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Geometria dell'universo - Dalla negazione del V postulato di Euclide alle ipotesi sulle possibili forme dell'universo - tesina




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Geometria dell'universo

Dalla negazione del V postulato di Euclide alle ipotesi sulle possibili forme dell'universo


Matematica

Geometrie non euclidee


l       Euclide e i suoi postulati

l       Il tentativo di Saccheri

l       Dopo Saccheri: Lagrange e Gauss

l       La negazione del V postulato: Bolyai-Lobacevskij e Riemann

l       Le geometrie non euclidee e i solidi


Fisica

La relatività di Einstein


l       Relatività ristretta:

- Dilatazione dei tempi e contrazione delle lunghezze

- Una prova della dilatazione dei tempi: il decadimento dei muoni

l       Relatività generale:

- Principio di equivalenza

- Spazio curvo e Lenti Gravitazionali

- Red Shift Gravitazionale

Buchi neri


Cosmologia

Le ipotesi sulla forma dell'universo


l       Le origini della teoria del Big Bang

l       La costante di Hubble

l       Calcolo dell'età dell'universo

l       L'espansione dell'universo

l       L'isotropia dell'universo

l       Orizzonte cosmologico e inflazione

l       La materia oscura

l       Il destino dell'universo

Appendici


l       Escher e l'arte iperbolica

l       Bergson e la relatività



Bibliografia

Viaggio nel mondo delle geometrie - G. Gallino, D. Periotto, P. Pezzini, G. Pidello, L. Pierpaoli, M. C. Quaranta


Dal Big Bang ai buchi neri, breve storia del tempo - Stephen W. Hawking


Introduzione alla cosmologia - Damiano Caprioli


Articoli da "Le Scienze":

l       Osservate le galassie più distanti (e antiche) - 11 luglio 2007

l       Flash di materia oscura sotto il Gran Sasso - 17 aprile 2008

l       Non cambia l'energia oscura - 17 novembre 2006

l       Anche i raggi X confermano l'energia oscura - 20 maggio 2004

l       Una fotografia dell'universo primordiale - 14 febbraio 2003

l       La forma dell'universo: dieci possibilità - 01 febbraio 2003 - Colin Adams, Joey Shapiro

l       L'universo inflazionario - 06 maggio 2001

l       Confermata l'esistenza della materia oscura - 15 maggio 2000 - Folco Claudi

l       L'universo che accelera - 02 maggio 2000 - Folco Claudi


Riassunto di conferenze del dottor Italo Mazzitelli (Ist. Naz. Astrofisica, Tor Vergata, Roma) A cura di Aiosa Alberto


Ricostruzione del dibattito su Durata simultaneità - Cristina Di Florio


Unione Astrofili Italiani (https://astrocultura.uai.it/)


Nasa (www.nasa.gov)


Hubble Space Telescope (https://hubblesite.org)









Geometrie non euclidee


Euclide


Euclide (330 a.C.- 275 a.C. Circa) è considerato il più famoso matematico di tutti i tempi.

La sua popolarità è dovuta all'opera Gli Elementi, un trattato che per numero di edizioni e traduzioni può competere con la Divina Commedia dantesca e, forse, è superato solo dalla Bibbia.

Gli Elementi si compongono di 13 libri che raccolgono tutte le conoscenze matematiche del tempo. Ogni libro inizia con un gruppo di proposizioni che possono essere considerate le definizioni di ciò che verrà trattato successivamente. I principi fondamentali esposti si distinguono in tre categorie: termini o definizioni, teoremi e dimostrazioni e postulati.

Proprio da questi ultimi si inizia per entrare nel discorso delle geometrie non euclidee.


e i suoi postulati


I postulati o assiomi posti da Euclide sono:


  1. Da qualsiasi punto si può condurre una retta ad ogni altro punto                         
  2. Ogni retta si può prolungare all'infinito
  3. Con ogni centro e ogni distanza di può descrivere un cerchio
  4. Tutti gli angoli retti sono uguali tra di loro
  5. Una retta, incontrandone altre due, forma gli angoli interni da una stessa parte minori di due retti, allora le due rette, prolungate all'infinito, si incontrano dalla parte in cui sono i due angoli minori di due retti

La geometria costruita dal noto matematico su i suoi postulati si presenta di un rigore ineccepibile ed i postulati non presentano, almeno apparentemente, alcuna difficoltà di accettazione perché esprimono caratteristiche verificabili sperimentalmente ed intuitivamente.

Ma il V postulato già ai matematici dell'epoca appariva piuttosto incerto.

Proclo nel suo Commento al libro I di Euclide lo sostituisce con un'affermazione equivalente:


Dati in un piano una retta ed un punto che si trova al di fuori di essa, esiste una ed una sola retta passante per il punto e parallela alla retta data


Intuitivamente la proposizione può sembrare accettabile, ma sperimentalmente non esistono mezzi per giustificarla. Il parallelismo, cioè il non incontrarsi di due rette, non si presenta ad alcuna verifica pratica per i limiti materiali che ci impone il piano su cui disegniamo. Per accettare tale postulato dovremmo prolungare le rette all'infinito ed è chiaro che nessun piano materiale può essere infinito.


Il quinto postulato fu argomento di varie dispute iniziate già nell'antichità:


l       nella prima fase, a cui appartenne Proclo, quindi in tempi relativamente vicini alla formulazione dell'assioma, i matematici cercano di ridefinirlo e riformularlo

l       nella seconda fase, che inizia nel XVI secolo, si cerca di dimostrarlo, giungendo agli stessi risultati ottenuti nella prima fase

l       nella terza fase ci si convince dell'impossibilità di dimostrare questo postulato e si costruiscono le prime geometrie non euclidee


Il tentativo di Saccheri


Nel 1773,  il matematico Saccheri, nel suo Euclides ab omni naevo vindicatus, pensò di dimostrare il V postulato a contrariis cioè partendo dalla sua negazione sperando che essa nel suo ragionamento si distrugga da sé, quindi risulti falsa e, di conseguenza, l'assioma sarà vero.


Seguendo il ragionamento del matematico, egli pose un segmento AB, dai quali estremi tirò due segmenti di pari lunghezza e perpendicolari ad AB. Unì i due punti C e D che trovò con i segmenti, costruendo un rettangolo.

Naturalmente gli angoli A e B sono uguali e retti, dato che i segmenti AC e BD sono  perpendicolari alla base AB, Saccheri quindi ipotizzò che anche gli angoli C e D fossero simili.


Tali angoli sono anche retti?

Secondo il postulato di Euclide sì (prima ipotesi). Assumiamo ora anche le due ipotesi opposte al postulato: quella per cui entrambi gli angoli sono ottusi (seconda ipotesi) e quella per cui essi sono acuti (terza ipotesi).

Nella seconda ipotesi quindi la i due angoli saranno un po' più ampi di due retti, mentre nella terza saranno un po' più piccoli.

Esaminando la validità della seconda ipotesi, il quinto postulato non è di per sé incompatibile con essa, quindi anche i teoremi ad esso connessi dovrebbero essere validi, ma tra questi c'è anche quello della somma degli angoli interni di un quadrilatero che è pari a quella di quattro angoli retti, ma questo assioma non è compatibile sia alla seconda che alla terza ipotesi, poiché nel primo caso la somma sarebbe maggiore, mentre nel secondo minore a quella di quattro angoli retti; allora le ipotesi decadono.

In realtà queste ipotesi non decadono, perché Saccheri ha dimostrato solo l'incompatibilità di tali ipotesi con quella di Euclide.


Dopo Saccheri: Lagrange e Gauss


Con le ipotesi dell'angolo ottuso e dell'angolo angolo acuto lo stesso Saccheri aveva gettato le basi dei due tipi di geometrie non euclidee che saranno definite rispettivamente, dai nomi dei loro elaboratori, geometria di Riemann e geometria di Lobacevskij.

Ma già prima di questi due matematici Luigi Lagrange intuì geometrie diverse da quella euclidea; solo che egli, vittima del pregiudizio comune, non osò comunicare i suoi risultati, poiché avrebbe dovuto sostenere pubblicamente che ci sono geometrie più "vere", il che gli sembrava scandaloso.

In ogni caso, nella prima metà dell'Ottocento, venne ripreso il discorso di Saccheri e nacque quella che oggi è definita geometria iperbolica, quella per cui, assunta l'ipotesi dell'angolo acuto, presa una retta ed un punto esterno ad essa è possibile tracciare, non solo una retta parallela, ma ben due.

E' solo nella seconda metà dell'ottocento che venne scoperta la geometria ellittica, costruita sull'ipotesi dell'angolo ottuso, per la quale preso un punto esterno ad una retta non è possibile tracciare alcuna retta parallela alla retta data.


Gauss è considerato il primo matematico ad aver raggiunto    la precisa concezione di una geometria indipendente dal quinto postulato, ma non pubblicò i suoi risultati, per lo stesso motivo di Lagrange, ma li inviò al Bolyai padre, il quale impazzì nello studio dell'assioma, di cui aveva intuito l'indipendenza del postulato dai primi quattro, a tal punto di imporre per testamento al figlio Janos di non occuparsi assolutamente di tale problema.


La negazione del V postulato: Bolyai-Lobacevskij e Riemann


Naturalmente, da buon figlio, Janos non ubbidì ai voleri del padre, e quasi contemporaneamente a Nicolaj Lobacevskij, giunse alle stesse conclusioni di quest'ultimo.

Il ragionamento dei due matematici è il seguente:

Dati una retta AB ed un punto P esterno ad essa, sia PO la retta perpendicolare alla retta passante per P. Si consideri il punto D sulla retta AB e si faccia muovere verso OB, in corrispondenza di ogni spostamento, su tale retta, di questo punto, si avrà sempre una secante PC alla retta AB. Si consideri ora la distanza OD tendente all'infinito: troveremo in corrispondenza la retta PL che non intersecherà la retta data e che quindi sarà parallela ad OB. Procedendo in ugual modo per la retta PC, si otterrà che essa è parallela ad OA.



Nella geometria euclidea non consideriamo PM e PL due rette distinte, ma prendendo in considerazione l'ipotesi dell'angolo acuto ecco che esse lo saranno ed inoltre saranno parallele ad AB.


Questa dimostrazione, oltre a mostrare che è possibile costruire un sistema geometrico logicamente coerente ad un'ipotesi prescelta e che non solo si dava un unica geometria vera, ma si dimostrava era basata su un ipotesi preliminarmente scelta, sanciva il definitivo inizio delle geometrie non euclidee, in particolare di quella iperbolica.

Successivamente, a dar conferma della possibilità di costruire geometrie diverse da quella euclidea fu Riemann che costruì la geometria ellittica.


"Preso un punto ed una retta, si consideri essa illimitata e finita. Preso ora un punto N; esso, spostandosi, tornerà al punto di partenza avendo percorso una distanza di misura finita. Orbene, si può già constatare che due rette si incontrano sempre e necessariamente, in qualunque condizione le si consideri; ossia due rette in uno stesso piano non possono essere considerate parallele, secondo la definizione euclidea. Ma si considerino le perpendicolari ad una retta qualunque. Esse tutte passeranno per lo stesso punto A. Inoltre tale punto risulterà equidistante da tutti i punti della retta data. Prendendo in esame tali perpendicolari anche dalla parte opposta esse si incontreranno nel punto A' e avranno le stesse proprietà viste per il punto A.

Ora si possono distinguere due casi diversi: il primo, in cui A e A' coincidono e darà vita alla geometria ellittica; il secondo, i cui detti punti non coincidono, che darà vita alla geometria sferica."


Le geometrie non euclidee nei solidi


Per applicare tali geometrie ad una superficie curva, quindi ad un solido, bisogna, innanzitutto, introdurre il concetto di geodetica. Essa è la linea più breve tra due punti. Per immaginarne una pensiamo di prendere un elastico e puntarlo su una sfera in due punti: esso seguirà le circonferenze massime, che sono sempre le linee più brevi tra due punti, come un segmento lo è nella geometria del piano.


Tali geodetiche nel piano sono quindi le rette, quindi percorrere una retta significa "andare sempre dritto", quindi la geodetica è quella retta che aderisce perfettamente ad una determinata superficie, sempre un esempio pratico potrebbe essere tagliare una strisciolina di carta e applicarla su di una circonferenza, essa seguendo le geodetiche aderisce perfettamente alla superficie, mentre se si provasse a seguire qualsiasi altro percorso, si incresperebbe in alcuni punti.


Avendo capito il corrispondente di una retta su diverse superfici, possiamo provare a vedere praticamente l'esperimento di Riemann sulla sfera e quindi stabilire noi stessi che il V postulato di Euclide non vale su di essa.

Ancora sulla sfera possiamo dimostrare che l'ipotesi degli angoli ottusi è proprio quella che si adatta alla geometria ellittica: costruendo un triangolo con delle strisce di carta su di un supporto sferico, e successivamente tagliando uno dei tre lati, noteremo che il triangolo si apre, e misurando gli angoli che formano i vari lati troveremo che sono tutti ottusi: questo esperimento si poteva fare direttamente sul mappamondo, prendendo due paralleli perpendicolari e l'equatore. In tal caso avremmo trovato che tutti gli angoli erano retti.


Allo stesso modo possiamo verificare il V assioma sulla pseudosfera. Infatti per un punto esterno ad una geodetica, passano non una, ma ben due geodetiche parallele alla prima.

Sempre allo stesso modo si può verificare che i la geometria iperbolica corrisponde all'ipotesi degli angoli acuti, infatti, costruendo sempre un triangolo di carta con le geodetiche di una pseudosfera, e tagliano uno dei lati, questo si richiuderà su se stesso dato che gli angoli sono tutti acuti e quindi minori di 90°.






La relatività


Nel 1919 Einstein scrisse per il 'London Times' un articolo ('Che cos'è la teoria della relatività?') in cui spiegava ad un pubblico di non specialisti la sua celebre teoria.

«.la teoria della relatività assomiglia ad un edificio a due piani separati: la teoria speciale e la teoria generale.

La teoria speciale si applica a tutti i fenomeni fisici tranne la gravitazione. La teoria generale conduce alla legge della gravitazione e alle relazioni di essa con altre forze della natura.»

La teoria della relatività speciale o ristretta fu formalizzata per la prima volta attraverso un saggio pubblicato nel 1905. Successivamente, nel 1916, il fisico propose una nuova teoria (la teoria della relatività generale) che superava la precedente, includendola come caso limite. Tre anni dopo, nel 1919, questa teoria ebbe, ad opera di Eddington, una clamorosa conferma sperimentale.


Relatività ristretta


La relatività ristretta di Einstein si basa essenzialmente su due postulati che possono essere enunciati come segue:

Il moto assoluto uniforme non può essere rivelato;

La velocità della luce è indipendente dal moto della sorgente.

Sostanzialmente il primo postulato era già noto dal XVII secolo ed era stato formalizzato come principio di Newton: nella relatività Einsteiniana, però, questo principio viene esteso non solo ai fenomeni meccanici ma include tutti i tipi di misure fisiche.

Ognuno dei due postulati sembrerebbe ragionevole: eppure dai due postulati presi insieme derivano alcune implicazioni che contraddicono il senso comune, cioè il nostro modo intuitivo di concepire la realtà. Una conseguenza immediata di questi postulati è che:ogni osservatore misura lo stesso valore per la velocità della luce, indipendentemente dal moto relativo della sorgente e dell'osservatore.


Facciamo un esempio per capire meglio quest'ultima affermazione. Consideriamo una sorgente luminosa S e due osservatori O1 e O2 uno fermo e l'altro in movimento verso S con velocità V


Naturalmente la velocità della luce misurata da O1 è c=3 ∙ 10 m/s. La velocità della luce misurata da O2 non è c + v, come ci si potrebbe aspettare. In base al 1°postulato la figura A è equivalente alla figura B.


dove vediamo O2 fermo, mentre S e O1 si muovono verso destra con velocità V (il moto assoluto non può essere rivelato quindi non possiamo sapere se è O2 in movimento verso S come nella figura A oppure se S e O1 si muovono verso destra con velocità V come nella figura B).Per il secondo postulato O2 vede che la velocità della luce è uguale a c visto che questa è indipendente dal moto della sorgente. Da questo esempio si può capire come le nostre idee intuitive sulla composizione delle velocità non valgono più se si considerano velocità prossime a c.


Dilatazione dei tempi e contrazione delle lunghezze


Einstein riuscì a dimostrare che le ampiezze degli intervalli di tempo e di spazio tra due eventi dipendono dal sistema di riferimento nel quale si osservano gli eventi.

Prendiamo ora in esame il problema della dilatazione dei tempi.

Consideriamo un sistema S1 formato da una sorgente luminosa A e da uno specchio posto ad una distanza D dalla sorgente (fig. C)

Si consideri un raggio luminoso (velocità c) che esce dalla sorgente A vi ritorni dopo essere stato riflesso dallo specchio. Lo spazio percorso dal raggio luminoso è uguale a 2D e il tempo impiegato è: t1 = 2D/c.

Consideriamo ora il sistema S1 (specchio-sorgente) in movimento rispetto ad un sistema S immobile (fig. D)


Come si può notare il raggio luminoso, visto dal sistema S, compie un tragitto più lungo rispetto a quello compiuto in S1. Calcoliamo lo spazio percorso dal raggio per arrivare allo specchio rispetto ad S. Ipotizzando la velocità di S1 uguale a v e il tempo impiegato per andare da x1 a x2 uguale a t, questo spazio è uguale a c∙t/2 e risulta formato da due componenti (fig. D). Applicando il teorema di Pitagora si ha:


(c∙t/2)2 = D2 + (v∙t/2) 2

[c2∙(t) 2]/4 -  [v2∙(t) 2]/4 = D2

(t) 2 ∙ (c2 - v2) = 4D2

t = 2D / (c2 - v2)

t = (2D/c) / (1 - v2/c2)


Avendo posto t1 = 2D/c si ha:


t = t 1/ (1 - v2/c2) = ψ∙ t1    dove ψ = 1 / (1 - v2/c2)


Dunque il tempo misurato in S risulta essere dilatato di un fattore ψ, il quale aumenta se si considerano velocità prossime a quella della luce.

Strettamente connesso alla dilatazione dei tempi è il fenomeno della contrazione della lunghezza.

Immaginiamo un regolo di lunghezza L0=x2-x1 visto da un osservatore in movimento con velocità v (fig. E)

Se O1 impiega un tempo t per passare da un'estremità all'altra del regolo allora la lunghezza del regolo sarà L0 = x2 - x1 = v ∙ t.

Consideriamo ora il caso in cui l'osservatore sia fermo e il regolo si muova di moto relativo (fig. F)


Il regolo impiegherà, per passare davanti all'osservatore, un tempo t1 minore di t secondo un fattore ψ = 1 / (1 - v2/c2).

Se il tempo è minore anche la lunghezza del regolo sarà tale:


L1 = v ∙ t1 = v ∙ t / = L 0/ ψ = L0 (1 - v2/c2


Una prova della dilatazione dei tempi: il decadimento dei muoni


I muoni, o mesoni , sono particelle create dal decadimento dei pioni (mesoni π) e si creano nell'alta atmosfera a migliaia di Km sul livello del mare. I muoni decadono seguendo la legge statistica della radioattività:


N(t) = N0 e - t/


Dove N0 è il numero dei muoni all'istante t = 0, N(t) è il numero dei muoni all'istante t e (tau) è la vita media di un muone (per i muoni fermi vale circa 2 s).Supponiamo di rivelare 108 muoni ad un'altezza di 9000 m. Sapendo che un muone tipico si muove alla velocità di 0.998 c, il tempo impiegato dalle particelle per arrivare al livello del mare è (9000 m)/0.998 c s cioè 15 volte il valore della vita media. Ponendo N0 = 108 e t = 15 si ottiene: N = 108 ∙ e-15 = 30.6.

Dovremmo quindi aspettarci di rivelare circa 31 muoni al livello del mare. Invece, da esperimenti pratici, è risultato che il numero dei muoni rilevati è notevolmente maggiore. Questo perché la vita di un muone, misurata nel sistema di riferimento della terra aumenta del fattore 1/ (1 - v2/c2) che (per v = 0.998 c) vale ψ = 15. Perciò per s si ha:


N = 108 ∙ e-1 = 3.68 ∙ 107


Questo dimostra che gli esperimenti pratici concordano con la teoria relativistica.


Effetto Doppler relativistico


Ricordiamo che , quando nella meccanica classica viene trattato l'effetto Doppler, ci si limita a considerare il caso acustico. In questo ambito, il fenomeno consiste nel fatto che, esistendo un moto relativo tra una sorgente sonora e un ricevitore del suono, la frequenza del suono ricevuto in fase di avvicinamento relativo è diversa dalla frequenza del suono ricevuto in fase di allontanamento. Allora risulta necessario studiare il fenomeno nei due casi:

sorgente in moto e osservatore fermo

sorgente ferma e osservatore in moto

Le ragioni della distinzione nei due casi sono le seguenti: (1) le onde sonore necessitano di un mezzo materiale (aria) per la loro propagazione e (2) le proprietà del suono variano a seconda di cosa (sorgente sonore o ricevitore) sia in movimento rispetto all'aria.
Siccome le onde luminose non necessitano, come abbiamo visto, di un mezzo materiale per la propagazione, non si ha ragione di studiare l'effetto Doppler nei due casi, come è stato fatto per il suono.


Effetto Doppler per la luce

Abbiamo un segnale luminoso che viene emesso a frequenza f dalla sorgente S, ed è ricevuto a frequenza f' dall'apparato ricevitore R, perché tra S ed R esiste moto con velocità relativa di valore v.

Se S e R si allontanano, allora, essendo b = v/c, si ha:


f' = f . [(1 - b) / (1 + b)]1/2


quindi f' < f , cioè la frequenza di ricezione, inferiore a quella di emissione, è spostata verso il rosso (redshift).


Se invece S e R si avvicinano, allora si ha:


f' = f . [(1 + b) / (1 - b)]1/2

per cui sarà f' > f, e quindi la frequenza di ricezione risulterà spostata verso il violetto (blueshift).

(Ricordiamo che rappresentando lo spettro delle frequenze delle onde elettromagnetiche con frequenze crescenti da sinistra verso destra, all'estremità sinistra c'è l'infrarosso, all'estremità destra l'ultravioletto).


Relatività generale


Da un punto di vista matematico, la relatività generale è molto più complicata di quella ristretta: per questo ne fornirò solo una breve trattazione qualitativa.

La base della teoria generale della relatività è il principio di equivalenza:


un campo gravitazionale omogeneo è del tutto equivalente a un sistema di riferimento uniformemente accelerato.


Ecco un esempio che chiarisce il principio di equivalenza: Se un'astronave, in assenza di campo gravitazionale, si muove con accelerazione a, un corpo al suo interno sarà sottoposto ad una forza F = m ∙ a nel verso opposto a quello del moto.

Su un corpo all'interno dell'astronave ferma su un pianeta, agirà una forza pari a F=m∙g. Se poniamo g = -a le due forze (F=ma e F=mg) saranno uguali. Dunque si può concludere che non esiste alcun esperimento che possa distinguere un moto uniformemente accelerato dalla presenza di un campo gravitazionale.


Uno degli aspetti più interessanti della relatività generale è la nuova concezione di 'spazio curvo'. Secondo la teoria Einsteiniana la materia, mediante il campo gravitazionale, agisce sullo spazio circostante alterandolo.

La relatività non si serve quindi della geometria euclidea, applicabile solamente ad uno spazio piatto.

La luce ha la proprietà fisica di percorrere geodetiche dello spazio: per esempio un raggio di luce che ad un osservatore sulla Terra appare come una traiettoria rettilinea, in realtà percorre archi di circonferenza. La luce fa dunque capire che tipo di geometria segue lo spazio.

Nel 1915 le ipotesi di Einstein sul campo gravitazionale ebbero una clamorosa conferma: in quell'anno, infatti, si osservò la deflessione di un raggio di luce dovuta al campo gravitazionale solare. Tale osservazione fu resa possibile da un'eclissi solare e portò immediatamente fama internazionale a Einstein.


La figura affianco mostra la deflessione di un raggio di luce dovuta al campo  gravitazionale solare. Per mettere in evidenza il fenomeno, l'angolo di deflessione è stato aumentato rispetto a quello reale



Un altro aspetto della relatività generale riguarda la variazione degli intervalli di tempo e quindi delle frequenze della luce in un campo gravitazionale. L'energia potenziale gravitazionale tra due masse M e m, distanti tra loro r è:


U = - GMm / r


dove G è la costante di gravitazione universale e si è posta l'energia potenziale uguale a zero quando la distanza tra le masse è infinita. L'energia potenziale riferita all'unità di massa in prossimità di una massa M è chiamata potenziale gravitazionale


= - GM / r


Secondo la teoria generale della relatività, gli orologi sono più lenti nelle regioni di basso potenziale gravitazionale (dunque in prossimità della massa). Se t1 è un intervallo di tempo misurato da un orologio dove il potenziale gravitazionale è e t2 è lo stesso intervallo misurato da un orologio dove il potenziale gravitazionale è la relatività generale prevede che la variazione relativa tra questi tempi sia all'incirca:


(t2 - t1) / t = ( ) / c2


(Visto che di solito questa variazione è molto piccola non importa per quale intervallo si divida il primo membro dell'equazione). Poiché un atomo che vibra può essere considerato come un orologio, la frequenza di vibrazione in una regione di basso potenziale, come ad esempio in prossimità del Sole, sarà minore di quella dello stesso atomo sulla Terra. Questo spostamento verso frequenze più basse e quindi lunghezze d'onda maggiori, è chiamato spostamento gravitazionale verso il rosso (gravitational red shift).


Altro fenomeno che rientra nelle previsioni della relatività è quello dei buchi neri, previsti per la prima volta da Oppenheimer e Snyder nel 1939. Secondo la teoria generale della relatività, se la densità di un corpo, come una stella, è abbastanza grande, l'attrazione gravitazionale sarà così grande che, una volta all'interno di un certo raggio critico, nulla potrà sfuggire, neanche la luce e le altre radiazioni elettromagnetiche. Nella meccanica Newtoniana, la velocità necessaria perché una particella sfugga dal campo gravitazionale di un pianeta o di una stella si trova imponendo che l'energia cinetica mv2 / 2 sia uguale all'energia potenziale GMm / r. La velocità di fuga che si ottiene:


mvf2 / 2 = GMm / r 

vf2 = 2GM / r 

vf = (2GM / r)


Se uguagliamo la velocità di fuga alla velocità della luce e risolviamo rispetto al raggio, otteniamo il raggio critico Rc , chiamato raggio di Schwarzschild :


vf = c

c= (2GM / Rc )

c2 = 2GM / Rc

Rc = 2GM / c2


Perché un corpo di massa uguale a quello del nostro Sole (1.99 ∙ 1030 Kg) sia un buco nero, il suo raggio deve essere circa 3 Km. Visto che un buco nero non emette alcuna radiazione e ci si aspetta che il suo raggio sia piccolo, la rivelazione di tale corpo non è facile e per individuarne uno l'unica possibilità è quella di studiare i suoi effetti sullo spazio circostante ad esso.


Cosmologia


Origini della teoria del Big Bang


Oggi sappiamo che il Sistema solare fa parte della Via Lattea la quale non è altro che una delle moltissime galassie dell'universo (essa è anche chiamata Galassia). Meno di un secolo fa si credeva ancora che la Via Lattea costituisse l'intero universo. Fu soltanto a partire dagli anni '20 che l'astronomo statunitense Edwin Hubble (1889 - 1953) scoprì che alcuni specifici oggetti celesti erano esterni alla Via Lattea, e che certi erano addirittura altre galassie.

Nel 1929, Hubble scoprì anche che pressoché la totalità delle galassie sembrano allontanarsi da noi. Questo fatto diede l'impressione che la Terra fosse il centro di un moto generale di recessione (allontanamento di tutte le galassie da noi). Ben presto si scoprì invece che questo moto di recessione non ha un centro: ogni punto del cosmo può essere considerato centro di un moto di recessione. Le scoperte di Hubble sono considerate l'origine della cosmologia moderna. La quale non può prescindere anche dalla rivoluzione operata nella fisica dall'avvento della relatività.


La constatazione che l'Universo è in espansione ha obbligato a prendere in considerazione il problema della sua nascita: siccome le galassie si stanno allontanando l'una dall'altra a una certa velocità, dobbiamo ammettere che andando indietro nel tempo di miliardi di anni ci fu una situazione nella quale tutta la materia attualmente componente l'Universo era riunita in un unico punto. Questa considerazione ha condotto alla teoria evolutiva del 'Big Bang', cioè di un'enorme esplosione iniziale che diede origine all'Universo e che ne causò l'espansione che ancora oggi osserviamo. Secondo questa teoria, l'Universo primordiale sarebbe stato composto di materia densissima e caldissima, concentrata in uno spazio infinitesimo. Il suo stato fisico era così estremo che è difficile perfino da immaginare. Solo la fisica teorica è in grado di descriverlo. Esso sarebbe quindi esploso e si sarebbe espanso, diventando sempre meno caldo e meno denso, fino ad assumere gradatamente l'aspetto con il quale oggi lo conosciamo. Dalla legge di Hubble (che vedremo tra poco) si deduce che l'Universo è nato 15-20 miliardi di anni fa. In realtà, la determinazione della sua età è molto più complessa e rappresenta uno dei problemi principali che la cosmologia moderna si trova ad affrontare. Il valore della costante di Hubble attualmente accettato è compreso tra i 50 e i 100 Km/sec per Megaparsec (ciò significa che le galassie si muovono con velocità che crescono di 50-100 Km/sec per ogni Megaparsec di distanza da noi).

Il primo a proporre lo scenario di un'esplosione iniziale fu il sacerdote belga G.Lemaitre (1894 - 1966) nel 1927, ma solo negli anni '40 il fisico di origine russa G.Gamow (1904 - 1968) lo affrontò in modo quantitativo. Egli ipotizzò che i nuclei atomici più leggeri (idrogeno, elio, deuterio e litio) si siano formati nei primi istanti di vita del cosmo. Successivamente è stato verificato che le quantità di tali elementi presenti effettivamente nell'Universo corrispondono con quelle previste dalla teoria, fornendo una prima conferma della sua validità. Un'altra conferma è giunta nel 1965, quando due ricercatori dei laboratori Bell, Penzias e Wilson, mentre costruivano un rivelatore di microonde, captarono una debole radiazione che permea tutto l'Universo, proveniente da tutte le direzioni. Essa ha un massimo di intensità alla lunghezza d'onda di 2.6 cm e viene detta radiazione di fondo cosmica (CMBR, Cosmic Microwave Background Radiation). Si pensa che sia il residuo della radiazione intensissima ed altamente energetica che si produsse dopo il Big Bang, allorché ebbe luogo il cosiddetto disaccoppiamento tra materia ed energia.



La costante di Hubble

L'astronomo E. Hubble nel 1929 scoprì un fenomeno sorprendente: la velocità v di allontanamento delle galassie era direttamente proporzionale alla loro distanza r dalla Terra. Con notazioni moderne, tale legge di Hubble è espressa dall'equazione:


v = H0 . r


dove la costante di proporzionalità H0 è oggi detta costante di Hubble.
Uno dei massimi impegni dell'astronomia di oggi consiste nella misura del valore di H0. Il valore ottenuto da Hubble, H0 = 5.102 Km /s.Mpc, era decisamente sbagliato a causa di errori sistematici nella determinazione delle distanze tra le galassie e la terra. All'inizio del 1999 il valore ritenuto più attendibile è:


H0 = (73 ± 8) Km / s.Mpc


La costante di Hubble è un numero che esprime la rapidità con cui l'universo si va espandendo. E' chiamato 'costante' perché ci si aspetta che questo numero sia lo stesso in tutto l'universo. Esso cambia però con il passare del tempo perché il ritmo con cui l'universo si espande viene rallentato dall'attrazione gravitazionale che, come è noto, si esercita su tutta la materia presente nell'universo. Molti cosmologi preferiscono allora parlare di 'parametro di Hubble'. (Se per esempio il valore esatto della costante di Hubble fosse 60, ciò significherebbe che lo spostamento verso il rosso di una galassia lontana 2 Mpc, corrisponderebbe a una velocità di espansione di 120 Km/s).
Quanto maggiore è il valore della costante, tanto più giovane dev'essere l'universo.
La scoperta di Hubble fu una vera e propria rivoluzione scientifica in quanto obbligò gli astronomi a rinunciare a un'idea che aveva dominato per millenni la cultura occidentale: quella di un Universo eterno ed immutabile, o come si dice oggi, stazionario.


Calcolo dell'età dell'universo

L'inverso della costante di Hubble ci dà l'età dell'Universo, questo si può dimostrare partendo a dare a tale costante un unità del Sistema Internazionale. (pc = parsec, Mpc = megaparsec, s = secondi, Km = chilometri).

Allora, per avere la costante di Hubble espressa in unità del sistema internazionale, non facciamo altro che moltiplicare il suo valore, espresso nelle unità di cui sopra, per il fattore appena trovato, così avremo:


H0 (Hubble) = 5.102 . 3.24 .10-20 s-1 = 1.62 . 10-17 s-1
H0 (moderno) = (73 ± 8). 3.24 . 10-20 s-1 = (24 ± 3) . 10-19 s-1

Questa grandezza, data in unità 'secondi alla meno 1' sarà dunque tale che il suo inverso avrà la dimensione di secondi, per cui l'età dell'universo sarà data da:


1/H0 (Hubble) = 6.17 . 1016 s = circa 2 miliardi di anni
1/H0 (recente) = (24 ± 3).1019 s = da circa 11 a circa 15 miliardi di anni.


Questo perché considerando una galassia G che si trovi a distanza D dalla Terra e che si allontani radialmente da essa alla velocità v, se all'istante iniziale, t = 0, la separazione tra i due corpi era nulla e se t0 è l'intervallo di tempo necessario affinché avvenga la separazione dei due corpi alla velocità v (per adesso supposta costante), si ha ovviamente:


t0 = D / v  e v = H0.D


quindi H0 = v / D e quindi 1/H0 = d / v, in conclusione si avrà: t0 = 1 / H0
cioè, se la velocità di espansione dell'universo fosse costante, l'inverso di H0 ci fornirebbe l'età dell'universo.


L'espansione dell'universo

Come abbiamo accennato in precedenza, la legge di proporzionalità diretta tra distanza di una galassia e sua velocità di allontanamento, indica che nell'universo non esiste una posizione privilegiata che possa essere considerata il centro di un'unica espansione cosmica. In verità, qualunque punto può essere considerato un centro di espansione dell'universo. Per rendere ragione al lettore di ciò, facciamo uso di un modello bidimensionale di espansione. Consideriamo la superficie di un palloncino, gonfiato con aria, sulla quale siano posti un certo numero di coriandoli (ciascuno dei quali rappresentativo di una galassia). Continuando a gonfiare il palloncino, notiamo che: (1) ogni coriandolo-galassia si allontana da tutti gli altri, di modo che non si può dire che ve ne sia uno che possa essere considerato il coriandolo-galassia centrale, (2) coriandoli-galassia inizialmente più vicini tra loro si allontanano meno velocemente rispetto a quelli inizialmente più lontani tra loro, proprio in accordo con la legge di Hubble.
(Affermare che le galassie si allontanano è vero se si considerano soltanto i moti su larga scala dei gruppi di galassie. A livello locale può accadere benissimo che due galassie siano in avvicinamento, per esempio perché si attraggono gravitazionalmente.)
Quindi la legge di Hubble ci porta a concepire l'universo come un oggetto sferico in espansione, caratterizzato da un raggio R(t) che varia con il tempo a partire da un istante t = 0 in cui esso aveva un raggio così piccolo da poter essere considerato nullo. Nei paesi di lingua inglese si è affermato l'uso di indicare l'istante iniziale dell'Universo con il termine di istante del Big bang, cioè istante della grande esplosione.




Isotropia dell'universo

Misurando le proprietà fisiche dell'universo si scopre che esse appaiono molto uniformi (su larga scala) in tutte le direzioni. Per esempio, la densità media della materia è praticamente la stessa in tutte le direzioni (sempre su larga scala) e lo stesso vale per la radiazione cosmica di fondo.
E' difficile spiegare una tale uniformità di struttura dell'universo. Non può essere avvenuta in seguito a un processo di mescolamento: tra i due estremi dell'universo, in una direzione qualsiasi, la distanza è talmente grande che non può essere stata percorsa nemmeno in tutto l'intervallo dall'origine dei tempi. Quindi un processo di mescolamento è da escludere.


Orizzonte cosmologico e inflazione

Quando riceviamo la luce di una galassia distante, ad esempio, dieci miliardi di anni luce, la vediamo come era dieci miliardi di anni fa. Per vederla come era, ad esempio otto miliardi di anni fa, dovremmo attendere due miliardi di anni. Allora, possiamo dire che in ogni istante, ci sono parti dello spazio-tempo alle quali non possiamo avere accesso ( e reciprocamente, una parte del nostro passato è inaccessibile a galassie molto lontane da noi). Questo ci porta a definire, per un dato istante e per una data condizione di osservazione, il nostro orizzonte cosmologico, cioè quel settore di spazio-tempo al quale possiamo avere accesso. Corrispondentemente, ad ogni istante e per ogni condizione di osservazione, a tutto ciò che sta al di fuori del relativo orizzonte cosmologico non possiamo avere accesso alcuno.

Diciamo che due oggetti, in un certo spazio, si trovano tra loro in contatto causale (da 'causa') se sono in grado di comunicare tra loro per mezzo di un segnale, nel senso che il primo oggetto può provocare nell'altro un effetto in conseguenza del segnale che gli invia. Tenendo presente che i segnali viaggiano nello spazio a velocità finita, è evidente che l'effetto di un segnale emesso da un oggetto si farà sentire sull'altro oggetto dopo un certo tempo (tanto maggiore quanto più distanti sono i due oggetti).
Una regione di spazio-tempo entro la quale un corpo può avere una relazione causa-effetto, è detta orizzonte causale. Ora, il problema che ha molto interessato i cosmologi è dato dal notevole grado di omogeneità ed isotropia riscontrato anche in regioni di Universo molto lontane tra loro, ciascuna al di fuori dell'orizzonte causale dell'altra. Ai cosmologi appare inspiegabile ciò: come è potuta avvenire la trasmissione di informazioni che ha permesso a queste regioni di assumere le stesse proprietà, essendo la loro distanza superiore a quella che perfino i segnali avrebbero potuto percorrere dall'origine dell'Universo fino ai nostri giorni?
Ecco allora che la modifica al modello del Big Bang proposta da Alan Guth, nota come modello inflazionario potrebbe spiegare la isotropia dell'Universo. Come abbiamo detto, nei primi anni '80 Alan Guth propose una modifica al modello classico del Big Bang, il cosiddetto 'modello inflazionario'. Secondo la teoria di Guth, nei primi istanti dopo il dopo l'era di Planck, una piccolissima frazione di tempo stimata intorno a 10-43s dopo lo scoppio, precisamente dopo 10-35s, l'Universo avrebbe subito una rapidissima espansione, detta inflazione, che nel giro di 10-32s avrebbe aumentato le sue dimensioni di un fattore di 1030. Dopo questa fase, l'evoluzione sarebbe proseguita secondo la teoria classica del Big Bang. Prima della fase inflattiva l'Universo era così piccolo che le galassie (allora semplici microincrespature nella distribuzione della materia) che adesso sono al di fuori dei rispettivi orizzonti causali, potevano trovarsi in contatto causa-effetto. Verrebbe così risolto il problema dell'orizzonte, così come altri problemi della teoria classica del Big Bang.

Secondo Guth, la causa che produsse l'inflazione andrebbe ricercata nell'ambito delle teorie recenti della fisica, quelle che cercano di unificare le quattro interazioni fondamentali: la forza gravitazionale, quella elettromagnetica, quella nucleare debole e quella nucleare forte. Queste quattro forze sarebbero manifestazioni diverse di un'unica interazione. Alle altissime temperature e densità dei primi istanti di vita dell'Universo, esse erano la stessa cosa; si sarebbero poi diversificate nel tempo, via via che l'Universo si raffreddava e si espandeva.


La materia oscura


Il processo di addensamento di tutta la materia dell'Universo ha portato alla strutturazione del Campo gravitazionale. Ora, i cosmologi sono arrivati alla conclusione che una notevole parte della massa totale effettiva dell'Universo è dovuta all'esistenza di un tipo di materia che, essendo invisibile, viene detta materia oscura.

Negli ultimi decenni, gli astronomi hanno raccolto svariate prove dell'esistenza di questa materia invisibile che (assieme a quella visibile) lega galassie e ammassi di galassie per mezzo della attrazione gravitazionale complessiva. Malgrado la sua natura resti tuttora ignota, la sua presenza viene giustificata dal modo con cui si manifestano alcuni fenomeni. Eccone una breve descrizione.

La rotazione delle galassie a spirale. Le galassie a spirale sono dotate di una rotazione differenziale, nel senso che non avviene rigidamente attorno ad un asse centrale (se così fosse, tutte avrebbero la stessa velocità angolare). Invece, ogni corpo della galassia ruota con una velocità angolare dipendente dalla distanza del corpo stesso dall'asse di rotazione. Poiché la velocità di rotazione angolare dipende dal campo gravitazionale (cioè dalla distribuzione della materia nella galassia) dobbiamo concludere che la massa effettiva della galassia tende ad addensarsi sempre più verso la periferia. Ma la massa luminosa (quella che noi vediamo) di qualunque galassia (cioè le stelle e il gas) è concentrata verso il nucleo e la sua densità decresce verso l'esterno. Dobbiamo ammettere allora che queste galassie spirali devono essere circondate da un grande alone di materia invisibile, che contribuisce al campo gravitazionale delle stesse ma non alla loro emissione luminosa: la materia oscura.

La distribuzione di velocità negli ammassi di galassie. Approfonditi studi basati su calcoli statistici hanno mostrato che la stabilità riscontrata in tutti gli ammassi di galassie (stabilità nel senso di mancata dispersione delle stesse a causa del loro moto di rotazione attorno a un centro comune) può essere spiegata soltanto con l'ammettere la presenza di una gran quantità di massa invisibile che garantisce appunto la non dispersione delle stesse (in altre parole le velocità di rotazione delle galassie attorno a un centro comune sono talmente elevate da far sì che la mancata dispersione possa essere spiegata solo con la presenza di una grande massa invisibile).

Le lenti gravitazionali. Gli astronomi chiamano lente gravitazionale un ammasso di materia talmente denso da causare deviazioni dei raggi luminosi maggiori di quelle che ci si aspetterebbe di riscontrare se si prendesse in considerazione soltanto la materia visibile. Anche in questo caso si è arrivati alla conclusione (sempre attraverso misure) che le deviazioni anomale sono causate dalla presenza di materia oscura.

I calcoli derivabili dall'osservazione di tutti questi fenomeni, portano gli scienziati a ritenere che la materia oscura costituisca all'incirca il 90% della materia effettiva complessivamente presente nell'Universo.
Il problema di stabilire di cosa sia costituita la materia oscura rimane praticamente irrisolto. Vengono semplicemente avanzate delle ipotesi. Una ipotesi è che si tratti di materia diversa dai comuni protoni, elettroni, neutroni, ecc. Ad esempio, si pensa che potrebbe essere costituita (almeno in parte) di neutrini, particelle che, secondo studi recentissimi, sarebbero dotati di massa piccolissima (molto più piccola di quella dell'elettrone). Essendo molto numerosi (permeano l'Universo come se costituissero una radiazione universale) si è pensato a loro come possibili costituenti della materia oscura. Un'altra ipotesi sulla natura di quest'ultima si rifà a particelle ancora non conosciute, la cui esistenza è prevista solo dalle frontiere più avanzate della fisica teorica. Invero gli scienziati ammettono di non saper dire ancora di cosa sia composto la maggior parte della materia dell'Universo.


Il destino dell'universo

E' naturale pensare che l'attrazione gravitazionale tra le galassie si opponga all'espansione dell'Universo. Ricorrendo alla relatività generale è possibile studiare la dinamica della sua espansione. La relatività prevede che un universo in espansione abbia fondamentalmente tre possibili evoluzioni.

Se la densità media r dell'Universo è minore di un valore speciale di densità detto densità critica, rc, (insufficienza della gravità a contrastare l'espansione) si ha un universo aperto, che continuerà a espandersi per sempre, in quanto l'attrazione gravitazionale non riuscirà a rallentare in modo efficace l'espansione.

Se invece la densità media è maggiore della densità critica, (successo della gravità nel contrastare l'espansione), abbiamo a che fare con un universo chiuso, cioè il moto di espansione finirà con essere arrestato dalla gravità. Un Universo di questo tipo giungerà a una espansione massima, in corrispondenza della quale il moto di allontanamento delle galassie cesserà e avrà inizio un moto di avvicinamento delle stesse, per cui, alla fine, tutto l'Universo avrà, proprio come nella sua condizione originale, un raggio nullo (nel gergo cosmologico si tende a chiamare questa situazione: 'big crunch').

Infine, se la densità media della materia è proprio perfettamente uguale alla densità critica, si ha una condizione limite, in cui l'universo continuerà la sua espansione per sempre, ma con velocità sempre minore.


Quanto abbiamo appena detto è illustrato nella figura . Nel diagramma cartesiano, sull'asse delle ascisse sono riportati i tempi, mentre su quello delle ordinate il corrispondente raggio dell'Universo, Rt. La curva marcata con r < rc identifica l'espansione dell'Universo aperto, mentre quella marcata con r > rc identifica l'espansione dell'Universo chiuso. La linea retta tangente alle due curve in uno stesso punto ci permette di affermare che assumendo il valore di 1/H0 quale età dell'Universo (e ciò con la semplificazione di assumere come costante la velocità di espansione) si commette un errore in eccesso.

Siccome secondo la relatività generale la presenza di materia è responsabile della curvatura dello spazio, il valore della densità media r determina anche la curvatura complessiva dell'universo.

Un valore di r < rc  da origine ad uno spazio a curvatura negativa o iperbolica. Al contrario per r > rc si ha uno spazio a curvatura positiva. Infine, come caso particolare, se si ha r = rc, si dice che lo spazio è piatto, cioè euclideo.
















Breve appendice sulla geometria iperbolica nell'arte


Un matematico prestato all'arte o un artista prestato alla matematica?


'Non posso fare a meno di prendermi gioco di tutte le nostre certezze incrollabili. E' molto divertente, per esempio, confondere deliberatamente due e tre dimensioni, il piano e lo spazio e scherzare con la gravità'. (Maurits Cornelis Escher)

L'artista olandese Maurits Cornelis Escher è un geniale creatore di illusioni, di mondi ed oggetti irreali che ad una sommaria occhiata possono ingannare ed apparire reali, rivelando ben presto nascoste sorprese.
Il segreto di quella che può sembrare una fantasia immaginativa fuori del comune, legata, naturalmente, ad una eccezionale capacità grafica, è in verità molto poco fantasioso, sono infatti la matematica, la geometria, la cristallografia, passioni tanto forti in Escher quanto quella artistica.

Molte delle opere di Escher, soprattutto quelle ad impronta apparentemente decorativistica, hanno in realtà alla base il concetto matematico dell'infinito, come 'Limite del cerchio IV', ad esempio, dove sono rappresentati dei pipistrelli stilizzati, tutti della stessa forma, ma che rimpiccioliscono mano a mano che si avvicinano al bordo esterno del cerchio, incastrandosi perfettamente l'uno nell'altro e costituendo essi stessi il limite del proprio 'mondo'.
Ossessionato dal concetto di divisione regolare del piano, Escher studia ed inventa simmetrie di vario tipo, cercando di utilizzare la divisione del piano come mezzo per catturare e fermare il concetto di infinito, realizzando opere in cui la tassellatura può continuare indefinitamente, avendo come sfida finale il contenere l'infinito entro i confini di una sola pagina. Alla base del suo lavoro c' è il concetto della geometria iperbolica, lo spazio iperbolico incentrato sul modello discoidale del matematico francese Henry Poincarè, le geometrie non euclidee del matematico russo Nicolas Lobacevskij e dell'ungherese Bolyai, le tassellature del piano, sintetizzate ed elaborate secondo una interpretazione personale che anticipa di qualche decennio la formulazione matematica del concetto di frattale. Altro esempio di questa sua passione per la rappresentazione dell'infinito è il "Limite del cerchio III" in cui pesci stilizzati si rimpiccioliscono all'infinito raggiungendo il limite del disco.


Le linee, che attraversano ogni pesce, rappresentate in questa litografia non sono altro  che segmenti di geodetiche; esse si possono riprodurre attraverso programmi informatici per la grafica, come "NonEuclid", da me stesso utilizzato per realizzare l'immagine seguente.

Escher fu un grande esempio di come matematica, geometria ed arte possano integrarsi per esplicitare le singolari possibilità insite nella struttura spaziale, grazie ad un intelletto dotato di eccezionali doti intuitive che sapeva indagare e riconoscere nella natura modelli e ritmi nascosti, riconoscendo nelle idee alla base dei suoi lavori, come dice lui stesso, 'una diretta testimonianza della mia meraviglia e del mio coinvolgimento per le leggi della natura che operano nel mondo che ci circonda'.





















Breve appendice su Bergson e il suo rapporto con la relatività

Nel 1922 Henri Bergson dà alle stampe un importante e discusso saggio, Durata e simultaneità. A proposito della teoria di Einstein.

L'opera nasce da una lunga e accorta riflessione sulla Teoria della Relatività ristretta nonché dal tentativo dell'autore di ristabilire un rapporto tra filosofia e scienza.

Punto centrale del suo pensiero è il problema del tempo; da subito si oppone all'idea di tempo spazializzato, che si era affermata in campo scientifico.

Per Bergson l'idea di tempo 'scientifico', calcolabile e reversibile, che si limita a riprodurre l'idea dello spazio geometrico, deve essere rifiutata poiché totalmente inadeguata in quanto ciò che viene misurato non è l'intervallo di tempo in sé, ma solo una porzione di spazio.

Bergson arriva ad affermare che 'l'intervallo di durata non conta dal punto di vista della fisica' e che essa riesce a cogliere solo la proiezione della traiettoria spaziale e non il movimento in sé.

Ciò che registra la durata reale è la singola coscienza per la quale il tempo è inesteso e non divisibile ed eterogeneo, non misurabile ed irreversibile.

La vera durata viene messa in secondo piano ed occultata dalle esigenze dell'azione e della comunicazione sociale; inoltre la comune idea di spazio influenza a nostra insaputa anche la vita interiore; 'proiettiamo il tempo nello spazio [] e la successione prende per noi la forma di una linea continua', mentre solo a tratti riconosciamo la caratteristica peculiare della nostra coscienza: il flusso di coscienza.

La teoria della relatività introduce dei tempi che non sono e non possono percepiti, sopprime cioè la coscienza. I tempi multipli introdotti dalla relatività sono, secondo l'acuta analisi di Bergson, tempi  completamente slegati da qualsiasi esperienza umana, attuale o possibile. Essa comporta tutta una serie di paradossi che la rendono difficile e misteriosa. Uno di essi è il paradosso dei gemelli, presentato nel 1911 da Paul Langevin. Esso suppone che un osservatore, posto su «una palla di cannone», viaggi ad una velocità prossima a quella della luce. Si immagina, inoltre, che il viaggiatore parta dalla terra e si allontani per un anno, dopodiché inizi, sempre alla stessa velocità (e senza perdere nemmeno un istante per invertire la direzione di marcia), il viaggio di ritorno sulla terra.

Al suo arrivo - secondo Langevin - il viaggiatore troverà suo fratello gemello - rimasto immobile sulla terra - invecchiato di duecento anni; questo perché - in accordo con la teoria della Relatività -l'intervallo di tempo di un individuo in viaggio è diverso da quello di una persona immobile.  Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra i due fratelli: quello sulla terra è un osservatore inerziale mentre il viaggiatore non lo è poiché inverte la marcia per tornare sulla Terra.

Il paradosso descritto è comunque stato provato scientificamente all'inizio degli anni '70, che ha consentito di misurare la dilatazione temporale. Due orologi atomici straordinariamente precisi sono stati sincronizzati; uno dei due è stato collocato a bordo di un velocissimo jet, mentre l'altro è rimasto a Terra. Al ritorno del volo, l'orologio sull'aereo era in ritardo rispetto a quello a Terra; naturalmente il ritardo era minimo perché la velocità di un aereo è molto piccola rispetto a quella della luce, tuttavia è stato possibile misurarlo. Il tempo, perciò, scorre in modo diverso se misurato in sistemi di riferimento diversi. Questo fatto è davvero sorprendente e rappresenta uno dei risultati più importanti della fisica einsteiniana.


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