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Apollo, Dioniso e la Musica




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Apollo, Dioniso e la Musica



Introduzione

"Nel canto e nella danza l'uomo si palesa come membro di una comunità superiore: egli ha disimparato a camminare e a parlare, e danzando è in procinto di volarsene via nell'aria. Nei suoi atteggiamenti parla la magia. E come frattanto gli animali ora parlano e la terra dà latte e miele, così anche da lui risuona qualcosa di soprannaturale: egli si sente come un dio, e ora egli stesso incede rapito e sublime, come vide in sogno incedere gli dèi. L'uomo non è più artista, è divenuto egli stesso opera d'arte" (Nietzsche, "La Nascita della Tragedia")

La Nascita della tragedia

La Nascita della Tragedia dallo Spirito della Musica (Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik, 1872) è la prima opera matura di Friedrich Wilhelm Nietzsche, dedicata al musicista Richard Wagner. È un libro filosofico, filologico, e inoltre presenta una "metafisica da artisti": a tale proposito riportiamo alcune frasi scritte dallo stesso Nietzsche nel "Saggio di un'autocritica", prefazione che sostituì nell'edizione del 1886 la "Prefazione a Wagner" delle precedenti edizioni.

"Un libro per iniziati, quasi una "musica" per quelli che, battezzati alla musica, sono legati fin dal principio a comuni e peregrine esperienze artistiche; quasi un segno di riconoscimento per i fratelli in artibus: un libro orgoglioso ed entusiastico che fin da principio si tiene lontano dalle "persone colte" anche più che dal profanum vulgus"

"ricorre sovente la tesi allusiva, che l'esistenza del mondo non si giustifica altrimenti che come fenomeno estetico"

"un dio artista affatto istintivo e amorale, che nel costruire come nel distruggere, nel bene come nel male, intende uniformarsi al suo capriccio e alla propria gloria di dominio, e che, creando mondi, si libera dalle pastoie della pienezza e dell'esuberanza e dalla pena delle contraddizioni che in lui si avviluppano"

"Tornerà forse come indecoroso il veder preso tanto sul serio un problema estetico, ove non siano in grado di riconoscere nell'arte nulla più che un piacevole superfluo, che un accompagnamento di sonagli alla "serietà dell'esistenza" cui si può ben rinunziare: quasi che poi nessuno sapesse cosa significhi, in questa contrapposizione, la "serietà dell'esistenza"."

Il filosofo tedesco esamina in questa opera l'origine della tragedia greca, che egli individua nel solo coro ditirambico (il ditirambo era una composizione poetica corale, dove poesia, musica e danza erano fusi insieme e tutti e tre indispensabili in ugual misura; una danza collettiva eseguita in circolo da cinquanta danzatori incoronati da ghirlande, nella quale il solista rappresentava lo stesso Dioniso, mentre i coreuti lo accompagnavano con lamentazioni e canti di giubilo). Successivamente a questo vengono aggiunti gli attori e il dramma "vero e proprio". Egli osserva nell'arte greca (e in ogni successiva manifestazione artistica) la presenza di due istinti, l'apollineo e il dionisiaco. Egli parla talvolta di questi due spiriti in termini di "ottimismo" e "pessimismo" (da cui il sottotitolo dell'opera "ovvero grecità e pessimismo"). La tragedia è nata dallo spirito dionisiaco, e ha raggiunto il suo massimo splendore quando i due impulsi risolvono il loro contrasto e sono presenti in eguale misura. In seguito, a partire dall'opera di Euripide, improntata a una sorta di naturalismo e influenzata fortemente dalle idee di Socrate ("il socratismo estetico, la cui legge sovrana suona a un dipresso così: "Per essere bello, tutto dev'essere intelligibile"; che è il principio parallelo all'aforisma socratico: "Solo chi sa è virtuoso"."), la tragedia greca soffre un progressivo allontanarsi dell'originario spirito dionisiaco e un prevalere dell'apollineo ("chi potrebbe disconoscere nell'essenza della dialettica l'elemento ottimistico, che in ogni conclusione celebra la sua festa gioconda, e può respirare soltanto nella fredda chiarezza e consapevolezza"), e questo causa la sua "morte": dopo Euripide essa è ridotta a un "epos drammatizzato: un dominio artistico apollineo, nel quale non è certamente dato di raggiungere l'effetto tragico". A proposito di Socrate Nietzsche scrive queste parole: "Laddove in tutti gli uomini produttivi proprio l'istinto è la forza creativo-affermativa e la coscienza si rivela critica e dissuadente, in Socrate invece il critico è l'istinto e il creatore è la coscienza: una vera mostruosità per defectum!". Si narra che Socrate durante la sua prigionia vedesse di frequente in sogno un'apparizione, che lo ammoniva in tal modo: "Socrate, esercitati nella musica!".

I due spiriti dell'arte

"lo sviluppo dell'arte è legato alla duplicità dell'apollineo e del dionisiaco, nel modo medesimo come la generazione viene dalla dualità dei sessi in continua contesa tra loro e in riconciliazione meramente periodica."

"nel mondo greco esiste un enorme contrasto, enorme per l'origine e per il fine, tra l'arte plastica, quella di Apollo, e l'arte non figurativa della musica, che è propriamente quella di Dioniso."

Apollineo

Apollo, dio olimpico della divinazione, delle arti e delle scienze, soprattutto della musica e della medicina; dio del castigo, protettore della flora, degli armenti, delle case e dei loro abitanti; anche dio del sole; bel giovane, figlio di Zeus e di Leto o Latona, fratello gemello di Artemide. Presenta spesso tratti assai crudeli. Ciò è in relazione con il compito assegnatogli da suo padre Zeus: il dio infatti doveva punire le azione ingiuste compiute dagli umani e garantire la giustizia. Le qualità attribuite ad Apollo come dio delle belle arti e specialmente della musica e della poesia sono legate alla predilezione di Apollo per la lira e al suo insegnamento di musica e poesia impartito alle Muse sui monti Parnasso ed Elicona presso Delfi. La tradizione vuole che Apollo abbia avuto un'incredibile quantità di rapporti amorosi infelici. Fu considerato il più nobile fra gli dei olimpici e anche quello dotato del carattere più esemplare: egli infatti incarnava la bellezza, il dominio di sé, la moderazione e l'armonia, e si contrapponeva al male e all'ingiustizia. Pare che la musica di Apollo eccitasse gli dei olimpici. In scultura, a partire dal IV secolo a.C. Apollo incarnò (accanto a Dioniso e a Ermes) la quintessenza della giovane bellezza maschile (il cui corrispondente femminile è Afrodite). Gli attributi del dio sono la lira, l'arco e le frecce, e talvolta anche il treppiede, l'onfalo (un oggetto simbolico che contrassegnava un luogo sacro, emblema del 'centro del mondo', il metafisico punto immobile dal quale la realtà si manifesta; il più famoso era quello del tempio di Apollo, a Delfi, rappresentato da un cono di marmo) e il grifone (un uccello sacro). Le statue di Apollo hanno un corpo slanciato e maschile, ma talvolta presentano tratti quasi femminei.

Apollineo è per Nietzsche il mondo del sogno. "La bella parvenza dei mondi del sogno, nella cui creazione ogni uomo è perfetto artista, è il presupposto di ogni arte figurativa". Il suo primo "ingenuo" cantore è stato Omero. In sogno l'uomo gode di un mondo perfetto, ordinato, tutto ha un fine e un perché; tuttavia, anche nella massima intensità del sogno, in fondo sentiamo che esso è solo apparenza. Il sogno è insomma una bella illusione, ma pure sempre un'illusione. Il sogno ha pertanto un limite (che può essere assimilato al velo di Maia di cui ci parla Schopenhauer): "quella linea sottile, che l'immagine sognata non può oltrepassare senza avere effetto patologico; altrimenti l'apparenza ci ingannerebbe come una realtà grossolana: quel senso adeguato del limite, quella immunità dalle commozioni sfrenate, quella sapiente pacatezza del dio delle forme. L'occhio di lui, conformemente all'origine, dev'essere "sereno come il sole"; anche quando si adira e guarda accigliato, splende intorno a lui la santità della bella apparenza."

Dionisiaco

Dioniso, dio del vino, della fertilità e dell'estasi; figlio di Zeus e Semele. Nei suoi lontani viaggi che lo portarono fino in India, Dioniso era accompagnato dalle Menadi o Baccanti. Queste "donne invasate" prendevano parte a riunioni e riti misteriosi (thiasos) in onore della loro divinità: si abbandonavano all'ekstasis (cioè all'uscire fuori di sé) che Dioniso infondeva e raggiungevano lo stato di enthusiasmos (l'essere pieno di Dio) per mezzo di danze selvagge. Come segno della loro appartenenza a Dioniso ne portavano l'attributo, il tirso, un bastone con avviluppate edera e vite. Del seguito di Dioniso facevano inoltre parte i Satiri e i Sileni, tra i quali si distingueva soprattutto Sileno, educatore di Dioniso. Dioniso doveva spesso scontrarsi sia con il disprezzo e il dubbio circa la sua origine divina (le sorelle di Semele - Ino, Agave e Autonoe - dopo la sua morte sparsero la voce che ella si sarebbe soltanto vantata di essere l'amante di Zeus, mentre viceversa ella avrebbe avuto soltanto una relazione con un mortale), sia con l'opposizione al suo culto orgiastico. Il re tracio Licurgo lo cacciò dal suo regno e il dio cercò rifugio in mare presso Teti. La storia più conosciuta sul tema dell'avversione a Dioniso è la trama della tragedia Le Baccanti di Euripide, il quale insiste molto sulla pericolosità dell'estasi e della seduzione esercitata dai misteri. Nell'arte figurativa l'immagine di Dioniso è talvolta quella di un uomo autorevole, alto, vestito e con la barba, talaltra quella di un fanciullo nudo, effeminato, in certi casi ubriaco. Anche in questo si constata la contrapposizione con Apollo, il dio della misura e della ragione, il quale appare invece giovane, atletico e fiero. Dioniso è in mezzo a tralci di vite o di edera, ha con sé il tirso, un calice di vino in mano, è vestito con una pelliccia di pantera sulle spalle e ha accanto gli animali a lui consacrati (la pantera e la capra).

Dionisiaco è per Nietzsche il mondo dell'ebbrezza. È l'impulso profondo e primordiale della natura, che mette l'uomo in grado di percepirne i misteri più profondi e terribili, e di diventare tutt'uno con essa. È disordine, caos, estasi. "Il mostruoso orrore da cui l'uomo è assalito, quando d'improvviso perda la fiducia nelle forme conoscitive del fenomeno, per il fatto che il principio di causa sembra che in taluna delle sue manifestazioni soffra eccezione. Se accanto a questo orrore poniamo il rapimento gioioso, che per l'infrangersi stesso del principium individuationis sale dal fondo intimo dell'uomo, anzi dalla natura, noi ci formiamo un'idea dell'essenza del dionisiaco, che ci è resa anche più accessbile mercè il paragone con l'ebbrezza. Quei commovimenti dionisiaci, che crescendo sommergono in completo oblio il senso soggettivo, sorgono o per effetto delle bevande narcotiche, delle quali tutti gli uomini e i popoli primitivi parlano in termini ditirambici, oppure per la potenza della primavera, il cui approssimarsi compenetra di allegrezza l'intera natura."

"Ma in verità l'eroe è il Dioniso sofferente dei misteri, è il dio che prova su di sé i dolori dell'individuazione, il dio di cui i miti meravigliosi raccontano, che fanciullo fu fatto a pezzi dai titani, e in quello stato lo adorarono con il nome di Zagreo: donde si fa capire che codesto smembramento, in cui consiste la vera e propria passione di Dioniso, è semplicemente la trasformazione in aria, acqua, terra e fuoco; e che dunque dovremmo considerare lo stato dell'individuazione come la fonte e la causa originaria di tutto il patire, come alcunchè di rifiutabile per se stesso. Dal riso di codesto Dioniso sono nati gli stessi dèi olimpici, dal pianto gli uomini. Durante la sua esistenza di dio fatto in pezzi Dioniso ha la duplice natura di un feroce demone selvaggio e di un mite e clemente dominatore." Il primo poeta dionisiaco fu Archiloco.

Il loro contrasto e la loro conciliazione

Come è possibile che all'interno di una stessa civiltà (addiritura all'interno di una stessa opera d'arte) convivano due impulsi tanto diversi, opposti? Da una parte abbiamo gli dei dell'Olimpo, di derivazione apollinea, i quali sono nientemeno che un'esaltazione della vita ("ottimismo", "serenità greca" ): "Nulla in loro sa di ascesi, di spiritualità, di moralità: presso di loro non altro ci parla che una lussureggiante, una trionfale esistenza, nella quale ogni cosa è deificata, non importa se buona o cattiva." Dall'altra abbiamo la saggezza popolare, la diffidenza verso la forza titanica della natura, in una parola "tutta quella filosofia del dio silvestre insieme coi suoi esempi mitici". Dice il saggio Sileno al re Mida che lo implorava di rivelargli quale fosse per gli uomini la cosa migliore: "stirpe misera e caduca, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che è  per te il meno profittevole a udire? Ciò che è per te la cosa migliore di tutte, ti è affatto irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma, dopo questa, la cosa migliore per te è morire subito." Com'è possibile che questi due punti di vista così diversi convivano e siano indissolubilmente intrecciati? Ecco come: "Il greco sapeva e sentiva i terrori e gli orrori dell'esistenza: precisamente per trovare la forza di vivere fu indotto a porre davanti a essi la luminosa creazione del sogno olimpico." I due impulsi sono dunque reciprocamente necessari:

"tutto il mondo del travaglio è necessario, affinchè l'individuo ne venga spinto a produrre la visione liberatrice, e quindi immerso nella visione di quella, stia tranquillo sulla sua barca ondeggiante, in mezzo al mare." Gli dei dell'Olimpo e tutte le altre rappresentazioni apollinee "sono prodotti necessari dell'aver guardato nel grembo terribile della natura, cioè sono esse stesse, per così dire, macchie lucenti a soccorso dell'occhio offeso dall'orribile tenebra." "E tali rappresentazioni sono il sublime, considerato come padroneggiamento estetico dell'orrore, e il comico come sollievo artistico dal disgusto dell'assurdo."

"Un'antichissima credenza popolare, specialmente persiana, dice che solo dall'incesto può nascere un mago sapiente". Pensiamo alla figura mitologica di Edipo: "il mito sembra voglia sussurrarci che la sapienza, e propriamente la sapienza dionisiaca, è un abominio contro natura; che chi col suo sapere precipita la natura nell'abisso dell'annientamento, deve provare anche su se medesimo la dissoluzione della natura. "La punta della sapienza si rivolta contro il sapiente: la sapienza è un delitto contro la natura"."

La Musica

I riti dionisiaci "parvero qualcosa di nuovo e di inaudito al mondo greco-omerico: particolarmente la musica dionisiaca suscitò il suo terrore e orrore. Se apparentemente la musica era già conosciuta come arte apollinea, vuol dire che essa, esattamente intesa, non era tale se non come onda ritmica, la cui forza figurativa veniva sviluppata per produrre stati d'animo apollinei. La musica di Apollo era l'architettura dorica espressa in note, ma in note appena accennate, quali sono proprie della cetra. L'elemento che in essa era evitato con cura, come non apollineo, era appunto quello che forma il carattere della musica dionisiaca e della musica in generale, vale a dire la forza sconvolgente del suono, il torrente compatto della melodia e il mondo affatto incomparabile dell'armonia."

La musica ha una natura dionisiaca, tuttavia come vedremo è possibile riscontrare in essa anche alcuni elementi apollinei. Cos'è la musica innanzittto? Il termine deriva senz'altro dalle Muse, le dee della musica, della poesia e della danza (nonché delle arti, delle scienze e della memoria), le nove figlie di Zeus e della titanessa Mnemosine ("memoria"). La seconda delle arti, secondo la classificazione proposta da Ricciotto Canudo nel manifesto "La nascita della sesta arte" (1911): Architettura (arte primitiva per antonomasia, ossia l'arte dell'uomo di costruirsi un riparo), Musica (arte primigenia, all'inizio solo composta di voce e percussioni) Pittura (declinazione dell'Architettura), Scultura (declinazione dell'Architettura), Poesia (declinazione della Musica), Danza (declinazione della Musica), a cui si aggiungono arti moderne come il Cinema (concilia tutte le altre) e il fumetto (la "nona arte"). Intendendo l'architettura primitiva come un'attività necessaria alla mera sopravvivenza dell'uomo, la musica è senz'altro la prima forma d'arte, intesa come ricerca di qualcosa che andasse oltre lo stretto necessario, che l'uomo produsse. Anche se non è strettamente necessaria, tuttavia la sua impotanza nella vita dell'uomo è fondamentale. La musica si rivolge direttamente a uno dei nostri cinque sensi, gli "strumenti" attraverso cui ci rapportiamo con il mondo esterno. Di questi sensi il più "sfruttato" dall'uomo nell'era contemporanea è senz'altro la vista; essa è anche "terreno" di molte forme d'arte (per esempio la pittura e la scultura), più del gusto (la gastronomia) e soprattutto più del tatto e dell'olfatto (senso quest'ultimo dal potenziale probabilmente dimenticato per l'uomo, ma non del tutto: quell'odore delle sere d'estate o di primavera ha ancora su di noi un effetto che ricorda quello degli "impulsi primaverili" nominati sopra a proposito di Dioniso). L'udito è anche molto sfruttato, sia nella vita quotidiana che nell'arte (la musica appunto), tanto che i disagi di un cieco e di un sordo sono forse quasi "equiparabili" in termini di perdita. Considerando la realtà a 360 gradi, la vista ne copre circa 180, e la percezione del restante spazio è appunto affidata all'udito, o al tatto o all'olfatto. Le forme d'arte scritte, come la poesia, non investono un senso in particolare, ma arrivano direttamente al cervello, alla "ragione", insomma alla sfera dei concetti, "passando" per la vista o per l'udito. Il linguaggio di queste arti è a tutti familiare perché con esso comunichiamo quotidianamente. Ebbene anche la musica ha un suo linguaggio, ed è straordinaria la somiglianza con il linguaggio verbale. Alle lettere possiamo far corrispondere le note e così via, tant'è che in musica si parla comunemente di "frasi", "domanda e risposta" e altri termini che rimandano al linguaggio verbale. E come impariamo a parlare parlando, ed eventualmente leggendo o ascoltando le parole di altri, così accade in musica. In questo senso la dimestichezza con lo strumento (e più in generale con la musica stessa) di musicisti prettamente classici rispetto a musicisti jazz è sicuramente diversa. Per capire meglio sfruttiamo ancora una volta la similitudine, e immaginiamoci un bambino che dovesse imparare a parlare solo sapendo le regole della grammatica e ripetendo poesie o versi di scrittori di valore, senza tuttavia formulare autonomamente delle frasi, a meno che non siano scritte; è evidente che difficilmente ci si può aspettare nuovi contenuti musicali dall'opera di quel musicista. Chi invece dialoga continuamente con il proprio strumento, come il jazzista, ha senz'altro più padronanza del linguaggio musicale e più possibilità quindi di sviluppare strade autonome e creare qualcosa di nuovo. Un'altra simpatica analogia con il linguaggio verbale: come quando un italiano e un francese leggono un testo inglese, senza avere un'eccezionale padronanza di quella lingua, un osservatore esterno è senz'altro in grado di riconoscere la nazionalità di ciascuno dall'accento con cui essi pronunceranno le parole inglesi (è evidente che ogni lingua ha la sua "musicalità", un proprio "suono": c'è infatti chi pur non conoscendo le lingue riesce ad imitarne il suono, ad esempio Feynman, e molta gente sa intuire che lingua stiano parlando due sconosciuti pur non conoscendola; inoltre ogni linguaggio evidentemente caratterizza il popolo che lo parla, come la musica caratterizza chi la ascolta), così un ascoltatore che senta eseguire lo stesso spartito da un musicista classico e da un jazzista "nero-ghetto" degli anni '30 saprà riconoscerli anche senza vederli perché il classico eseguirà gli ottavi "dritti", il nero li eseguirà con la cosiddetta "pronuncia swing" (Swing è un termine musicale che indica un particolare modo, tipico della musica jazz, di eseguire le note scritte. Il termine deriva dall'andamento ritmico rilassato che deriva da questa tecnica esecutiva (il verbo inglese 'to swing' significa appunto dondolare). Semplificando, nella pratica, ad esempio, due crome (note da un ottavo) saranno suonate come una terzina di crome (tre ottavi suonati per la durata di un quarto) con le prime due note legate.). Tuttavia il fatto che le regole del linguaggio verbale siano state poste per convenzione dall'uomo fa presupporre che il linguaggio musicale sia più complesso, o forse che quello verbale sia addirittura derivato da quello musicale. Alcune frasi scritte a tal proposito da Nietzsche: "Schiller[.]confessa, cioè, di non avere davanti a sé e in sé, come stato preparatorio all'atto della creazione poetica, qualcosa come una serie di immagini con una catena causale di pensieri, ma piuttosto una disposizione musicale dell'animo." "Egli[il lirico], come artista dionisiaco, comincia col diventare completamente uno con l'Uno primigenio, col suo dolore e contrasto, e rende come musica l'immagine di quest'Uno primigenio, se in altri termini la musica ben a ragione è stata denominata una riproduzione del mondo e un suo secondo getto; ma poi, sotto l'azione apollinea del sogno, la musica per lui diventa visibile, come una immagine simbolica di sogno." "La melodia genera da sé la poesia e sempre di nuovo la rigenera" "Nella poesia del canto popolare vediamo, dunque, che la lingua è tesa fino all'estremo nell'imitazione della musica" "l'unico rapporto possibile tra la poesia e la musica, tra la parola e il suono: la parola, l'immagine, il concetto cerca un'espressione analoga alla musica e patisce ora in sé la potenza della musica." "Anche quando lo stesso poeta dei suoni ha parlato della sua composizione per immagini, quando cioè ha dato a una sua sinfonia la qualificazione di "pastorale", a un suo tempo quella di "scena in riva ad un ruscello", e a un altro quella di "gaia comitiva di contadini", ebbene, codeste sono parimenti nulla più che rappresentazioni simboliche nate dalla musica, e non ad esempio soggetti che la musica abbia imitati; rappresentazioni che non possono per nessun verso istruirci sul contenuto dionisiaco della musica, e che anzi non hanno nessun valore esclusivo accanto alle altre immagini." "la lingua, come organo e simbolo delle parvenze, non possiede mai e in nessun luogo la virtù di rendere all'esterno la più profonda intimità della musica, ma, ogni qual volta trascorre all'imitazione della musica, rimane sempre nei limiti di un contatto esteriore con essa, laddove il senso più profondo della musica non può esserci avvicinato di un solo passo nemmeno da tutta quante l'eloquenza lirica."

Ciò che differenzia la musica da forme d'arte visive come la scultura e la pittura, è il suo rapporto con il tempo. Un quadro ultimato dal pittore richiede un istante per essere guardato dallo spettatore; certo poi egli potrà osservarlo più a lungo alla ricerca di particolari che gli erano sfuggiti o di significati nascosti, ma il quadro sarà sempre davanti a lui, con tutti i suoi dettagli presenti contemporaneamente alla vista. Un brano musicale al contrario non è mai completamente "sotto controllo", si ha eventualmente una "visione d'insieme" solo osservandone lo spartito (se c'è), e comunque è impossibile avere un "ascolto d'insieme", perché le melodie, le armonie, hanno senso solo in relazione a come sono disposte nel tempo; si può immaginare facilmente che effetto si otterrebbe se si suonassero in un istante tutte le note di un brano. La musica è sfuggente, non può essere "ascoltata con calma" come si osserva con calma un quadro; soprattutto quando non si ha uno spartito, come ad esempio nei concerti jazz, dove le improvvisazioni dei musicisti proseguono spietate senza lasciare altra traccia se non nella memoria degli ascoltatori (o in un'eventuale registrazione). Notò l'intima connessione fra tempo e musica anche Henri Bergson, che nel suo "Saggio sui dati immediati della coscienza" sfrutta una metafora musicale per spiegare il concetto di tempo come "durata reale" della coscienza: "Così, quando sentiamo una serie di colpi di martello, i suoni, in quanto sensazioni pure, formano una melodia indivisibile, dando ancora luogo a ciò che abbiamo chiamato un progresso dinamico: ma, sapendo che agisce la stessa causa oggettiva dividiamo questo progresso in fasi che da questo momento consideriamo identiche; e poiché questa molteplicità di termini identici non può più essere concepita se non in base a un dispiegamento nello spazio, perveniamo di nuovo e necessariamente all'idea di un tempo omogeneo, immagine simbolica della durata reale."

In una melodia le note, pur essendo qualitativamente diverse, si fondono in un processo unitario senza soluzioni di continuità, così come nella coscienza i momenti precedenti si fondono con quelli immediatamente successivi, senza che sia possibile individuare cesure interne al tutto. E anche considerando il tempo dal punto di vista "quantitativo", il semplice "battere il tempo" è l'operazione fondamentale con cui lo si suddivide in istanti "uguali" per misurarlo (il ticchettìo della lancetta dell'orologio); dunque la musica rappresenta anche il primo, primitivo e (probabilmente) inconsapevole tentativo di rapportarsi con questa grandezza tanto studiata e discussa dalla scienza e dalla filosofia. Inoltre si può immaginare che la musica sia nata anche dalla necessità istintiva dell'uomo di "rompere il silenzio", di opporsi ad esso: la musica come battito pulsante, disperato slancio vitale per vincere il regno del mistero, dell'ignoto, della paura, della forza terribile e arcana della natura, del nulla, del buio, della notte, delle infinite possibilità, della morte.


Alla luce di tutto questo proponiamo ora una sorta di viaggio attraverso vari generi e manifestazioni musicali, nei quali cercheremo di individuare elementi apollinei e dionisiaci. In questo viaggio non considereremo solamente la musica cosiddetta "colta", come spesso viene fatto durante le conferenze di musicologia, bensì ci avvicineremo, senza giudizi morali (com'era usanza di Nietzsche) o qualitativi di alcun tipo, ad alcuni dei fenomeni musicali esistenti, che in quanto prodotto della società meritano in ogni caso attenzione. La musica a cui ci riferiremo verrà ascoltata in contemporanea all'esposizione orale, salvo alcune pause necessarie per portare all'attenzione determinati particolari. Non seguiremo un criterio rigorosamente cronologico.

Il Ritmo, la Melodia e la musica primordiale

Partiamo da una componente fondamentale della musica: il ritmo. A parte i collegamente col concetto di tempo di cui abbiamo già parlato, il ritmo inteso come successione periodica regolare di eventi è una componente sia della vita della natura (il ciclo delle stagioni, il ciclo della vita, le ere glaciali, il moto dei pianeti,.) sia della vita stessa dell'uomo (il battito del cuore e i movimenti ritmici dell'atto sessuale). Questo senza dubbio possiamo ricondurlo al dionisiaco. Al ritmo aggiungiamo la melodia, nella forma più semplice e naturale del canto, e otteniamo quella che probabilmente era la musica più primitiva, ovvero percussioni e voce. Molto simile alla musica "africana" per intenderci. Quest'ultima è fortemente legata alle tradizioni locali, e riveste perciò un ruolo molto importante nella sfera sociale, rappresenta per molti popoli africani la quintessenza della loro cultura, la si apprezza moltissimo e se ne produce in grande quantità, anche sotto forma di canti e di piccole filastrocche musicate per i bambini. Ogni gruppo sociale possiede un repertorio musicale di riferimento e dei sottogeneri appropriati a determinate circostanze: pratiche musicali per celebrare i passaggi fondamentali nella vita degli individui (nascita, passaggio all'età adulta, matrimonio, funerale.) e per favorire le attività quotidiane, come ad esempio le raccolte nei campi e lo smistamento delle riserve alimentari. Si pensa che proprio con questi canti sia imparentato il blues, che ha avuto un'influenza fondamentale su gran parte della musica contemporanea (soprattutto sul rock). Infatti le scale usate sono le stesse, ovvero in prevalenza pentatoniche con le cosiddette blue notes, ovvero note cantate o suonate leggermente calanti, e la struttura è in entrambi i casi antifonale (ovvero a domanda e risposta).La musica tradizionale africana si trasmette oralmente, dunque non esistono spartiti o forme scritte in cui è possibile rinvenire delle melodie. Tutto viene creato e comunicato direttamente ed è per questo che un aspetto importantissimo è dato dall'improvvisazione (elemento ovviamente dionisiaco). È caratteristica di questa musica la poliritmia, la capacità cioè di sviluppare contemporaneamente diversi ritmi e di mantenerli in modo costante ed uniforme, senza che uno prevarichi su di un altro. Per quanto riguarda la voce, è interessante notare che generalmente si utilizzano timbri canori tendenti al rauco e al gutturale. Molte lingue locali, in Africa, sono di tipo tonale ed è per questo che esiste un collegamento molto stretto tra la musica e la lingua. Conoscendo molto approfonditamente queste lingue, è possibile riconoscere dei testi anche nelle melodie degli strumenti ed è quest'effetto che ha dato fama al cosiddetto "tamburo parlante". Tamburo a clessidra originario dell'Africa occidentale, viene tenuto dal suonatore sulla spalla e percosso con una singola bacchetta, mentre l'altra mano è usata per agire sulle corde che tengono tesa la membrana e per variarne quindi il suono; i musicisti più abili riescono a produrre modulazioni che ricordano quelle della voce umana. Acquista così più fascino la nostra fantasiosa ipotesi della derivazione del linguaggio verbale da quello musicale, e comunque della loro stretta parentela. Soffermiamo ora l'attenzione su altri due aspetti dionisiaci immediatamente collegati a questo tipo di musica: la danza e la dimenzione collettiva della musica.

La Danza

Il trattamento di musica e danza come forme di arte separate è un'idea europea. In molte lingue africane non c'è nessun concetto che corrisponde precisamente a questi termini. Per esempio, in molte lingue di tipo Bantù vi è un concetto che può essere tradotto come canzone ed un altro che copre ambo i campi semantici dei concetti europei di musica e danza. Per esempio, in Kiswahili la parola ngoma può essere tradotta come 'tamburo', 'danza', 'danza religiosa', 'danza celebrativa' o 'musica', in funzione del contesto della frase. Comunque ogni traduzione di un concetto singolo risulta essere incompleta. Perciò, da un punto di vista interculturale, la musica africana e la danza devono essere viste in collegamento molto stretto. "Qualcosa di non mai provato fa impeto per trovare espressione; è la distruzione del velo di Maia, l'essere una cosa sola come genio della specie, anzi della natura. Qui l'essenza della natura deve esprimersi simbolicamente: è necessario un nuovo mondo di simboli, è necessaria l'intera simbolica del corpo, non già la mera simbolica della bocca, del viso, della parola, sibbene la piena mimica della danza, quella che muove insieme ritmicamente tutte le membra." La danza si è manifestata in svariate forme nel corso dei tempi, ma nasce sempre dall'esigenza di esprimere con il corpo le sensazioni che ci dà la musica, che non sono esprimibili mediante il normale linguaggio verbale. È l'espressione della parte più istintiva dell'uomo: "nella danza il colmo della forza è meramente potenziale, ma si tradisce nella flessuosità ed esuberanza del movimento." In certi casi il colmo della forza non è solamente potenziale, ma diventa vero e proprio scontro fisico: è il caso del pogo, sorta di 'ballo' nato originariamente nel movimento punk rock: inizialmente consisteva nel saltare sul proprio posto durante i concerti è stato in seguito caratterizzato da una sorta di 'tutti contro tutti' dove i partecipanti saltano prendendosi reciprocamente a spallate. Dal carattere più divertente che violento, si scatena solitamente nei pressi del palco durante le canzoni più veloci, ed è espressione se vogliamo "grezza" dell'eccitamento generato dalla musica. Nel pogo vige una sorta di 'codice' fraterno che mette il divertimento in primo piano, quindi è abbastanza raro ferirsi durante il pogo; meno raro è cadere in terra ed essere prontamente aiutati nel rialzarsi. È un tipo di danza che viene giudicata, dai più, come forma e strumento di amicizia e contatto. Passando all'estremo opposto del balletto classico, osserviamo invece movimenti estremamente aggraziati e perfetti, leggeri, belli da vedere insomma. Possiamo qui ritrovare anche un elemento apollineo nel "codificare" la danza e porre dei modelli estetici da fissare, nel fissare un determinato movimento come collegato a un determinato brano musicale, indipendentemente dalla persona che lo esegue; sebbene la persona per eseguirlo al meglio dovrà presentare una disposizione d'animo dionisiaca, ovvero tendere a "lasciarsi andare" e a "perdersi nella musica", questo non potrà mai avvenire completamente. Insomma l'elemento apollineo sta nel fatto che la danza in questo caso è soprattutto uno "spettacolo" visivo per gli spettatori, ossia una sorta di "mondo del sogno" a cui essi assistono.

Una danza in cui si mira propriamente a "perdersi nella musica" è la cosiddetta danza trance. È la danza che gli sciamani eseguivano al suono ritmico di tamburi tentando di entrare nei cosiddetti "stati altri di coscienza", spesso con l'ausilio di droghe allucinogene come il peyote. Secondo le credenze di alcuni popoli infatti lo sciamano possiede la capacità di 'viaggiare' in stato di trance nel mondo degli spiriti e di utilizzare i loro poteri. Un tentativo odierno di danza trance si ha nei cosiddetti rave parties, di cui parleremo fra poco a proposito della collettività dell'esperienza musicale.

Collettività dell'esperienza musicale

La musica, data la sua natura dionisiaca, è un'arte soprattutto collettiva. Non solo nel senso attivo, ovvero musicisti che suonano insieme in gruppi, ensemble o orchestre, ma anche nel senso "passivo", ovvero di chi assiste al concerto. I concerti non sono solo un'esibizione, sono delle esperienze collettive che legano i singoli membri del pubblico fra loro, e il pubblico ai musicisti. La musica genera nel pubblico emozioni, i musicisti sentono il calore del pubblico e suonano ancora meglio, l'esaltazione generale va alle stelle. Un concerto degli stessi musicisti con un "buon pubblico" può essere diversissimo da uno suonato davanti a un pubblico freddo e inerte. Nietzsche definisce lo spirito dionisiaco "vangelo dell'armonia universale", che unisce l'individuo alla natura tramite "l'oblio di se stesso".

I rave party

I "rave party" o "rave" (anche "free party") sono manifestazioni musicali molto spesso illegali organizzate in tutto il mondo all'interno di aree industriali abbandonate o in spazi aperti, della durata di una notte o anche di alcuni giorni (in questo caso vengono solitamente definiti teknival e sono caratterizzati dalla presenza di piu sound system, con diffusori sonori installati su camion). Il termine proviene dalla parola inglese rave che letteralmente significa "delirio", ma in senso piu ampio indica la voglia comune di svincolarsi da regole e convenzioni socialmente imposte, la ricerca di una libertà totale fisica e mentale che si esprime attraverso il ballo e anche attraverso il consumo di droghe. Per capire meglio che cos'è un rave, vediamo come lo descrivono gli stessi ravers nel loro manifesto:

Il nostro stato emotivo è l'estasi. Il nostro nutrimento è l'amore. La nostra dipendenza è la tecnologia. La nostra religione è la musica. La nostra moneta è la conoscenza. La nostra politica nessuna. La nostra società un'utopia che sappiamo non sarà mai.

Potete odiarci. Potete ignorarci. Potete non capirci. Potete essere inconsapevoli della nostra esistenza. Possiamo solo sperare che non ci giudichiate, perchè noi non vi giudicheremo mai. Non siamo criminali. Non siamo disillusi. Non siamo dipendenti dalla droga. Non siamo dei bambini inconsapevoli. Noi siamo un villaggio tribale, globale, di massa, che non dipende dalla legge fatta dall'uomo, dallo spazio e dal tempo stesso. Noi siamo un'unità. L'unità.

Noi siamo stati plasmati dal suono. Da molto lontano, il temporalesco, echeggiante e smorzato battito era simile a quello del cuore di una madre che tranquillizza un bambino nel suo ventre di acciaio, calcestruzzo e fili elettrici. Noi siamo stati allevati in questo ventre, e qui, nel calore, nell'umidità e nell'oscurità di esso, siamo giunti ad accettare che siamo tutti uguali. Non solo per l'oscurità e per noi stessi, ma per la vera musica che batte dentro di noi e passa attraverso le nostre anime: siamo tutti uguali. E attorno ai 35Hz possiamo sentire la mano di un dio sul nostro dorso, che ci spinge avanti, ci spinge a spingere noi stessi a rinforzare il nostro pensiero, il nostro corpo e il nostro spirito. Ci spinge a girarsi verso la persona vicino a noi per stringere le mani e sollevarle, condividendo la gioia incontrollabile che proviamo creando questo magico cerchio che può, almeno per una notte, proteggerci dagli orrori, dalle atrocità e dall'inquinamento del mondo che sta di fuori. È in questo preciso momento, con queste premesse, che ognuno di noi è veramente nato.

Continuiamo ad ammassare i nostri corpi nei clubs, nei depositi e negli edifici che voi avete abbandonato e lasciato senza alcuna ragione, e gli riportiamo vita per una notte. Una vita forte, deflagrante, che pulsa, nella sua più pura, più intensa, nella più edonistica forma. In questi spazi improvvisati, noi cerchiamo di liberarci dal peso dell'incertezza di un futuro che voi non siete stati capaci di stabilizzare e assicurarci. Noi cerchiamo di abbandonare le nostre inibizioni, e liberarci dalle manette e dalle restrizioni che avete messo in noi per la pace del vostro pensiero. Noi cerchiamo di riscrivere il programma che avete cercato di indottrinarci sin dal primo momento che siamo nati. Programma che dice di odiarci, di giudicarci, di rifugiarci nella più vicina e conveniente tana. Programma che dice persino di salire le scale per voi, saltare attraverso i cerchi e correre attraverso labirinti e su ruote per criceti. Programma che ci dice di cibarci dal brillante cucchiaio d'argento col quale tentate di nutrirci, anzichè lasciare che ci nutriamo da soli, con le nostre stesse mani capaci. Programma che ci dice di chiudere le nostre menti, invece di aprirle.

Fino a quando il sole sorgerà per bruciare i nostri occhi rivelando la realtà del mondo che avete creato per noi, noi balleremo fieramente con i nostri fratelli e sorelle, celebrando la nostra vita, la nostra cultura, e i valori in cui più crediamo: pace, amore, libertà, tolleranza, unità, armonia, espressione, responsabilità e rispetto.

Il nostro nemico è l'ignoranza. La nostra arma è l'informazione. Il nostro crimine violare e sfidare qualsiasi legge che voi sentite aver bisogno di utilizzare per porre fine all'atto di celebrare la nostra esistenza. Ma ricordate che mentre potete fermare un qualsiasi party, in una qualsiasi notte, in una qualsiasi città, in una qualsiasi nazione o continente di questo magnifico pianeta, non riuscirete mai a spegnere il party intero. Non avete accesso a questo interruttore, non importa quello che pensate. La musica non si fermerà mai. Il battito del cuore non si spegnerà mai. Il party non finirà mai.

Sono un raver, e questo è il mio manifesto.

È evidente che si tratta di un gruppo di persone che si sentono a disagio nella società odierna, che non ne condividono i valori, e che cercano di unirsi, nella notte, nel ballo, nella musica, per non esserne sconfitti. Tuttavia è evidente anche la stretta dipendenza dalla stessa società da cui vorrebbero fuggire: sono figli della tecnologia, della metropoli e dell'industria. E come il mondo dell'uomo è sempre più industrializzato anche la musica è sempre più elettronica: techno, trance, goa. E nonostante il loro impulso originario di "unirsi per la libertà", stanno diventando un fenomeno sempre più svuotato di significato, spesso il solo motivo che spinge giovani ad andare a un rave è la presenza massiccia della droga; si è un po' perso lo spirito collettivo originario, la spersonalizzazione e la massificazione che caratterizzano la società odierna hanno fatto breccia anche qui.

Il festival di Woodstock 1969

Il massimo esempio di esperienza musicale collettiva è sicuramente il festival di Woodstock svoltosi nei giorni 15, 16, 17 agosto 1969 a Bethel, piccola località della contea di Sullivan nello stato di New York. Organizzato come un semplice rock festival di provincia, accolse inaspettatamente per tre giorni e tre notti più di 400.000 giovani (secondo fonti non certe si arrivò addirittura alle 800.000 persone), tanto che diventò per forza di cose un evento gratuito. L'importanza storica di questo evento dipese tanto dal punto di vista musicale, quanto da un punto di vista politico e sociale: le date in cui ebbe luogo, infatti, vengono fatte coincidere con la consacrazione mediatica della rivoluzione culturale del '68 e il culmine dell'era hippie.
Migliaia di giovani americani, per tre giorni, abbandonarono i propri interessi personali per dedicarsi a qualcosa che, a posteriori, viene visto come un sogno collettivo di riforma della società. Per capire lo spirito che animava quei giovani riportiamo il testo di una canzone di Jimi Hendrix, musicista che partecipò al festival:

If 6 was 9 (Hendrix)

(Yeah, sing a song bro')
If the sun refused to shine
I don't mind, I don't mind
(Yeah)
If the mountains ah, fell in the sea
Let it be, it ain't me.
(Well, all right)

Got my own world to live through and uh, ha !
And I ain't gonna copy you.

Yeah (sing the song brother)
Now if uh, six uh, huh, turned out to be nine
Oh I don't mind, I don't mind uh ( Well all right )
If all the hippies cut off all their hair
Oh I don't care, oh I don't care.
Dig.

'Cause I've got my own world to live through and uh, huh
And I ain't gonna copy you.

White collar conservative flashin' down the street
Pointin' their plastic finger at me, ha !
They're hopin' soon my kind will drop and die but uh
I'm gonna wave my freak flag high, high !
Oww !

Wave on, wave on

Ah, ha, ha
Fall mountains, just don't fall on me
Go ahead on mister business man, you can't dress like me
Yeah !

Don't nobody know what I'm talkin' about
I've got my own life to live
I'm the one that's gonna die when it's time for me to die
So let me live my life the way I want to
Yeah, sing on brother, play on drummer

È evidente lo spirito anticonformistico e contestatore che animava in quegli anni i giovani, e in particolare gli hippie, a cui sono contrapposti nella canzone i "white collar conservative", i "mister business man", ovvero il simbolo del capitalismo e del perbenismo.

La musica come magica ipnosi

Abbiamo finora considerato fenomeni in cui la musica è al centro dell'attenzione. Ma la musica in certi contesti può anche fungere da "sottofondo" ad altro, e non per questo tuttavia essere meno importante. Esaminiamo a questo proprosito la funzione che Nietzsche attribuisce al coro dei satiri nella tragedia attica:

"Schiller [.] considera il coro come un vivente muro di cinta che la tragedia alza intorno a sé, per isolarsi nettamente dal mondo reale e serbarsi il suo campo ideale e la sua libertà poetica."

"La natura non elaborata ancora da nessuna conoscenza, e in cui i chiavistelli della civiltà sono ancora intatti: ecco ciò che il greco vide nel suo satiro [.] l'immagine primitiva dell'uomo."

"Davanti a lui l'uomo incivilito si riduceva a una bugiarda caricatura."

"L'incantesimo è il presupposto di ogni arte drammatica. Preso da tale incantamento, il tripudiatore dionisiaco si vede satiro, e in quanto satiro egli vede il dio, vale a dire, nella propria metamorfosi contempla fuori di sé una nuova visione come perfezionamento apollineo del proprio stato. Con questa nuova visione il dramma è completo."

"Il coro ditirambico riceve l'ufficio di eccitare in senso dionisiaco l'animo degli spettatori al punto che, quando l'eroe tragico compare sulla scena, essi non vedano un uomo grottescamente mascherato, ma l'immagine propria della visione sorta dal loro stesso rapimento."

La musica svolge esattamente lo stesso compito in manifestazioni artistiche che intendano imitare la realtà, ad esempio come colonna sonora di film o videogiochi. Significativo che nei film fantasy (come il Signore degli Anelli) e nei cartoni animati (e nei videogiochi), ovvero laddove la finzione assomiglia meno alla realtà e ha quindi bisogno di un "incantesimo" più potente per essere mantenuta, la musica sia presente in maniera massiccia; tanto da accompagnare lo spettatore dall'inizio alla fine nel caso del Signore degli Anelli; tanto da sottolineare persino i singoli movimenti dei personaggi dei cartoni animati, quasi danzassero.

"Fondamentalmente e originariamente la scena in uno con l'azione non fu pensata altrimenti che come visione, e unica "realtà" è appunto il coro, il quale genera da sé la visione, e della visione parla con tutta la simbolica della danza, del suono e della parola."

In certi casi la musica da sola basta a creare suggestioni e sinestesie.

La musica classica e l'apollineo

"Apollo vuol condurre alla calma gli esseri singoli appunto tracciando tra loro le linee limitative, e tenendole sempre loro presenti, come le più sacre leggi universali, coi suoi richiami alla conoscenza di sé e alla misura. Ma affinchè con questa tendenza apollinea la forma non si congeli nella rigidità e freddezza egiziana; affinchè nella sollecitudine di predeterminare alle singole onde il loro corso e la loro estensione, il moto di tutto il lago non cessi, l'alta marea del senso dionisiaco sopravviene di tempo in tempo a rimescolare tutti quei piccoli cerchi, in cui la "volontà" unilateralmente apollinea cerca di costringere la grecità."

La musica classica è caratterizzata dall'esecuzione di pezzi musicali, esecuzione che in genere cerca di essere il più "filologica" possibile. Possiamo qui fare considerazioni analoghe a quelle riguardanti il balletto classico: essendo sempre e comunque vincolati a uno spartito, i musicisti classici non possono esprimere oltre un certo limite lo spirito dionisiaco, che si esplica comunque nella cosiddetta "interpretazione" del brano. A tal proposito possiamo osservare che nell'ambito di un'orchestra il direttore è in un certo senso il direttore dell'impulso dionisiaco: è lui che si appassiona, cerca di "entrare nel pezzo" il più possibile e di condurre con sé i singoli strumentisti che si fondono in un unico sentimento interpretativo. L'elemento apollineo sta nel limite imposto dallo spartito; inoltre nel rapporto col pubblico c'è più distacco, e manca pertanto l'elemento dionisiaco di "esperienza collettiva". "Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un'anima grande e posata." (J.J. Winckelmann, "Il bello nell'arte")

Il jazz e l'improvvisazione

Il jazz è un genere musicale (anche se la definizione di "genere" gli sta stretta, in quanto si dice che tutta la musica di cui non si sa determinare il genere può essere chiamata jazz) in cui fin dalle origini ha avuto fondamentale importanza l'elemento improvvisativo (chiaramente dionisiaco). L'idea di improvvisazione non è nuova nella musica. È praticamente certo che la pratica improvvisativa, nella musica occidentale, fosse massicciamente presente (e forse costituisse la parte dominante dell'esecuzione musicale) nell'epoca che va dalle origini alla codifica gregoriana della musica sacra; anche nei secoli seguenti la pratica improvvisativa fu sempre presente. Dal 1800 in poi nella musica classica moderna (escludendo l'avanguardia) ed in generale nella musica colta occidentale l'improvvisazione è venuta ad essere considerata secondaria rispetto alla fedeltà dell'interpretazione di quanto scritto nelle partiture. Nella tradizione jazzistica questa visione viene stravolta: gli spartiti vengono messi in secondo piano (spesso sono solo canovacci di accordi e melodie principali, oppure non esistono proprio) e quello che dona il senso ad un'esecuzione è la sensibilità del musicista che improvvisa la sua 'creazione estemporanea'. Molto spesso i brani eseguiti sono noti e diffusi nell'ambiente jazzistico (i cosiddetti "standard") utilizzati come traccia comune per l'improvvisazione, singola o collettiva, e possono essere modificati al punto da risultare quasi irriconoscibili rispetto alle versioni precedenti. Questo richiede una condivisione delle convenzioni musicali da parte dei musicisti e, oltre all'inventiva, una notevole padronanza dello strumento musicale e dell'armonia (siano esse istintive o derivate dallo studio teorico) da parte del jazzista. L'improvvisazione è un vero e proprio linguaggio: più uno parla attraverso il proprio strumento, più le sue frasi avranno senso, le note saranno solo apparentemente disposte a caso, ma il musicista che le esegue, anche senza comprenderlo fino in fondo, sicuramente intuirà il "senso" delle sue "frasi", delle sue idee. Il musicista deve essere coinvolto nel pezzo per produrre un buon assolo, e deve accogliere ogni idea come l'Oltreuomo di Nietzsche dice "sì" ad ogni aspetto della vita. Le convenzioni musicali che regolano le jam sessions sono una sorta di "regole non dette" che pongono un freno all'anarchia totale, e riguardano prevalentemente l'armonia e la struttura del pezzo ("il cielo dell'immaginazione ha bisogno della geometria per non disperdersi" scrisse Caspar David Friedrich). Queste convenzioni possiamo vederle come un elemento apollineo, tuttavia non sono sempre necessarie come si vede dalle esperienze di improvvisazione libera, che non si basa su schemi armonici, melodici e ritmici definiti bensì sull'interazione tra musicisti o tra musicisti e pubblico che si viene a creare nel momento della performance (elemento dionisiaco). Essendo una 'composizione estemporanea' un buon assolo improvvisato è spesso strutturato in modo da contenere qualcuno o tutti i seguenti elementi:

  • un'esposizione iniziale (introduzione, presentazione, esposizione di un pattern semplice)
  • interazioni con altri strumentisti (il cosiddetto interplay)
  • citazioni di brani e temi noti
  • un assolo che cresce di intensità fino a raggiungere un picco
  • ripetizioni di pattern o frasi
  • una chiusura

La ripetizione è un elemento fondamentale (sia nelle composizioni che nelle improvvisazioni), in quanto: "Non cambia nulla nell'oggetto che si ripete, ma cambia qualche cosa nello spirito di chi la contempla." (David Hume)

La struttura di un classico brano jazz è, nella forma più comune e convenzionale, la seguente:

  • Introduzione (opzionale), a volte indicata dall'autore, spesso ricavata da esecuzioni famose del brano
  • Tema: suonato all'inizio e alla fine del brano
  • Assolo: è il momento in cui a turno i jazzisti improvvisano sulla griglia armonica del brano
  • Eventuali '4+4': brevi assoli (a turno) generalmente di 4 battute (o multipli interi) ciascuno eseguiti come 'botta e risposta' fra i vari solisti e la batteria (chiamati in gergo trading four o chase)

A mio parere nell'improvvisazione si esprime l'"inesauribile fecondità della melodia: immagini, che nella loro variopinta molteplicità, nel loro repentino cangiamento, nel loro pazzo precipitarsi l'una sull'altra rivelano una potenza del tutto estranea all'apparenza epica e al suo tranquillo scorrere."

Conclusione

"Parlare di musica è come ballare di architettura." (Frank Zappa)


Bibliografia:


Nietzsche - La nascita della tragedia

Eric M. Moorman, Wilfred Uitterhoeve - Miti e personaggi del mondo classico

https://shockraver.free.fr/ (manifesto)

Wikipedia

Scarica gratis Apollo, Dioniso e la Musica
Appunti su: ccaratteristiche della musica dionisiaca, dionisiaco nella musica, dioniso e la musica, musiche su Dioniso, https:wwwappuntimaniacomuniversitamusicaapollo-dioniso-e-la-musica43php,



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