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Esperienze personali con alcuni ospiti dell'istituto "De Pagave" affetti da Alzheimer
Sono ormai due anni che prendo parte al Laboratorio Cinque Sensi che si svolge presso l'istituto "De Pagave".
In questo laboratorio, come accennato nell'introduzione, cinque ospiti del primo piano affetti d'Alzheimer vengono portati in una sala a parte, più tranquilla, dove l'animatrice che gestisce il laboratorio, l'operatrice socio-sanitaria di turno ed io (come volontario per il progetto Stage di Volontariato Giovanile gestito dal Centro Servizi per il Volontariato della provincia di Novara) interagiamo con queste cinque persone per cercare di stimolare le loro facoltà cerebrali, togliendole dal torpore nel quale normalmente stazionano per tutto il giorno.
Gli alberi di Hudimesnil
Fui tentato di crederli fantasmi del passato, compagni diletti della mia infanzia, amici scomparsi che facevano appello ai nostri comuni ricordi. Come ombre, sembrava mi chiedessero di portarli con me, di restituirli alla vita. Nel loro gesticolare ingenuo e appassionato riconoscevo l'impotente rimpianto di un essere amato che ha perso l'uso della parola e sa di non poterci dire le cose che vorrebbe e che noi non riusciamo ad indovinare. Presto, a un incrocio, la carrozza li abbandonò. Trascinandomi lontano da ciò che credevo essere l'unica verità, da ciò che mi avrebbe reso veramente felice, quella carrozza assomigliava alla mia vita. Vidi gli alberi allontanarsi agitando disperatamente le braccia, come se dicessero: Quello che non riesci a sapere da noi oggi, non lo saprai mai più. Se ci lasci ripiombare in fondo alla strada dalla quale cercavamo di issarci fino a te, tutta una parte di te stesso che noi ti stavamo portando cadrà per sempre nel nulla.
Le persone che prendono parte a questo laboratorio sono di diverso tipo. La signora G. è piuttosto lucida, penso che molto, molto vagamente si ricordi di me, non il nome, non cosa faccio nella vita, neppure quanti anni io abbia, ma comunque penso che in qualche modo abbia associato il mio volto ad una sua conoscenza. Infatti, tutte le volte che vado a salutarla, mi riconosce chiedendomi informazioni sulla famiglia, sul lavoro e, puntualmente, mi parla dei suoi famigliari che sono quattro giorni che non vanno a trovarla. Quattro giorni, sempre quattro giorni. Ogni volta che ci congediamo, invece, mi esorta a tornare a trovarla, perché le fa molto piacere stare in mia compagnia. La signora G. è molto socievole, era una insegnate di educazione tecnica e ancora, vagamente, si ricorda qualcosa su come si squadrano i fogli, su come si guida un'auto e alcuni nomi di suoi allievi, che sono corretti, in quanto mi ha mostrato alcune cartoline che riportavano i loro nomi. Una cosa che mi ha lasciato molto perplesso durante una delle attività che abbiamo fatto nel laboratorio, è stata una risposta che decisamente non mi aspettavo. Mostrandole un cartoncino su cui c'erano disegnati un bambino e una bambina che si tenevano per mano, quando le chiesi «Mi potrebbe dire cosa vede? Io non ci vede bene, ho lasciato gli occhiali a casa.», lei in modo molto cordiale mi rispose «Sì. Ci sono dei vestiti!». Ripentendo la cosa con il disegno di un camino acceso, rispose che vedeva del fuoco. Ho trovato questa cosa molto significativa: probabilmente, l'Alzheimer le ha fatto perdere la capacità di concentrarsi su una visione generale di un'immagine, permettendole di prestare la propria attenzione ad un solo elemento di tale immagine. Inoltre, la signora G. legge sempre; quando le chiedo cosa stesse leggendo, in genere si ricorda il titolo dell'articolo in questione e, alcune volte, si ricorda anche il titolo de giornale.
La signora E.M. è costretta sulla carrozzella e passa la maggior parte delle proprie giornate a piangere e a lamentarsi perché dice di dover andare a casa o al lavoro e, invece, non la lasciano andare. Deve essere una situazione estenuante: pensate di essere lì, di sapere che dovete fare delle cose, che a casa c'è un marito che vi aspetta per la cena, una casa da rassettare, dei figli da gestire. E voi siete lì, immobili su una carrozzina e non vi permettono di andare dove voi dovreste senza neanche dirvi il perché. Personalmente credo che impazzirei.
La signora E.M., tuttavia, si lascia distrarre piuttosto facilmente. È infatti un'amante del dialogo: se ci si mette a parlare con lei, un po' si calma, a volte dimentica che deve andare a casa a "fare i mistè" (fare i lavori di casa). Si ricorda molto bene le ricette dei piatti che cucinava. Ha un grande umorismo: quando è calma e si parla con lei, fa battute di spirito, lancia frecciatine divertenti alle operatrici socio-sanitarie e chiede la complicità del suo interlocutore facendo l'occhiolino. Si deve stare attenti a non farle mai la domanda "Come sta?". Qualunque sia il suo umore, a quella domanda si mette a piangere mostrando i polsi gonfi per l'artrosi, dicendo di accusare un dolore fortissimo che, tuttavia, scema non appena la si riesce a distrarre con qualche altra domanda. Con un certo orgoglio, possiamo dire che da quando è entrata a far parte delle persone presenti nel laboratorio, la signora E.M. ha cominciato a parlare con alcuni altri ospiti dello stesso piano, senza ovviamente costruire un dialogo sensato, ma comunque scambiandosi frasi e ridacchiando insieme.
La signora M., come la signora E.M., è posta su una carrozzina. Non parla praticamente più e ha difficoltà a sentire. Le sue difficoltà uditive non so da cosa dipendano, ma a giudicare dal fatto che quando la si chiama da vicino lei sposta lo sguardo verso chi la sta chiamando, deduco che il nervo acustico funzioni, perché l'input al mesencefalo arriva correttamente. Forse le aree del linguaggio sono estremamente compromesse, quindi ha difficoltà a capire ciò che le viene detto e, soprattutto, a parlare. Un episodio che mi ha lasciato basito è successo i primi tempi in cui prendevo parte al laboratorio. Presentatomi a lei come tutte le volte, le chiesi come stesse. Lei, ovviamente, non rispose. Allora io le sorrisi e comincia a spingere la carrozzina verso la sala destinata al laboratorio. Dopo qualche minuto, arrivati praticamente alla sala, lei disse «Bene!» con voce un po' tremolante, ma comunque comprensibile. Al che mi fermai e tornai a guardarla. Sorrideva. Le sorrisi di rimando e ripresi a spingere la carrozzella.
La signora C. come carattere assomiglia molto alla signora G.: molto mite, gentile, chiacchiera piacevolmente e se le si chiede una mano per spostare le carrozzine non si tira indietro. A differenza della signora E.M., la signora G. e la signora C. non si lamentano di dover andare a casa propria e, in un certo senso, questo consente loro di essere un pochino più serene. La signora C. chiacchiera molto volentieri anche con le altre persone, quando queste sono in grado di risponderle. Alla domanda "Come sta?", la signora C. sorride e risponde sempre nello stesso modo "Bene. Da vecchi!". Questa risposta, anche se in modo non assolutamente certo, può indicare il fatto che la signora C. è cosciente della propria età, a differenza della signora E.M. che, a seconda delle volte, crede di essere una ragazzina che sta tornando da scuola e sua mamma la sta aspettando, altre volte pensa di essere un po' più grandicella e che deve tornare a casa da lavoro per fare il pranzo al proprio marito.
La signora B. versa invece nelle stato del wandering, ossia ha l'istinto di camminare incessantemente senza une meta precisa, ma semplicemente evitando di stare seduta. Questo rende difficile aiutarla a relazionarsi con gli altri, in quanto preferisce nettamente camminare convulsamente piuttosto che stare seduta assieme alle altre signore per costruire un dialogo. Si pensa che il wandering sia stimolato dalla sensazione "Devo fare qualcosa ma non mi ricordo cosa!". Praticamente, un tormento.
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