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Bergson e la nuova concezione del tempo
Il pensiero di Bergson si caratterizzò per l'attenzione dedicata al concetto di tempo, rispetto al quale egli distinse fra due approcci possibili.
Il tempo della scienza indica la nozione utilizzata dai ricercatori nella teoria scientifica e nella pratica sperimentale. È un tempo che gode delle proprietà di essere: oggettivo, esterno e indipendente dal soggetto umano; quantitativo, perché ogni momento è sempre uguale a tutti gli altri; geometrico, cioè immaginabile come una sequenza infinita di stati uniformi; meccanico e spazializzato, ossia misurato tramite la dimensione spaziale. Secondo Bergson si può paragonare questa concezione del tempo a una collana di perle, tutte uguali e distinte fra loro.
Il tempo della vita, quello vissuto dagli individui, è qualitativo: quando si è annoiati, certe ore sembrano non passare mai; altri istanti invece appaiono lunghi come un'eternità. Il tempo vissuto è denso di significato, ha sempre un sapore particolare per il soggetto; non per nulla possediamo un termine specifico, noia, per designare quella sofferenza che nasce quando non si riesce a dare un senso al tempo. Nell'esperienza di vita questo tempo psicologico è soggettivo e non separabile dalla memoria del passato e dall'anticipazione del futuro. Per il singolo individuo esso è un intervallo temporale concreto e psicologicamente variabile, in cui si svolgono gli eventi della vita. La riflessione di Bergson ebbe un impatto notevole sulla cultura e sulle arti visive in particolare.
La durata reale esprime l'intima essenza della coscienza. Ma che rapporto intercorre tra vita interiore del soggetto, che sente in sè il flusso della memoria, ' l'inafferrabile progresso del passato che fa presa sul futuro ' e realtà dell'universo in cui l'uomo vive? In primo luogo, bisogna notare che la percezione tramite la quale l'uomo conosce il mondo e opera su di esso comporta un riferimento alla dimensione della memoria: percepiamo e agiamo in base a interessi e bisogni che si collocano nel passato rispetto alla percezione-azione e questi interessi, a loro volta, sono condizionati da esperienze (ossia percezioni) precedenti.
A questo punto, Bergson distingue tra due tipi di memoria: la prima é la memoria-abitudine, che presiede ai meccanismi motori; la seconda é la memoria pura, che contiene i 'ricordi indipendenti' e coincide con la durata reale della coscienza. Quando compiamo un'azione meccanica (recitare una poesia a memoria) ci serviamo della memoria-abitudine; quando pensiamo a momenti di storia personale facciamo appello alla memoria-pura. La memoria-abitudine ricade interamente nell'ambito dell'organismo: é l'insieme dei meccanismi con cui esso rielabora una risposta a certi stimoli. La memoria pura rappresenta la sostanza spirituale della coscienza, identificandosi con quella durata reale in cui la coscienza si risolve. Ma allora sorge un problema: quale di queste due differenti memorie subentra nella percezione corporea?
Naturalmente la prima ad essere direttamente chiamata in causa é la memoria-abitudine, che determina le risposte motorie adeguate alla situazione sulla base delle esperienze passate e tradotte dall'organismo in meccanismi automatici. Ma, in realtà, i contenuti specifici della memoria-abitudine non sono altro che una selezione di alcuni tra gli innumerevoli ricordi ospitati dalla memoria pura. Tra le due forme di memorie vige dunque un intimo rapporto di connessione. Da una parte, dall'inesauribile serbatoio della memoria pura provengono i ricordi necessari alla memoria-abitudine per permettere l'attivazione dei meccanismi motori in cui si ha la percezione. Dall'altra parte, é grazie alla memoria-abitudine che alcuni 'ricordi puri' vengono recuperati, riportati in superficie e materializzati in 'ricordi-immagine', a loro volta causa immediata delle risposte motorie. Non vi é dunque alcuna soluzione di continuità nel processo che va dai ricordi puri, ubicati nella memoria fondamentale che coincide con la nostra coscienza spirituale, ai 'ricordi-immagine', con cui agisce la memoria meccanica dell'abitudine e, tramite essi, all'esito finale della percezione. La memoria-abitudine, espressione meramente organico-materiale dell'attività mentale e riconducibile ai processi associativi del cervello, non é dunque del tutto autonoma, ma dipende da quella memoria importantissima che coincidendo con la durata reale della coscienza é indipendente dall'ambito della materia e rientra interamente nelle regioni dello spirito. In questo modo Bergson intendeva dimostrare l'impossibilità di ridurre la vita psichica e i processi mentali all'attività cerebrale. E la conclusione cui Bergson perviene é la seguente: ' In una coscienza c'é infinitamente di più che nel cervello corrispondente ' .
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