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Il trattamento dell' epatite virale cronica




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IL TRATTAMENTO dell' EPATITE VIRALE CRONICA


Introduzione


L' epatite virale cronica è la principale causa di malattia cronica del fegato, di cirrosi, di epatocarcinoma ed è divenuta in questi ultimi anni la principale ragione di trapianto epatico. Viene definita un processo infiammatorio del fegato con o senza fibrosi ,che persiste da più di sei mesi (1).E' caraterrizzata da eziologia variabile e da aspetti istologici che hanno un vasto spettro potendo presentare lesioni minime o massivi interessamenti del parenchima epatico.(2)

Mentre 10-15 anni fa l'80% delle epatiti croniche aveva eziologia ignota adesso il numero delle forme criptogenetiche non supera il 20% dei casi .

I fattori responsabili della cronicizzazione di una epatopatia possono essere : virali, autoimmuni, iatrogeni, criptogenetici, alcolici, dismetabolici (emocromatosi, morbo di Wilson, mancanza di alfa 1 antitripsina ).

La risposta alla terapia, per quanto influenzata dell'età e dalle condizioni fisiche del paziente, e' fortemente condizionata dall'eziologia della malattia, pertanto, è fondamentale prima di qualsiasi approccio terapeutico cercare di identificare la possibile causa che ha determinato la cronicizzazione dell'epatopatia.

I dati clinici ed umorali possono far sospettare la presenza di una epatite cronica, ma per la certezza diagnostica è indispensabile il reperto istologico (3-5).

I fattori virali rappresentano la più frequenta causa di epatite acuta e sono generalmente rappresentati dai virus: HAV, HBV, HDV, HCV, HEV, HGV, Epstein-Barr, Citomegalovirus, Herpes1e 2 .

Dei virus epatici conosciuti solo tre (HBV, HCV, HDV) causano infezione cronica persistente o attiva del fegato che può lentamente evolvere in cirrosi o peggio il neoplasia mentre gli altri due (HAV, HEV) determinano epatite acute autolimintanti o raramente fulminanti. Recenti studi suggeriscono che altri due virus scoperti da poco e pertanto ancora poco conosciuti (HGV, HGBV-C) possono essere responsabili di epatite cronica. HGV e HGBV-C sono probabilmente lo stesso virus ma sono ancora troppo poco conosciuti per un giudizio definitivo sul loro ruolo nella epatite cronica anche se coinfezione da virus HGV è risultata presente nel 10% dei casi di epatite B e nel 21% dei casi di epatite C . (6-7)

Non tutte l'epatite da virus B, D o C evolvono necessariamente verso una forma cronica infatti il virus HBV crea lo stato di portatore cronico nel 10% dei soggetti infettati mentre nel 5% evolve verso una epatite cronica.

Nel mondo i portatori cronici di HBV sono valutati in 300 milioni mentre ammontano a 2 milioni l'anno le morti connesse con una cronicizzazione di una epatopatia da virus B che e' progressivamente evoluta verso una cirrosi epatica.

Il virus HDV cronicizza nel 20% dei casi, mentre il virus HCV, responsabile del 90% delle epatiti nonA-nonB, ne determina la cronicizzazione in più del 50% . Nella sola Italia, ammonterebbero a 12000 l'anno i casi di epatite da virus C che evolvono verso la cirrosi epatica.

Ben il 30% delle epatiti croniche virali evolve verso la cirrosi epatica seppur in maniera spesso subdola ed asintomatica tanto da essere talora scoperta in corso di accertamenti occasionali (7-10).

Sia il virus HBV che HCV sembrano essere fattori favorenti nel tempo lo sviluppo di un epatocarcinoma con meccanismi di integrazione intaepatocitaria non ancora conosciuti (11-15).

La diagnosi di epatite cronica indipendentemente dalla sua eziologia si basa su dati clinici, indagini di laboratorio e reperti istologici.

I dati clinici sono variabili e possono rilevare in 1/3 dei casi una pregressa epatite acuta che è lentamente evoluta in cronica ma compare in maniera insidiosa come apparente processo primitivo.

Possono essere presenti malessere generale, anoressia, affaticabilità, talora lieve ittero ma, in assenza di esami ematochimici, è il volume e la consistenza del fegato e/o della milza che possono farla sospettare. L'epatite cronica può rilevare alterazioni sistemiche quali artralgie, amenorrea, anemia emolitica riferibili all'impegno immuno-ormonico. La presenza di spider nevi, ginecomastia e/o ritenzione idrica confermano la cronicizzazione del processo infiammatorio epatico.

I dati di laboratorio rilevano un alterazione degli indici di funzionalità epatica con l'aggiunta di iper gammaglobulinemia, presenza talora di fattori antinucleari, anticorpi anti muscolatura liscia ma per rilevare una aziologia virale sono indisoensabili i markers virali.

Morfologicamente può essere utile eseguire una ecografia ma è l'aspetto istologico che permette a tuttora di stabilire non solo l'attività necro-infiammatoria ma di valutare la presenza di fibrosi e cirrosi che possono condizionare le scelte terapeutiche. La vecchia classificazione istologica che prevedeva la suddivisione in epatite cronica persistente, lobulare , attiva utilizzata per decenni deve ora cedere il passo alla nuova classificazione che prevede la stadiazione della flogosi/necrosi in gradi variabili dal 1 al 4 a secondo delle alterazioni portali e lobulari e della fibrosi in altrettanti gradi da 1 a 4 e secondo dell'entità della fibrosi presente (16-18)

Indubbiamente la vaccinazione contro il virus B contribuirà ad impedire la diffusione dell'infezione ma non potrà essere di alcun aiuto nelle persone già infette ne' verso gli altri virus (HCV, HGV).

E' necessario pertanto avere a disposizione una terapia efficace che sia in grado di combattere l'infezione virale e quindi di evitarne l'evoluzione verso la cirrosi epatica e la trasformazione in epatocarcinoma. Obiettivo del trattamento sono l'abolizione o almeno la riduzione della replicazione virale, la riduzione o la scomparsa della necrosi infiammatoria epatica, il rallentamento o la prevenzione della cirrosi, la prevenzione dell'insorgenza dell'HCC.

Il riposo assoluto non ha alcun effetto sulla evoluzione della malattia.

La dieta può essere libera ,ben equilibrata ,e seguire i gusti del paziente senza eccessive restrizioni, se non la completa abolizione della bevande alcoliche.

Le calorie dovranno essere assunte in base al peso corporeo e tenendo conto del dispendio energetico del paziente.

Generalmente sono sufficienti 30-40 calorie pro/Kg suddivise in 1 gr/Kg di proteine ed il rimanente 60% in carboibrati, 25% in lipidi.

Un'alimentazione equilibrata e' in grado di sopperire alle eventuali carenze vitaminiche ed oligominerali per cui bisogna resistere alla tentazione di sovraccaricare l'organismo con farmaci contenenti vitamine , elettroliti, oligominerali, epato protettori.

I farmaci finora proposti, cioè corticosteroidi , adenina-arabinoside (ARA-A), acyclovir, levamisolo hanno fatto rilevare effetti transitori e fondamentalmente deludenti.(19,20)

Particolarmente deludente l'uso degli steroidi che oltre a non migliorare la situazione dei paziente, possono causare, al momento della sospensione, una riacutizzazione della virulenza, specie dell'HBV, con conseguente necrosi epatocitaria.

E' stato proposto di sfruttare questa tendenza alla riacutizzazione che si avrebbe al momento della sospensione degli steroidi in particolari situazioni quali la presenza di virus B in fase intergrata.

L'adenina-arabinoside (ARA-A) ha dimostrato di inibire la replicazione di vari virus, specie l'HBV, ma tale inibizione e' solo temporanea ed inoltre a scapito di notevoli effetti collaterali quali la neuropatia periferica e la sindrome neuro-muscolare.

L' acyclovir, per quanto ben tollerato, non sembra dare risultati migliori rispetto ai farmaci precedentemente citati .

Per questi motivi il trattamento dell'epatite cronica virale ha subito in questi ultimi anni ampie modifiche non solo a causa delle aumentate conoscenze sui virus epatotropici ma sopratutto per la carenza di farmaci realmente efficaci.

In presenza di questi risultati deludenti e tenendo conto dell'entità sociale del problema si è sentito il bisogno di cercare qualche altro farmaco che potesse avere un migliore effetto terapeutico rispetto a quelli finora utilizzati.

In questa ricerca si e' inserito recentemente l'interferone del quale, ormai, abbiamo numerose ricerche che permettono di fare il punto su:pregi,difetti e prospettive future.

Gli interferoni sono un gruppo eterogeneo di glicoproteine che per quanto scoperte fin dal'57 sono state utilizzate in larga scala solo negli anni'80 grazie alle tecniche dell'ingegneria genetica.

Sono tre i tipi di interferone umano attualmente conosciuti: l'alfa (di origine leucocitaria o linfoblastoide), il beta (di origine fibroblastica) ed il gamma (prodotto dai linfociti).

I più utilizzati in ambito epatologico sono gli alfa, di cui attualmente sono disponibili :l'alfa 2 ricombinante a o b ,l'alfa linfoblastoide ed infine l'alfa leucocitario . In realta' questi vari tipi di interferone sembrano avere gli stessi effetti sia terapeutici che collaterali pertanto possiamo parlare in generale di impiego di interferone indipendentemente dal tipo utilizzato.

Le principali azioni biologiche dell'interferone sono: antivirali, altiproliferative (utilizzata sopratutto in oncologia) , ed immunomodulante.

Il razionale dell'impiego dell'interferone nelle epatiti croniche virali è lega


IL TRATTAMENTO dell' EPATITE VIRALE CRONICA


2. Epatite da virus B

Nell'epatite cronica da HBV l'impiego dell'interferone non ha come unico obiettivo la sieroconversione dell'HBsAg,che comunque avviene in un numero di casi superiore alla sieroconversione spontanea, ma sopratutto quello di favorire il passaggio del paziente da una fase di replicazione virale (caratterizzata dalla presenza negli epatociti del HBcAg e nel siero dei markers: HBsAg,HBeAg,HBV-DNA) a quella di definita integrata (caratterizzata dalla cessazione della replicazione virale, dalla scomparsa del HBV-DNA, del HBcAg negli epatociti, dalla sieroconversione HBeAg/HBeAb mentre permane la sintesi di HBsAg).

In realta' il passaggio dalla fase replicativa a quella integrata può avvenire anche spontaneamente, ma sicuramente richiede un tempo cosi' lungo da determinare nel frattempo un danno epatico che diviene irreversibile.

Accellerando invece, mediante l'impiego dell'interferone, questa transizione il virus non sarebbe capace di ledere in maniera irreversibile il fegato e si instaurerebbe uno stato tipo portatore sano (persistenza dell'HBsAg ma normalizzazione delle transaminasi sieriche) indotto farmacologicamente.

Va inoltre sottolineato il fatto che il passaggio dalla fase replicativa a quella integrata riduce notevolmente l'infettivita' del soggetto, permettendo una migliore vita di relazione ed riducendo i condizionamenti psicologici che spesso questi pazienti hanno sapendo di poter trasmettere il virus HBV.

Per quanto la fase integrata sembri meno pericolosa rispetto alla fase di replicazione virale , sarebbe opportuno poter eliminare anch'essa.

Purtroppo l'interferone non e in grado di agire sui virus integrati nei cromosomi della cellula epatica.

Tuttavia, poichè l'integrazione è in rapporto con il tempo d'inizio dell'infezione, quanto più precocemente si inizia la terapia con interferone tanto maggiore sono le probabilita' di ottenere una eliminazione completa del virus.

Per quanto riguarda la completa eliminazione del virus HBV dall'organismo, la letteratura riporta percentuali del 20%.

Ciò non e' ancora molto confortante, ma sempre superiore alla siero conversione spontanea che non supera il 10%.

Per quanto riguarda invece la normalizzazione delle transaminasi sieriche con miglioramento del quadro istologico e passaggio dalla fase di replicazione a quella integrata, i dati sono molto più confortanti infatti vengono riportate percentuali del 60% nei soggetti trattati contro 15% dei soggetti di controllo.

Va inoltre ricordato che recentemente e' stata individuata una variante di epatite, caratterizzata dall'assenza dell' HBeAg e dalla presenza di HBeAb associata alla positività del HBV-DNA, che sarebbe meno sensibile al trattamento con interferone.

I principali studi sono stati condotti in pazienti con profilo sierologico 'tipico' e cioè con positivita' sierica per HBeAg, HBV-DNA mentre per il momento sono poche le ricerche condotte nelle forma sierologicamente 'atipica' caratterizzata da sieropositivita'dell'antiHBe e HBV-DNA.

Se analizzaiamo in particolare tali risultati si rileva che in percentuali variabili dal 18 al 70% l'interferone e' capace di negativizzare l'HBV-DNA e sieroconvertire l'HBeAg contro una siero conversione spontanea che in un solo lavoro raggiunge il 39% mentre negli altri oscilla tra 0 e 29% .

Viceversa la scomparsa dell'HBsAg e' rilevata in percentuali comprese tra il 3 e 28% dei casi contro 0-7% di negativizzazione spontanea.

La variabilita' dei risultati ottenuti va spiegata non solo con la diversita' dei protocolli terapeutici ma soprattutto dalla presenza nei pazienti reclutati di fattori che condizionano l'azione dell'interferone .

Sono stati così ipotizzati fattori razziali (le popolazioni orientali, rispondono peggio delle caucasiche) e genetici (studi di prevalenza degli HLA).

Inoltre il riscontro di bassi livelli di HBV-DNA, la positivita' degli antiHbcIgM, elevati livelli di transaminasi, insorgenza recente della malattia, assenza di segni istologici di cirrosi identificherebbero pazienti con maggiore probabilita' di risposta .

E' indispensabile anche avere un sistema immunitario efficace, infatti la presenza di HIV e l'omosessualita' riducono la possibilita' di risposta.

L'impiego dell'inteferone in eta' pediatrica e' relativamente recente e pur essendo il farmaco ben tollerato la risposta e' modesta sopratutto se la trasmissibilita' è avvenuta per via verticale.

Nel 30% dei casi la scomparsa della replicazione virale e' preceduta da un transitorio rialzo delle transaminasi, cio' e' causato dalla distruzione degli epatociti infetti da parte del sistema immunitario stimalato dal farmaco.

Per quanto questo evento sia prognosticamente favorevole, impone molta cautela nell'uso dell'interferone nei pazienti con epatopatia severa per evitare evoluzioni fulminanti.La scomparsa della replicazione virale comporta anche un miglioramento del quadro istologico.

Estremamenti basse, il 15%, sono le recidive dopo la sospensione dell'interferone.

Vari sono i protocolli terapeutici adottati e la posologia consigliata varia da 5-10 MU tre volte la settimana e dovrebbe essere continuata per 4-6 mesi. Alcuni autori nel tentativo di aumentare la risposta terapeutica propongono somministrazioni quotidiane e/o per 12 mesi.

Per aumentare la probabilita' di sieroconversione dell'HBeAg sono stati provate trattamenti con cortisone che precede l'uso dell'interferone.

Il razionale di questi studi e' il tentativo di facilitare, mediante l'uso di steroidi, l'espressione di antigeni virali sulle cellule infette sperando che un successivo uso dell'interferone avesse su questi antigeni una azione piu' energica.

I risultati ottenuti riportono percentuali di sieroconversione oscillanti tra 14 e 60 % quindi,almeno per il momento, non migliori del solo uso di interferone.

Inoltre al momento della sospensione degli steroidi, specie in pazienti con scarsa riserva epatica, si puo' avere riattivazione fulminante. E' stato anche tentato da solo o in associazione con l'interferone, l'uso di ARA-A, timosina, levamisone, ribavirina, lamivudina, famciclovir. Nessuno di questi farmaci ha per il momento dato risultati convincenti ad eccezione del famciclovir ed della lamivudina .

Per quanto riguarda l'EC-HBV 'atipica' (antiHBe e HBV-DNA positivi) la percentuale di eliminazioni della replicazione virale sono' del 60-80% dei casi contro 25-28% rispetto ai controlli.

Tuttavia in questi casi la sospensione del'interferone ha comportato un numero di recidive compreso tra il 50-75%,con brusco rialzo della citolisi epatica.

Non e' ancora chiaro se vi sia utilita' nell'inizio precoce dell'interferone in pazienti con epatite acuta protratta quando vi e'ancora un buon margine temporale per ottenere una siero conversione spontanea, la quale raggiunge percentuali del 15-20% .

Risultati invece nettamente insoddisfacenti si sono avuti nei casi di pazienti con attiva replicazione virale ma senza alterazioni biochimiche o istologiche di epatite.

In definitiva ,per quanto riguarda l'EC-HVB, l'interferone e' utile nella forma replicativa tipica, meno utile ma consigliabile in quella atipica, non e' per il momento utile nelle forme ormai integrate e nei pazienti con replicazione virale ma senza epatite.(21-27).

IL TRATTAMENTO dell' EPATITE VIRALE CRONICA

3. Epatite da virus D

Per quanto riguarda l' EC-HDV studi effettuati hanno dimostrato miglioramenti bioumorali e virologici nel 25-60% dei casi contro un massimo del 20% riscontrato nei controlli. Tuttavia si e' assistito ad un alto tasso di recidive, 70-100%, dopo la sospensione dell'interferone.

Anche il tentativo di prolungare nel tempo la terapia non ha rilevato migliori risultati. In sostanza nelle epatiti croniche da HDV l'interferone determina una inibizione della replicazione virale di durata limitata al periodo di somministrazione del farmaco.

Questi risultati deludenti potrebbero anche essere legati alla durata della malattia o al dosaggio utilizzato ma potrebbero anche dipendere dalla particolare biologia del virus HDV (28-31)

Anche in questa epatopatia, in mancanza di altre possibilita', è comunque consigliabile l'uso d'interferone con alte dosi (10 MU tre volte la settimana) e per tempi piuttosto lunghi.

IL TRATTAMENTO dell' EPATITE VIRALE CRONICA

5. Conclusioni

In conclusione sull'uso dell'interferone nelle epatite croniche virali e' in grado di negativizzare spesso l'HVB-DNA e l'HbeAg; talora, e spesso, in maniera provvisoria, l'HDV-RNA; raramente l'HBsAg.

Inoltre e' in grado di ridurre sia nell'epatite cronica da virus B che in quella da virus Delta ma sopratutto da virus C l'infiammazione epatica normalizzando spesso anche se non in maniera definitiva le transaminasi sieriche e migliorando l'aspetto istologico.

Per il momento non siamo invece in grado di valutare l'efficacia a lungo termine dell'usi dell'interferone e se sia possibile migliorare l'aspettativa di vita del paziente prevenedo l'evoluzione verso la cirrosi e/o l'epatocarcinoma.

Restano inoltre insoluti i problemi dei pazienti che non rispondono e delle recidive. Fattori responsabili possono essere ipotizzati in difetti immunologici, caratteristiche genetiche, mutazioni virali, comparsa di anticorpi neutralizzanti l'interferone ma tutto potrebbe dipendere da posologie, durata, inizio di terapia, tipo di interferone per il momento sconosciute.

Il bilancio tra benefici, effetti collaterali, costo terapeutico resta comunque ampiamente a favore dell'uso dell'inteferone soprattutto se si tiene conto che , almeno per il momento, appare l'unico farmaco realmente efficace nel migliorare se non guarire i pazienti affetti da epatite cronica virale. e va considerato come il farmaco di scelta nell'epatite cronica virali.


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