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Psicologia della procreazione assistita




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PSICOLOGIA DELLA PROCREAZIONE ASSISTITA


1) PREMESSA


Una delle domande principali è che cosa spinga una coppia a rivolgersi alle tecnologie di procreazione assistita, a cercare di avere un figlio proprio a tutti i costi; un'altra è se sia corretto equiparare le tecniche di procreazione assistita all'adozione. La migliore via da seguire forse è quella di una lettura comparata del desiderio di diventare genitori, il quale a sua volta sottintende altri desideri quali la volontà di trasmettere il proprio corredo genetico, di sentir nascere nel proprio corpo una vita.


2) LA GRAVIDANZA FIVET


Le tecniche di procreazione assistita che hanno maggiori implicazioni psicologiche sono la FIVET e l'inseminazione eterologa. Anche se la ricerca psicologica in questo campo sta muovendo ora i primi passi, alcuni dati sembrano ritornare come una costante. Le coppie che scelgono un concepimento indotto sono quelle più unite e con maggiore determinazione personale. In secondo luogo si segnala il progressivo aumento dei tratti d'ansia e depressivi, con il conseguente crollo dell'autostima in modo particolare nelle donne con il crescere dei tentativi falliti.

In una ricerca condotta da Leiblum nel 1987, le coppie all'inizio del trattamento FIVET manifestavano un grande ottimismo riguardo le possibilità di successo. Dopo l'esito negativo del trattamento, emergevano sentimenti di rabbia, di vuoto, di tristezza, di colpa. In alcuni casi, il fallimento dava inizio ad un processo di elaborazione del lutto, sostenuto dalla consapevolezza di aver fatto tutto il possibile; in altri casi, invece, era prevalente la sensazione di essere stati traditi dal proprio corpo.

Per quanto riguarda il rapporto col figlio concepito tramite fecondazione artificiale, è illuminante una ricerca condotta nel 1997 da McMahon, il quale ha studiato i livelli di ansia durante la gravidanza e il grado di attaccamento al feto da concepimento FIVET in un campione di 70 coppie che avevano concepito mediante FIVET ed in un campione di controllo. Sono stati registrati livelli d'ansia più alti in madri FIVET riguardo la sopravvivenza e la normalità del bambino durante lo sviluppo fetale: i livelli d'ansia erano maggiori in madri che avevano sperimentato due o più cicli di trattamento.


3) LA FECONDAZIONE OMOLOGA


Nella fecondazione omologa i tempi sono quelli fisiologici, e l'unità biologica familiare madre-padre-figlio rimane inalterata. Lo sperma viene, infatti, raccolto tramite masturbazione, gesto che assume forme diverse a seconda delle culture dalle quali proviene l'aspirante padre. E' possibile anche procedere alla raccolta dello sperma direttamente dalla vagina, dopo un rapporto sessuale, e trasferirlo ambulatoriamente in provetta. In ogni caso, rimane un senso di artificialità che si estende all'intero processo fecondativo.

Per recuperare il contesto dell'intimità condivisa, l'inseminazione a volte viene effettuata dal ginecologo in presenza del marito, ma si tratta sempre di una "inseminazione con spettatore". Di conseguenza viene da chiederci se è il marito a generare oppure è il terapeuta che con la sua azione ha permesso la trasmissione della vita. Il padre è colui che la donna ha scelto come tale, ma per l'inconscio le cose non sono così semplici: senza dubbio scatta tra la paziente e il suo medico una relazione di transfert che risulta essere perturbante per la relazione coniugale. E' impossibile che il marito, in una situazione del genere, non si senta emarginato e impotente. Nella nostra società la paternità, si appoggia prevalentemente sull'immaginario materno. Il futuro padre partecipa delle fantasie della partner, le fa proprie e, di conseguenza, sogna, desidera, fa ciò che la sua donna va mentalmente elaborando o effettivamente vivendo. Sarà poi il neonato, con la forza vitale della sua presenza al mondo a rassicurare padre e madre delle loro capacità generative e dei rispettivi ruoli genitoriali. Quando si passa dall'attesa al possesso del figlio, il passato subisce una riorganizzazione ed è così possibile dare dei simboli a quei rapporti che in un primo tempo sembravano prevalentemente fisiologici. A questo punto la figura del ginecologo passa ad essere considerato un antenato, una divinità protettiva che vigila sulla continuità della famiglia.


4) LA FECONDAZIONE ETEROLOGA


Se nelle tecniche omologhe i confini della famiglia rimangono sociologicamente inalterati e l'uomo recupera la propria identità superando il complesso di frustrazione derivante dall'intervento di un terzo all'interno del proprio contesto di coniugalità. Diverso è il ruolo del coniuge nel caso della fecondazione eterologa: in questo caso si crea all'interno della relazione con il figlio un'asimmetria, dal momento che mentre la madre diventa genitore genetico e sociale, il padre diventa solo genitore genetico.

Ci sono molte considerazioni su questo tema e le risposte cambiano a seconda della posizione dell'uomo nei confronti di se stesso, della coppia, del neonato, del donatore o del contesto sociale di appartenenza. E' possibile, infatti, distinguere in materia una letteratura "ottimistica" ed una "pessimistica". Levie, nel 1967, ha intervistato 116 coppie che nei dieci anni precedenti avevano avuto un figlio con inseminazione eterologa; per 109 di esse il figlio aveva dato molta gioia e per più della metà il tono di vita era migliorato. Solo in cinque casi erano scoppiati conflitti con una certa gravità tra i coniugi.

Stone, nel 1958, ha seguito per vent'anni coppie che avevano avuto un figlio con un'inseminazione eterologa rilevando che quasi tutti i mariti avevano accettato il figlio meglio che se fosse stato concepito naturalmente, al punto da richiedere un secondo e un terzo figlio.

Nel maggio del '53, al congresso mondiale sulla fertilità tenutosi a New York, la maggior parte dei partecipanti fu dell'opinione che l'inseminazione artificiale eterologa porta un grande contributo alle coppie sterili e alla stabilità del matrimonio.

La cosiddetta letteratura pessimistica, al contrario, ritiene che l'uomo, a differenza della donna storicamente rassegnata all'eventualità della sterilità, prenda coscienza della propria infertilità con un senso di frustrazione maggiore. A questo viene aggiunto che nelle culture più arretrate, ma non solo in quelle, il concetto di sterilità maschile si sovrappone e spesso si identifica con quello di virilità e di impotenza.

Secondo Perret, la sofferenza di questi padri è indotta da una serie di angosce fondamentali , le più note sono: l'angoscia di non lasciare nulla di sé dopo la propria morte, di non avere discendenti, di morire veramente (essendo il figlio l'unica rivincita possibile sulla morte); l'angoscia di interrompere la catena della filiazione, accompagnata da un profondo senso di colpa per non poter trasmettere, con il proprio nome, la storia della famiglia, il patrimonio ancestrale del quale ogni persona è portatrice; l'angoscia della castrazione, che si traduce in un sentimento di mancanza, di perdita, di rottura: toccati nell'integrità fisica gli uomini possono sentirsi incompleti; l'angoscia che deriva da una devalorizzazione narcisistica, cioè da una perdita di autostima: gli uomini si sentono inferiori agli altri uomini, poco virili, come se gli spermatozoi presidiassero l'identità maschile.

Quando una coppia chiede la fecondazione eterologa, in realtà è solo la donna a volerla. Il consenso del coniuge è in qualche modo "forzato": non è facile ammettere la propria sterilità, che nel profondo viene vissuta come impotenza. Ricevendo lui stesso un bambino da un altro uomo, il partner si "femminilizza", diventa un padre con possibili effetti patogeni sul figlio. Nel caso invece si tratta di ovodonazione, la maternità si configura come un affare di donne: il partner resta comunque terzo e anche qui il ruolo paterno è indebolito, con conseguenze sul figlio.

Un'altra figura necessaria all'interno della fecondazione eterologa, è il donatore di seme, che è giusto che sia anonimo in quanto se si togliesse l'anonimato, il numero dei donatori diminuirebbe per la stragrande maggioranza. Molti di loro hanno dichiarato che togliere l'anonimato, potrebbe avere effetti pericolosi sulla loro vita familiare.




5) TRA VERITA' E OMERTA'


Un numero sempre più elevato di figli viene ingannato sulla loro origine, soprattutto nel caso della fecondazione eterologa. Un'indagine dell'Unione europea sui bambini nati con la fecondazione assistita, rivela che , di solito, ai figli nati in vitro viene detta la verità, perché i genitori considerano le condizioni del concepimento solo come un dettaglio tecnico che non intacca minimamente i rapporti biologici. Al contrario, con i figli nati da sperma donato si preferisce mantenere il segreto.

Secondo Dieder David, la scelta di mantenere il segreto per non correre il rischio di traumatizzare il bambino è in realtà, per l'uomo, solo un pretesto per mascherare la propria sterilità. In alcuni casi il segreto appare come necessario, perché altrimenti si avrebbe una dissociazione tra l'integrità maschile e la paternità. Il segreto investe sempre un duplice fronte: da un lato il gruppo sociale e dall'altro il bambino. Nei confronti degli amici e dei familiari, le coppie mantengono una riservatezza assoluta: si accertano che non esistano cartelle cliniche relative all'intervento di inseminazione artificiale e tagliano ogni tipo di rapporto con i medici. Nei confronti del bambino nato con inseminazione eterologa, si registrano diversi atteggiamenti: alcune coppie decidono di dire la verità, ma in tempi diversi; altre prima di decidere aspettano di vedere come cresce il bambino; la maggior parte decide di mantenere il segreto.

Gli psicologi affermano che la causa di tutta questa omertà, più del desiderio di risparmiare al figlio un inutile dolore, è il fatto di mantenere intatta la loro immagine narcisistica, di cancellare il fatto di essere sterili o di cancellare il fantasma del donatore.

Il silenzio non potrà non avere delle conseguenze sullo sviluppo psichico del bambino nato da una fecondazione artificiale. I segreti di famiglia, sono dei segreti vulnerabili, poiché prima o poi, emergeranno per vie non verbali, quali sguardi, imbarazzi, lapsus. Se il bambino inizia ad avere la sensazione che un qualche segreto avvolge la sua nascita, ecco che può reagire in due diversi modi: o impedendosi a ogni indagine col risultato di inibire la fantasia, o esaltando le differenze, con la conseguenza di sentirsi estraneo al suo ambiente.


6) LA SCELTA ADOTTIVA


Di fronte al problema della sterilità, ad una coppia non rimangono che queste due modalità prima di rassegnarsi a non diventare mai genitori: o la cura del corpo malato e il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita, oppure l'adozione.

Negli ultimi decenni si è registrata un'inversione di tendenza: mentre negli anni '70 le coppie preferivano ricorrere all'adozione o all'affidamento perché erano avvertiti come ideali sociali; a partire dagli anni '80 le preferenze si sono andate progressivamente spostando sulla fecondazione artificiale.

Anche se, entrambe le risposte alla sterilità partono da una riflessione comune, cioè il fatto che l'aver dato al nascituro il proprio patrimonio genetico non esaurisce il senso della genitorialità, la quale consiste soprattutto nella cura amorevole dei figli, la preferenza accordata con le tecniche di fecondazione assistita si spiega con il desiderio di mantenere un vincolo biologico, un legame di sangue col figlio che nasce.

A questo si deve aggiungere anche una certa avversione nei confronti dell'adozione. I motivi possono essere diversi: prima di tutto la lunghezza dei tempi e poi la scelta di sottrarsi agli sguardi indiscreti del tribunale, che prende in esame l'istanza e giudica solo dal punto di vista della correttezza formale e che viviseziona i requisiti giuridici, morali, fisici e psicologici.

Saulè, uno psicoanalista che ha studiato a lungo il problema delle coppie adottive, afferma che: è più difficile essere genitori adottivi che non bambini adottati. Se da una parte l'adozione è un atto coscientemente determinato, dall'altro è la conclusione di una storia che può essere stata vissuta in modo doloroso. Per i genitori adottivi il fatto di prendere in casa il bambino è l'ultimo atto di una lunga storia: la coppia giunta infine all'adozione, ha vissuto una lunga avventura, quella della sterilità.

La sterilità rientra in quel tipo particolare di situazioni che implicano una rinuncia definitiva alla realizzazione dell'ideale dell'Io: situazioni diverse e opposte a quelle che implicano una rinuncia provvisoria e che attestano allora la capacità di tolleranza alla frustrazione e la forza dell'Io nei riguardi del principio della realtà. Questo "mai più", colpisce l'ideale dell'Io e può uscire nella depressione, nell'impoverimento narcisistico e nell'annientamento. Per quanto riguarda la sterilità, tutto dipende dal modo in cui è stata vissuta questa mancanza. Il bisogno di adottare è caratteristico delle persone che amano i bambini, ma che forse hanno anche bisogno di premunirsi contro l'angoscia depressiva del "mai più"; rischiano di rivolgere il loro affetto soprattutto ad un oggetto che calmi le loro inquietudini.

La scelta adottiva implica che la donna sterile possa scegliere la strada dell'adozione solo dopo elaborato il lutto del bambino mai nato. Senza questo processo interiore, rischia di protrarre un'attesa che non sarà mai esaudita. Per accogliere senza rancore il bambino adottato, occorre che il suo predecessore, l'immagine inconscia che organizza la predisposizione generativa femminile, sia stata rimossa e che la coppia riconosca la propria mancanza e il proprio desiderio inappagato.     



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