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La poesia astronomica nell'età di Tiberio




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La poesia astronomica nell'età di Tiberio


Lo studio degli astri e della loro influenza sulla vita dell'uomo suscitò grande interesse già alla corte degli imperatori. Augusto dava enorme importanza agli oroscopi e il nipote di Tiberio, Germanico, tradusse in latino i Phaenomena del poeta greco Arato di Soli ( III sec a.C.).

L'interesse per l'astrologia si trova accentuato in Tiberio, che amava circondarsi di astronomi e astrologi dal momento che un simile atteggiamento era, in qualche modo, funzionale al mantenimento dell'autorità imperiale. Credere, infatti, in un destino superiore contro il quale non si può lottare era un atteggiamento tanto diffuso tra vasti strati sociali quanto utile ad evitare rivolte. L'astrologia, però, trae le sue origini dalla civiltà babilonese e si diffonde ben presto in tutto il mondo antico.

Nella Grecia classica fu per un certo tempo respinta nell'orientamento razionalista della cultura. Solo in età ellenistica ci fu una nuova fioritura di questa disciplina, grazie alla fusione degli elementi egiziani e babilonesi con gli strumenti matematico-astronomici elaborati dagli scienziati greci. La filosofia stoica fornì inoltre il quadro teorico entro cui giustificare la disciplina, con la concezione del mondo come unico organismo vivente regolato dal logos, la "Ragione" divina.

Veniva così postulata una corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo, vale a dire l'esistenza di una fitta rete di segreti rapporti di causalità tra due ordini di fenomeni in apparenza lontanissimi, come il movimento degli astri e la vita degli uomini. Il complesso di associazioni simboliche elaborate dalla mentalità antica in questo settore costituisce un argomento di grande importanza antropologica. L'uomo, infatti, ha la tendenza innata a dare un senso logico ai dati dell'esperienza sensibile, a organizzarli in un sistema.


Manilio

Tra la fine del principato augusteo e i primi anni di quello di Tiberio si pone l'opera di Manilio, gli Astronomica. Essa rivela ancora oggi una sua attualità: si tratta infatti di un'opera in versi dedicata all'astrologia, una materia che a dispetto delle ripetute condanne della scienza e della religione ufficiale non cessa di suscitare interesse o almeno curiosità. L'astrologia è anche un campo di grande interesse antropologico, perché ci rivela un modo di pensare basato su fitte associazioni simboliche e una mentalità che pretende di dare spiegazione a ogni cosa, compreso l'ignoto per eccellenza: il destino dell'uomo.



Gli Astronomica

L'opera di Manilio è un poema didascalico in cinque libri.

Il libro I è di natura propriamente astronomica, espone in generale le teorie dei filosofi sull'origine dell'universo e descrive la sfera celeste, con le principali costellazioni, i pianeti, le comete e le meteore. Il resto della trattazione è invece di natura astrologica. Nell'antichità i confini fra astronomia e astrologia non erano nettamente definiti, nemmeno a livello di termini: non esisteva come oggi una distinzione tra i due campi, tra la figura nell'astronomo-scienziato e quella dell'astrologo-ciarlatano, anche perché l'astrologo aveva spesso competenze anche di geometria sferica e meccanica celeste pari a quelle di un astronomo.

E' molto probabile che l'opera comprendesse anche un sesto libro, dedicato alle congiunzioni planetarie, che è andato perduto. Un appunto in un codice miscellaneo del XV secolo segnala l'esistenza, nella biblioteca di Spira, di un Manilio in cui sunt libri sex, ultimus est completus .

Nella trattazione dell'opera di Manilio mi interessa in particolare soffermarmi sulla concezione che l'autore aveva dell'universo e quindi più propriamente sulla cosmologia.



Manilio e l'universo

Manilio dedica il primo libro della sua opera alla conoscenza dell'universo come realtà eterna. All'atteggiamento didascalico della descrizione del cosmo si abbina la certezza filosofica dell'eternità e dell'inalterabilità dell'universo.

L'obiettivo del poeta è chiaro sin dai primi versi, in cui lo esplicita scrivendo:


"carmine divinas artes et conscia fati sidera diversos hominum variantia casus"

" mi volgo con questo mio canto a trarre dall'universo le arti arcane, le stelle conscie del destino che variano i differenti casi degli uomini" (versi 1-2)


e inoltre:


" iuvat ire per ipsum aera et immenso spatiantem vivere caelo signaque et adversos stellarum nascere cursus. Quod solum novisse parum est. Impensius ipsa scire iuvat magni penitus preacordia mundi, quaque regat generetque suis animalia signis cernere et in numerum Phoebo modulante referre"

" non altro mi è caro che andare nel colmo dell'aere e vivere errando per il cielo infinito e distinguere il contrapposto movimento di costellazioni e pianeti. Pure è poco il sapere da solo. Più assai mi è caro conoscere fino nelle intime fibre il segreto della potenza dell'universo e discernere a quali figure sideree si debba il governo di ciascuno degli esseri, e la genitura, e volgerlo in ritmi ispirati da Febo" (versi 13-19)


Quindi inizia la trattazione dei vari argomenti a lui cari. Il punto centrale del pensiero dell'autore è l'esistenza di una ratio che governa il tutto, una ratio di origine divina.


" mundum divino numine verti"

"il cosmo si muove per impulso divino" (verso 484)


Manilio non riesce a concepire un universo privo di senso e di logica, basato unicamente sul caso.


"quis credat tantas operum sine numine moles ex minimis caecoque creatum foedere mundum?"

" chi crederebbe estranea a un senso divino un'opera così grande, e il cosmo   creato da questi atomi con cieca combinazione?" (versi 492-493)


Viene completamente rifiutata la teoria epicurea della casualità dell'universo e del mutamento continuo della sua materia, a causa dell'incessante aggregazione e disaggregazione degli atomi che la compongono. Manilio si rifà invece al filosofo stoico Posidonio. È evidente che il cosmo è dotato di leggi e di una causalità che si oppone alla casualità epicurea. Infatti l'universo è:


" nec forte cosse magistra"

" non aggregato per dominio del caso" (verso 485)






questo perché :


"si fors ista dedit nobis, fors ipsa gubernet"

"se è il caso ad averci dato tutto questo, il caso stesso lo governerebbe" (verso 494)


L'universo è dominato da leggi, che però non sono facili da cogliere


"speculataque longe deprendit tacitis dominantia legibus astra »

"osservando lontano colse le leggi segrete della dominazione degli astri"      (verso 63)


L'autore in sostanza ritiene che:


" nam neque fortuitos ortus surgentibus astris"

"non posso infatti credere al casuale levarsi degli astri che

sorgono" (versi 182-183)


Un altro punto su cui insite l'autore è la natura divina del cosmo. Infatti secondo la concezione stoica del mondo, le stelle e la Terra sono divinità, come pure la mente superiore regolatrice del mondo, localizzata nell'etere. Riferendosi al cosmo egli scrisse:


" ipsum esse deum"

" esso stesso è una divinità" (verso 485)


e inoltre:


" deus est, qui non mutatur in aevo"

" esso ha natura di dio, che non muta per l'eternità" (verso 523)


Manilio, in base alla teoria stoica dell'esistenza del vuoto, concepisce l'universo come infinito nello spazio e nel tempo.


"at manet incolumis mundus suaque omnia servat, quae nec longa dies auget minuitque senectus nec motus puncto curvat cursusque fatigat; idem sempre erit quondam sempre fuit idem"

" ma resta inalterato il cosmo e ogni cosa di sé conserva, che né il lungo trascorrere dei giorni accresce e diminuisce la vecchiaia, né il moto fa scartare d'un nulla e spossa la corsa; lo stesso sarà per sempre poiché sempre è stato lo stesso" (versi 518-521)


Come si dovrebbe evincere dalla trattazione, Manilio fu seriamente interessato a conoscere e indagare la natura dell'universo, le sue leggi e la sua evoluzione. Purtroppo però le sue speculazioni non si basano su un metodo scientifico, né si pongono come obiettivo la dimostrazione delle sue teorie, ma vengono esposte come assiomi da accettare completamente. Questo rientra nel carattere filosofico dell'opera, che trae la sua forza dai riferimenti a pensatori e a filosofie antecedenti. Comunque rimane evidente, soprattutto nella seconda parte, il fine mistico e celebrativo dell'opera e, da notare, è il valore poetico dei verso stessi. In ogni caso è significativa la poesia astronomica di Manilio per comprendere quali fossero le teorie in voga a quel tempo e in che modo i letterati si accostassero all'universo.





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