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Tutela giurisdizionale e prove
A. Tutela giurisdizionale.
1. Diritto essenziale e norme processuali. L'autotutela, ossia la difesa di un diritto fatta dal titolare, è ammessa dall'ordinamento solo in ipotesi eccezionali, perché nessuno può farsi giustizia da sé, ma può agire in giudizio per difendere i propri diritti e i propri interessi legittimi.
Le norme sostanziali regolano i comportamenti dei consociati e tutelano i loro diritti e interessi; nel caso le norme sostanziali siano violate operano le norme strutturali, che disciplinano l'attività del giudice e delle parti durante il processo.
Le situazioni non sempre sono tutelate dal processo, ma a volte sono previste dal diritto sostanziale.
La tutela giurisdizionale ha come principio la tutela dei diritti e degli interessi dei consociati, applicando imparzialmente le norme vigenti durante il processo; il suo esercizio è svolto dalla magistratura.
Il processo è una sequenza di atti rivolti all'attuazione delle norme sostanziali.
Il diritto processuale è un insieme di norme che disciplina l'attività del giudice e delle parti nel processo; il diritto processuale è:
. civile, se le controversie hanno natura civilistica;
. amministrativo, se le controversie interessano i consociati e la pubblica amministrazione.
2. Giurisdizione e codice civile. Il libro sesto del codice civile disciplina gli istituti che devono garantire la tutela dei rapporti giuridici; tale giurisdizione ha preso spunto dalla "Relazione al Re".
3. Riforme della giustizia civile. La giurisdizione civile italiana è disciplinata da numerose fonti tra cui troviamo al vertice la costituzione, e il codice di procedura civile che è legge ordinaria.
L'originario disegno processuale prevedeva un processo tendenzialmente orale, poi, con la riforma del 1950, è stato introdotto un processo svolto totalmente mediante scambio di documenti scritti.
La riforma del 1990 ha cercato di alleggerire e quindi di velocizzare la giustizia civile introducendo ad esempio il giudice di pace, che si occupa delle controversie di minor rilievo.
I tempi processuali restano, comunque, troppo lunghi, intollerabili e dispendiosi: questi motivi hanno portato i consociati a diffidare della tutela giurisdizionale e ad autotutelarsi mediante clausole di autotutela o mediante clausole arbitrali, ossia con l'intervento di un arbitro nel caso sorgono presunte controversie.
4. Regole generali del processo civile. L'azione è il diritto di rivolgersi al giudice per ottenere il riconoscimento e/o l'attuazione della situazione giuridica soggettiva di cui si è titolari; chi esercita l'azione è detto attore, mentre colui contro il quale l'azione è rivolta è detto convenuto.
Il processo civile è un mezzo di tutela degli interessi privati e si sviluppa solo su impulso della parte, cioè il giudice può procedere solo su domanda dell'attore, attenendosi a quanto gli è chiesto; tuttavia, solo in ipotesi eccezionali, l'autorità giudiziaria può agire d'ufficio.
In ipotesi previste dalla legge, legittimato ad agire e ad intervenire è anche il pubblico ministero (p.m.), quale organo che opera nell'interesse della collettività.
Il giudice non può decidere sulla domanda dell'attore, se il soggetto passivo (convenuto) non ha avuto la possibilità di presentare le proprie ragioni (contraddittorio).
5. La competenza La competenza giurisdizionale è l'idoneità di un organo giudiziario di decidere una specifica controversia.
La ripartizione della competenza tra i diversi tipi di giudice può essere fatta:
. in base al valore economico dell'oggetto della controversia;
. in base alla natura del rapporto controverso;
. in base alle funzioni attribuite dalla legge all'organo giudiziario.
Per quanto riguarda le Corti, per decidere a quale corte spetta la decisione della specifica controversia, è utilizzato il criterio territoriale.
6. Tutela cognitiva Il processo di cognizione è il procedimento di individuazione della norma di diritto sostanziale da applicare al caso concreto; questo procedimento ha come carattere esenziale la funzione di accertamento e si conclude con una sentenza che può essere dichiarativa, costitutiva, o di condanna.
La sentenza dichiarativa (o di mero accertamento) ha la funzione di accertare la situazione giuridica (es.: la pronuncia di nullità del contratto); gli effetti prodotti dalla sentenza dichiarativa retroagiscono ex tunc, ossia dall'inizio.
La sentenza costitutiva ha la funzione di costituire, modificare o estinguere dei rapporti giuridici (es.: la pronuncia di annullamento del contratto); i suoi effetti si producono ex nunc, ossia dal momento della pronuncia. La sentenza costitutiva è detta:
. necessaria (giurisdizione costitutiva necessaria), quando è richiesta la decisione dell'autorità giudiziaria per la costituzione, modificazione o estinzione di determinate situazioni giuridiche sottratte alla disponibilità dei singoli, in quanto la sola dichiarazione di volontà delle parti è insufficiente per la produzione degli effetti;
. non necessaria (giurisdizione costitutiva non necessaria), quando la costituzione, modificazione o estinzione di una situazione giuridica è rimessa alla disponibilità delle parti e più precisamente al consenso o rifiuto del soggetto passivo.
La sentenza di condanna ha come effetto il comando fatto dal giudice, alla parte soccombente, di tenere un determinato comportamento per l'attuazione di un diritto dell'altra parte vincente; il comportamento comandato può avere ad oggetto un dare, un fare o un non fare. La sentenza di condanna è esecutiva e costituisce titolo per l'esecuzione forzata sia in forma generica che in forma specifica.
7. Gradi di giurisdizione. Il giudicato L'ordinamento consente alla parte soccombente di far riesaminare la controversia al giudice di grado superiore; tuttavia, tale riesame ha dei limiti, come l'incontrovertibilità espressa dalla formula cosa giudicata che indica che la pronunzia giurisdizionale di un determinato rapporto non è più impugnabile.
Nel nostro sistema i gradi di giurisdizione sono due: giudizio di primo grado e giudizio di secondo grado o di appello: ogni grado di giudizio si conclude con una sentenza.
Con il riesame, la parte soccombente può promuovere un ulteriore grado di giudizio ed ottenere una nuova pronunzia; è previsto anche un grado ulteriore di riesame che il giudizio di Cassazione.
La sentenza si considera passata in giudicato quando ha esaurito i possibili riesami e, di conseguenza, non può più essere oggetto di altro giudizio, nemmeno tra le parti.
L'incontrovertibilità processuale della sentenza, espressa con la formula "cosa giudicata", implica il carattere definitivo e immutabile di una sentenza, la quale non può essere oggetto di riesame.
8. Svolgimento del processo ordinario di cognizione di primo grado Il processo ordinario di cognizione di primo grado inizia con la domanda giudiziale proposta mediante l'atto di citazione.
L'atto di citazione è l'atto con il quale l'attore esercita l'azione chiamando in giudizio il convenuto; esso contiene le richieste dell'attore e i mezzi di prova dei quali lui vuole avvalersi.
La comparsa di risposta è l'atto scritto mediante il quale il convenuto prende conoscenza dell'atto di citazione, pone le proprie ragioni, indica le prove di cui vuole avvalersi, chiede l'autorizzazione della chiamata in causa di un terzo e formula le proprie conclusioni.
Il convenuto per ottenere il rigetto della domanda contro di lui proposta può:
● negare i fatti vantati dall'attore;
● presentare fatti impeditivi, modificativi o estintivi;
● sostenere una diversa interpretazione delle norme da applicare;
● proporre una domanda riconvenzionale esercitando a sua volta azione; questa nuova azione deve essere inerente all'azione originaria proposta dall'attore e può essere sia autonoma che inserita nel processo precedente.
L'attore e il convenuto devono costituirsi depositando ognuno di loro in cancelleria un fascicolo che presenta l'atto di citazione per il fascicolo dell'attore e la comparsa di risposta per il fascicolo del convenuto, le prove di cui vogliono avvalersi, le proprie conclusioni.
Di regola, è l'attore a costituirsi per primo: se nessuno si costituisce, il processo si estingue; se una sola delle parti si costituisce, l'altra è dichiarata contumace (colui che non si presenta in giudizio).
L'attività delle parti in giudizio si esplica mediante l'attività dei rispettivi avvocati.
La fase successiva è quella istruttoria, dove il giudice istruttore raccoglie le prove presentate dalle parti e può anche emettere provvedimenti anticipativi della sentenza come l'ordinanza che è titolo esecutivo modificabile e revocabile.
Dopo la raccolta delle prove, vi è la fase decisoria, dove il giudice istruttore si costituisce come giudice unico. Egli consente alle parti di scambiarsi le comparse conclusionali, ossia atti dove sono riproposte le proprie tesi, le proprie conclusioni e le proprie richieste; questo scambio deve avvenire entro 60 giorni.
La sentenza è resa pubblica mediante il suo deposito in cancelleria da parte del giudice che l'ha pronunziata. Dal momento della notifica della sentenza fatta dall'interessato al convenuto, iniziano a decorrere i termini di impugnazione.
9. Impugnazione La sentenza di I grado è immediatamente esecutiva; tuttavia, la parte soccombente, parzialmente o totalmente, può impugnare la sentenza dinanzi al giudice di II grado.
Con la riforma del '90, l'impugnazione, che deve essere fatta entro 10 o 30 giorni a seconda della sentenza, produce un giudizio di merito che riesamina la ricostruzione del fatto, la sua valutazione e l'applicazione delle norme.
Contro la sentenza di secondo grado, la parte soccombente può impugnare tale sentenza di fronte alla Corte di Cassazione che valuta i possibili errori di interpretazione o errori nell'applicazione delle norme.
La Corte di Cassazione è unica e ha sede a Roma; la sua funzione è quella di uniformare l'interpretazione della legge.
Qualora la Corte di Cassazione accolga il ricorso può anche rinviare la causa ad un altro giudice di pari grado a quello precedente e questo giudice, anche se ha poteri autonomi, deve attenersi ai principi dettati dalla Corte. Gli istituti di impugnazione sono:
● la revocazione è un'impugnazione proposta dalla parte soccombente che denuncia il vizio di volontà del giudice che ha pronunciato la sentenza.
La r. ordinaria è proponibile entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza, pena la non possibilità di impugnare; la r. straordinaria può essere chiesta anche dopo i 30 giorni nel caso in cui vengono scoperti dolo o falsità o recuperati documenti occultati o dispersi;
● l'opposizione di terzo è un'impugnazione straordinaria in quanto ha per oggetto sentenzepassate in giudicato. I soggetti legittimati all'opposizione della sentenza del giudice sono sia tutti coloro che sono titolari di un diritto incompatibile con quello trattato nella sentenza (opposizione ordinaria), sia i creditori o gli aventi causa del soccombente danneggiati dalla sentenza (opposizione revocatoria).
10. Procedimenti speciali di cognizione Oltre al procedimento ordinario di cognizione, la legge prevede forme abbreviate chiamate procedimenti speciali di cognizione.
Il procedimento per ingiunzione è applicabile solo per crediti che hanno ad oggetto una determinata somma di denaro o una determinata cosa fungibile o un determinato mobile.
Il decreto ingiuntivo è l'atto con il quale il giudice, una volta esperita una cognizione sommaria e senza contraddittorio (cioè senza aver sentito l'altra parte), ingiunge (ordina) al debitore di adempiere entro 40 giorni dalla notifica della sentenza.
Il debitore, una volta ricevuta la notifica, può proporre opposizione al decreto ingiuntivo e si apre un processo ordinario di cognizione.
Nel caso manca l'impugnazione, il decreto ingiuntivo passa in giudicato a titolo esecutivo, consentendo l'esecuzione forzata.
Per quanto riguarda il procedimento per convalida di sfratto, esso è chiesto dal locatore o affittante i quali, senza ricorrere al procedimento ordinario di cognizione, possono ottenere il titolo esecutivo per la consegna o il rilascio della cosa mediante intimazione al conduttore.
Nel caso l'intimato non si oppone o non compare, il titolo acquista efficacia esecutiva; se vi è opposizione, si verifica risoluzione del rapporto e il rilascio della cosa.
L'opposizione è ammessa anche dopo la convalida del titolo nel caso l'intimato dimostri di non essere venuto a conoscenza dell'intimazione o non ha potuto comparire all'udienza.
11. Processo del lavoro La disciplina della controversia in materia di lavoro è stata profondamente innovata e tale riforma ha ripristinato i principi di oralità, concentrazione e speditezza.
L'azione non si esercita con citazione, ma con ricorso diretto al giudice competente per materia; il proponente deve presentare la domanda indicando i fatti e le prove.
Il tribunale fissa l'udienza dove vengono assunte le prove e discussa la causa; il giudice, poi, pronuncia oralmente la sentenza motivandola.
Alla fine, lo stesso giudice che ha pronunziato la sentenza deposita quest'ultima in cancelleria.
12. Tutela esecutiva Nel caso in cui il comando contenuto in una sentenza non è rispettato dal convenuto, l'attore può esercitare l'azione esecutiva.
L'esecuzione forzata è l'impiego effettivo o potenziale della forza dello Stato nei confronti del convenuto che non ha rispettato l'ordine; la sua funzione è quella di soddisfare l'interesse dell'attore. Infatti, se Tizio, anche se obbligato, si rifiuta di consegnare una cosa a Caio, con l'esecuzione forzata lo Stato prende materialmente il bene da Tizio e lo consegna a Caio; si ha quindi una sostituzione dello Stato nella posizione dell'obbligato, affinché venga soddisfatto l'interesse dell'attore.
Nel caso di prestazioni infungibili, l'attore non può chiedere l'esecuzione coattiva, ma può pretendere il risarcimento del danno.
13. Titolo esecutivo Per procedere all'esecuzione forzata è necessario un titolo esecutivo accertato da sentenza; sono titoli esecutivi: le cambiali, gli assegni, le condanne e i decreti ingiuntivi passati in giudicato.
Il titolo esecutivo deve essere notificato al debitore insieme al precetto, che è un'intimazione ad adempiere entro il termine stabilito, pena l'esecuzione coattiva.
Il soggetto contro il quale è stato promosso il processo esecutivo può opporsi all'esecuzione con un processo di cognizione, indicando l'inesistenza del titolo o la non pignorabilità del bene.
Se il convenuto si oppone agli atti esecutivi, egli contesta la regolarità del precetto, della notificazione del titolo esecutivo.
Anche il terzo che vanta un diritto verso i beni oggetto del pignoramento forzato può opporsi all'esecuzione dinanzi al giudice.
14. Esecuzione forzata in forma specifica L'esecuzione coattiva diretta o in forma specifica è applicata solo per le prestazioni che non hanno ad oggetto il pagamento di una somma di denaro.
Nel caso d'inadempimento di un obbligo di consegna o di rilascio, il creditore, munito del titolo esecutivo, ricorre al pubblico ufficiale che procede alla spossessamento coattivo dell'obbligato inadempiente; se la cosa è stata alienata a terzi, l'avente diritto si deve accontentare di un risarcimento del danno.
Nel caso di inadempimento di un obbligo di fare, il creditore può ottenere che la prestazione sia eseguita da un terzo a spese dell'obbligato, previa presentazione a quest'ultimo del titolo esecutivo e del precetto.
Nel caso di inadempimento di un obbligo di fare infungibile, l'avente causa ha diritto soltanto al risarcimento del danno, in quanto la prestazione è ad intuitu personae.
Nel caso di inadempimento di un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere la distruzione dell'opera illecita dell'obbligato e il ripristino della situazione preesistente, con spese a carico dell'obbligato inadempiente; nel caso l'opera illecita dell'obbligato inadempiente fa parte dell'economia nazionale, all'avente causa spetta solo un risarcimento del danno.
15. Tutela del diritto al consenso. Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso (art. 2932 c.c.).
Il procedimento e la relativa sentenza presentano i caratteri della tutela cognitiva, cioè non occorre un titolo esecutivo, la domanda è proposta con citazione, la sentenza è impugnabile fino al passaggio i n giudicato.
La tutela cognitiva non opera per i contratti reali come il mutuo, il comodato, il deposito, perché il soddisfacimento degli interessi presuppone il materiale trasferimento della cosa oggetto del contratto.
16. Esecuzione forzata per espropriazione. L'esecuzione coattiva in forma generica o espropriazione forzata ha la funzione di convertire in denaro determinati beni del debitore per soddisfare il creditore: essa opera quando il debito inadempiuto ha per oggetto il pagamento di una somma di denaro.
I beni espropriati al debitore sono quelli che formano la garanzia patrimoniale generica; essi sono venduti mediante asta pubblica ed il ricavato va a soddisfare non solo il titolo esecutivo del creditore, ma anche gli interessi e le spese processuali.
L'espropriazione si realizza in 3 fasi:
1. pignoramento; il creditore insoddisfatto, previa notifica del titolo esecutivo e del precetto, da inizio al pignoramento dei beni del debitore inadempiente, mediante l'ufficiale giudiziario. Se i beni sono immobili, il pignoramento deve essere iscritto nei registri immobiliari.
Il pignoramento non priva il debitore del suo diritto di proprietà, ma rende inefficace tutti i possibili atti dispositivi dello stesso; il pignoramento colpisce anche beni alienati a terzi, fatti salvi i beni acquistati in buona fede.
2. vendita forzata; il pignoramento è seguito dalla vendita forzata dei beni e, sul ricavato, il creditore si soddisfa del credito vantato. Si ha quindi una trasformazione in denaro (liquidazione) dei beni del debitore inadempiente. L'acquirente dei beni sottoposti a pignoramento è scelto mediante pubblico incanto (vendita al miglior offerente).
3. attribuzione del ricavato al creditore o assegnazione del bene al creditore; con il ricavato della vendita forzata dei beni pignorati vengono soddisfatti i creditori:
. se il ricavato è superiore ai crediti da soddisfare, ciò che resta viene restituito al debitore;
. se il ricavato è insufficiente per soddisfare i creditori, questi ultimi dividono il ricavato in proporzione al credito, salvo per i creditori muniti di prelazioni, i quali vengono soddisfatti per intero.
Il creditore può anche richiedere l'assegnazione dei beni pignorati ad un determinato prezzo.
17. Tutela cautelare Tra la promozione della domanda di cognizione (processo di cognizione), o dalla domanda di esecuzione e l'emanazione del provvedimento richiesto trascorre un periodo di tempo nel quale possono accadere eventi o fatti che possono ledere l'azione promossa dall'attore. Per scongiurare tale pericolo l'attore può richiedere un provvedimento provvisorio cautelare che tuteli l'azione promossa.
I presupposti affinché il giudice emetta il provvedimento cautelare sono: l'esistenza di un diritto e il possibile verificarsi di un danno durante lo svolgimento del processo.
Questo provvedimento ha natura provvisoria, perché perde efficacia con l'emanazione o la negazione del provvedimento richiesto.
L'emanazione del provvedimento provvisorio cautelare si svolge in tre fasi:
. prima fase: il giudice, previo accertamento dei presupposti richiesti, autorizza o nega il provvedimento;
. seconda fase: il giudice attua il provvedimento promosso;
. terza fase: vi è l'impugnazione di tale provvedimento da parte del convenuto dinanzi ad un giudice diverso da quello che ha emanato il provvedimento provvisorio cautelare.
Tutte le fasi si svolgono in contraddittorio, cioè il giudice sente le ragioni del convenuto; la pronunzia con decreto senza contraddittorio ha natura eccezionale.
Esempi di provvedimenti provvisori cautelari sono:
- sequestro giudiziario: custodia della cosa della cui proprietà o possesso è controversa la titolarità;
- sequestro conservativo: custodia dei beni del debitore che fanno parte della garanzia generica, contro il pericolo di sottrazione o alienazione;
- procedimenti di istruzione preventiva: a questi provvedimenti si ricorre quando un mezzo istruttorio deve essere assunto prima dell'inizio del giudizio di merito (es: assunzione preventiva di testimoni, i quali si teme che non possano in futuro deporre);
- provvedimenti d'urgenza: impediscono che la durata del processo leda l'attore che ha ragione e assicurano provvisoriamente gli effetti della successiva decisione sul merito;
- provvedimenti possessori: hanno ad oggetto la reintegrazione o la manutenzione del possesso.
18. Giurisdizione volontaria. La giurisdizione volontaria è costituita da un insieme di provvedimenti che hanno ad oggetto rapporti di diritto privato e che sono affidati ad organi giurisdizionali.
La giurisdizione volontaria si differenzia dalla giurisdizione contenziosa, perché la prima non risolve controversie, ma integra, assiste e controlla l'attività dei privati nei loro interessi e nell'interesse generale.
Questi provvedimenti sul piano strutturale hanno caratteri comuni; difatti, l'atto deve avere la forma del ricorso, la decisione è fatta in camera di collegio.
Esempi sono la dichiarazione di assenza o morte presunta, l'interdizione o l'inabilitazione.
19. Tutela arbitrale Le parti possono rimettere ad arbitri privati la decisione delle loro controversie sottraendole alla cognizione dei giudici statali.
L'arbitrato presuppone un accordo negoziale che può essere di due tipi:
1. compromesso: è un atto negoziale con cui le parti decidono di far risolvere una controversia già sorta tra di loro ad arbitri;
2. clausola compromissoria: è la clausola con la quale le parti decidono di sottoporre ad arbitri tutte le future controversie che potrebbero sorgere nell'ambito di quel determinato contratto.
Per tutte e due è richiesta la forma scritta pena la nullità.
I soggetti legittimati alla stipula dell'accordo arbitrale sono le parti del contratto; essi vincolano che la decisione della controversia sia rimessa ad un arbitro e non possono, quindi, proporre domanda dinanzi a un giudice naturale (statale).
Gli arbitri possono giudicare sia secondo diritto che secondo equità; essi possono rilevare d'ufficio la nullità del contratto, ma tale nullità non colpisce la clausola compromissoria che è autonoma.
La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'arbitrato obbligatorio ex lege, cioè non fondato sulla volontà delle parti.
L'arbitrato vero e proprio è detto arbitrato rituale e si differenzia dall'arbitrato irrituale o libero, perché l'arbitrato rituale è disciplinato minuziosamente dal codice di procedura civile e le sue sentenze hanno la stessa efficacia delle sentenze del giudice naturale (statale), mentre l'arbitrato irrituale o libero produce effetti solo sul piano negoziale e può essere attribuito dalle parti agli arbitri anche con foglio bianco (biancosegno).
Diverso dall'arbitrato è l'arbitraggio, dove l'arbitratore non risolve le controversie del rapporto, ma integra un contratto concluso ma incompleto.
Altra figura diversa sia dall'arbitrato che dall'arbitraggio è la perizia contrattuale con la quale le parti rimettono a terzi qualificati le valutazioni di carattere tecnico e non giuridico che le parti si impegnano ad accettare.
Gli arbitri possono essere uno o più di uno, ma sempre in numero dispari e possono essere sia cittadini italiani che stranieri; sono esclusi dalla facoltà di essere arbitri i minori, gli interdetti, gli inabilitati e i falliti.
L'ufficio arbitrale si perfeziona mediante l'accettazione scritta da parte dei soggetti designati; nel caso questi ultimi non adempiano oppure vi rinunziano, essi sono tenuti al risarcimento dei danni recati e possono essere anche sostituiti.
Gli arbitri hanno diritto sia al rimborso delle spese che all'onorario, salvo non vi abbiano espressamente rinunziato.
Non sono rimesse alle decisioni degli arbitri le cause di stato e quelle di separazione dei coniugi; per quanto riguarda le controversie in materia di lavoro, esse possono essere rimesse all'ufficio arbitrale solo se tale metodo è previsto dai contratti o accordi collettivi e se non è preclusa la possibilità di rivolgersi all'autorità giudiziaria competente.
Non sono rimesse all'ufficio arbitrale le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie e le controversie assegnate al giudice amministrativo.
L'arbitrato si instaura quando una parte notifica l'atto di manifestazione di volontà di ricorrere agli arbitri e, quindi, propone la domanda.
L'arbitrato è disciplinato dalla convenzione arbitrale o dalla disciplina pattizia; in mancanza di tali norme, gli arbitri possono agire come ritengono più opportuno.
Gli arbitri possono anche assumere le prove, ma non possono disporre sequestri o altri provvedimenti cautelari; essi, comunque, possono sempre rimettere gli atti alla Corte Costituzionale.
La decisione degli arbitri è detta lodo; esso è ammesso nel termine stabilito dalle parti o, in mancanza, entro 180 giorni e la scadenza del termine rende nullo il lodo. Il lodo è deliberato a maggioranza, redatto per iscritto e consegnato a ciascuna delle parti; con l'ultima sottoscrizione, il lodo acquista efficacia vincolante per le parti.
Ciascuna delle parti può depositare il lodo presso la cancelleria del tribunale, il quale conferisce al lodo con decreto efficacia esecutiva (omologazione del lodo).
Il lodo può essere impugnato dinanzi alla Corte d'appello e può essere proposta l'impugnazione per nullità se il lodo è stato pronunciato da chi non ne aveva potere, se non è stata rispettata la convenzione arbitrale, se non è stato rispettato il contraddittorio, se manca una motivazione valida.
Il lodo può essere revocato per dolo di una delle parti o dell'arbitro oppure se le prove erano false; ci può essere opposizione al lodo anche da parte dei creditori di una delle parti quando il lodo arreca loro danno.
L'arbitrato internazionale si applica quando una delle parti ha residenza o sede all'estero o la controversia riguarda un rapporto da eseguirsi tutto o in gran parte all'estero.
Mentre il lodo nazionale è sottoposto ad omologazione del tribunale, il lodo estero è soggetto a riconoscimento o della Corte d'appello o della Corte di Roma.
B. Prove.
20. Principio dispositivo e onere della prova. Per decidere una controversia, il giudice deve risolvere sia la questione di fatto, ossia deve accertare se le affermazioni delle parti sono fondate, sia la questione di diritto, ossia ricercare e individuare le norme applicabili.
L'individuazione, l'interpretazione e l'applicazione delle norme sono compiti del giudice, mentre l'allegazione dei fatti è un compito delle parti.
Le parti devono provare i fatti allegati assolvendo all'onere della prova. Esempio, per far valere il suo diritto al risarcimento, il danneggiato deve provare che il convenuto è l'autore del fatto dannoso, che il fatto è stato compiuto con dolo o colpa, che dal fatto deriva un danno, deve provare l'entità del danno.
L'onere di allegare i fatti e l'onere della prova fanno parte del principio dispositivo.
Il giudice non può assumere di sua iniziativa prove non proposte dalle parti, salvo nei casi di interessi indispensabili.
Nel caso di interessi disponibili, le parti possono decidere anche l'inversione della prova, ossia l'onere della prova spetta non più al convenuto ma all'attore; tale inversione può essere disposta anche per legge.
21. Nozione e caratteri. Le prove sono gli strumenti mediante il quale il giudice accerta la validità dei fatti allegati dalle parti. I mezzi di prova sono solo quelli previsti dall'ordinamento e sono l'esibizione di cose e di documenti e l'interrogazione delle parti e dei terzi.
Le prove si distinguono in:
● prove documentali; sono prove formate prima del processo e, quindi, precostituite;
● prove semplici; si costituiscono durante la fase istruttoria del processo;
● prove legali; esempio è l'atto pubblico;
● prove liberamente apprezzabili; esempio è la testimonianza;
● prove dirette o storiche; quando consistono nella rappresentazione o esposizione del fatto;
● prove indirette o logiche; quando il fatto è desunto mediante congetture.
22. Singoli mezzi di prova: prove documentali. Il documento è qualunque mezzo materiale idoneo a rappresentare un fatto; i più importanti sono:
● atto pubblico, è l'atto redatto dal notaio o da altro pubblico ufficiale. Esso vincola il giudice nella valutazione dello stesso in quanto l'atto pubblico fa piena prova, salvoquerela di falso, cioè se viene dimostrata la falsità del documento;
● scrittura privata, è l'atto redatto per iscritto e sottoscritto dalle parti con firma autografa. Essa a differenza dell'atto pubblico non fa piena prova, perché è necessario che il sottoscrittore riconosca la sottoscrizione;
● scrittura privata autenticata, è l'atto redatto dalle parti e sottoscritto davanti ad un pubblico ufficiale, il quale attesta l'autenticità della firma. Essa è valida se l'autore non la disconosce entro la prima udienza;
● telegramma e telefax, la loro validità è provata, come per la scrittura privata, se l'originale è stato sottoscritto dal mittente;
● riproduzioni meccaniche (fotografie), la legge afferma che sono valide solo se colui che le utilizza non ne disconosce la conformità.
Particolare importanza ha la data di scrittura:
● se non è stata apposta sul documento, essa può essere provata dalle parti con presunzioni;
● se, invece, è stata apposta, la data vale fino a prova contraria.
Se la data risulta da atto pubblico, o da scrittura privata autenticata, essa è opponibile senza riserve; se, invece, essa risulta da scrittura privata non autenticata, è opponibile solo se è certa, ossia se c'è l'autorizzazione della scrittura e la sua registrazione.
Per quanto riguarda le copie degli atti pubblici e delle scritture private depositate, esse valgono ai fini probatori, se la loro conformità all'originale è attestata da un pubblico ufficiale.
23. Altri mezzi di prova: confessione La confessione è la dichiarazione che una parte fa circa la verità di fatti che sono ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte.
La confessione può essere:
. giudiziale (o confessione resa in giudizio); fa piena prova contro colui che l'ha fatta;
. stragiudiziale (o confessione resa fuori dal giudizio); fa piena prova solo se dimostrata o se contenuta in un testamento.
La confessione è ritenuta un atto giuridico in senso stretto. A volte può accadere che nella confessione sono menzionati altri fatti che possono inficiare l'efficacia del fatto confessato, o che possono confessarlo: questi fatti fanno piena prova se l'altra non li contesta; se, invece, l'altra parte li contesta, il giudice può decidere o meno la loro validità.
24. Segue. Giuramento Il giuramento è una dichiarazione compiuta da una delle parti circa la verità dei fatti dedotti in causa ed ha efficacia solo se reso in giudizio.
Quando una parte non ha prove sufficienti per confermare le proprie dichiarazioni, può deferire (rimettere in giudizio) l'altra parte e dal giuramento di quest'altra parte dipende la decisione della causa.
L'altra parte se giura vince; se rigira il giuramento alla prima parte e questa giura, l'altra parte perde.
Nel caso una parte si rifiuta di giurare o non si presenta senza giustificato motivo, la sua versione del fatto non è considerata vera.
Il giuramento attesta la veridicità della versione dei fatti e non ammette prova contraria; chi fa falso giuramento è tenuto al risarcimento del danno.
Il giuramento non è deferito per la decisione di cause relative ai diritti indisponibili.
Il giuramento è suppletorio quando è il giudice ad invitare la parte a giurare.
25. Segue. Testimonianza La testimonianza è una prova orale, ossia è la narrazione dei fatti della causa compiuta davanti ai giudici e sotto giuramento da parte di soggetti che sono estranei agli interessi in conflitto; tale prova non è particolarmente significativa, in quanto è difficile determinare se un terzo sia o meno estraneo all'interesse in conflitto e di conseguenza la sua ammissibilità è rimessa al giudice.
La testimonianza non è ammessa:
. quando per quel dato fatto è richiesta la forma scritta non bastando una prova orale;
. quando il valore dell'oggetto del contratto è superiore a lire 5000;
. quando ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
La testimonianza è ammessa:
. quando esiste un qualsiasi scritto che attesti quanto testimoniato;
. quando il contraente è impossibilitato moralmente o materialmente a procurarsi una prova scritta;
. quando il contraente, non per sua colpa, ha perso il documento che gli forniva la prova.
26. Segue. Presunzioni La presunzione è un metodo logico che permette al giudice di risalire da un fatto noto ad uno ignoto, quando è sprovvisto di una prova diretta; esse sono:
. presunzioni semplici, quando il giudice reputa provato un fatto del quale mancano prove dirette;
. presunzioni legali; quando è la legge che ritiene presunto un fatto, cioè che ha valore di prova in relazione ad un altro fatto; esse si distinguono in:
o assolute, perché non ammettono prova contraria;
o relative, quando ammettono prova contraria
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