ENEA
Sono molte le attestazioni di antipatia, di ripugnanza, di
riprovazione, di condanna per Enea, nel modo in cui si comporta verso la regina
cartaginese. Nei commentatori e nei critici si legge infatti che Virgilio ha
rappresentato Enea con virtù poetica assai minore di quanta non ne abbia
adoperato per Didone: questa viva e concreta, l'altro astratto, freddo,
stilizzato, monocromo, rudimentale e arcaicizzante; ma Enea, in rapporto a
Didone, sta benissimo come sta nel IV libro dell'Eneide, e Virgilio lo volle
così, meschino, odioso e spregevole. Virgilio, certamente, non prende parte
contro di lui e anzi, semmai, cerca di difenderlo e di metterlo in buona luce;
ma allo stesso tempo non lo risparmia, e lo ritrae nei soli atti e con le sole
parole che gli si confanno. Nell'inizio e nel corso dell'amore per Didone Enea
è passivo; mentre lei vive solamente dell'amore che nutre per lui, egli si
lascia amare, di un amore che lo riposa
dei lunghi e travagliati viaggi per terra e per mare compiuti prima di
arrivare a Cartagine; e quando Giove gli impone di partire intravede appena,
nelle cose che dovrà lasciare, non il viso della donna amata, ma le dolci terre
che lo anno ospitato.
Nel suo egoismo una lotta passionale non solo
non ha luogo, ma non si affaccia nemmeno al suo cuore, nel quale mancano le
condizioni di questa lotta, perché egli non ama e non ha ma veramente amato
Didone. Il suo problema è soltanto sul come se la caverà, come ne uscirà senza
pericolo suo e dei suoi e col minor fastidio, e come annuncerà la sua partenza
a Didone; e qui la cosa migliore che trova da fare è nascondere i mezzi della
partenza a Didone, e di aspettare il momento più opportuno di comunicare la
cosa alla regina. Il suo piano non gli riesce però pienamente, perché, se egli
è prudente e cauto, la regina ha la pronta percezione dell'anima amante, e
perciò è costretto ad affrontare il colloquio che voleva schivare o ritardare:
un colloquio che da parte di Didone è un disperato e vano tentativo di
convincere Enea a non partire, ma da parte di lui, è un continuo non
rispondere, non guardarla in volto, biascicare poche parole, che sono volgari,
stupide e sgarbate. Alla regina cade
allora come un velo dagli occhi: vede quel che finora non aveva visto, e
capisce che egli è capace di essere addolorato, di sentire un grande amore, di
volere e non sapere come consolare l'afflitta, ma solo per convenienza; e
intanto non rifiuta di affrettare la partenza per togliersi il fastidio di
guardare ancora il volto addolorato ma pieno d'odio di Didone.
Adesso io mi domando: perché mai l'eroe
doveva entrare, ingannatore e devastatore, nella vita amorosa di una donna,
perché partecipare a una vicenda passionale ed essere colui che ripaga l'amore
con l'abbandono, la dedizione con la disperazione e la morte? Bastava solamente
che si astenesse dalla passione, e che si dedicasse totalmente alle imprese
eroiche, lasciando così in pace Didone, per non essere considerato un uomo
odioso, meschino e spregevole, ma soprattutto per non dimostrarsi così
vigliacco da indurre una povera donna a nutrire qualche speranza sul seguito
del suo amore verso di lui.