rilievo fu N. Mantzaros (1795-1872), allievo di Zingarelli a Napoli e legato ai modi dell'opera italiana, come i suoi allievi S. Xyndas (1814-1896), P. Carrer (1829-1896) e S. Samaras (1863-1917), le cui opere furono rappresentate con successo in Italia. Con la generazione successiva si posero le basi di una scuola nazionale, ispirata al folclore locale: dopo D. Lavrangas (1864-1941) e G. Lambelet (1875-1945), essa ebbe il suo più significativo esponente in M. Kalomiris (1883-1962), che accolse anche influssi da Wagner e Strauss. Guardarono all'impressionismo francese, oltre che alla tradizione nazionale, M. Varvoghlis (1885-1967), D. Levidis (1886-1951) ed E. Riadhis (1890-1935). Un altro gruppo di musicisti si formò in Germania e tra di essi emerse D. Mitropulos (1896-1960), noto soprattutto come geniale direttore d'orchestra. La musica europea del Novecento ha influenzato le ultime generazioni, cui appartengono K. Perpessas (n. 1907) e N. Skalkottas (1904-1949), allievo di Schönberg e noto a livello internazionale. Di analoga statura è poi I. Xenakis (n. 1922), uno dei protagonisti delle ricerche musicali più recenti e avanzate. Va ricordato inoltre M. Theodorakis (n. 1925), popolare soprattutto come autore di canzoni e musica da film.
CINEMA
Considerato a lungo “prodigio diabolico” e affidato a tecnici e mercanti stranieri, il cinema si affermò in G. solo attorno al 1930 grazie a D. Gaziadis (Prometeo incatenato, 1927; Astero la pastorella, 1932) e O. Laskos (Dafni e Cloe, 1931). Con la dittatura Metaxàs (1936) ogni ulteriore sviluppo fu precluso mentre in piena guerra e occupazione, con gli schermi invasi da film nazisti, si fecero notare La voce del cuore (1942) dell'attore Yanikopulos e Gli applausi (1943) di G. Zavellas. Nell'immediato dopoguerra si segnalò l'esordio di G. Grigoriu nel primo film sociale (Il pane amaro, 1948). Gli anni Cinquanta, con l'aumento delle sale e del numero di pellicole e un certo influsso del neorealismo italiano, oltre che del teatro e della letteratura moderna nazionali, videro opere e autori imporsi anche all'estero. Tra i registi, M. Cacoyannis (Risveglio domenicale, 1953; Stella, 1955; La ragazza in nero, 1957; Elettra, 1962), N. Konduros (La città magica, 1954; L'orco di Atene, 1956) e, meno conosciuto, il già citato Zavellas (L'ubriacone, 1950; La sterlina falsa, 1955; Antigone, 1961). Tra gli attori, Melina Mercouri, Elli Lambetti, Irene Papas, D. Korn, G. Fundas. Tra i musicisti, M. Kadzidakis e M. Theodorakis. Tra gli scenografi, Tsarukis. Nel decennio successivo, mentre la produzione superò i cento film annui, e Mai di domenica (1960) di J. Dassin e Zorba il greco (1966) di Cacoyannis ne rappresentarono le punte cosmopolite, un cinema nuovo, più autentico, accennò a svilupparsi con opere come Il cielo (1964) di T. Kanelopulos, Bloko (1965) di A. Kyrou e L'escursione ancora di Kanelopulos, La luce negli occhi di P. Glykofrydis, Fino al battello di A. Damianos e Faccia a faccia di R. Manthulis, presentati tutti al Festival di Salonicco del 1966; ma non ebbe seguito per il mutato clima politico seguito al colpo di Stato dei colonnelli, che indusse gli artisti più noti all'esilio e N. Papatakis a esportare clandestinamente e a montare in Francia I pastori del disordine (1968). Dell'anno successivo, girato in Algeria, è Z-L'orgia del potere di Costa-Gavras. Nel 1969-70 arrivò la televisione, che sconvolse il mercato facendo precipitare la frequenza degli spettatori e il numero dei film; ma proprio del 1970 è Ricostruzione di un delitto, opera prima fortemente realistica di un regista, Th. Angelopulos, destinato a rivoluzionare dalle fondamenta il cinema greco con una carica sociale, politica e artistica prima sconosciuta, che s'impose ai festival europei, dove Giorni del '36 (1972) e La recita (1975) si rivelarono straordinari e dirompenti affreschi storici, di grande impatto civile e di altissimo livello estetico. Più metaforico, ma delicato e straziante, era anche Il fidanzamento di Anna (1972) di P. Vulgaris. Al crollo del regime militare nel dicembre 1974, i cineasti poterono uscire allo scoperto, come risultò dall'abbondante messe presentata un anno dopo alla settimana di Bologna e Porretta Terme, con nomi nuovi e perfino nuovi modi di far cinema (Bio-grafia di Th. Rentzis). Con lucida maestria si ripeté Vulgaris in Happy Day (1976), mentre Cacoyannis riceveva in patria ogni possibile aiuto governativo per Ifigenìa (1977) e Angelopulos si trovava invece costretto a lottare ancora per realizzare, producendoli di persona, I cacciatori (1977) e Megalèxandros, che nel 1980 vinse a Venezia il Leone d'oro e il premio della critica internazionale. Proprio questi grandi riconoscimenti critici gli hanno permesso di continuare la sua prestigiosa carriera con Il volo (1986), Paesaggio nella nebbia (1988), Il passo sospeso della cicogna (1991), Lo sguardo di Ulisse (1996) e L’eternità e un giorno (Palma d’oro al Festival di Cannes, 1998). Negli anni Novanta è emersa la figura di Dimitrios Yatzouzakis, studente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, autore di documentari e di La torta di San Fanurio (1991) e Non mi toccare (1996), due commedie piuttosto salaci, vincitrici entrambe al Bergamo Film Meeting e testimonianze di un certo risveglio del cinema ellenico.
FOLCLORE
Le tradizioni popolari si differenziano secondo le aree (Macedonia, G. centr., is. Ionie, is. dell'Egeo, Creta, Peloponneso) e hanno ancora una certa vitalità, sebbene tendano a regredire rapidamente nel quadro della disgregazione della società agricola dovuta all'urbanesimo e all'emigrazione. Le feste nuziali, che impegnavano tutta la collettività e duravano almeno tre giorni, tendono ormai anche in campagna a limitarsi al banchetto, eventualmente al ballo, magari protratto per tutta la notte (in G. ci si sposa spesso di sera). Viva è invece l'usanza di distribuire un dolce (kòliva) a tutti i vicini per commemorare un defunto. Le tradizioni più tenaci sono però legate alle feste religiose, specie della Settimana Santa e dell'Assunzione, o anche dei patroni. Nella Settimana Santa la tendenza è di tornare al paese d'origine per festeggiare la Pasqua in famiglia. Parte integrante della festa pasquale è il banchetto, a base di agnello allo spiedo (G. centrale). L'Assunzione (15 agosto) è pure celebrata in tutta la G. in santuari e monasteri. La festa (panighiri) comprende, oltre a una funzione religiosa, un ballo sul sagrato che può durare anche tutta la notte. Una manifestazione legata alla festa dei Santi Elena e Costantino (21 maggio), ma solo tollerata dalla Chiesa, è quella semipagana della festa degli anastenárides (Macedonia), membri di una setta iniziatica che riescono a camminare scalzi sui carboni ardenti senza bruciarsi. In tutte le feste, sia familiari sia religiose, hanno parte preponderante la musica, il canto e la danza. Gli strumenti tradizionali variano da zona a zona e a seconda che appartengano alla tradizione dimotikì (agricola, pastorale e cleftica) o laikì (urbana). P. es., il buzuki, specie di grosso mandolino, è lo strumento base della musica laikì (in origine canti della periferia urbana e della malavita); il klarino (specie di flauto), il sanduri (strumento a corde, tese su un piano di legno e suonate con martelletti), il túmbano (tamburo) sono invece caratteristici della musica dimotikì (G. continentale, Peloponneso). Tipicamente cretese è la lyra, che si suona con l'archetto come un violino, mentre il mandolino, con cui si eseguono kantades, non destinate al ballo e simili alle canzoni tradizionali italiane, è caratteristico delle is. Ionie. Fra i balli più famosi della tradizione dimotikì sono il tsámikos (G. centr.) e il syrtós (di origine isolana, ma diffuso in tutta la G. nella forma del kalamatianòs), danze circolari a mani intrecciate, apparentate al colo macedone. Variante laikì della danza in tondo è il chasápikos (ballo dei macellai), mentre il ballos delle is. Ionie, di origine veneziana e risalente al sec. XIII, è danzato da otto coppie. L'abbigliamento tradizionale sopravvive in qualche residuo: a Creta, le caratteristiche brache a sbuffo del costume isolano (fufules) sono state sostituite (dove sopravvive il gusto dell'abito tradizionale) da pantaloni da cavallerizzo portati con gli stivali. Nelle isole, i vecchi portano ancora la fascia di lana arrotolata in vita, in luogo della cinghia. È invece completamente scomparso il tipico costume della G. continentale, codificato nella divisa delle guardie d'onore, gli Évzones o euzoni (gonnellino di lana bianca pieghettato, o fustanella; camicia bianca con le maniche larghe; bolero blu ricamato; calze lunghe di lana bianca; tsaráchia, le babbucce con la punta arcuata e ornata da un pompon; fez rosso con una nappa, o funda). Per quel che riguarda le donne, a parte le gonne arricciate, lunghe e scure delle vecchie contadine, sopravvive nelle campagne l'uso dei due fazzoletti sovrapposti: l'uno, incrociato dietro la nuca e poi attorto e legato in modo da incorniciare il viso, che si porta anche in casa, e il secondo – per proteggere dal sole – molto abbassato sulla fronte, incrociato sotto il naso e legato molle al sommo del capo, in modo che si vedano solo gli occhi. L'artigianato, originariamente legato alla confezione degli abiti e del corredo per il letto e la casa, è ora limitato (salvo quello semindustriale legato al turismo) alla tessitura di tappeti di vario tipo, di magnifiche coperte tipo mongolia e, nelle isole, alla fabbricazione di magnifici pizzi simili a quelli veneziani (Rodi, Samo). Diffusa anche la lavorazione di pelle, cuoio e pellicce (Castoria). Un'attenzione particolare va dedicata alla cucina e ai vini e liquori. I piatti più tipici sono certamente gli arrosti, allo spiedo o al forno: caratteristici i kokoretsia (frattaglie avvolte e legate in interiora di agnello), lo splinàndero (interiora farcite di milza e fegato ovino), i suvlakia (spiedini di carne, che possono essere avvolti in una pizza e conditi con fettine di cipolla). Fra i piatti al forno si ricordino il musakàs (a base di melanzane) e lo iuvètsi (arrosto con contorno di riso o pastina). Ottimi i dolci (kurambiedes, lukumia, lukumades, ecc.) e i gelati. Fra le bevande, tipico il vino bianco resinato (retsina) e l'uzo, una specie di anice molto usato come aperitivo, allungato con acqua.
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