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Udito umano e onde sonore




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UDITO UMANO E ONDE SONORE


In questa parte analizzeremo l'importanza che l'udito umano occupa nella percezione sonora per meglio comprendere come le armoniche non fisiche e proprie della musica elettronica si formino all'interno dell'orecchio.

L'uomo, nei suoi rapporti con l'ambiente, avverte continuamente dei suoni e dei rumori; anzi, di questa facoltà egli soprattutto si serve per una più perfezionata comunicazione con i suoi simili.

Questo fenomeno, apparentemente reso banale dall'abitudine, ha imposto in realtà alla natura la soluzione di numerosi e complessi problemi tecnici.

Vediamo innanzitutto che cosa è il suono dal punto di vista fisico.


Se, per esempio, facciamo urtare tra loro due pezzi di ferro, si produrranno in essi delle vibrazioni e nelle zone d'aria più vicine si verificherà, ad ogni vibrazione, un addensamento di molecole, seguito immediatamente da una rarefazione. Ogni addensamento e rarefazione si trasmettono poi alla zona immediatamente circostante, e così via di seguito.

In altre parole, si realizza la formazione di un'onda che si propaga tutt'intorno e che, quando giunge al nostro orecchio, viene percepita come suono.

Quindi, il suono è un'onda, più o meno complessa, più o meno regolare, dovuta alle vibrazioni delle molecole di un 'mezzo' (che, nel nostro caso, è rappresentato dai gas dell'aria). Da ciò deriva che laddove ci sia il vuoto assoluto non potrà essere udito alcun suono o rumore.


La musica, dunque, è fatta di onde.

Quando un chitarrista pizzica una corda, questa vibra ad una certa frequenza e crea un'onda sonora. Questa, viaggiando attraverso l'aria, arriva all'orecchio, o meglio arriva a quella parte chiamata orecchio esterno (costituita dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo esterno), dove fa vibrare la sottile membrana del timpano. La vibrazione del timpano si trasmette a sua volta alla catena dei tre ossicini dell'orecchio medio (martello, incudine e staffa): i loro movimenti sono amplificati venti volte e si trasmettono all'orecchio interno.

Qui, in una piccola struttura detta coclea (o chiocciola), hanno sede migliaia di cellule cigliate (circa ventimila per ciascun orecchio) capaci di dividersi i compiti: alcune lavorano con i suoni forti, altre con i deboli. Le cellule cigliate sono responsabili di una nuova traduzione dei suoni, da vibrazioni a impulsi elettrici, che tramite le sottili fibre del nervo cocleare arrivano all'area uditiva del cervello, dove finalmente si ha la vera percezione dei suoni.

Insomma, tutto quello che noi sentiamo lo possiamo sentire perché qualcosa sta vibrando e sta creando onde sonore.

In una tromba, è una colonna di aria. In una chitarra elettrica, le corde vibranti inviano un segnale attraverso l'amplificatore, il quale causa la vibrazione del cono dell'altoparlante nello stesso modo della sequenza originale. Quando noi parliamo o cantiamo sono le nostre corde vocali a vibrare.




I suoni



Abbiamo ormai capito che i suoni sono fenomeni fisici di carattere ondulatorio che stimolano il senso dell'udito. Le vibrazioni sonore percepibili dall'uomo si collocano a frequenze comprese tra i 15 e i 20.000 hertz (approfondiremo poi l'argomento delle frequenze).

Il significato del termine 'suono' è però stato esteso dai fisici moderni anche a fenomeni ondulatori che si verificano in campi di frequenza situati al di fuori del campo di udibilità dell'orecchio umano ed in particolare ai suoni di frequenza superiore ai 20.000 hertz, che sono detti ultrasuoni.


Il suono è costituito da onde meccaniche longitudinali: le molecole del mezzo in cui si propagano si muovono parallelamente alla direzione di propagazione dell'onda. Un'onda sonora che viaggi attraverso l'aria non è altro che una successione di rarefazioni e compressioni di piccole porzioni d'aria; ogni singola molecola trasferisce energia alle molecole adiacenti e, dopo il passaggio dell'onda, ritorna pressappoco nella sua posizione iniziale.


Qualunque suono semplice, come quello di una nota musicale, è descritto da tre diverse caratteristiche percettive: l'altezza, l'intensità e il timbro.

Queste caratteristiche corrispondono rispettivamente a tre grandezze fisiche: frequenza, ampiezza e spettro.


Frequenza  >>>>>>>>  Altezza

Ampiezza  >>>>>>>>>  Intensità

Spettro  >>>>>>>>>>> Timbro



Onde sonore di uguale frequenza e diversa intensità

Onde sonore di uguale intensità e diversa frequenza



Il rumore, invece, è un suono complesso, dato dalla sovrapposizione casuale di frequenze diverse, non armonicamente correlate, che quindi non può essere descritto da questi tre parametri.


La lunghezza d'onda è la distanza tra due punti corrispondenti dell'onda sonora: nell'esempio in figura è la distanza tra due picchi (creste) successivi dell'onda, ma può anche essere tra due punti più bassi (ventri) successivi, ecc. In altre parole, la lunghezza d'onda può essere definita come la distanza percorsa da un'onda nell'intervallo di tempo di un periodo, o equivalentemente, distanza tra due punti consecutivi e di uguale fase di un'onda, oppure ancora come la distanza tra due creste o due ventri successivi.

Dalla lunghezza d'onda si determina la frequenza.


La frequenza di un'onda si riferisce a quante volte al secondo l'onda passa dal suo punto più alto al suo punto più basso e di nuovo al punto più alto. In altre parole, la frequenza è il numero di oscillazioni complete che l'onda compie nell'unità di tempo (di solito, in un secondo). Per oscillazione completa si intende il passaggio dell'onda dal suo punto zero al picco massimo, poi di nuovo al punto zero, al punto minimo e ancora al punto zero.

La frequenza è quindi il numero di queste oscillazioni, misurato tipicamente in Hertz (Hz), dal nome del fisico tedesco H.R. Hertz (1857 - 1894), o cicli per secondo.

Per quantificare i fenomeni ad alta frequenza si impiegano generalmente i multipli dell'hertz: il kilohertz (kHz), pari a mille cicli al secondo, il megahertz (MHz), pari a un milione di cicli al secondo, e il gigahertz (GHz), pari a un miliardo di cicli al secondo.


La frequenza di un'onda determina l'altezza di un suono (in inglese, pitch), cioè la tonalità audio del suono. Maggiore è la frequenza, più alto è il suono percepito. Più precisamente, i suoni gravi hanno una frequenza dell'ordine delle decine di hz, mentre i suoni più acuti hanno una frequenza dell'ordine delle migliaia di hz.

Come abbiamo già ricordato, in media l'orecchio umano riesce a percepire frequenze comprese tra 15 Hz e 20.000 Hz (20 kHz).

L'altezza, in musica, è quindi l'elevazione di un suono, determinata dalla rapidità delle vibrazioni che lo producono.


La frequenza delle onde sonore è la grandezza fisica su cui si basa l'organizzazione dei suoni in scale musicali e la teoria dell'armonia.

L'intervallo che separa due note con frequenze l'una il doppio dell'altra viene chiamato 'ottava'.

L'intervallo di un'ottava è suddiviso a sua volta in sette intervalli di frequenze, corrispondenti alle sette note musicali.

Ogni coppia di note consecutive è caratterizzata da un rapporto di frequenze ben definito; ad esempio, il rapporto tra la frequenza del RE e quella del DO è uguale a quello tra il SOL e il FA e corrisponde a un tono; il rapporto tra il FA e il MI, invece, come quello tra il DO e il SI, corrisponde a un semitono.

Più in generale, ad ogni intervallo compreso fra due note qualsiasi corrisponde un rapporto di frequenze dato: ad esempio, una quinta rappresenta l'intervallo fra due note che hanno un rapporto di frequenze di 3/2; una terza maggiore corrisponde al rapporto di frequenze 5/4.


Una legge fondamentale dell'armonia afferma che due note emesse contemporaneamente producono un suono eufonico, ovvero armonioso all'orecchio, se le loro frequenze distano di un'armonica; per estensione, un accordo di più note è eufonico se le frequenze delle note stanno in rapporti di piccoli numeri interi. In caso contrario si produce una dissonanza.



L'ampiezza di un'onda sonora rappresenta il massimo spostamento, rispetto alla posizione di equilibrio, che le molecole del mezzo di propagazione compiono al passaggio dell'onda. Essa è dunque il valore massimo che l'onda raggiunge nel tempo e si riferisce a metà della distanza tra il punto più alto di un'onda e il suo punto più basso.

Al crescere dell'ampiezza, aumenta la forza con la quale viene colpito il timpano dell'orecchio e quindi l'intensità con cui il suono è percepito.


Dall'ampiezza dipende quindi l'intensità (volume) del suono, vale a dire il rapporto tra la potenza trasportata dall'onda e la superficie su cui essa incide. Più è grande l'ampiezza di un'onda e più risulta alto il suo volume.

L'unità di misura di questa grandezza nel Sistema Internazionale è il watt/m2.

Più comunemente, però, in acustica si suole esprimere l'intensità dei suoni tramite una grandezza fisica ad essa collegata: il decibel (dB), unità di misura su base logaritmica.

L'impiego dei logaritmi è particolarmente adatto quando si deve quantificare l'intensità dei suoni percepibili dall'orecchio umano, dato che questo percepisce i rumori proprio secondo una scala logaritmica.

Il dB è definito come il logaritmo in base 10 del rapporto tra l'intensità effettiva del suono e un'intensità fissa di riferimento (normalmente si usa la più bassa intensità udibile). Il decibel corrisponde, quindi, al logaritmo della pressione sonora avvertita dal timpano in rapporto a un valore di riferimento di 0 dB e corrispondente, in pratica, a un suono con frequenza pari alla soglia di percezione dell'orecchio umano.


Un raddoppio dell'intensità percepita corrisponde a un aumento di 10 volte dell'intensità effettiva del suono.

In altre parole, ogni aumento di 10 dB corrisponde ad un raddoppio del volume.


A valori di oltre 120 dB il suono determina fastidio.

A valori di oltre 138 dB il suono determina dolore.



Il timbro è il 'colore' caratteristico di un suono. La qualità timbrica di un dato suono vocale o strumentale è determinata dal modo in cui quel suono è prodotto (per percussione, soffiando ecc.) e dal modello caratteristico degli armonici, relativamente forti e deboli, che ciascun suono genera. Questi due aspetti si percepiscono soprattutto nell'attacco (l'inizio) della nota, che è la parte più distintiva di ogni suono. La parte sostenuta di una nota è meno facile da distinguere e può capitare, ascoltando una nota tenuta a lungo, di scambiare perfino uno strumento a corde con uno a fiato e viceversa.


LE ARMONICHE


Secondo il Teorema di Fourier qualsiasi onda può essere considerata come la somma di un insieme di onde, di cui la prima è detta fondamentale (o formante) e le onde successive prendono il nome di armoniche.

Infatti, fino a questo punto ho parlato praticamente solo dei toni puri, cioè dei suoni semplici, monofrequenziali, che però sono quasi sconosciuti in natura, dove, invece sono presenti i suoni complessi (costituiti dalla presenza contemporanea di più suoni semplici). I suoni puri si riscontrano nell'ambito della musica elettronica e questi se pur privi di armoniche (onda sinosuidale pura), vengono percepiti con un determinato timbro per via dell'effetto di completamento psicoacustico, che si manifesta grazie alle deformazioni non lineari dell'orecchio umano e che permettono quindi la separazione in intervalli della formante che viene percepita con un suo particolare timbro. Nel linguaggio parlato, nella musica e nel rumore è raro percepire toni puri poiché una nota musicale contiene, oltre alla frequenza fondamentale, anche le armoniche successive.

Il parlato comprende un gran numero di suoni complessi, alcuni dei quali (ma non tutti) in relazione armonica tra loro. Il rumore è costituito da una mescolanza di frequenze anche molto diverse (paragonabile alla luce bianca, che è la combinazione di tutti i colori) e rumori diversi si distinguono per il diverso peso delle varie frequenze componenti per cui la loro descrizione può avvenire solo  valutandone lo spettro e cioè il peso in dB di ciascuna frequenza componente.


Le armoniche sono frequenze multiple della frequenza fondamentale (la formante) e di minore ampiezza (intensità). Ad esempio, se il LA fondamentale vibra a 440 kHz, la seconda armonica avrà frequenza di 880 kHz, la terza 1760 kHz, e così via.

Il numero delle armoniche ed i loro rapporti di intensità determinano il timbro, cioè la ricchezza del suono. Come abbiamo già detto (e come ovviamente tutti sappiamo), si possono distinguere le stesse note emesse da sorgenti differenti. E' la presenza delle armoniche, con le loro rispettive intensità, che ci permette di distinguere un DO emesso da un violino da quello emesso da una sirena.

Mentre il LA emesso dal diapason ha una frequenza pari esattamente a 440 Hz, quello prodotto dal violino o dal pianoforte ha come componente di frequenza dominante sempre quella fondamentale (di 440 Hz), ma contiene anche armoniche, cioè suoni di frequenze multiple: 880, 1320, 1760 Hz ecc..




ANALOGICO E DIGITALE


La comunicazione analogica si basa sulla somiglianza (analogia) tra la grandezza comunicata e il dato da comunicare, mentre la comunicazione digitale trasmette l'informazione dopo averla codificata in una stringa di cifre di un sistema numerico opportunamente scelto.

La comunicazione analogica è utilizzata da tutti gli strumenti che trasmettono una grandezza il cui valore varia con continuità e che rispecchia un'analoga variazione continua della grandezza che si vuole rappresentare.

Ad esempio, è analogica la comunicazione del tachimetro di un'autovettura, di un termometro a mercurio o di un orologio a lancette, che mostrano dati variabili con continuità, seguendo, rispettivamente, le variazioni continue di velocità, temperatura e tempo.

I segnali analogici, dunque, consistono in una tensione elettrica che segue nel tempo l'andamento del segnale originale. Nei segnali audio la tensione elettrica è molto simile all'andamento dell'onda sonora originale (molto simile, non identica, perché vi è sempre l'introduzione di una quota di distorsione e di rumore, non presenti nel segnale originale).


Nel caso dei segnali digitali invece, il segnale viene rappresentato da una serie di numeri, ciascuno dei quali rappresenta il valore della pressione istantanea in un dato istante.

I dispositivi basati sul sistema di comunicazione digitale rappresentano, per mezzo di un codice in cifre, i valori delle grandezze da trasmettere, anche se queste variano con continuità. Utilizzano quindi la campionatura di tali grandezze a successivi intervalli di tempo, molto ravvicinati, e la codifica dei valori campionati in un sistema numerico prefissato.

Ad esempio, sono dispositivi basati sulla comunicazione digitale il contachilometri di un'autovettura o l'orologio munito di display a cristalli liquidi, che convertono in cifre, rispettivamente, una distanza o lo scorrere del tempo. Questi dispositivi aggiornano l'informazione mostrata a tempi discreti, effettuando comunque un'approssimazione rispetto alla reale variazione della grandezza in questione.


Benché la natura umana sia meglio disposta a relazionarsi con il formato analogico dei segnali, motivi di economicità e rapidità della comunicazione, accompagnati da un rapido e intenso progresso tecnologico nel campo dell'elettronica, hanno portato nell'ultimo decennio la forma digitale di comunicazione a prendere il sopravvento su quella analogica.

Già all'epoca della II Guerra mondiale erano in corso sperimentazioni sull'audio digitale, con conversioni di onde sonore analogiche in valori discreti. Questi studi furono portati a termine 'campionando' l'onda sonora molte volte al secondo. Ogni campione registrava l'ampiezza dell'onda in quel punto (incluso se l'onda era 'su' o 'giù').


Il processo di conversione da analogico a digitale inizia con l'ingresso di segnali audio analogici. L'intensità del segnale è misurata a intervalli di tempo discreti, ma abbastanza ravvicinati da permettere la ricostruzione fedele del segnale: il numero di volte in cui un segnale audio in ingresso è misurato in un determinato periodo di tempo è definito frequenza di campionamento (in inglese, sample rate o sample frequency).

Questi intervalli devono essere sufficientemente brevi da distinguere le frequenze del suono udibili. Un importante aspetto è che si tratta di numeri interi, cioè che non hanno una parte decimale. Questi numeri costituiscono quindi un insieme discreto: non è possibile rappresentare tutti i valori, ma solo quelli che corrispondono a un intero. Invece i segnali analogici non sono discreti, ma continui. Allora al momento di misurare l'ampiezza di ogni gradino questa dovrà essere approssimata ad un intero, commettendo così un errore più o meno grande.



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