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Atmosfera e meteorologia
L'atmosfera è l'involucro gassoso che avvolge la terra, trattenuto dalla gravità. L'atmosfera è costituita da una miscela di gas che diventa sempre più rarefatta con l'altezza. Anche il rapporto tra i diversi gas si fa differente in quota. Si calcola che più del 99% della massa gassosa sia contenuta nei primi 40 km di atmosfera.
Lo studio della porzione più bassa dell'atmosfera si esegue principalmente tramite palloni o aerei opportunamente attrezzati. Al di sopra dei 30 - 35 km l'aria è talmente rarefatta da non riuscire più a sostenere palloni e sonde, per cui si deve ricorrere a razzi. Continua ad esservi però una certa difficoltà ad ottenere dati accurati di quella parte di atmosfera compresa tra i 35 e i 160 km, poiché si tratta di quote troppo alte per aerei e palloni e troppo basse per porvi in orbita satelliti. I dati in nostro possesso per tale intervallo di altezza sono stati per lo più raccolti dai satelliti durante la fase di attraversamento.
Il limite superiore dell'atmosfera è puramente convenzionale. Alcuni autori lo pongono a 1500 km, altri a 2500 km, altri ancora a 5000 km. Si potrebbe affermare che l'atmosfera termina quando la sua densità diventa uguale a quella dello spazio interplanetario, ma si tratta di un dato non costante che risente dell'attività solare e dell'intensità del vento solare.
Una prima grande suddivisione separa l'atmosfera in bassa atmosfera o omosfera (fino a 100 km di altezza) e alta atmosfera o eterosfera (oltre i 100 km di altezza).
L'omosfera è detta così perché la sua composizione chimica è uguale in ogni sua parte. In altre parole i diversi gas che compongono il miscuglio gassoso mantengono inalterate le proporzioni reciproche, anche se naturalmente si fanno sempre più rarefatti con l'altezza. La sostanziale costanza nelle percentuali gassose dell'omosfera è legata ai fenomeni di rimescolamento che la caratterizzano.
L'eterosfera invece presenta una stratificazione dei diversi gas secondo il diverso peso molecolare. La sua composizione chimica risulta perciò diversa di quella della omosfera.
L'omosfera è costituita da un miscuglio di gas chiamato aria.
L'aria secca è composta per il 78% di azoto, per il 21% di ossigeno, per lo 0,03% di anidride carbonica e da piccolissime quantità di gas rari (0,01% in totale) come argo neon, elio, krypton, xeno idrogeno etc.
L'aria contiene inoltre quantità variabili di pulviscolo atmosferico, proveniente sia da fonti naturali (sferule vetrose provenienti dallo spazio, polveri vulcaniche, spore batteriche e granuli di polline) che da fonti artificiali legate alle attività antropiche (prodotti della combustione incompleta di legna, petrolio, carbone etc). Il pulviscolo atmosferico riveste una importanza particolare nei processi di condensazione dell'acqua. Esso va a costituire infatti i nuclei di condensazione, attorno ai quali si formano le gocce d'acqua. Se non vi fosse il pulviscolo atmosferico i fenomeni meteorologici si svolgerebbero con modalità differenti.
Infine l'aria contiene percentuali variabili di vapor acqueo. La sua concentrazione cresce normalmente con la temperatura dell'aria. A 30 °C si possono avere fino a 30 g di vapore per m d'aria.
Un'ulteriore suddivisione dell'atmosfera viene fatta in funzione dell'andamento della temperatura al crescere della quota. La temperatura presenta infatti delle progressive ed alternate variazioni in aumento ed in diminuzione all'aumentare dell'altezza, con caratteristiche inversioni termiche a certe quote.
Ciascuna inversione termica segna il passaggio da uno strato a quello successivo.
L'omosfera viene in tal modo suddivisa, in base al suo comportamento termico in troposfera, stratosfera e mesosfera.
Troposfera
La troposfera è lo strato a contatto con la superficie terrestre con spessore che varia da un minimo di 6 - 8 km sopra i poli, fino ad un massimo di 18 km all'equatore, a causa della rotazione terrestre. Il termine deriva dal greco 'tropos', rivolgimento, poiché in essa sono comuni movimenti di masse d'aria sia orizzontali (venti) che verticali (correnti ascendenti e discendenti), che ne fanno la parte meglio rimescolata di tutta l'atmosfera. La troposfera è quindi sede di tutti i fenomeni meteorologici.
La troposfera è trasparente alla luce visibile, mentre è opaca alla radiazione infrarossa, che assorbe soprattutto per la presenza del vapor acqueo e dell'anidride carbonica.
Per questo motivo essa non viene riscaldata dall'alto, ma dal basso. Dalla superficie terrestre che riemette l'energia solare assorbita sotto forma di radiazione termica (radiazione di corpo nero, con un massimo di emissione nell'infrarosso). Il processo è noto come effetto serra e risulta tanto più intenso quanto maggiore e la percentuale di acqua e di anidride carbonica.
Questo comporta che la temperatura sia massima a contatto con la superficie terrestre e diminuisca con l'aumentare dell'altezza secondo un gradiente medio di 0,6°C ogni 100 m di altezza.
La diminuzione di temperatura si arresta ad una certa altezza per ricominciare a crescere. In corrispondenza di tale inversione termica, detta tropopausa, si fa convenzionalmente terminare la troposfera. L'inversione termica viene raggiunta a circa - 60°C (- 50°/-70°C).
Curioso è il fatto che la tropopausa risulti più fredda sopra l'equatore che sopra i poli, a causa della sua maggior altezza sopra di esso.
Stratosfera
Sopra la tropopausa inizia uno strato relativamente tranquillo detto stratosfera, che si estende fino ai 50 km circa di altezza. Possiede la stessa composizione chimica della troposfera, ma è di gran lunga più rarefatta. Il pulviscolo, l'anidride carbonica e il vapor acqueo sono praticamente assenti, anche in rare occasioni si possono osservare, ad un'altezza di circa 20-30 km, delle sottili nubi iridescenti dette nubi madreperlacee, formate probabilmente da minuscoli aghi di ghiaccio. Essendo praticamente assente qualsiasi moto turbolento all'interno dell'aria questa tende a stratificare.
All'interno della stratosfera, tra i 20 e i 30 km di altezza è presente il cosiddetto strato di ozono o ozonosfera. L'ozono (ossigeno molecolare triatomico) si produce dalla interazione della radiazione ultravioletta con l'ossigeno biatomico.
30 → 20
L'ozono risulta inoltre opaco alla radiazione ultravioletta. L'assorbimento di tale radiazione da parte dello strato di ozono, oltre a contribuire ad eliminare una radiazione altamente energetica e quindi pericolosa per la vita sulla terra, provoca un aumento dell'energia cinetica media delle particelle ed un conseguente aumento della temperatura.
Ciò spiega perché la stratosfera risulta più calda al suo limite superiore che a quello inferiore.
L'aumento di temperatura raggiunge un massimo a circa 50 km di altezza dove si possono raggiungere temperature di circa una quindicina di gradi (0 / +17°C). Dopo i 50 km la temperatura ricomincia a scendere. L'inversione termica, detta stratopausa, segna il limite di separazione tra la stratosfera e l'involucro superiore, la mesosfera.
Mesosfera
Qui la temperatura ricomincia a scendere fino alla mesopausa posta a circa 90 km, dove viene raggiunto il minimo assoluto di temperatura, intorno ai - 80°C (- 70°/- 90°C). Anche in questo caso si ritiene che ciò sia dovuto al fatto che tale strato è riscaldato dal basso, cioè dagli strati caldi dell'alta stratosfera.
Attorno ai 70-80 km di altezza si possono talora osservare, al crepuscolo d'estate, le sottili e brillanti nubi nottilucenti. La maggior parte delle meteore si disintegrano nella mesosfera.
Oltre la mesopausa la temperatura ricomincia a crescere e l'inversione termica segna praticamente il confine tra omosfera ed eterosfera.
Come abbiamo già detto nell'alta atmosfera i gas tendono a stratificarsi secondo il loro peso molecolare.
Tra i 100 e 200 km predomina l'azoto molecolare.
Tra i 200 e i 1100 km prevale l'ossigeno monoatomico prodotto dalla scissione dell'ossigeno molecolare da parte della radiazione solare.
Tra i 1100 e i 3500 km abbiamo uno strato di elio.
Sopra i 3500 km si trova l'idrogeno.
Dalla mesopausa in poi la temperatura cresce essenzialmente per assorbimento diretto della radiazione solare. l'eterosfera viene in pratica riscaldata dall'alto, in modo analogo a quanto avviene per la stratosfera. In base al suo comportamento termico l'eterosfera viene suddivisa in termosfera (o ionosfera) ed esosfera.
Termosfera
Nella termosfera la temperatura aumenta notevolmente fino a raggiungere a circa 500 km di altezza un valore massimo intorno ai 1500- 2000°C. Si tratta di temperature cinetiche in quanto i gas sono troppo rarefatti per produrre fenomeni sensibili di propagazione del calore. Se ponessimo un termometro al riparo dai raggi diretti del sole esso segnerebbe temperature molto inferiori agli 0°C, in quanto gli scambi di energia tra le molecole dell'aria ed il termometro sarebbero estremamente improbabili.
Esosfera
Oltre i 500 km la temperatura si stabilizza intorno ai valori massimi raggiunti. Al di sopra di tale altezza viene posta l'esosfera che arriva fino al limite esterno dell'atmosfera.
Oltre che in base al suo comportamento termico, l'eterosfera può essere descritta anche in relazione alla sua struttura elettrica.
La radiazione solare, soprattutto quella ad alta energia, come i raggi X ed i raggi cosmici (i quali però non hanno esclusivamente origine solare), è in grado di rompere legami chimici, producendo elementi allo stato atomico, e di strappare elettroni con formazione di particelle cariche o ioni. Mentre nella bassa atmosfera che è sufficientemente densa, tali particelle ritornano presto neutre tramite interazioni reciproche, nella alta atmosfera ciò non avviene. L'alta rarefazione, riducendo la probabilità delle interazioni (il cammino libero medio delle particelle è molto elevato), consente a molte particelle ionizzate di sopravvivere per periodi più lunghi.
La presenza di particelle ionizzate inizia al di sopra degli 80 - 90 km ed aumenta progressivamente fino a raggiungere un massimo intorno ai 300 km (2 ioni ogni 1000 particelle) per poi diminuire. Per indicare tale fenomeno è stato introdotto il termine di ionosfera. La ionosfera coincide grosso modo con la termosfera.
La presenza di tali ioni hanno una grande importanza pratica poiché vengono usati come strati riflettenti per le onde elettromagnetiche usate nelle radiocomunicazioni.
Sono stati individuati 4 strati riflettenti:
- Strato D (60 - 80 km) riflette le onde lunghe
- Strato E (90 - 120 km) riflette le onde medie
- Strato F (200 - 250 km) riflette le onde corte
- Strato F (400 - 500 km) riflette le onde cortissime
Tali strati non sono in grado di riflettere le onde ancor più corte utilizzate per le trasmissioni televisive, le quali necessitano quindi di ripetitori a terra.
Sopra i 500 km quasi tutte le particelle sono ionizzate, ma l'atmosfera è talmente rarefatta che il loro numero per unità di volume è di gran lunga inferiore a quello che, sia pure in piccola percentuale, forma la ionosfera. La grande rarefazione di tali ioni ne accresce enormemente la vita media, così che essi non si muovono di moto casuale, ma vengono deviati dalle linee di forza del campo magnetico, andando a formare quella che viene chiamata magnetosfera.
La magnetosfera è a sua volta immersa nel vento solare (un flusso di elettroni e protoni). Il vento solare non è in grado di penetrare la magnetosfera, ma interagisce con essa deformandola e facendole assumere la caratteristica forma a goccia. La magnetosfera viene cioè compressa dalla parte del sole, mentre nella direzione opposta si allunga fino ad una distanza di un migliaio di raggi terrestri.
Negli anni '50 sono infine state scoperte all'interno della magnetosfera delle zone di particelle ionizzate con un contenuto energetico molto superiore a quello delle particelle che costituiscono il resto della magnetosfera. Queste particelle sono confinate a formare due anelli concentrici che lasciano scoperti i poli, dette fasce di Van Allen.
- La prima, spessa circa 1500 km, è incentrata attorno ai 3000 km di altezza. E' più stabile e sembra costituita essenzialmente da protoni.
- La seconda, spessa circa 6000 km, è incentrata intorno ai 25000 km di altezza. E' meno stabile e sembra costituita essenzialmente da elettroni.
Non vi è ancora una spiegazione soddisfacente circa l'origine delle fasce di Van Allen.
Il fenomeno più spettacolare associato alla magnetosfera è sicuramente la formazione delle aurore polari. Si tratta della comparsa nel cielo notturno, a latitudini intorno ai 65° (sia nord che sud), di archi luminosi, che cambiano rapidamente di colore. Tali fenomeni sembrano essere associati ai brillamenti solari che generano variazioni nell'intensità del vento solare. In tal modo le particelle cariche, costituenti il vento solare, vengono catturate dal campo magnetico terrestre e nelle aree polari, dove le linee di forza si infittiscono e sono dirette perpendicolarmente alla superficie terrestre, cadono verso terra eccitando gli atomi che incontrano. Gli atomi eccitati ritornano poi allo stato fondamentale emettendo le loro caratteristiche righe spettrali. I colori tipici delle aurore polari sono infatti il rosso ed il verde dell'ossigeno atomico e varie tonalità di azzurro dovute all'azoto molecolare.
Radiazione solare, bilancio termico e isoterme
La quantità di energia solare che arriva su un cm di superficie terrestre al minuto, al limite superiore dell'atmosfera è detta costante solare e vale 2 cal/cm min (2 langley).
Le percentuali di radiazione assorbita e riflessa costituiscono il cosiddetto bilancio termico:
il 20% viene assorbito dall'atmosfera
il 30% viene riflesso dall'atmosfera nello spazio
il 50% raggiunge la superficie terrestre.
L'assorbimento è causato, come abbiamo già visto, essenzialmente dall'ozono, dall'anidride carbonica e dal vapor acqueo.
La riflessione è causata essenzialmente dalle nubi e dal pulviscolo atmosferico.
In realtà anche la superficie terrestre riflette radiazione, circa il 5%, che sommato al 30% riflesso dall'atmosfera, porta l'albedo terrestre al 35%.
Naturalmente tutta l'energia assorbita dall'atmosfera e dalla superficie terrestre si trasforma in calore, che la terra nel suo complesso riemette nello spazio circostante sotto forma di radiazione termica. Se ciò non avvenisse la terra sarebbe destinata a raffreddarsi o a surriscaldarsi progressivamente.
Il bilancio termico è costruito evidentemente su valori medi. Le regioni polari ricevono ovviamente molto meno calore di quello che riescono a dissipare. Il contrario avviene per le regioni intertropicali. Il bilancio energetico risulta effettivamente in pareggio solo per le regioni che si trovano intorno al 33° parallelo.
Naturalmente il bilancio viene riequilibrato dai movimenti di masse d'aria e d'acqua calde dalle regioni equatoriali alle regioni polari e fredde nella direzione opposta.
La temperatura atmosferica al suolo viene misurata nelle stazioni meteorologiche con un termometro a mercurio posto in una capannina meteorologica, situata in un luogo aperto ad un'altezza di circa 1 m dal suolo per non essere riscaldata direttamente dal terreno. La capannina viene inoltre di pinta di bianco per riflettere il più possibile i raggi solari e presenta pareti a persiana per favorire la circolazione dell'aria.
Il termometro è in grado di registrare sia la temperatura minima che la massima della giornata.
Facendo la media tra la temperatura minima e quella massima di un determinato giorno si ottiene la temperatura media diurna.
La temperatura media mensile si ottiene come media delle temperature medie diurne di tutti i giorni di un determinato mese. Infine facendo la media delle medie mensili si calcola la temperatura media annua.
Congiungendo con una linea punti della superficie terrestre che presentano la stessa temperatura media (di un certo mese o di un certo anno) si ottengono delle isoterme. Le isoterme vengono costruite dopo aver eliminato l'effetto della differenza di altitudine delle diverse località.
Fattori che determinano la temperatura
La temperatura di un luogo dipende fondamentalmente dalla latitudine. Infatti muovendoci dall'equatore verso i poli i raggi solari arrivano sulla superficie terrestre con sempre minor inclinazione con il risultato che la stessa energia radiante si distribuisce su di una superficie progressivamente maggiore.
Se non vi fosse dunque nessun altro fattore ad influenzare la temperatura le isoterme seguirebbero fedelmente l'andamento dei paralleli.
Ciò non si verifica essenzialmente a causa di una ineguale distribuzione dei mari e delle terre emerse. Infatti l'acqua è caratterizzata da un calore specifico pari a circa 2,5 volte quello della terra. In altre parole l'acqua si riscalda e si raffredda molto più lentamente di quanto non facciano le aree continentali. Inoltre mentre assorbe calore l'acqua evapora ed il processo di evaporazione assorbe calore (calore latente) senza che aumenti la temperatura.
In tal modo la presenza di acqua tende a mitigare il clima, abbassando le temperature dei mesi caldi e restituendo il calore nei mesi freddi.
L'osservazione di una carte delle isoterme annue permette di verificare tale ipotesi, infatti:
- l'isoterma più elevata (equatore termico) non coincide con l'equatore geografico ma presenta una latitudine media di 5°N, per la presenza di una maggior percentuale di terre emerse nell'emisfero boreale.
- Le isoterme dell'emisfero australe risultano più regolari di quelle dell'emisfero boreale poiché corrono per lo più attraverso gli oceani.
- Le isoterme modificano il loro percorso, deviando rispetto ai paralleli, ogni qualvolta incontrano una terra emersa. (flettono verso nord).
Pressione atmosferica e isobare
La terra attrae gravitazionalmente il suo involucro gassoso. La forza con cui terra e atmosfera si attraggono non è altro che il peso dell'atmosfera. La forza che l'atmosfera esercita su ciascun cm2 della superficie terrestre è detta pressione atmosferica.
Si definisce pressione atmosferica normale o standard quella esercitata dall'atmosfera a 45°N, 0°C, 0 m s.l.m., in assenza di umidità (aria secca).
Essa vale 1 atm = 1033 g/cm
Nel sistema cgs la forza si misura in 'dine' , il cui simbolo è 'dyn' (1 dina = forza necessaria per imprimere ad una massa di 1 g una accelerazione di 1 cm/s Se sottoponiamo 1033 g all'accelerazione di gravità 'g' = 986 cm/s2) otteniamo una forza di 1.013.000 dine
F = m a = 1033 * 986 = 1.013.000 dine
In meteorologia si usa come unità di misura della pressione il 'bar' pari a 1.000.000 dine/cm2.
La pressione normale vale perciò 1,013 bar o 1013 millibar (mb).
La pressione atmosferica varia con la quota, l'umidità e la temperatura dell'aria.
Effetto della quota
Poichè alzandoci in quota diminuisce lo spessore di gas atmosferici che ci sovrasta, la pressione diminuisce con l'altezza.
Il ritmo di diminuzione è naturalmente più elevato inizialmente, essendo la bassa atmosfera più densa rispetto all'alta atmosfera. Per lo stesso motivo la pressione atmosferica diminuisce con l'altezza più rapidamente nelle zone di alta pressione rispetto alle zone di bassa pressione.
Effetto dell'umidità
A parità di temperatura, l'aria umida è più leggera dell'aria secca. Sappiamo infatti dalle leggi che descrivono il comportamento dei gas che uno stesso volume di una qualsiasi miscela di gas alla stessa temperatura contiene sempre lo stesso numero di molecole. Ora, se una percentuale maggiore di queste molecole è costituita da vapor acqueo, il peso complessivo diminuisce in quanto l'acqua ha un peso molecolare inferiore (18) rispetto a quello dell'ossigeno molecolare (32) e dell'azoto molecolare (28).
Effetto della temperatura
L'aria calda è più leggera dell'aria fredda per due ragioni:
1) Secondo quanto previsto dalla legge di Gay-Lussac, all'aumentare della temperatura qualsiasi gas si espande e di conseguenza diminuisce la sua densità.
2)All'aumentare della temperatura aumenta la quantità di vapor acqueo che un medesimo volume di aria può contenere. L'aria calda tende perciò ad essere più umida e per questo più leggera.
La distribuzione della pressione sulla superficie terrestre, ridotta al livello del mare, è evidenziata tramite linee che congiungono punti aventi la stessa pressione, dette isobare.
Le isobare appaiono come linee curve chiuse irregolari concentriche. Si possono determinare due casi:
A) Le isobare racchiudono altre isobare caratterizzate da valori via via crescenti. Le zone così delimitate si dicono zone di alta pressione o anticicloniche.
B) Le isobare racchiudono altre isobare caratterizzate da valori decrescenti della pressione. Le zone così delimitate vengono dette zone di bassa pressione o cicloniche.
Una certa area non può essere comunque definita di alta o bassa pressione se non relativamente ad un'altra.
I venti
La differenza di pressione esistente tra un'area ciclonica ed una anticilclonica tende ad essere compensata da un movimento orizzontale di masse d'aria, le quali si spostano dalla zona di alta pressione verso la zona di bassa pressione.
Nelle zone di alta pressione l'aria fredda e asciutta, più pesante, tende infatti a scendere ed a divergere al suolo, venendo poi richiamata dalle zone di bassa pressione, dove l'aria calda ed umida tende a salire, creando una depressione al suolo.
Se la terra non ruotasse i movimenti dei venti seguirebbero esattamente la direzione del vettore gradiente barico che congiunge il centro delle zone di alta pressione al centro delle zone di bassa pressione.
In realtà i venti sono soggetti alla forza di Coriolis, per cui nell'emisfero boreale escono dalle zone di alta pressione, deviando verso destra con movimento antiorario, secondo quanto previsto dalla legge di Ferrel. Vengono poi richiamati dalle zone di bassa pressione, che imprimono loro un movimento antiorario. E' proprio il movimento vorticoso con cui i venti entrano nelle zone di bassa pressione che ha meritato loro il nome di zone cicloniche.
Naturalmente nell'emisfero australe la situazione è capovolta ed i venti escono dalle zone di alta pressione con movimento antiorario ed entrano nelle zone di bassa pressione con movimento orario.
In realtà i venti non si dispongono mai perfettamente lungo le isobare, ma le tagliano con un angolo che dipende dall'attrito che la massa d'aria produce con la superficie terrestre e che tende a contrastare l'adattamento dei venti alle isobare.
Infatti se i venti si formano sopra i mari, dove l'attrito è minore, tagliano le isobare con un'inclinazione di 10° circa, mentre sopra i continenti l'angolo può arrivare a 30-40°.
Tale comportamento viene riassunto dalla legge di Buys-Ballot, una legge empirica usata un tempo dai naviganti, secondo la quale, nel nostro emisfero, avendo il vento alle spalle, la zona di alta pressione si trova sempre a destra.
Fino a qualche tempo fa si riteneva che la circolazione osservata nella bassa troposfera si completasse in quota, nella alta troposfera, con dei venti di ritorno che chiudevano il movimento formando le cosiddette celle di Hadley.
Oggi tale ipotesi è stata profondamente modificata, poiché le osservazioni in quota hanno confermato l'esistenza di tali venti di ritorno solo in casi particolari, per alcuni venti locali e periodici.
Tipici esempi di venti locali sono le brezze di mare e di terra, legati al diverso comportamento termico dei mari e delle terre ed agli squilibri barici che ne derivano. Durante il giorno infatti la terra si riscalda più rapidamente del mare diventando sede di una bassa pressione che richiama aria dal mare (brezza di mare). Durante la notte le condizioni bariche si capovolgono poiché la terra, raffreddandosi più rapidamente diventa sede di una zona di alta pressione che spinge aria verso il mare ancora caldo (brezza di terra).
Fenomeni analoghi si hanno con le brezze di monte e di valle, in cui di giorno si presenta un riscaldamento più rapido delle cime montuose rispetto alle vallate sottostanti, con formazione di una brezza che soffia da valle verso il monte (brezza di valle). Di notte si produce invece una brezza opposta che dal monte scende a valle (brezza di monte).
Contrasti barici analoghi, ma di proporzioni molto maggiori, che interessano cioè aree geografiche molto più vaste, possono produrre importanti movimenti di masse d'aria classificati come venti periodici. I venti periodici spirano in modo caratteristico solo in certe stagioni dell'anno. Ne sono un esempio i monsoni che d'estate soffiano dall'oceano Indiano verso l'Asia, portando aria calda ed umida (stagione delle piogge), mentre d'inverno soffiano, freddi ed asciutti, dal continente verso l'oceano.
I dati più recenti a disposizione sembrano però escludere una semplice interpretazione termica dei monsoni, visti come brezze di enormi proporzioni. Non essendo stata riscontrata in quota la presenza di contro-monsoni a chiudere la cella di Hadley, si ritiene oggi più probabile una interpretazione dinamica, legata alla circolazione atmosferica generale.
Circolazione generale dell'atmosfera
La circolazione generale dell'atmosfera è legata all'esistenza di imponenti sistemi di venti costanti che mantengono approssimativamente inalterate la loro direzione ed il loro verso durante tutto l'anno.
La dinamica di tali venti risulta peraltro diversa nella bassa e nell'alta troposfera, sebbene vi sia uno stretto collegamento tra i due sistemi.
1) Circolazione nella bassa troposfera
La struttura e la dinamica di tale circolazione è legata all'esistenza, in ciascun emisfero, di 2 zone di basse pressioni e 2 zone di alte pressioni, che si alternano dall'equatore ai poli seguendo l'andamento dei paralleli, a circa 30° di distanza l'una dall'altra. Per l'emisfero boreale la situazione è la seguente:
a) Basse pressioni equatoriali (da 5°S a 5°N), prodotte essenzialmente dalla gran quantità di radiazione solare ricevuta durante tutto l'anno.
b) Alte pressioni subtropicali (intorno ai 30°N), di origine non termica ma dinamica, legate alla circolazione in quota, nell'alta troposfera.
c) Basse pressioni subpolari (intorno ai 60°N), anche queste di origine dinamica, legate alla circolazione in quota.
d) Alte pressioni polari (sopra il polo Nord), originate essenzialmente dalle basse temperature polari.
Nell'emisfero australe la situazione è speculare.
Le 4 fasce a condizioni bariche alterne ed opposte generano 3 sistemi di venti costanti su ciascun emisfero.
a) Gli Alisei, che prendono origine dalle alte pressioni subtropicali e soffiano verso le basse pressioni equatoriali. Essendo deviati verso destra, gli alisei provengono da nord-est e sono per questo detti venti orientali.
b) I venti occidentali, che prendono sempre origine dalle alte pressioni subtropicali, ma vengono attirati dalle basse pressioni subpolari. Anch'essi deviati verso destra, soffiano da sud-ovest. Sono i venti che interessano le nostre latitudini.
c) i venti polari, che prendono origine dalle alte pressioni polari e si dirigono verso le basse pressioni subpolari, proveniendo, come gli alisei, da nord-est.
Nelle zone equatoriali dove gli alisei boreali si incontrano con gli alisei australi, l'aria calda sale verticalmente, mentre lungo le fasce subtropicali dei due emisferi l'aria scende verticalmente. Sono le zone dette delle 'calme equatoriali' e delle 'calme subtropicali', temute un tempo dai velieri che potevano rimanervi bloccati per settimane.
2)Circolazione nell'alta troposfera
Un tempo si riteneva che nell'alta troposfera esistessero dei venti di ritorno in corrispondenza dei tre sistemi di venti al suolo, in modo da chiudere la circolazione con la formazione di tre grandi celle di Hadley per emisfero.
In realtà sopra i 4-5 km la circolazione dei venti risulta in qualche modo semplificata.
Salendo in quota si trovano infatti una zona di basse pressioni sopra i poli ed una fascia di alte pressioni poco sopra l'equatore (intorno ai 15°N).
Si ritiene che tale inversione barica sia da collegare al fatto che salendo in quota la pressione atmosferica diminuisce più rapidamente nelle zone di alta pressione (dove la maggior parte dei gas sono compressi al suolo) rispetto a quelle di bassa pressione.
Ciò produce in quota un vento che soffia dalle alte pressioni subequatoriali verso le basse pressioni polari. Tali venti vengono deviati verso destra dalla forza di Coriolis, senza risentire dell'attrito della superficie terrestre. Raggiungono perciò l'equilibrio quando si dispongono parallelamente alle isobare, le quali, nell'alta troposfera corrono in pratica parallelamente ai paralleli. Si formano così dei venti occidentali in grado di effettuare l'intero giro del globo.
Tali venti raggiungono velocità elevatissime, dell'ordine di 2-300 km/h, intorno ai 30° e 60° di latitudine, formando due veri e propri fiumi d'aria, la cui velocità decresce dal centro verso l'esterno.
Tali venti, detti correnti a getto o jet-stream, furono scoperti per la prima volta durante la II guerra mondiale, quando gli aerei americani in volo ad alta quota verso ovest, ne vennero investiti subendo forti rallentamenti.
La corrente a getto più a nord si trova sopra il fronte polare (la superficie di separazione tra l'aria fredda polare e quella calda delle basse latitudini, detta aria tropicale). Essa è detta corrente a getto del fronte polare o GFP.
La corrente a getto più a sud è detta invece corrente a getto subtropicale o GST.
In corrispondenza dei due getti vi sono due bruschi salti nel livello della tropopausa, la quale passa da 15 a 13 km a livello del getto subtropicale e da 10 ad 8 km a livello del getto subpolare.
Le correnti a getto presentano variazioni stagionali in latitudine, altezza e velocità. Le moderne teorie sulla circolazione generale dell'atmosfera ritengono che i principali fenomeni che si producono al suolo, come ad esempio l'evoluzione delle perturbazioni atmosferiche alle medie latitudini sia da ricondurre alla dinamica delle correnti a getto.
Alla dinamica del getto subpolare sembrano in particolare legate le due fasce di alte e basse pressioni che si formano al suolo in corrispondenza dei 30° e 60° di latitudine.
Sembra infatti che il getto subpolare sia il più instabile e sia soggetto periodicamente a perdere il suo andamento rettilineo per formare dei meandri, detti onde di Rossby, che si insinuano sempre più profondamente verso nord e verso sud.
Il fronte polare che separa l'aria calda delle medie latitudini dall'aria fredda polare, segue nella bassa troposfera l'andamento sinuoso del getto sovrastante. In tal modo delle cellule di aria calda si insinuano alle alte latitudini, mentre l'aria fredda polare viene spinta più a sud. Superato un certo livello le anse si strozzano lasciando sacche di aria calda verso i 60° e sacche di aria fredda verso i 30°.
La corrente a getto riprende ora il suo aspetto rettilineo originario, ma l'immissione di aria fredda polare verso le basse latitudini e di aria calda tropicale alle alte latitudini, produrrebbe a cadute d'aria dal lato equatoriale e ad ascese d'aria dal lato polare. Si verrebbero in tal modo a creare le fasce anticicloniche subtropicali e cicloniche subpolari.
Umidità dell'aria e precipitazioni
La quantità di vapor d'acqua presente nell'aria può essere misurata attraverso due parametri: l'umidità assoluta (U.A.) e l'umidità relativa (U.R.).
- L'umidità assoluta è la quantità di acqua, espressa in grammi, presente in un m di aria (g/m ). Tale quantità è variabile e dipende dalla temperatura dell'aria. Maggiore è la temperatura, maggiore è la quantità d'acqua che può essere presente nell'aria.
Ad esempio a 10 °C un metro cubo d'aria può contenere al massimo 9,4 g di vapore (naturalmente ne può contenere anche meno), mentre a 30°C la quantità massima di vapore sale a 30 g/m
Quando l'aria contiene la massima quantità di vapore consentita dalla temperatura a cui si trova, si dice satura.
Normalmente è piuttosto raro che l'aria sia satura di vapor d'acqua. Quando ciò avviene, tutta l'umidità in eccesso è destinata a condensarsi formando corpi nuvolosi o nebbie.
- l'umidità relativa è il rapporto tra la quantità di vapor d'acqua effettivamente presente in un certo volume d'aria e la massima quantità che lo stesso volume d'aria potrebbe contenere a quella temperatura.
Se ad esempio a 30°C sono presenti 3g di vapor d'acqua per m d'aria, contro i 30 g che la stessa aria potrebbe contenere se fosse satura, l'umidità relativa è del 10% (3/30).
Ma se gli stessi 3 g fossero presenti in un m d'aria a 10°C, l'umidità relativa salirebbe oltre il 30% (3/9,4).
Le variazioni di umidità relativa si possono quindi produrre per:
a) variazione della quantità di vapor d'acqua presente per unità di volume d'aria;
b) variazione della temperatura dell'aria.
Quando, per uno dei due motivi suesposti o per una combinazione di entrambi, l'umidità relativa raggiunge il 100%, inizia il fenomeno della condensazione.
Data una massa d'aria con una certa umidità relativa, è detto punto di saturazione o punto di rugiada la temperatura alla quale l'umidità relativa raggiunge il 100%.
Se il punto di rugiada si trova sopra lo 0°C allora la condensazione dà luogo a minuscolo goccioline di acqua (20 - 50 m), che si formano intorno ai nuclei di condensazione offerti dal pulviscolo atmosferico.
Se il punto di rugiada si trova sotto lo 0°C si formano microscopici cristalli di ghiaccio.
Le dimensioni ed il numero di goccioline che si condensano per unità di volume dipende dal tipo di nuclei di condensazione presenti nel pulviscolo. I nuclei più efficaci nel favorire la condensazione sono quelli che portano cariche elettriche, anche parziali, essendo fortemente igroscopici.
La completa mancanza di nuclei di condensazione porta al fenomeno della sovrasaturazione. Si tratta di un fenomeno piuttosto raro, ma sembra che le precipitazioni più violente siano da imputarsi alla formazione di nubi sovrasature.
Le goccioline che formano le nubi cadono verso il basso con velocità ridottissime. Esse sono infatti rallentate dall'attrito con l'aria e dalla spinta idrostatica legata al principio di Archimede.
Si calcola che una goccia di 20 m cada, nell'aria immobile, con una velocità di 72 m/h.
Ma normalmente in una nube sono presenti correnti ascensionali che impediscono la caduta di tali goccioline , tenendole in sospensione.
Affinché una nube produca una precipitazione è necessario che le microscopiche goccioline o i minuscoli cristalli di ghiaccio si uniscano a formare particelle di dimensioni tali da non poter più essere sostenute dall'aria. Una goccia di pioggia ha un diametro compreso tra un decimo di millimetro e qualche millimetro.
Il processo di fusione delle goccioline è detto coalescenza ed è favorito dai moti convettivi ascensionali dell'aria all'interno delle nubi. La continua agitazione cui sono sottoposte le goccioline ne facilità infatti l'incontro e la fusione.
Quando i moti convettivi all'interno della nube sono particolarmente intensi, le gocce possono essere portate più volte nelle regioni più elevate del corpo nuvoloso, dove la temperatura è inferiore agli 0°C. Qui si formano dei nuclei di ghiaccio che ricadendo nelle parti più basse della nuvola si ricoprono di un ulteriore velo d'acqua. Il processo può ripetersi più volte con la conseguente deposizione di diversi strati ghiacciati concentrici che troviamo a caratterizzare i chicchi di grandine.
La formazione dei corpi nuvolosi e delle nebbie avviene per immissione di ulteriore umidità grazie all'evaporazione di una superficie liquida o, più frequentemente, per una diminuzione della temperatura all'interno di una massa d'aria che in tal modo raggiunge il punto di rugiada.
Il raffreddamento di una massa d'aria può avvenire per contatto dell'aria con una superficie fredda, per mescolamento con una massa d'aria più fredda o in seguito ad un movimento di ascesa con relativa espansione adiabatica. Naturalmente i diversi meccanismi di raffreddamento possono agire anche congiuntamente.
- La modalità di gran lunga più frequente attraverso la quale si formano i corpi nuvolosi è la risalita di aria calda nelle zone di bassa pressione. L'aria, scaldata dalla superficie terrestre, si espande e, diventata più leggera, inizia a salire. Durante l'ascensione l'aria si raffredda sia perché viene a contatto con masse d'aria che a quote superiori sono più fredde, sia perché salendo viene a trovarsi a pressioni inferiori ed è perciò costretta ad espandersi a spese della sua energia interna (espansione adiabatica).
- In altri casi una massa d'aria in movimento orizzontale è costretta a risalire semplicemente per la presenza di rilievi montuosi o in seguito all'incontro di una massa d'aria più fredda e densa che le si incunea sotto. In tal modo si raffredda sia per contatto con la superficie più fredda che per l'espansione adiabatica dovuta alla risalita.
Gradiente adiabatico secco ed umido
Finche la temperatura della massa d'aria in risalita rimane inferiore al punto di rugiada l'umidità relativa risulta inferiore al 100%. Non producendosi condensazione durante la risalita la diminuzione di temperatura risulta molto efficiente. Essa segue il cosiddetto gradiente adiabatico secco (cioè in assenza di condensazione) che prevede una diminuzione di 1°C per ogni 100 m di altezza.
Una volta raggiunto il punto di rugiada inizia il fenomeno di condensazione con liberazione di calore latente. Il calore latente che si libera rende meno efficiente la diminuzione di temperatura prodotto dal movimento ascensionale dell'aria che risulta essere di 0,6°C per ogni 100 metri di altezza, valore conosciuto come gradiente adiabatico umido (cioè in presenza di condensazione).
Effetto Fhn L'effetto Fhn esemplifica molti dei concetti suesposti. Il termine deriva dal nome del vento caldo e asciutto proveniente da Sud che in primavera spesso scioglie anticipatamente le nevi delle vallate svizzere ed austriache, dopo aver scavalcato le Alpi. Si tratta comunque di un fenomeno comune a tutti i venti che investono rilievi montuosi dopo essersi caricati di vapor d'acqua in regioni più calde ed umide. Mentre risale il versante sopravvento la massa d'aria si espande raffreddandosi secondo il gradiente adiabatico secco fino ad una certa quota dove, raggiunto il punto di rugiada, continua la risalita, con formazione di corpi nuvolosi e precipitazioni, secondo il gradiente adiabatico umido. Giunta in cima la massa d'aria, scaricata gran parte della sua umidità, è ormai asciutta e scende lungo il versante sottovento comprimendosi e riscaldandosi secondo il gradiente adiabatico secco lungo tutto il suo percorso. In tal modo la discesa risulta essere termicamente più efficiente della risalita ed il vento risulta, a parità di quota, più caldo nel versante in discesa che in quello in salita. |
Nefoscopia
La nefoscopia è quella parte della meteorologia che studia e classifica le nubi in base alla loro forma, alla loro altezza ed alla loro dinamica.
In generale le nubi si possono dividere in due grandi classi: stratiformi e cumuliformi.
Le nubi stratiformi sono poco spesse e molto estese in senso orizzontale, mentre le nubi cumuliformi sono in genere molto estese in senso verticale e dalla forma massiccia e globulare.
Le nubi vengono poi classificate in funzione della loro altezza nella troposfera in nubi alte (sopra i 6000 m, tipici sono i cirri), nubi medie (tra i 2500 e i 6000 m) , nubi basse (sotto i 2500 m) e nubi a sviluppo verticale (sono i cumulonembi che possono attraversare l'intera troposfera).
Non tutte le nubi possono dare precipitazioni. In genere producono più facilmente precipitazioni le nubi a grande sviluppo verticale e quelle che presentano la base a quote non molto elevate.
La distribuzione delle precipitazioni sulla superficie terrestre viene rappresentata tramite le isoiete. Le isoiete sono curve che uniscono punti della superficie terrestre che presentano la stessa piovosità media (annua o mensile) espressa in mm di pioggia caduta.
La nebbia può essere considerata una nube stratiforme che si produce al suolo. Essa si forma quando una massa d'aria calda e umida si raffredda a contatto con la superficie terrestre.
Perturbazioni atmosferiche
Le precipitazioni non sono quasi mai legate a situazioni meteorologiche strettamente locali, ma sono di solito distribuite su di un vasto territorio in cui il tempo è perturbato.
Come abbiamo già avuto modo di dire le perturbazioni si formano in corrispondenza delle zone di bassa pressione dove l'aria sale e l'umidità condensa. Nelle zone di alta pressione il tempo tende invece ad essere bello, poiché l'aria scendendo è in grado di assorbire l'eventuale nuvolosità.
Le zone perturbate sono dunque zone cicloniche, ma la dinamica dei cicloni delle medie latitudini o extratropicali è completamente diversa da quella dei cicloni tropicali e verrà perciò trattata separatamente.
A) Perturbazioni delle medie latitudini (cicloni extratropicali)
Per comprendere la dinamica delle perturbazioni delle medie latitudini è necessario introdurre il concetto di massa d'aria e di fronte.
In meteorologia una massa d'aria è una porzione di troposfera estesa orizzontalmente anche qualche migliaio di chilometri la quale, avendo stazionato a lungo sopra una certa regione, ha acquistato particolari caratteristiche di temperatura, umidità e densità che tende a mantenere anche quando si sposta e viene a contatto con masse d'aria di origine e caratteristiche diverse.
Le masse d'aria che si originano alle alte latitudini vengono dette artiche o polari, mentre quelle che si originano alle basse latitudini vengono dette tropicali.
Le superfici di confine che separano masse d'aria a densità differenti, una delle quali più calda e, come spesso avviene, più umida sono chiamate superfici frontali. L'intersezione della superficie frontale con la superficie terrestre viene detta fronte, anche se il termine viene spesso usato come sinonimo di superficie frontale.
Il fronte in realtà non è una linea netta, ma una fascia larga qualche chilometro. Ma a livello di una carta geografica, i fronti vengono segnati in modo soddisfacente con delle linee.
La superficie frontale non è mai verticale, ma sempre lievemente inclinata verso la massa d'aria più fredda cosicché quest'ultima forma una specie di cuneo a terra al di sopra del quale si trova l'aria calda.
In relazione al tipo di movimento reciproco che caratterizza le masse d'aria si distinguono 4 tipi di fronte: stazionario, caldo, freddo e occluso.
a) Fronte stazionario
Si produce un fronte stazionario quando le masse d'aria scorrono lateralmente l'una rispetto all'altra. In tal caso il fronte non si muove e viene perciò detto stazionario. Sulle carte geografiche il fronte stazionario viene così rappresentato
In effetti il fronte stazionario rappresenta più una situazione ideale che una realtà, poiché normalmente le masse d'aria tendono a muoversi perpendicolarmente al fronte, provocandone lo spostamento in un senso o in un altro. A seconda della direzione del movimento si può distinguere un fronte caldo ed un fronte freddo.
b) Fronte caldo
Si produce quando la linea del fronte si muove in modo tale che l'aria calda occupa progressivamente regioni precedentemente occupate dall'aria fredda. Il fronte caldo viene rappresentato così
Il fronte viene detto caldo poiché le zone interessate dal passaggio di questo fronte vedono alzarsi la temperatura.
Mentre il cuneo di aria fredda si ritira, sospinto dall'aria calda, quest'ultima risale lungo la superficie frontale, si raffredda per espansione adiabatica e per contatto con l'aria fredda ed inizia a formare caratteristici corpi nuvolosi di tipo stratiforme. Le precipitazioni che ne seguono sono anch'esse caratteristiche, in genere con piogge di intensità moderata, ma di grande durata.
b) Fronte freddo
Si produce quando la linea del fronte si muove in modo tale che l'aria fredda viene ad occupare l'area che prima occupava l'aria calda. Il fronte caldo viene rappresentato sulle carte in questo modo:
La particolare dinamica dei fronti freddi fa si che il cuneo freddo che avanza costringa l'aria calda ad impennarsi anziché scivolare dolcemente sopra la superficie frontale. Contemporaneamente la superficie frontale tende ad incurvarsi a causa del maggior attrito che la massa d'aria fredda che avanza trova a contatto con la superficie terrestre, rispetto all'attrito prodotto in quota.
L'aria calda sale così quasi verticalmente, producendo corpi nuvolosi caratteristici di tipo cumuliforme.
Anche le precipitazioni sono tipiche, prevalentemente con piogge molto intense, acquazzoni, ma di breve durata.
c) Fronte occluso
Si produce un fronte occluso quando un fronte freddo raggiunge un fronte caldo (il fronte freddo è in genere più rapido del fronte caldo poiché proviene da latitudini maggiori e la forza di Coriolis, a parità di altre condizioni è proporzionale al seno della latitudine).
Il fronte occluso viene rappresentato sulle carte in questo modo
Il tempo provocato da un fronte occluso è in genere associato all'aria calda compressa e costretta a salire tra le due masse d'aria fredda, con formazione di una zona ciclonica. Le formazioni nuvolose sono più complesse, generalmente di tipo cumuliforme. Le precipitazioni sono piuttosto intense e di breve durata.
Sulle carte il fronte occluso è sempre associato al fronte freddo e caldo che si stanno unendo ed alla zona di bassa pressione che si è costituita.
I fronti come sono stati finora descritti influiscono continuamente sulle condizioni meteorologiche delle medie latitudini, essendo associati con sistemi di basse pressioni detti cicloni extratropicali. Questi cicloni sono fenomeni discontinui. In altre parole iniziano a formarsi quando un fronte freddo si avvicina ad un fronte caldo e si esauriscono pian piano con la formazione del relativo fronte occluso, il quale torna poi a diventare un fronte stazionario quando la zona di bassa pressione si è dissolta.
Durante la loro evoluzione tali cicloni non stazionano su di una stessa regione, ma si muovono da ovest ad est interessando regioni diverse.
Sviluppo ed evoluzione dei cicloni extratropicali
Secondo il modello classico i cicloni extratropicali si formano in conseguenza di modificazioni nella dinamica della corrente a getto subpolare e del fronte polare ad essa associato.
Abbiamo già detto che il fronte polare separa le masse d'aria tropicali, associate ai venti occidentali, dalle masse d'aria polari, associate ai venti polari.
Fintantoché la corrente a getto subpolare rimane relativamente rettilinea e costante anche il fronte sottostante non subisce variazioni e può essere descritto come un fronte stazionario. con un'attività ciclonica praticamente assente.
La formazione di increspature ne fronte polare responsabili della successiva formazione delle zone cicloniche si ritiene sia da mettere in relazione con brusche accelerazioni del getto sovrastante. Questi punti in cui la velocità del getto aumenta sono detti massimi del getto. L'accelerazione del getto produce una rarefazione in quota che richiama aria dal basso creando una zona di bassa pressione al suolo. In altre parole sotto ciascun massimo del getto si forma in corrispondenza del fronte polare una zona di bassa pressione.
Al suolo tale zona di bassa pressione richiama aria fredda da nord e aria calda da sud, con classico movimento antiorario. Si forma così un fronte caldo ad est ed un fronte freddo ad ovest che increspano il fronte polare.
Man mano che il fenomeno procede le masse d'aria in movimento assumono il tipico aspetto dei venti antiorari che entrano nelle zone cicloniche.
Il ciclone ha a questo punto un diametro tipico che va dagli 800 ai 1600 km.
Il fronte freddo avanza più rapidamente dando luogo ad un fronte occluso. La completa occlusione determina infine la scomparsa dell'increspatura del fronte polare che aveva dato luogo alla perturbazione. Vengono infine ripristinate le condizioni del fronte stazionario e torna il bel tempo.
I cicloni delle medie latitudini si presentano in genere in gruppi di 4 o 5 chiamati famiglie di cicloni, con una vita media di 6-7 giorni. Il grado di maturità dei cicloni di una stessa famiglia aumenta da Ovest verso Est. In altre parole il ciclone più ad Ovest si trova allo stadio iniziale, mentre il ciclone più ad est avrà ormai raggiunto lo stadio di completa occlusione.
Poichè i massimi del getto si muovono all'interno della corrente da ovest verso est con una velocità di circa 40 - 50 km/h, essi trascinano le famiglie di cicloni ad essi associate nella stessa direzione e con la stessa velocità. In realtà le famiglie cicloniche non risultano quasi mai rigorosamente disposte secondo i paralleli da ovest ad est. A seconda infatti che il massimo del getto ad esse associato stia risalendo o scendendo un'onda di Rossby, la direzione sarà SW → NE o NW → SE.
Inoltre la latitudine medie di tali famiglie cicloniche varia durante l'anno con lo spostarsi dell'asse del getto più a nord o più a sud, in relazione al movimento apparente del sole tra i due tropici. Così l'Europa meridionale viene investita d'inverno dalle famiglie cicloniche che si spostano a sud assieme al getto subpolare. Mentre d'estate, quando l'asse del getto torna più a nord, portando il cattivo tempo sull'Europa settentrionale, l'Europa meridionale viene investita dalle alte pressioni subtropicali, che nelle nostre zone prende il nome di anticiclone delle Azzorre.
B) Perturbazioni delle basse latitudini (cicloni tropicali o intertropicali)
Il concetto di perturbazione atmosferica così come viene intesa alle nostre latitudini è privo di significato nella fascia intertropicale.
I cicloni tropicali, noti anche come tifoni o uragani, sono infatti perturbazioni violentissime, ma di ampiezza limitata, avendo un diametro che può giungere al massimo a circa 500 km.
Si sviluppano sempre sopra gli oceani, nella zona delle calme equatoriali, dove si incontrano gli Alisei provenienti dai due emisferi, in corrispondenza di masse d'aria particolarmente calde ed umide.
A differenza dei cicloni delle medie latitudini non presentano superfici frontali e non sono associati a veri e propri anticicloni.
Si ritiene che sia proprio l'incontro degli Alisei a generare le condizioni necessarie al prodursi di tali perturbazioni.
I cicloni tropicali sono caratterizzati da una differenza di pressione tra il centro e la periferia elevatissima, dell'ordine di 50 - 60 mb. Tale enorme gradiente barico è in grado di far raggiungere ai venti velocità di 2-300 km/h.
Man mano che i venti si avvicinano verso il centro del ciclone con tipico moto a spirale, vengono letteralmente aspirati verso l'alto dalla fortissima depressione presente al centro.
Durante la risalita l'umidità si condensa dando origine ad un muro cilindrico di cumulonembi alto fino a 12 km, il quale racchiude una zona circolare di circa 20 km di diametro, detta occhio del ciclone, in cui l'aria, perfettamente calma e senza copertura nuvolosa, scende lentamente scaldandosi. All'interno dell'occhio del ciclone non piove ed è possibile vedere il sole.
Un ciclone tropicale può essere definito come una efficientissima macchina termica, alimentata dall'enorme quantità di calore latente liberata durante la condensazione. La liberazione di calore latente riscalda infatti ulteriormente l'aria, accelerandone il moto ascensionale.
L'energia messa in gioco in un giorno da un ciclone di medie dimensioni è dell'ordine di 10 kwh, più di quanto l'uomo riesca a produrre in tutto il mondo nello stesso arco di tempo.
Dal mare, dove si forma, il ciclone migra, sospinto dagli Alisei verso NW. Una volta raggiunta la terraferma il ciclone perde rapidamente forza, sia perché viene meno la fonte di aria calda e umida, sia per il maggior attrito che i venti sviluppano con la superficie terrestre.
La forza distruttiva di un ciclone è enorme. Il suo effetto devastante è dovuto oltre che alla enorme velocità dei venti, anche alla brusca diminuzione di pressione. Sugli edifici, specialmente se porte e finestre sono chiuse, il brusco sbalzo barico causa una violentissima spinta verso l'esterno, in grado di far letteralmente volare i tetti.
Tenendo presente che la differenza di pressione tra esterno ed interno è di circa l'8% (60 mb su 760 mb) e che la pressione normale e di circa 1 kg/cm , la spinta verso l'esterno sarà di circa 0,08 kg/cm , pari a 800 kg/m . Ciò significa che su un tetto di 100 m agisce una spinta di circa 80 tonnellate.
Appunti su: per 1kg di peso quando elio per alzarsi dal suolo, l27atmosfera e i fenomeni meteorologici riassunti, https:wwwappuntimaniacomuniversitameteorologiaatmosfera-e-meteorologia23php, |
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