|
Appunti universita |
|
Visite: 1242 | Gradito: | [ Grande appunti ] |
Leggi anche appunti:L'unicefL'UNICEF L'UNICEF è la principale organizzazione mondiale per i diritti dell'infanzia. Riservatezza / privacy: origine della problematica nell'esperienza giuridica italianaRiservatezza / privacy: origine della problematica nell'esperienza giuridica italiana Come L'istruttoriaL'ISTRUTTORIA Ogni contribuente ha un numero di codice fiscale ed è iscritto |
L'attività dello Stato si suole riassumere in tre funzioni fondamentali: legislazione, giurisdizione, amministrazione. La funzione giurisdizionale rappresenta il necessario complemento della funzione legislativa, allo stesso modo che la sanzione è il necessario complemento del precetto.
La prima fondamentale norma che si interessa di giurisdizione è l'art. 24 della Costituzione. Questo articolo si struttura in quattro diverse proposizioni:
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi: quindi dove vi sia una situazione sostanziale vi deve essere una tutela giurisdizionale;
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento: il diritto di difesa assicura alle parti la possibilità di influire con la propria attività sul contenuto della decisione;
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione;
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Altri principi costituzionali di interesse sono:
- La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge.
- La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario.
Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.
- Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.
- Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
- Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.
- Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.
Le norme giuridiche pongono comandi e divieti, ma attribuiscono anche diritti e facoltà. La giurisdizione civile tende ad assicurare la tutela dei diritti soggettivi garantiti dalla norma giuridica. La giurisdizione civile tende a riparare le conseguenze della trasgressione operando in modo da raggiungere l'effetto pratico previsto dalla norma stessa, a malgrado della contraria volontà o dell'inerzia dell'obbligato.
L'attività del giudice diretta all'applicazione delle norme giuridiche al caso particolare, rappresenta la fase di "cognizione". Tuttavia per assicurare la tutela giurisdizionale del diritto spesso non è sufficiente la sola applicazione della legge al caso particolare, ma può essere necessaria una fase ulteriore per eseguire il comando contenuto nella sentenza. Questa fase si chiama "esecuzione".
Si distinguono diverse forme tipiche di tutela giurisdizionale in base alla sentenza che viene pronunciata:
a) dichiarativa o di accertamento, se il giudice si limita ad accertare una determinata situazione e a dichiarare l'esistenza del diritto soggettivo;
b) costitutiva, se il giudice modifica la situazione giuridica preesistente;
c) di condanna, se il giudice oltre ad accertare l'esistenza di un obbligo ne accerta anche l'inadempimento e autorizza quindi il compimento di quelle attività esecutive che sono necessarie per dare coattivamente soddisfazione al diritto.
Il compito del giudice consiste nell'applicare ai casi singoli le norme generali della legge. Questo principio trova comunque nella stessa legge un'eccezione. Talora la norma attribuisce al giudice il potere di dettare o integrare la regola particolare per il caso singolo, secondo un criterio di opportunità. Si dice allora che il giudice "decida secondo equità".
Nella fase di esecuzione si deve svolgere un'attività meramente pratica, tesa al soddisfacimento coattivo del diritto del creditore. La giurisdizione deve quindi garantire che tale procedura avvenga nel rispetto della legge e offrire al debitore la possibilità di contestare la stessa esecuzione.
Talvolta l'intervento del giudice è richiesto dall'ordinamento per costituire rapporti giuridici e non per accertare l'esistenza di un diritto. Ciò al fine di garantire particolari situazioni dove vari interessi pubblici possono essere in gioco (es. autorizzare i contratti degli incapaci, iscrizione delle S.p.A. nell'apposito registro ecc.)
L'azione costituisce un diritto civico a fruire di una pubblica funzione. In altre parole è la facoltà di un soggetto di richiedere l'intervento dell'organo giurisdizionale per la tutela di un proprio diritto.
Il titolo e l'interesse ad agire costituiscono gli elementi dell'azione. Occorre inoltre che il soggetto che propone la domanda sia a ciò legittimato.
L'eccezione è il potere del convenuto di dedurre circostanze che escludono l'efficacia del titolo sul quale è fondata l'azione.
Affinché dalla proposizione della domanda si possa giungere alla sentenza o al provvedimento, deve normalmente intervenire una serie ordinata di atti, appunto il processo. La proposizione della domanda apre il processo e fa sorgere nel giudice il dovere di pronunciare, ma non è sempre sufficiente a provocare una pronuncia che decida la controversia, mediante l'accoglimento o la reiezione della domanda stessa. Perché tale risultato sia raggiungibile occorrono altre condizioni (presupposti processuali): la domanda deve essere rivolta al giudice competente da un soggetto capace, dev'essere seguita dalla necessaria attività processuale e questa deve essere valida.
Il giudice e le parti operano nel processo al fine di giungere a un determinato risultato giuridico, che è rappresentato dal risultato conclusivo. L'attività dei vari soggetti del processo è coordinata dalla legge per il raggiungimento di questo risultato finale. In tal modo è posta una relazione giuridica fra i soggetti del processo; e questo si configura, nel suo complesso, come un rapporto giuridico. Il potere dovere del giudice di decidere la causa, di dare il provvedimento, deve essere concepito come un dovere inerente all'ufficio suo e non come un obbligo verso le parti. E così il potere delle parti di promuovere il processo e di agire per il suo svolgimento si deve concepire come il diritto a fruire di una pubblica funzione. Il rapporto giuridico processuale ha quindi carattere essenzialmente pubblico, come la funzione giurisdizionale di cui è esplicazione, e pubblici sono i diritti e i poteri che si esercitano nel processo.
Il potere della farsi di promuovere il processo, mediante la proposizione della domanda, costituisce uno degli aspetti differenziali più marcati fra il processo civile quello penale e la differenza deriva dalla diversa finalità delle due giurisdizioni. L'interesse pubblico alla repressione dei reati esige che ogni qualvolta viene commesso un reato sia provveduto, affinché sia applicata la sanzione e a tal fine un organo apposito dello Stato, il pubblico ministero, deve promuovere l'azione penale, anche se la persona offesa dal reato non si duole. Nel processo civile, per contro, vige il principio della domanda di parte che è sancito dall'articolo 2907 del codice civile e ribadito dall'articolo 99 del codice procedura civile. Il giudice può provvedere solo su domanda della parte interessata salvo nelle rare ipotesi tassativamente previste dalla legge, nelle quali l'azione civile può essere promossa dal pubblico ministero. Al potere di porre la domanda è complementare, come si è accennato, il potere di fornire la prova dei fatti che stanno a fondamento della domanda e per il convenuto il potere di provare i fatti che stanno a fondamento dell'eccezione. La legge vieta al Giudice di ritenere i fatti non provati e, salvo rare eccezioni, anche di esperire indagini d'ufficio, e riserva alla parte il potere di iniziativa nella raccolta del materiale probatorio. Questo uno dei principi fondamentali più caratteristici del processo civile: il principio dispositivo. Un altro principio fondamentale del processo civile è il principio del contraddittorio: il giudice non può di regola statuire sulla domanda dell'attore se non sia stata data dal convenuto la possibilità d'interloquire. In tal modo il convenuto può sempre opporre alle ragioni dell'attore le proprie difese e normalmente anche le eccezioni di cui dispone, salvo che qualche norma particolare non gli imponga di differire talune eccezioni o di proporle in altra sede.
Il complesso delle norme, che regolano il processo e che sono contenute in massima parte nel codice di procedura civile, costituisce il diritto processuale civile. La legge processuale regola la forma e il tempo degli atti del processo e l'ordine in cui quegli atti si debbono compiere; vincola le parti nel loro agire e anche il Giudice nell'esercizio del suo potere dovere, nella formazione dei provvedimenti.
I limiti della giurisdizione sono di tre specie. Anzitutto il potere giurisdizionale non può oltrepassare i confini della sovranità statale della quale è un'esplicazione. Un secondo limite è di carattere costituzionale e deriva dal principio della divisione dei poteri. Il terzo limite distingue la giurisdizione dei giudici ordinari da quella dei giudici speciali.
La giurisdizione italiana sussiste per le cause nelle quali sono convenuti cittadini italiani. La cittadinanza dell'attore non ha rilevanza: anche lo straniero può sempre adire la giurisdizione italiana. Per contro, l'art. 4 esclude di regola la giurisdizione italiana nelle cause in cui sia convenuto uno straniero. Ma lo stesso articolo stabilisce che anche lo straniero può essere convenuto davanti al giudice italiano, ove concorrono le seguenti situazioni particolari:
A) quando lo straniero abbia eletto nel nostro stato residenza o domicilio; ovvero vi abbia nominato un rappresentante autorizzato stare in giudizio; o infine abbia accettato la giurisdizione italiana;
B) Nelle controversie relative a beni situati nel territorio dello Stato;
C) Nelle controversie relative a obbligazioni sorte o da eseguirsi nello Stato;
D) nelle controversie connesse con altre pendenti davanti al giudice italiano oppure relative a provvedimenti cautelari da eseguirsi nello Stato o a rapporti dei quali il giudice italiano può conoscere;
E) infine tutte le volte che nel caso analogo e reciproco il Giudice dello Stato, al quale lo straniero appartiene, può conoscere delle domande proposte contro il cittadino italiano.
La giurisdizione italiana non può essere derogata per volontà delle parti favore di una giurisdizione straniera o di arbitri che pronuncino all'estero.
Il comando del giudice deve sempre avere la sua premessa in quello del legislatore e questo collegamento logico deve essere espresso nella motivazione; onde la costituzione stabilisce che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati. Tuttavia il Giudice, prima di applicare la legge, deve accertarsi della sua validità e a tal fine deve esercitare un certo sindacato sulla legge.
La questione di legittimità costituzionale sorge nel corso di un giudizio, quando il giudice ritiene che la legge di cui dovrebbe fare applicazione sia incostituzionale, ovvero quando una delle parti eccepisce la incostituzionalità della legge. La semplice eccezione di incostituzionalità della legge sollevata da una parte non spoglia senz'altro il Giudice del potere di conoscere la causa, perché il giudice deve rimettere il giudizio sulla questione alla corte, soltanto ove ritenga l'eccezione non manifestamente infondata.
Il giudice civile può conoscere le controversie che abbiano per oggetto atti amministrativi: ma il suo potere subisce in queste controversie alcune restrizioni. Il giudice, al quale sia chiesta l'applicazione di un atto amministrativo ha, deve preliminarmente accertare la legittimità di esso; e se riconosce che l'atto amministrativo è illegittimo deve non applicarlo.
Il nostro ordinamento distingue fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale: fanno parte della prima la giurisdizioni civile e quella penale; sono invece giurisdizioni speciali quella amministrativa e quelle con il potere di giudicare in particolari materie (TAR, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Tribunali Militari).
La competenza costituisce la sfera di potere giurisdizionale attribuita a ciascun organo giudiziario in particolare. Il codice stabilisce diversi criteri che portano all'individuazione del giudice competente. In primo luogo si deve stabilire quale dei tre tipi di organi giudiziari, istituiti dal nostro ordinamento - il giudice di pace, il pretore e il tribunale - debba essere assegnata la causa: e questa prima determinazione deve essere fatta secondo i criteri della competenza per materia e per valore. Una volta individuato il tipo di giudice competente, deve essere stabilita la sede dell'organo giudiziario; e questa seconda determinazione deve essere fatta in base al criterio della competenza per territorio. La competenza territoriale a sua volta si suddistingue secondo che possa essere derogata dalla volontà delle parti oppure no. Si deve poi aggiungere la competenza per grado, che regola la ripartizione delle cause fra i diversi giudici nelle successive fasi del giudizio. La determinazione della competenza, stabilita in base ai destini criteri, può essere modificata per effetto della connessione. Ciò avviene quando più cause, che isolatamente considerate sarebbero di competenza di giudici diversi, vengono riunite davanti a un solo Giudice, in considerazione della relazione fra esse esistente, cioè della parziale identità dei loro elementi. Si parla anche, in questo caso, di competenza per connessione.
Il codice fissa congiuntamente le regole sulla competenza per materia e valore, perché le dette regole sono complementari e concorrono a determinare la distribuzione delle cause fra i tre tipi di giudici di primo grado. Il criterio più generale è quello del valore, cioè della rilevanza economica dell'oggetto della causa. Il criterio della competenza per materia si pone come un motivo di esclusione del criterio del valore o come un correttivo di esso. Per i procedimenti esecutivi il criterio della competenza per materia è esclusivo.
Principio fondamentale è che il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda. La domanda risulta dalla combinazione di due elementi: petitum e causa petendi. Il petitum è il bene, che è oggetto finale della domanda, in relazione alla tutela giurisdizionale richiesta rispetto a quel bene; la causa petendi è la ragione di fatto e di diritto su cui la domanda è fondata, il rapporto giuridico o il fatto costitutivo dalla quale trae origine la domanda. Il principio che la competenza si determina dalla domanda va integrato, avvertendo che la domanda si determina non soltanto in base al petitum, bensì anche in base al titolo controverso e che nella determinazione di questo secondo elemento influisce anche l'eccezione del convenuto. Non influiscono invece sulla determinazione del valore della causa le riduzioni della domanda fatte dall'attore nel corso del giudizio, né tanto meno la riconosciuta infondatezza parziale della domanda, dato che ogni valutazione di merito è successiva alla determinazione della competenza. Più domande proposte contro la stessa persona si sommano e così pure gli interessi scaduti, le spese o i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano col capitale. Si sommano anche le domande fondate sullo stesso titolo giuridico, che siano proposte da più persone o contro più persone. Il codice stabilisce poi una serie di regole particolari per la determinazione del valore. Se la domanda ha per oggetto somme di denaro o cose mobili il valore si determina in base alla domanda dell'attore: e può risultare da essa anche implicitamente, nel senso che si presume, senza bisogno di espressa dichiarazione, che la causa rientri nella competenza del giudice adito. In questo caso, se il convenuto non contesta il valore attribuito dall'attore, la determinazione vale eccezionalmente anche ai fini della decisione di merito. Se invece sorge controversia in proposito, il giudice determina il valore della causa in base alle risultanze degli atti ai soli fini della competenza.
Per le cause relative a diritti reali immobiliari il codice stabiliva che la determinazione del valore venisse fatta moltiplicando il tributo diretto per un coefficiente variante secondo la natura del diritto controverso; questo criterio peraltro non è più applicabile dopo che le nuove leggi tributarie hanno abolito le imposte reali sui terreni sui fabbricati e quindi si deve fare riferimento al reddito dominicale del terreno o alla rendita catastale del fabbricato alla data di proposizione della domanda. Il valore del reddito o della rendita deve essere moltiplicato per 200 per le cause relative alla proprietà, per 100 per le cause relative all'usufrutto, all'uso, all'abitazione o al diritto dell'enfiteuta, per 50 con riferimento al fondo servente per le cause relative alle servitù. Per le cause di regolamenti di confini si fa riferimento al valore della parte di proprietà controversa.
Nelle cause di divisione dei beni immobili e mobili, il valore si determina da quello della massa attiva da dividersi.
Le cause relative all'esecuzione forzata sono distinte dall'articolo 17 nelle seguenti tre categorie:
A) controversie fra debitore e creditore: il valore è determinato dal credito per cui si procede;
B) Controversie fra terzi e creditore precedente: il valore si desume dai beni controversi;
C) Controversie fra creditori in sede di distribuzione del ricavato: il valore è determinato dal maggiore dei crediti contestati.
I giudici di primo grado sono il giudice di pace, il pretore e il tribunale. I primi due sono giudici singoli, monocratici; il tribunale invece è costituito da un collegio composto di tre magistrati. Il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinque milioni, che non siano attribuite per materia ad altri giudici. Il giudice di pace è inoltre competente fino a 30 milioni per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti. Il giudice di pace è competente per materia, senza limite di valore:
per le cause relative ad apposizione di termini e osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi;
per le cause relative alla misura e alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case;
per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.
Il pretore è competente per le cause, anche se relative beni immobili, di valore non superiore a 50 milioni che non siano di competenza del giudice di pace. Le controversie individuali di lavoro e le controversie in materia di previdenza di assistenza obbligatorie rientrano ora nella competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro. Per ragioni di materia il pretore è ancora competente:
per le azioni possessori, per le denunce di nuova opera e di danno temuto;
Per le cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e per quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie.
il tribunale è competente per tutte le cause che superano la competenza per valore del pretore e che non sono attribuite al pretore o al giudice di pace per ragione di materia. Il tribunale è sempre competente per le cause in materia di imposte e tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persone e ai diritti di onorificenza, per la querela di falso e in generale per le cause il cui valore non sia determinabile.
La competenza per i procedimenti esecutivi è stabilita dall'articolo 16 col solo criterio della materia. Il pretore è competente per il procedimento di consegna e rilascio, per l'espropriazione forzata di cose mobili e per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare. Il tribunale è competente per la espropriazione forzata di cose immobili.
Con denominazione tradizionale il giudice competente per territorio si dice foro. Il codice attribuisce carattere generale al foro del convenuto. Ciò significa che tutte le cause che non siano espressamente attribuite ad un altro foro speciale, sono di competenza del luogo dove il convenuto ha la residenza o il domicilio o, se residenza e domicilio sono sconosciuti, del luogo dove il convenuto dimora. Solo personalmente subentra il foro dell'attore. Il foro generale della persona giuridica è stabilito nel luogo dove l'ente ha la sede o uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio. Le società non aventi personalità giuridica, le associazioni e i comitati hanno sede nel luogo dove svolgono la loro attività in modo continuativo. Il codice stabilisce poi una serie di fori speciali. Questi si dicono esclusivi, quando il convenuto ha facoltà di eccepire l'incompetenza se l'attore non adisce il giudice indicato, e facoltative invece quando l'attore ha facoltà di scegliere fra il giudice indicato e altri fori concorrenti generali o speciali.
Il codice regola poi alcuni fori speciali inderogabili.
Nelle cause, nelle quali è parte un'amministrazione dello stato, è competente il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie della competenza per territorio. La competenza territoriale stabilita a favore dello stato è inderogabile e prevale anche sulle altre competenze inderogabili.
La competenza per l'esecuzione forzata è stabilita mediante l'applicazione di diversi criteri. Se si tratta di esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano. Se si tratta di espropriazione forzata su crediti è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore. Se infine si tratta di obblighi di fare e di non fare è competente il giudice del luogo dove l'obbligo deve essere adempiuto. Per le cause di opposizione all'esecuzione forzata è competente normalmente il giudice del luogo dell'esecuzione e per le cause di opposizione agli atti esecutivi il giudice davanti al quale si svolge l'esecuzione.
Per i procedimenti cautelari è competente il giudice competente per la causa di merito e se è pendente la causa per il merito è competente il giudice davanti al quale pende questa.
Per i procedimenti possessori e per denuncia di nuova opera è inderogabile la competenza indicata nel paragrafo precedente, come si è detto.
È inoltre inderogabile la competenza nelle cause in cui deve intervenire il pubblico ministero e nei casi in cui la legge espressamente lo dichiara.
Con esclusione dei casi di competenza inderogabile appena visti, è consentito alle parti di modificare le regole stabilite dalla legge per la competenza territoriale non essendo queste ispirate a una ragione d'interesse pubblico.
La litispendenza si ha quando due cause identiche nei loro elementi soggettivi e oggettivi sono state proposte davanti a giudici diversi. Si tratta in realtà di una causa sola, che ha dato origine due processi. Per eliminare questa sconveniente duplicità è necessario far cessare uno dei due processi e precisamente quello iniziato dopo, che non aveva ragione di sorgere. Per sapere quale dei due processi è iniziato dopo occorre guardare alla data della notificazione della citazione.
La continenza è il rapporto che intercede fra due cause, delle quali una ha un petitum più ampio, ma contiene in sé tutti gli elementi dell'altra. Es. c'è continenza fra un processo in cui è chiesto il mero accertamento della proprietà di un bene e in un altro in cui si agisce in rivendicazione per lo stesso bene; c'è continenza fra un processo in cui è chiesta la risoluzione del contratto e quello in cui è chiesta anche la condanna al risarcimento del danno.
Anche in questo caso uno dei due processi va chiuso: prosegue il giudice adito per primo a condizione che sia competente anche per la causa pendente di fronte all'altro giudice; in caso contrario prosegue l'altro giudice. Naturalmente la causa del processo che si estingue deve essere trasferita nell'altro processo.
La connessione si ha quando più cause hanno in comune alcuni elementi. La connessione meramente soggettiva non produce spostamento di competenza; le cause possono essere riunite soltanto quando appartengono alla competenza dello stesso Giudice. Invece la connessione oggettiva, cioè la parziale comunanza delle domande, produce lo spostamento della competenza territoriale inderogabile prevista dagli articoli 18 e 19, cioè del foro personale del convenuto. Il legislatore favorisce la riunione delle cause connesse per garantire l'uniformità delle decisioni, e anzi la riunione può divenire una esigenza assoluta, come nel caso di interdipendenza logica dei giudizi.
L'accessorietà è il rapporto logico giuridico che intercede fra due cause connesse soggettivamente e oggettivamente, una delle quali (accessoria) è subordinata all'altra (principale), nel senso che la decisione della domanda accessoria presuppone necessariamente la decisione della principale. L'accessorietà è molto simile alla continenza, dalla quale si distingue perché la causa accessoria include anche elementi autonomi e non è quindi interamente contenuta nella causa principale.
Sotto l'aspetto processuale la causa di garanzia è connessa oggettivamente e subordinata alla causa in cui si innesta; ma sotto l'aspetto soggettivo la connessione è soltanto parziale, perché le due cause hanno un solo soggetto comune (il convenuto della causa principale è attore nella causa di garanzia).
Quando sussista la detta specifica connessione oggettiva il giudice adito rimane competente a giudicare la causa di garanzia, che il convenuto proponga nello stesso processo, anche se eccede il limite della sua competenza per valore.
La pregiudizialità consiste nel rapporto logico che intercorre tra la causa ed alcune questioni che debbono essere preventivamente risolte dal giudice per giungere alla decisione finale.
Alla pretesa di credito dell'attore il convenuto può opporre la compensazione, dando origine a una causa per l'accertamento incidentale del credito opposto in compensazione. Vale in questo caso la regola del caso precedente: se il giudice adito è competente per materia e valore a giudicare anche sulla seconda causa (relativa alla compensazione) giudica su entrambe; in caso contrario la causa sulla compensazione attrae la causa principale nel foro per essa competente.
Il convenuto può trarre occasione dal processo instaurato nei suoi confronti, per proporre una domanda riconvenzionale nei confronti dell'attore. In questo caso il convenuto amplia il tema della lite non al solo fine di paralizzare la pretesa dell'attore, ma alla fine di far valere una propria pretesa, esercita cioè una propria azione in contrasto con quella del convenuto. La domanda riconvenzionale è ammessa solo quando dipende dallo stesso titolo dedotto in giudizio dall'attore ovvero dal titolo che il convenuto medesimo abbia dedotto a fondamento dell'eccezione.
L'articolo 37 stabilisce il principio generale secondo il quale le parti possono eccepire in ogni fase del giudizio, fino in cassazione, e in ogni stato del procedimento, fino al dibattimento finale, il difetto di giurisdizione; qualora le parti non eccepiscano quel difetto, il giudice ha il dovere di rilevarlo d'ufficio e di dichiarare lo con sentenza.
L'incompetenza per materia, quella per valore e il difetto di competenza territoriale inderogabile debbono essere dichiarati d'ufficio e possono quindi essere recepiti non oltre la prima udienza di trattazione.
Il regolamento di giurisdizione può essere chiesto in via preventiva da ciascuna delle parti prima che il giudice adito abbia deciso nel merito la causa in primo grado: e quindi prima che sia stata pronunciata una sentenza ovvero dopo che sia stata pronunciata una sentenza sulla sola giurisdizione o sulla competenza o comunque su una questione meramente processuale. L'istanza viene proposta con ricorso alle sezioni unite della Cassazione e apre un procedimento incidentale per la risoluzione della sola questione di giurisdizione. Quando sia proposto il regolamento preventivo, il giudice deve normalmente disporre con ordinanza la sospensione del processo in attesa della sentenza delle sezioni unite. Tuttavia la sospensione non è necessaria allorché il giudice ritiene l'istanza manifestamente inammissibile. Una facoltà del tutto speciale di chiedere il regolamento di giurisdizione spetta al prefetto qualora ritenga che l'autorità giudiziaria abbia invaso la competenza della pubblica amministrazione. In tal modo l'amministrazione solleva il conflitto di attribuzione.
Il regolamento di competenza, a differenza del regolamento di giurisdizione, presuppone che sia stata pronunciata una sentenza sulla competenza e ha la forma di un mezzo di impugnazione.
Il regolamento di competenza si dice necessario quando è l'unico rimedio che si può sperimentare contro la sentenza con esclusione degli altri mezzi di impugnazione. Invece il regolamento è facoltativo quando la sentenza abbia deciso, oltre la questione di competenza, il merito della causa; in questo caso la sentenza può essere impugnato con il regolamento, limitatamente alla sola questione di competenza, ovvero può essere impugnato integralmente con il gravare ordinario.
Infine il regolamento deve essere chiesto dal giudice, anche se le parti non ne fanno domanda, nel caso di conflitto di competenza.
L'istanza di regolamento di competenza si propone con speciale ricorso alla corte di cassazione nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza e viene trattata con un procedimento di forme più semplici dell'ordinario procedimento in cassazione. La proposizione del regolamento sospende il procedimento e i termini per le impugnazioni.
Il regolamento di competenza non si può proporre avverso le sentenze del giudice di pace.
La costituzione e le leggi sull'ordinamento giudiziario pongono una serie di guarentigie, per salvaguardare la magistratura da influenze o ingerenze degli altri poteri dello stato e in particolare del potere esecutivo. La costituzione afferma che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Suprema espressione di questa indipendenza organica è il consiglio superiore della magistratura. Il consiglio, che per la sua composizione offre le maggiori garanzie di autonomia rispetto agli organi del potere esecutivo, è competente a provvedere sulle assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.
Inoltre i giudici sono sottratti al vincolo di subordinazione gerarchica nell'esercizio della loro funzione. Il superiore gerarchico deve naturalmente vigilare sul diligente adempimento da parte del giudice dei compiti a lui affidati, ma non può interferire nelle decisioni, né dare ordini circa il contenuto dei provvedimenti che il giudice deve adottare. Le sentenze ed i provvedimenti del giudice non possono essere ripetute dai superiori, se non in sede di giudizio sulle impugnazioni che vengano proposte.
Il giudice deve essere imparziale, vale a dire indifferente di fronte alle parti in lite. Da questa esigenza d'imparzialità discende il dovere del giudice di astenersi dal giudicare quando abbia un interesse personale anche indiretto nella causa, ovvero si trovi in una di quelle situazioni particolari, tassativamente prevedute dalla legge, nelle quali si presume che egli non possa essere imparziale e sereno. Queste situazioni si identificano in relazioni speciali del Giudice con le parti in causa o con l'oggetto della causa.
Se il giudice non osserva il dovere di astenersi, nei casi in cui l'astensione è obbligatoria, ciascuna delle parti può proporre istanza di ricusazione. L'istanza è proposta dalla parte o dal difensore nella forma del ricorso, contenente la specifica indicazione dei motivi e dei mezzi di prova. Il ricorso deve essere presentato prima della trattazione della causa; la sua presentazione sospende il processo. La pronuncia sulla ricusazione viene data nella forma dell'ordinanza non impugnabile. Quando viene accolta l'istanza di ricusazione, l'ordinanza deve contenere la designazione del giudice che dovrà sostituire il ricusato.
Il giudice è responsabile per danni cagionati nell'esercizio delle sue funzioni per colpa grave e il danneggiato può rivolgersi allo stato per ottenere il risarcimento. Lo stato, che abbia risarcito il danneggiato, può agire con giudizio di rivalsa nei confronti del magistrato responsabile.
Al cancelliere competono attribuzioni accessorie alla funzione del giudice e principalmente spetta a lui provvedere alla documentazione dell'attività giurisdizionale. Il cancelliere redige i processi verbali degli atti del giudice, ai quali deve assistere, certifica l'autenticità delle sentenze e dei provvedimenti, apponendo la sua sottoscrizione dopo quella del giudice, che compie varie altre attività particolari nello svolgimento del processo.
L'ufficiale giudiziario ha importanti funzioni esecutive, inerenti al processo, che adempie con autonomia di poteri e di responsabilità. Basti ricordare che egli provvede alle notificazione degli atti processuali e al compimento di vari atti del processo esecutivo.
Il giudice si trova talora nella necessità si utilizzare l'opera di soggetti estranei all'organo giudiziario. In questi casi il giudice può affidare, con formale provvedimento, a un soggetto idoneo, l'incarico di provvedere a determinati compiti. Le figure più importanti di ausiliari del giudice sono il consulente tecnico e il custode.
Presso le corti e i tribunali è costituito l'ufficio del pubblico ministero. Il pubblico ministero veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta regolare amministrazione della giustizia. Il pubblico ministero ha il dovere di astenersi negli stessi casi in cui si deve astenere il giudice, ma non è soggetto alle norme sulla ricusazione; sono inoltre a lui applicabili le norme sulla responsabilità del giudice.
Il pubblico ministero può promuovere l'azione in veste d'attore nei casi stabiliti dalla legge. Esempi di potere d'iniziativa sono la dichiarazione d'assenza, la dichiarazione di morte presunta, l'impugnazione di matrimonio. L'indicazione dei casi in cui il pubblico ministero può promuovere l'azione è tassativa. Il pubblico ministero ha l'obbligo d'intervenire nel giudizio, oltre che nelle cause che potrebbe egli stesso proporre, nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione coniugale e di scioglimento del matrimonio, nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone e negli altri casi previsti dalla legge. Il pubblico ministero ha facoltà di intervenire in ogni altra causa, ove lo ravvisi opportuno per la tutela di un interesse pubblico. Per rendere possibile l'intervento del pubblico ministero, nei casi in cui questo intervento è obbligatorio, il giudice deve ordinare che siano a lui comunicati gli atti. In questi casi gli atti processuali compiuti in assenza del pubblico ministero sono nulli; e inoltre il pubblico ministero può impugnare per revocazione la sentenza pronunciata senza che egli sia stato sentito.
Il pubblico ministero può dunque assumere nel processo una delle seguenti quattro posizioni: attore, interveniente obbligatorio, interveniente facoltativo, concludente nelle cause in cassazione.
I poteri del pubblico ministero non si ricollegano ad uno specifico interesse. Si è voluto invero riconoscere nel pubblico ministero il tutore di particolari interessi pubblici amministrativi o morali dello stato. In alcuni casi peraltro l'azione del pubblico ministero è indirizzata a un fine più specifico, vale a dire alla tutela dell'interesse di un soggetto incapace. Il pubblico ministero assume allora la figura del sostituto processuale.
Sono parti nel processo colui che propone la domanda e colui nei cui confronti la domanda viene proposta. La qualità di parte del processo si acquista col semplice fatto di proporre la domanda o di essere convenuto che però è ben distinta dalle qualità di soggetto dell'azione e di soggetto del rapporto giuridico controverso, le quali derivano da una situazione di diritto sostanziale, che deve essere accertata nel giudizio. La qualità di parte del processo è rilevante, perché la parte risente gli effetti del giudizio ed ha la responsabilità delle spese.
La capacità di essere parte nel processo spetta a chi abbia la capacità giuridica. Oltre le persone fisiche e giuridiche, possono assumere qualità di parte le associazioni, i comitati, le società commerciali e alcuni patrimoni, ai quali il nostro ordinamento riconosce particolare autonomia, come il fallimento e l'eredità giacente. Ma, come non coloro che hanno capacità giuridica hanno anche la capacità di agire, così non tutti coloro che hanno capacità di essere parte hanno anche la capacità di stare in giudizio, vale a dire di promuovere il processo o di difendersi in esso, di compiere validamente atti processuali: Gli incapaci, ad esempio, debbono stare in giudizio per mezzo del rappresentante; gli emarginati gli inabilitati stanno in giudizio con l'assistenza del curatore. Talora la legge subordina la facoltà di stare in giudizio alla autorizzazione, che viene data in base a una valutazione preventiva e oggettiva della causa da parte di un organo pubblico (es. debbono essere normalmente muniti di autorizzazione i rappresentanti delle persone fisiche incapaci per promuovere cause).
La legittimazione processuale delle parti è condizione della validità del contraddittorio e del processo; quindi il difetto di legittimazione processuale può essere sempre rilevato in ogni stato e grado del processo.
La sostituzione costituisce la legittimazione straordinaria attribuita ad un soggetto diverso dal titolare del diritto soggettivo oggetto della causa. Esempio tipico di sostituzione processuale è la surrogazione.
Il processo presuppone la presenza di almeno due parti, delle quali una, l'attore, assume l'iniziativa col proporre la domanda, l'altra, il convenuto, nei cui confronti la domanda viene proposta, ha la posizione antitetica.
Le due parti contrapposte costituiscono un elemento necessario nella struttura del processo; ma vi possono essere anche altre parti oltre alle due tipiche e necessarie. Si ha allora il litisconsorzio o processo con pluralità di parti. Il litisconsorzio è necessario quando la decisione non può essere pronunciata che in confronto di più parti. Il litisconsorzio facoltativo comprende una pluralità di rapporti sostanziali, una pluralità quindi di cause connesse, che sono riunite in un solo processo per una ragione di economia, anche con spostamento di competenza. Ma appunto perché la riunione non è qui imposta dall'unità del rapporto controverso, ma è determinata da un semplice motivo di convenienza pratica, le cause conservano la loro autonomia e possono essere separate, se tutte le parti lo richiedono o se il giudice ritiene che la riunione importi ritardo o comunque non risponda al fine di economia. Il codice ammette che possano essere riunite più cause anche quando non sono connesse, ma soltanto dipendono da uguali questioni. Il litisconsorzio in questo caso si dice improprio e non può dare luogo a spostamento di competenza.
L'intervento si verifica quando in un processo già iniziato accede un soggetto estraneo, diverso dalle parti originarie e cioè un terzo. L'intervento può avvenire per iniziativa dell'interveniente (intervento volontario) ovvero per iniziativa di una delle parti o del giudice (intervento coatto).
L'art. 105 regola l'intervento volontario e prevede tre diverse figure: l'intervento principale, quello adesivo autonomo (litisconsortile) e quello adesivo dipendente. L'intervento principale si verifica quando l'interveniente contrasta sia con la l'attore sia con il convenuto rivendicando un diritto proprio.
L'intervento litisconsortile si ha quando il terzo entra nel processo affiancandosi ad una delle parti.
Infine l'intervento adesivo si distingue da quello litisconsortile poiché l'interveniente non ha una legittimazione propria ad agire o contraddire ma si giova comunque indirettamente delle sorti favorevoli alla parte cui si affianca.
L'intervento può essere provocato da una delle parti o dal giudice. In entrambi i casi il terzo diviene parte del processo, ma non per sua iniziativa. L'intervento su istanza di parte presuppone che la causa sia comune al terzo o che si faccia valere nei suoi confronti un'azione di garanzia.
Il giudice può disporre l'intervento quando ritiene che il processo si debba svolgere nei confronti di un terzo, al quale la causa sia comune. Il presupposto è dunque lo stesso di quello dell'intervento coatto a iniziativa di parte: deve sussistere un connessione fra il rapporto controverso e il rapporto di cui il terzo titolare.
La successione nel processo luogo quando la parte viene meno per morte o per altra causa. La legge considera il caso della morte (anche presunta) della persona fisica; della estinzione della persona giuridica; degli altri eventi che producono la trasmissione universale di diritti. La successione a titolo universale produce sempre il trasferimento nel successore della legittimazione attiva o passiva, anche quando il diritto controverso, per il suo carattere personale, si sia estinto con la morte. Nel caso, invece, di trasmissione per atto tra vivi o successione a titolo particolare, il codice stabilisce che la qualità di parte rimane nell'alienante e nel successore universale i quali rimangono in giudizio in qualità di sostituti processuali dell'acquirente e del successore a titolo particolare.
Il processo si svolge attraverso una serie complicata di attività, le quali non possono essere adeguatamente compiute da chi non abbia una coltura tecnica giuridica. Tuttavia l'opera del difensore è imposta essenzialmente per una ragione di interesse pubblico e cioè per assicurare lo svolgimento ordinato e sereno del processo.
Per poter adempiere la sua funzione, il difensore deve avere una qualifica adeguata. Davanti al pretore, al tribunale e alla corte d'appello il difensore deve essere una procuratore legalmente esercente; davanti alla corte di cassazione deve essere un avvocato inserito nell'apposito albo. Soltanto dinanzi al giudice di pace non è richiesto un difensore con particolare qualifica. Non è necessario il ministero del difensore, per una ragione di economia, davanti al Giudice di pace nelle cause di valore non superiore a un milione e inoltre quando il giudice autorizza la parte a stare in giudizio di persona, in considerazione della natura ed entità della causa, nelle cause di lavoro e nelle cause di previdenza ed assistenza obbligatorie non eccedenti le lire 250 mila.
La procura alle liti è l'atto con il quale la parte designa il difensore attribuendogli un potere di rappresentanza. Può essere generale o speciale. È generale quando riguarda tutte le cause del cliente, ovvero le cause relative una determinata gestione o comprese entro una determinata circoscrizione; è invece speciale se riguarda una causa determinata. È necessaria la procura speciale per i giudizi in cassazione e in revocazione. La procura si estingue per revoca della parte o rinuncia del difensore.
Le parti e i difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con probità e lealtà. Il precetto legislativo comporta il divieto di comportamenti sleali nei confronti dell'avversario e altresì del mendacio concordato e del comportamento fraudolento di entrambe le parti per violare la legge.
L'onere di anticipare la spesa, cioè di pagare nel momento in cui la spesa si rende necessaria, incombe sulla parte che abbia compiuto o richiesto l'atto che ha dato luogo alla spesa. L'obbligo di sopportare in definitiva le spese del giudizio incombe sulla parte soccombente, la quale viene condannata dal giudice a rimborsare al vincitore le spese anticipate. Nel processo esecutivo le spese stanno a carico del debitore.
La normale responsabilità della parte soccombente può essere aggravata o attenuata dal giudice in considerazione della eventuale mala fede o buona fede.
La condanna alle spese deve essere pronunciata dal giudice nella sentenza ovvero nel provvedimento che chiude il processo davanti a lui.
L'articolo 98 del codice accordava al convenuto la facoltà di chiedere che fosse ordinata all'attore la prestazione di una cauzione per il rimborso delle spese, quando vi fosse fondato timore che l'eventuale condanna potesse rimanere ineseguita. Quando l'istanza veniva accolta, l'attore doveva prestare la cauzione per ottenere la prosecuzione del processo. Peraltro questo istituto è stato dichiarato incostituzionale, perché contrastante con gli articoli 3 e 24 della Costituzione.
Gli atti che compongono il processo e si formano nell'ambito di esso costituiscono gli atti processuali. Sono posti in essere dalle parti, dal giudice, dai componenti minori dell'organo giudiziario, dai soggetti occasionali del processo. Gli atti delle parti possono avere contenuto molto vario: istanze rivolte all'organo giudiziario, comunicazioni rivolte alle altre parti, attestazioni di verità. Gli atti del Giudice sono i provvedimenti, dei quali la legge regola particolarmente le figure tipiche più importanti. Più limitate e specifiche sono le categorie degli atti compiuti dagli uffici minori dell'organo giudiziario e dai soggetti occasionali del processo; le certificazioni e le comunicazioni del cancelliere, le modificazioni dell'ufficiale giudiziario ecc.
Gli atti, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea allo scopo. Il legislatore ha inteso così esprimere la tendenza alla maggior scioltezza delle forme, che ha ispirato la riforma, ma ha poi lasciato al principio un margine di applicazione ristretto, avendo determinato la forma di tutti gli atti più importanti.
La sottoscrizione è elemento essenziale, perché da essa si desume la paternità del documento e quindi l'autenticità dell'atto. Tutti gli atti del processo debbono essere sottoscritti dalla parte, se questa sta in giudizio di persona, o dal procuratore, se è costituita per ministero del procuratore.
Sotto la direzione del giudice, che tiene udienza in giorni ed ore stabiliti e nel luogo a ciò destinato, si svolgono un complesso di attività processuali, essenzialmente orali, che debbono essere documentate nell'apposito verbale. La legge distingue due tipi di udienze: le udienze istruttorie, nelle quali si compiono le attività preparatorie e istruttorie, e l'udienza di discussione della causa.
Il verbale documenta gli atti che si compiono oralmente nel processo e particolarmente in udienza, e altresì le attività e i fatti materiali che abbiano rilevanza giuridica. Il verbale è formato e sottoscritto dal cancelliere; il verbale d'udienza è sottoscritto anche dal giudice che presiede l'udienza.
Il codice determina i caratteri formali di tre provvedimenti fondamentali del giudice.
La sentenza il provvedimento più solenne, che contiene la decisione del merito della causa o di una questione pregiudiziale o di rito. Il carattere essenziale della sentenza è costituito dal suo fine decisorio. La sentenza è irrevocabile e suscettibile di passare in giudicato; promana dal collegio, quando il giudice è collegiale. La sentenza è pronunciata in nome del popolo e contiene una parte enunciativa, i cui elementi sono specificati nei primi tre numeri dell'articolo 132, la motivazione, il dispositivo, che esprime l'essenza della decisione, e una parte autenticativa, vale a dire la data e la sottoscrizione del Giudice e del cancelliere. La sentenza viene resa pubblica mediante il deposito in cancelleria, del quale il cancelliere deve dare comunicazione.
L'ordinanza ha per normale contenuto provvedimenti ordinatori o istruttori ovvero provvedimenti di esecuzione; può anche contenere la risoluzione di questioni della causa, ma queste risoluzioni non sono mai fine a se stesse, bensì soltanto premesse per l'adozione di provvedimenti. L'ordinanza è il provvedimento tipico dell'istruttore e delle giudice dell'esecuzione. Carattere peculiare dell'ordinanza è la revocabilità. Infatti l'ordinanza, non solo non può mai formare giudicato, ma è normalmente revocabile dal giudice che l'ha emanata.
Il decreto è provvedimento per lo più scritto, che viene adottato dal giudice d'ufficio o su istanza della parte. A differenza dell'ordinanza è pronunciato non in contraddittorio e per lo più fuori dell'udienza. Costituiscono figure tipiche di decreto i provvedimenti ordinatori del processo, i provvedimenti cautelari e quelli di volontaria giurisdizione.
Le comunicazioni sono compiute dal cancelliere di sua iniziativa per dovere d'ufficio, al fine di informare le parti o altri soggetti che si sono verificati determinati fatti rilevanti per il processo e principalmente che sono stati emanati determinati provvedimenti dal giudice; si eseguono mediante biglietto di cancelleria, che deve essere consegnato al destinatario o a lui trasmesso mediante raccomandata o a mezzo dell'ufficiale giudiziario.
Le notificazioni invece sono compiute dall'ufficiale giudiziario su istanza di parte o del pubblico ministero o del cancelliere e si eseguono mediante consegna al destinatario di una copia integrale e conforme all'originale. La notificazione, caratterizzata dalla intermediazione dell'ufficiale giudiziario non si esaurisce pertanto in un singolo atto, ma costituisce propriamente un procedimento, che si inizia con l'istanza del soggetto richiedente e si conclude con la consegna dell'atto al destinatario o ad altro consegnatario. La consegna viene giustificata dall'ufficiale giudiziario mediante la relazione di notifica apposta in calce all'originale e alla copia dell'atto notificato; tale certificazione fa fede fino a querela di falso. La notificazione fa sorgere la presunzione legale di conoscenza del provvedimento da parte di chi la riceve. Non sono ammessi equipollenti della notificazione; la conoscenza dell'atto o del provvedimento che l'interessato ricevesse con altro mezzo non potrebbe produrre lo stesso effetto.
La fissazione dei termini rientra nella disciplina del processo e costituisce per le parti, che sono tenute a osservarli, un onere, che può avere diversa intensità. Sotto questo diverso profilo i termini finali si distinguono in perentori o fatali e ordinatori o comminatori.
L'inosservanza dei termini perentori produce la decadenza, il che significa che l'attività processuale, per il cui compimento è stabilito il termine, non può più essere compiuta dopo la scadenza e se viene compiuta è priva di efficacia.
L'inosservanza dei termini ordinatori non produce la decadenza, o quanto meno non la produce immediatamente, ope legis. Questi termini riguardano varie attività processuali delle parti e anche dell'ufficio, ma in quest'ultimo caso costituiscono soltanto una specificazione del dovere del giudice o del funzionario e la loro inosservanza non ha conseguenze sullo svolgimento del processo. I termini ordinatori possono essere abbreviati o prorogati dal giudice, ma la proroga non può di regola superare la durata del termine originario e non può essere ripetuta se non per motivi particolarmente gravi.
I termini perentori non possono essere abbreviati o e neppure prorogati; tuttavia in alcuni casi la legge prevede che la parte possa essere liberata dagli effetti perentori della scadenza, mediante l'istituto della remissione in termini.
L'inosservanza delle forme prescritte per il compimento di un atto processuale può avere per conseguenza la nullità dell'atto difettoso. Il codice contiene alcune regole generali sulla nullità derivante dal difetto di forma. Non sono qui presi in considerazione i vizi che potessero derivare da motivi sostanziali, come il difetto di legittimazione o di capacità delle parti; a queste ipotesi dunque non si possono riferire, almeno direttamente, le norme degli articoli 156 e seguenti.
In tema di novità, l'articolo 156 pone tre regole:
A) la nullità non può essere pronunciata se la legge non la commina espressamente;
B) L'atto è nullo se manca dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo;
C) la nullità in ogni caso si sana se lo scopo è raggiunto.
In altre parole l'atto processuale è nullo, per difetto di requisiti formali, quando sia idoneo a conseguire l'effetto, che era per sua natura destinato a produrre, inoltre nei casi in cui la legge commina espressamente la nullità; peraltro la nullità è sanata se l'atto produce egualmente l'effetto suo proprio.
Appunti su: |
|
Appunti Amministratori | |
Tesine Ricerche | |