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Uno studio di Goodpaster
A questo punto è opportuno ripercorrere - almeno nelle linee essenziali - lo studio di Goodpaster, il quale individua anche doveri fondamentali per la leadership, per poi vedere con più efficacia espositiva come Gilbert individui (e ove focalizzi) le sue indicazioni critiche.
La tesi di Goodpaster è che la risposta alla comune sfida etica che sia i professionisti sia le aziende si trovano a dover affrontare rappresenti la definizione del nucleo normativo ; egli inoltre precisa che << Il compito di raccogliere la sfida dal punto di vista teorico spetta agli accademici mentre alla leadership aziendale spetta il compito di raccoglierla in pratica >>. Per introdurre il nucleo normativo l'autore prende le mosse da cinque spunti di riflessione che definisce "finestre" dei quali, per dovere di sintesi, si reputa opportuno riproporne soltanto due.
Il primo spunto è dato dalla definizione di "carrierismo" inteso come disturbo emotivo autodistruttivo sofferto da molti dirigenti di successo, proposta dallo psicanalista Michael Maccoby nel suo libro intitolato "Il Giocatore", nel quale si legge : << Ossessionato dal desiderio di vincere, il giocatore nel valutare tutte le sue azioni ne considera la loro utilità ai fini della carriera. Il senso individuale di identità, integrità e auto - determinazione viene totalmente annullato poiché egli tratta se stesso come un oggetto il cui valore viene determinato dal mercato. Il carrierismo richiede il distacco (emotivo) >>. Secondo Maccoby tale distacco emotivo tuttavia corrode l'integrità, porta alla perdita del carattere, perché trascura il giusto equilibrio tra ciò che egli definisce le qualità della "mente" (iniziativa, senso di cooperazione, flessibilità, sangue freddo in condizioni di stress) e quelle del "cuore" (onestà, cordialità, compassione, carità, generosità, idealismo). Maccoby sosteneva che il management avesse bisogno sia delle qualità della mente quanto di quelle del cuore, mentre le aziende moderne tendono invece a stimolare il carrierismo, infrangendo questa interezza necessaria per i manager e i leader [1].
L'ultimo
spunto proposto da Goodpaster è tratto da una riflessione autobiografica di Bowen
H. McCoy (direttore della Morgan Stanley and Company), premiato da Harvard
Business Review nel 1982 quale "miglior
articolo originale scritto da un manager
sui problemi di etica aziendale e
finalizzato alla divulgazione di tali problemi". Il racconto ha la forma di una
parabola che "traslata" al mondo
degli affari fa comprendere che << le organizzazioni che non hanno
un'eredità di valori comuni accettati e condivisi tendono a disgregarsi in
situazioni di stress e ogni individuo lotta solo per se stesso Poiché le
aziende e i loro membri sono interdipendenti, le aziende per essere forti
devono avere un concetto comune prestabilito su quale sia il comportamento
corretto, "un'etica aziendale", e considerarla una forza positiva, non un
vincolo >>.
Da queste
"finestre" Goodpaster sintetizza l'esistenza di un malessere diffuso che chiama
appunto teleopatia, voce che racchiude la radice greca del
termine "obiettivo o scopo" e di quello "malattia o infermità". La teleopatia,
precisa l'autore << può essere intesa come un'abitudine per cui scopi
limitati vengono considerati di suprema importanza per l'orientamento della
condotta, con la conseguente esclusione non solo di finalità più ampie ma anche
di considerazioni morali sui mezzi, gli obblighi e i doveri. Rappresenta il
perseguimento non equilibrato di obiettivi e scopi da parte di un individuo o
di un gruppo >>. La teleopatia si configura in senso astratto come la
restrizione del giudizio morale inteso come forza pratica che orienta la vita
di un individuo o di un gruppo. Con essa si surroga, al richiamo della
coscienza, quello di criteri decisionali derivanti da altre fonti assunte come primarie,
quali per esempio l'essere vincenti, il raggiungere lo scopo prefissato,
seguire le
regole poste da uno scopo estraneo alla riflessione etica, e così via. A questo
punto Goodpaster, per esser più chiaro, illustra quattro modi di concepire
l'etica degli affari col fine di ostacolare e combattere la diffusione della
teleopatia.
Si ripropongono qui solamente le caratteristiche fondamentali.
Concezione del primo tipo : 1 Etica come guida al soddisfacimento degli interessi personali. In base a tale concezione << i valori etici vengono trattati unicamente per soddisfare gli interessi personali razionali considerati il valore supremo >>.
Concezione del secondo tipo : 2 Etica come vincolo sistemico. Tale concezione si suddivide in due sotto - tipi. 2.A Schema della mano invisibile, nel quale si riconosce l'importanza delle norme etiche nel processo decisionale aziendale, ma si considerano già inserite all'interno del sistema competitivo, rendendo quindi superflua un'attenzione particolare ai problemi etici da parte del management ; 2.B Schema della mano della legge dove la responsabilità del giudizio morale non è inclusa nel campo di interessi del management. I leaders che si riconoscono in questa concezione, riconoscono l'autorità ma non la responsabilità dei valori etici.
Concezione
del terzo tipo : 3 L'etica come guida autorevole. Secondo questo
tipo di concezione << l'interesse dell'azienda, la concorrenza e il
sistema giuridico non vengono ignorati, mentre al rispetto per i diritti e per
gli interessi delle parti toccate deve essere riconosciuta una forza
indipendente nella coscienza attiva del leader
>>[3]. Secondo tale concezione
si rifiuta di considerare l'etica come uno strumento, come avviene invece nei
due tipi precedenti - e come anche Pierre di Toro nella sua opera già più volte
richiamata ben mette in evidenza allorché scrive nel
capitolo quarto dell'etica "come miglior politica" per il conseguimento di
positivi risultati economici di periodo - in quanto la responsabilità manageriale per i valori etici è
connaturata allo stesso riconoscimento della loro autorità. In questo modo ci
si avvicina molto di più a quel modo di considerare "l'etica come orientamento
globale della gestione" descritto ancora da di Toro.
Qui gli "obblighi morali"[4] sono inclusi e accettati direttamente, fra i doveri del management, per il solo fatto del riconoscerne la loro esistenza mentre negli altri due tipi si includono in modo condizionato, nel primo caso dall'interesse personale, nel secondo dalle strutture o dai sistemi istituzionali quali il mercato per esempio e la legge.
Solo nella
concezione del terzo tipo << il perseguimento equilibrato degli obiettivi
acquisisce una base normativa mediante ciò che gli studiosi di etica hanno
definito il punto di vista morale >>. Si pensi che nella storia della
filosofia morale, i principali tentativi sistematici di formulare il punto di
vista morale (vale a dire l'armonia, l'equilibrio, la legge naturale, la
volontà di Dio, la valenza universale, l'imparzialità, la coerenza, il
contratto sociale) possono essere considerati modi per introdurre <<
l'equilibrio >> sia personale che interpersonale nel perseguimento delle
umane finalità. Ciò, alla luce di quanto fino ad ora detto circa il ruolo di
mediazione del management fra le
varie istanze sociali che giungono dagli stakeholders,
sembra possa a ragione ritenersi il compito più alto, il dovere più importante
per tale categoria di persone. Goodpaster però non accenna a questo ruolo -
chiave in quanto, come evidenzia argutamente Gilbert, egli si limita ad
asserire che << anche se il punto di vista morale è solo implicito, il
principio fondamentale del rispetto per la libertà e il benessere degli esseri
umani ne rappresenta certamente l'elemento centrale >>.
Continuando nella sua dissertazione Goodpaster pone in evidenza la diversità
nel tipo di attenzione che ciascuno dei quattro schemi da lui proposti può
riconoscere al concetto convenzionale di stakeholder.
Nella prima concezione l'attenzione è valutata in quanto influenzante gli interessi personali ; nella seconda gli stakeholder vengono considerati mercati entro i quali le aziende devono operare per trarre profitto oppure sono visti come << limiti sociopolitici all'esercizio della razionalità economica. Solo nella concezione del terzo tipo sono considerati a prescindere dal loro ruolo strumentale, non quindi semplicemente come "condizioni limitanti" che operano sul management >>.
A questo punto Goodpaster, ritenendo di poter contare su un congruo livello di condivisibilità riguardo all'idea che la condotta aziendale sia guidata da un giudizio morale indipendente, cerca di spiegare ciò che l'equilibrio nel perseguimento degli obiettivi implica per la leadership aziendale, ed è proprio questo l'essenza che cerca d'assumere anche il presente lavoro.
Secondo Goodpaster, in modo lineare, << l'aggiunta del rispetto per la razionalità può essere vista dal leader come l'introduzione della coscienza nella cultura aziendale, in quanto la coscienza bilancia il perseguimento degli obiettivi di un individuo con il riconoscimento degli obblighi morali nei confronti delle parti interessate. Il programma morale del leader può includere tre imperativi generali - orientamento, istituzionalizzazione, sostegno dei valori aziendali >>.
ORIENTAMENTO : secondo Goodpaster i leaders devono principalmente individuare, e se del caso modificare, i valori condivisi della loro organizzazione. Il leader deve saper ascoltare e capire la propria organizzazione per valutare i punti di forza e di debolezza che dovranno rispettivamente essere valorizzati o verso i quali maggiormente si orienteranno gli sforzi educativi del management.
ISTITUZIONALIZZAZIONE Si tratta quindi di rispondere alla seguente domanda : "Come si può operare per far sì che questi valori individuati dal management diventino parte integrante della coscienza dell'azienda ?" La risposta che propone Goodpaster individua due vie fondamentali :
azioni risolute,
incentivi adeguati.
Azioni : l'attività della leadership deve essere visibile e chiara per quanto concerne i contenuti etici in modo da poter essere d'esempio per ciò che riguarda l'importanza attribuita ed attribuibile ai valori etici.
Anche per lasciar intravedere cosa si cercherà di mettere in risalto allorquando si tratterà di Carità, più avanti nel presente lavoro, è utile ora ricordare che << è esperienza comune da sempre che proprio la condivisione dei doveri, degli impegni, dei problemi e delle sofferenze (come proposto sopra) affratella, e in campo aziendale rende graditi gli imprenditori, i direttori, i dirigenti, e le loro direttive in climi di generale motivazione quale che sia la congiuntura attraversata >>[5]. Non bisogna però scordare che anche se gli esempi visibili di rispetto dei valori etici danno forza al processo di istituzionalizzazione, i dipendenti devono comunque capire in che modo decisioni etiche meno visibili, ma ugualmente importanti ricadono nella loro sfera di competenza e operatività.
Incentivi : a questo riguardo
Goodpaster ritiene rilevante riportare una citazione di Kenneth Andrews
tendente a sottolineare come spesso le convinzioni più profonde siano
insufficienti se non connesse con adeguati incentivi strutturali e
culturali : << E' possibile e in realtà succede spesso,
che un dirigente con un elevato livello di moralità e di umanità sia a capo di
organizzazioni amorali" - rese tali da processi sviluppatisi prima che l'azienda
modificasse i propri obiettivi economici tradizionali. La forza interna che
tenacemente si oppone ai tentativi di rendere l'azienda benevola (ed esigente)
nei confronti dei propri dipendenti e responsabili (ed economicamente
efficiente) nelle sue relazioni esterne è il sistema di incentivi che sposta
forzatamente l'attenzione verso risultati qualificabili di breve periodo
>>[6].
Si potrebbe allora proporre di educare a considerare anche i risultati di lungo periodo (o comunque immateriali) quali il rispetto per l'ambiente che ci circonda, per i più sfortunati, per i disagiati, o in una parola, gli ultimi lato sensu. Potrebbe svilupparsi una cultura nuova, capace di far prendere coscienza che molto di ciò che si ha, pur quando lo si ritiene normale, dovuto, in un certo senso, non è altro che un dono gratuito. Per fare solo un esempio emblematico si pensi alla vita. Nessuno può dire di essere sicuro d'averla meritata o tanto più di essersela conquistata : si tratta di un dono d'amore, e neanche solo di quello fra un uomo e una donna. Se si riesce ad imparare questo, allora molto potrebbe cambiare e così come ci si sente investiti di un dono d'amore, si potrebbe essere più propensi a quella che denominiamo cultura oblativa (più avanti "cultura del dare"), intendendo per ora semplicemente una maggiore disponibilità d'animo alla collaborazione, all'abnegazione e alla dedizione agli stessi valori che ognuno condivide e sperimenta su di se e che potrebbe far sperimentare pure agli altri se riesce a riconoscerne l'importanza.
Tornando all'analisi di Goodpaster dalla quale si è preso spunto per suggerire alcune indicazioni, l'autore conclude con alcuni paradossi, dei quali si discute solo in relazione ai più eclatanti.
Goodpaster afferma che appare essenziale cercare di istituzionalizzare le motivazioni etiche in un impresa appellandosi al mero interesse individuale, ma le tecniche del management comunemente impiegate per la realizzazione delle strategie possono apparire incongrue quando l'obiettivo è rappresentato dall'etica. Poco dopo afferma che, oltre agli incentivi, sarà essenziale il dialogo aperto e gli appelli a motivazioni più profonde. Per fare ciò che si configura come una delle poche, se non l'unica via possibile per il fine che ci si propone, occorre mettere in discussione la visione tradizionale del ruolo del management per conformarsi un po' meglio alle indicazioni proposte nei precedenti paragrafi.
Il secondo paradosso cui giunge Goodpaster deriva dalla convinzione attendibile che i valori etici debbano venire comunicati in modo da garantire la massima adesione sia dal management che dalla società ; egli arriva poi alla conclusione che << imporre la moralità ai dipendenti e alla società appare intollerabile ma inevitabile >>.
Si tratta, come ben evidente di paradossi reali, per risolvere i quali è necessario disporsi criticamente nei confronti di profonde convinzioni consolidate sulla gestione aziendale, sulla gestione delle risorse umane e sull'uso appropriato del potere economico.
La conclusione cui perviene l'autore è che << L'educazione neutrale rispetto ai valori è un mito e lo è sempre stata, anche se nel ventesimo secolo si è cercato di teorizzare il contrario. Gli educatori, nella pratica, inevitabilmente trasmettono contenuti etici, o per omissione o per mandato >>.
Maccoby, traendo spunto dagli studi di Erich Fromm, individua un rischio psicologico centrale nel mondo degli affari, ma analizzando attentamente le caratteristiche o virtù considerate, si evince che questa visione psicologica nasconde una concezione etica in quanto l'Autore analizza sia l'integrità morale sia la salute mentale degli uomini d'affari, chiedendosi se il punto di vista morale venga o meno sistematicamente rifiutato. L'Autore conclude che serve un'interezza di valutazione, un equilibrio che non escluda ne la riflessione ne le qualità del cuore, ma richiede la partecipazione dell'individuo nella sua globalità alle sue azioni e decisioni. Ciò è rafforzato dagli studi del teorico politico e filosofo Hannah Arendt, contemporaneo di Maccoby, secondo il quale il male consiste in un tipo di avventatezza.
L'articolo descriveva una scalata in montagna in cui un gruppo di persone, intenzionate a raggiungere la vetta, devono prendere una decisione difficile. A 18.000 piedi sui monti dell'Himalaya, il gruppo incontra un santone indiano, che si era perso e stava morendo per congelamento. Il gruppo allora deve decidere se ridiscendere a valle per salvare il santone oppure continuare la scalata. Il tempo e le circostanze non consentono di fare entrambe le cose. McCoy descrive il processo di razionalizzazione e la scelta di continuare la scalata aggiungendo poi : << Mi sentii e continuo a sentirmi colpevole nei confronti del santone. Avevo affrontato un classico dilemma morale senza riflettere bene sulle conseguenze. La mia azione può essere giustificata adducendo vari motivi : un alto flusso di adrenalina, uno scopo ordinato dall'alto, l'occasione che si verifica una sola volta nella vita, fattori che si trovano di solito in una situazione aziendale, specialmente quando si è sotto stress >>.
A. Mendo, Il principe perfetto e Ministri adattati. Documenti politici e morali corredati d'emblemi, trad. It., Roma, Vincenzo Poggioli, 1816. Citazione ripresa in "Quaderni del CUD" n°7, cfr. nota 7.
Kenneth Andrews; Can the Best Corporations be Made Moral ? : Harvard Business Review (Maggio - Giugno 1973) : pp. 57,64.
Ci si intende qui riferire alla cultura del dono che pervade quella che è la più piccola cellula di vita sociale e modello collaborativo, quale è la famiglia, dove spesso, ora forse un po' meno, ciò che anima l'agire dei singoli componenti non è certo il "self interest" quanto piuttosto la collaborazione e "l'amore reciproco" dei genitori fra loro, verso i figli, di questi verso i genitori e ancora di ogni membro verso l'intero nucleo.
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