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Lo stato di diritto e la maturita' dell'umanita'




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LO STATO DI DIRITTO E LA MATURITA' DELL'UMANITA'



















A Cura di Delli Carpini Danilo Liceo Scientifico E.Majorana A.S 20082009 Lo stato di diritto come transizione dal trascendente ad una coscienza di sé e il decadentismo quale espressione della tirannia della razionalità



Il concetto di stato nella filosofia, nell'esigenza storica e nella prospettiva di un rinnovamento del pensiero

Seneca: Il logos che governa il tutto

La dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino; l'emblema della presa di coscienza

Georg Wilhelm Friedrich Hegel e la concezione di necessità storica dello stato

La grande guerra: la sofferenza dell'uomo, conseguenze della politica

Le grandi dittature: estremizzazione del potere politico


La presa di coscienza dell'uomo ottocentesco e la caduta delle istanze razionali nel contesto novecentesco attraverso letteratura,arte e scienze

Gabriele d'annunzio, il superomismo: la razionalità che scompare.

"L'urlo" di Munch: l'uomo schiavo dell' irrazionalità e dell'indifferenza

Vincent van Gogh: La follia,l'estremizzazione dell'irrazionalità

La transizione dal macroscopico al microscopico, il frutto della razionalità umana

Oscar Wilde; "The cult of beauty"





Elaborazione concettuale nel corso della storia degli elementi di diritto e di stato

INTRODUZIONE

Sull'origine dello stato, come organizzazione necessaria alla convivenza civile del popolo vi sono accenni significativi già dai primi decenni del 1300, quando, nella sua Defensor Paci, Marsilio da Padova, compie il primo passo per quello che sarà l'evoluzione laica dello stato. Nei secoli precedenti, il concetto di stato si era sempre fuso con quello di trascendenza, portando a identificare lo stesso monarca con la divinità, eccezion fatta per la parentesi romana, nella quale sembra che il diritto, inteso come organizzazione civile mediante leggi, si stesse organizzando in un filone non solo politico, ma anche letterario. Prendendo in esame la produzione di Seneca, ci accorgiamo, infatti, come le elaborazioni politiche che ruotavano intorno all'amministrazione dello stato volgessero a raffinarsi. Per l'oratore, lo stato doveva essere governato dai boni, come l'autore stesso esprimerà nel De clementia, la guida dello stato è affidata al logos, la ragione universale, che rappresenta il vincolo sotto il quale si riuniscono tutti i popoli. La realtà dei romani, era, infatti, cosmopolita; l'enorme estensione dell'impero fece in modo che i romani occupassero la minima parte della popolazione; questa situazione rese necessaria l'elaborazione di un raffinato sistema organizzativo. Nel suo modello esso concepisce lo stato come rivolto al popolo, e affida la gestione al princeps, un sovrano illuminato, la cui condotta è regolata dalla filosofia. Dopo l'avvento del clima religiosomistico del medioevo, la concezione di stato si avvicina sempre di più al divino; non vi sarà più, nei dieci secoli che caratterizzeranno il medioevo, l'elaborazione o la ripresa del concetto di repubblica o di democrazia, fatta eccezione dei corpora medioevali, in cui il popolo tentò inutilmente di garantire i propri diritti. Eppure, agli inizi del XIV secolo, avremo una, anche se debole, presa di coscienza dell'uomo. Analizzando l'opera del Marsilio, possiamo infatti notare, come avanzino timidamente concezioni politiche laiche e volte alla salvaguardia del popolo più che del sovrano. Si dovrà attendere fino al XVI secolo, affinchè elaborate teorie concettuali, riguardo lo stato prendessero vita. Il XVI secolo, intriso di fervori razionalisti, fu il luogo di coltura ideale per le teorie giusnaturaliste del diritto. Nel 1625 con la sua " De Iure Belli ac Pacis " , il filosofo e giurista belga Ugo Grozio formulò la teoria del "contratto sociale", lo stato infatti nasce da un "tacito contratto" con cui l'uomo per sua attitudine naturale, tende ad instaurare con i suoi simili una determinata comunità politica e sociale. In questo modo il popolo "trasferisce" a un sovrano o un'organizzazione politica il diritto di garantire, anche coercitivamente gli interessi dei singoli cittadini. Ovviamente questa concezione rappresenta il primo abbozzo di quello che sarà il diritto civile. La svolta decisiva si ebbe quando il filosofo e teologo Danese Samuel von Pufendorf concepì nel suo De Iure Naturae et Gentium Libri Octo, la concezione di stato e di diritto, come espressione della ragione umana in quanto tale e non oggettivistica, il popolo viene così a trovarsi nella situazione di subjectus, soggetto cioè alla stessa giurisdizione dell' individuo o dell' istituzione cui ha affidato il potere. Viene a delinearsi anche il concetto di pena, quale discriminazione delle zone di diritto; il distinguere cioè ,quelle disciplinate dallo stesso e quelle soggette alla libertà dell' individuo. Per la svolta finale, si dovrà attendere il 1748, anno in cui, il filosofo francese Montesquieu, pubblicò il suo: " Lo spirito delle leggi". In questo audace testo, che fu messo addirittura all'indice dei libri proibiti, il filosofo delinea la completa separazione dei poteri dello stato. Per avere uno stato di diritto i poteri fondamentali, che Montesqui identifica in: legislativo, esecutivo e giudiziario, non debbono coesistere nello stesso individuo o la stessa istituzione. La mediatrice fra il popolo e l'ente governativo è identificata nella legge, che riesce a mediare fra le diverse tendenze individuali e porre la base per una pacifica convivenza civile. Analizzata l'evoluzione storicoconcettuale del termine stato, procederemo ad esaminare quella filosofica: cosa ha portato alla necessità di formulare elaborazioni sempre più complesse del concetto di stato?. Il percorso filosofico a partire dalle tendenze razionalistiche della schiera cartesiana, ci portano ad osservare come la ragione prenda sempre più possesso dell'uomo. Cartesio infilerà lo stiletto nel cuore della filosofia, con la sua concezione soggettivistica della ragione, le idee, infatti, per essere considerati universali, come per esempio quelle di estensione e movimento, necessitano di essere innate,la conoscenza del tutto, viene così ad assumere una valenza gnoseologica puramente soggettiva. Lo stato assume così la valenza necesaria per frenare le tendenze individualistiche del popolo.



Seneca; Il logos che governa il tutto


Nel suo utopico programma politico, ispirato ai principi di equità e moderazione, il filosofo traccerà le fondamenta delle concezioni stataliste. Per l'oratore, anche se la legittimità del principato non deve essere messa in discussione, ma comunque essere regolato da un criterio "razionalista", in modo da salvaguardare i cittadini. Come scriverà nel De Clementia, la guida dell'impero, affidata al logos, dovrà trattenere il sovrano dal governare in modo dispotico, ma esprimere un atteggiamento di " filantropica benevolenza". La formazione del sovrano è affidata alla filosofia, che diventa così l'ispiratrice e la garante della direzione politica dello stato. L'educazione del principe, diviene in questo modo fondamentale, per imprimere nella sua mente i valori necessari al buon governo. Anche se l'iniziale concezione senechiana, mediante la quale alla singola figura del sovrano, debba essere contrapposto un senato; il quale possa porre una sorta di moderazione filosofica alla sua condotta, viene vanificata; l'autore sosterrà sempre il modello del saggio stoico come parte attiva della vita politica. Nel suo capolavoro " De beneficis", un trattato riguardante la natura e modalità degli atti di beneficenza, l'autore trasferisce nella morale individuale il progetto di una società equilibrata. Questo appello, rivolto soprattutto alle classi privilegiate, ha come intento quello di restaurare i rapporti umani e sociali, per garantire l'integrità dello stato; anche se comporta necessariamente il fallimento del progetto dl "sovrano illuminato". Possiamo notare come il diritto romano, e la concezione di "politica", abbia raggiunto uno stadio abbastanza elevato durante il periodo romano; molti intellettuali classicisti, attingeranno da questa civiltà le basi teoriche del diritto moderno.   









La dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino; l'emblema della presa di coscienza


I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei diritti dell'uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell'uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo dal poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l'Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell'Essere Supremo, i seguenti diritti dell'uomo e del cittadino:

Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune.

Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione.

Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun 7corpo o individuo può esercitare un'autorità che non emani direttamente da essa.

Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così, l'esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge.

Art. 5. La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.

Art. 6. La legge è l'espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti.

Art. 7. Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della legge, deve obbedire immediatamente; opponendo resistenza si rende colpevole.

Art. 8. La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata.

Art. 9. Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla legge.

Art. 10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla legge.

Art. 11. La libera comunicativa dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge.

Art. 12. La garanzia dei diritti dell'uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l'utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.

Art. 13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.

Art. 14. Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l'impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata.

Art. 15. La società ha il diritto di chieder conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione.

Art. 16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.

Art. 17. La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità.



Con uno sforzo immaginativo, si potrebbe paragonare la rivoluzione francese e la conseguente carta dei diritti, come una sorta di maturità dell'uomo. Le concezioni rivoluzionarie e liberaliste che hanno guidato per oltre mezzo secolo il popolo francese, vengono a conclusione in un modo abbastanza "inusuale" per la storia: il colpo di stato. La validità simbolica di questo evento è enorme, con la sua presa di coscienza, l'uomo, si libera della costrizione culturale e sociale e si eleva a diverse forme di convivenza civile. La tendenze illuministe del XVIII secolo, si concretizzano in questo emendamento, che, per molti secoli avvenire, simboleggerà gli ideali liberalisti di molte popolazioni. La Dichiarazione si divide in 17 articoli e un breve preambolo; i primi tre articoli sono i più "validi" dal punto di vista idealistico,e sostengono concettualmente i restanti. Analizzando attentamente il documento, possiamo notare come vi sia idealizzata una concezione ascendente del potere; esso infatti non è reposto nella divinità, ma nel popolo, in contrapposizione con la visone in un certo senso "teocratica" dell'ancient regimè. Nell'articolo 1 è espressa chiaramente una sorta di visione "naturalista della libertà, mentre nell'articolo 6 si concepisce un'idea di uguaglianza dal punto di vista giuridico, ma non economico. E' infatti errato confondere la concezione di uguaglianza della rivoluzione francese, con quella espressa dalle elaborazioni teoriche di Marx. L'eguaglianza della carta, si avvicina alla teorizzazione del filosofo britannico John Lock , che preconfigura la società come un organizzazione naturale del popolo, le cui regole, sono dettate dall'espressione della volontà generale, e che devo essere intese come una sorta di "democrazia", in cui la società è posta in una posizione dominante rispetto al singolo, ma il quale ha il diritto di ribellarsi . Il popolo si manifesta quindi, come il detentore ultimo della sovranità.


Georg Wilhelm Friedrich Hegel e la concezione di necessità storica dello stato



Nel suo trattato " Lineamenti di filosofia del diritto", per quanto concerne l'origine dello stato e la sua necessità, il filosofo tedesco riconduce il concetto di spirito oggettivo, cioè la vita collettiva, a tre momenti, il diritto, la moralità e l'eticità. Il filosofo tedesco riconosce nel diritto, la sfera esterna della libertà. Il godente di diritto, con il riconoscimento della proprietà può, infatti, rapportarsi con il sistema giuridico. Un elemento fondamentale viene assegnato alla pena, che deve essere intesa non come uno strumento di vendetta sociale, ma come uno elemento di punizione formazione, essa infatti si articola prevalentemente nella sfera della moralità, è proprio con il riconoscimento della colpa che si profila la possibilità di un riscatto, nella morale, lo spirito opera nell'interiorità come aspirazione al bene. Sorge quindi un contrasto fra l'essere e il dover essere, che si configura come mera aspirazione al bene. L'eticità invece destituisce ai valori la loro carica idealizzata, per adattarla al tessuto sociale in cui ciascuno opera e vive. Dal punto di vista strutturale, Il filosofo vede la società come un sistema atomistico, le spinte particolariste dei singoli, mossi da esigenze personali, vengono unificate dalle leggi di mercato, che, lasciate a sé, tendono ad evolvere in distorsioni, come, nel caso di una popolazione che esprime solo bisogni e un monopolio capitalistico che concentra nelle mani tutta la ricchezza. Nasce così l'esigenza di creare delle corporazioni, degli enti di controllo che impediscono il degenerare della società e attuano un processo di "smorzamento" degli interessi personali. Lo stato rappresenta quindi il garante dell'unità sociale, che non viene inteso più come un'organizzazione contrattualistica, ma piuttosto come universalità dotata di forza, che pone un freno all' egoismo individuale. La concezione Hegeliana di stato, in ogni modo, esula da quella liberale e borghese; non è concepibile, secondo il filosofo, che uno stato mirante a garantire la liberta personale e a tutelare la libertà individuale, possa garantire una "mediazione" fra la volontà sostanziale e la volontà personale. Per questo motivo, Hegel riconosce nella monarchia costituzionale l'esito più maturo di uno stato, la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario unito alla figura del principe rappresenta il modo migliore per gestire una società.

La grande guerra: la sofferenza dell'uomo, conseguenze della politica

Con la fine del XIX secolo, vide trascinarsi a sé, gran parte delle manovre politiche, dettate per la maggiore da tendenze indipendentiste, per veder rafforzarsi nazionalismi esasperati e l'affiorare della politica militare moderna. Con il congresso di Berlino, che influenzerà gran parte del primo novecento, per estendere la sua influenza addirittura alle congetture nazionalistiche di Hitler; avremo la delineazione dei primi schieramenti e alleanze. Con il piano Schileffen, la Germania del kaiser Guglielmo II, iniziò a concepire la strategia militare, in termini più moderni e operativi; come dimostra l'iniziale tendenza al blitzkrieg manifestata durante i primi mesi di guerra, ma i tempi non erano ancora maturi. L'utilizzo della ferrovia, come unità logistica di mobilitazione delle truppe, manifesta con chiarezza il nuovo cambiamento di mentalità, che si fece sempre più spazio nelle sfere di comando europee. D'altro canto, la principale rivale del reich, L' inghilterra, concepì un nuovo tipo di arma marittima, la corazzata dreadnought; possiamo renderci conto, quindi, come la stessa concezione di conflitto assumesse pieghe più generalizzate, tralasciando in questo modo le tensioni fra gruppi ristretti di imperi, caratterizzanti i secoli precedenti,; per assumere proporzioni più estese. La politica estera diventerà il fulcro principale della vita delle singole nazioni. Dal punto di vista culturale, le concezioni di nazione che avevano guidato i patrioti dell'ottocento, si trasformarono gradualmente in nazionalismo. Le differenze fra queste due concezioni di nazioni, sono nette e delineate. Mentre per l'idea ottocentesca di nazione, essa doveva garantire la libertà e l'indipendenza del proprio popolo, e tenuta al rispetto della liberta di tutti i popoli, nel nazionalismo si intravede, la convinzione della superiorità del proprio popolo, e l'intenzione di trasformare lo stato in una grande potenza; questa però, non può essere attuata, senza un'egemonia completa degli altri popoli. Alle idealizzazioni mazziniane e garibaldine di metà ottocento, contrapporremo le oscure visioni di Corradini e di D'annunzio. Le espressioni nichiliste di Nietzsche assumono banalizzazioni e semplificazioni, da parte di molti intellettuali, indice di un mutamento di pensiero, simbolo per molti, dell'uomo novecentesco. Con la questione dell'intervento, si evidenzia un mutamento della scena politica; le associazioni partitiche, vanno ad acquisire, infatti, sempre più il controllo della vita pubblica, sino a scinderla. Le lotte sociali, che caratterizzarono gli anni 1915 e 1916 l'Italia, sono il chiaro tornasole della forza che i partiti stavano assumendo, grazie al supporto della popolazione





Le grandi dittature: estremizzazione del potere politico

Agli inizi della seconda meta del XX secolo, la concezione politica, assume un ruolo profondamente diverso dalle tendenze partitiche e idealistiche del primo novecento. Con la nascita delle grandi dittature, le filo nazionaliste e fasciste di Hitler e Mussolini, e le filocomuniste di Stalin; la gestione dello stato assume connotazioni prettamente formali. Anche se era presente un parlamento, o un organo, inizialmente concepito come funzione limitante del dittatore; esso in realtà è un apparato concretamente "atrofizzato", il cui unico valore è designato nella sua valenza simbolica; giacché piegato al dittatore. Trattando cronologicamente le tre grandi dittature, ci accorgeremo come vi siano leggere differenze, dal punto di vista strettamente operativo, ma come siano invece, legate dall'accentramento dei poteri in un unico individuo. La dittatura Staliniana, nasce conseguenzialmente dalla rivoluzione proletaria del 1917,ma, politicamente sviluppa basi profondamente diverse. Con la soppressione dei Kulaki, il dittatore manifesta subito la sua linea di azione, che lo contraddistinguerà per tutto il suo operato. L'idealizzazione di uno stato prettamente proletario, portò Stalin a sopprimere ogni controversia politica, e ad attuare quella linea di repressione che sfocerà nella conformizzazione di massa e nei Gulag. La dittatura russa, è, infatti, l'emblema della tirannia della razionalità, che si contrappone ferocemente alle soluzioni, sempre di stampo dispotico, ma, caratterizzate da una visione del sovrano, ancora legata a idee trascendenti di stampo "medioevali". Il passaggio che si attuerà nel corso di un cinquantennio dalla monarchia dispotica di Nicola II alla dittatura comunista di Stalin, andrà di pari passo, al cambiamento dell'uomo del novecento, che concepisce l'idea, secondo la quale la razionalità non può essere il fulcro della convivenza civile. Ideologicamente diverse, sono invece le dittature occidentali di Hitler e Mussolini, che si contrappongono alle concezioni comuniste russe, ma, che condividono la tendenza a sopprimere ogni forma di opposizione politica. Analizzando le idee chiave del pensiero nazionalista, ci si accorge, come la figura del dittatore venga esaltata, e portata non più in diretto collegamento con il trascendente, ma, piuttosto legata a soluzioni di carattere puramente politico. Il dittatore, non è più visto, come il portavoce del divino in terra, ma come l'espressione della volontà generale, che sfocia in una figura, potenzialmente in grado di gestire i problemi della popolazione. La soppressione attuata da Mussolini prima, e da Hitler successivamente, degli organi di controllo; quali il parlamento, esprime chiaramente la necessità del popolo, di avere una figura "forte", che colmi il vuoto lasciato dalla monarchia, e possa dare adito alle tendenze di espansione dominanti in quegli anni. Avremo così, almeno per quanto riguarda le dittature di Hitler e Stalin, una costruzione di un organon statale, puramente laico, in cui le concezioni teologiche di potere, non vengono a interferire con le questioni puramente immanenti della gestione del potere. Siamo agli albori del novecento, e l'uomo sta lentamente mutando la sua visione, che lo accompagnerà fino ai giorni nostri.




la presa di coscienza dell'uomo ottocentesco e la caduta delle istanze razionali nel contesto novecentesco attraverso letteratura,arte e scienze

INTRODUZIONE

Attraverso il percorso teorico e storico, che abbiamo affrontato, esaminando l'evoluzione del concetto di stato, possiamo renderci conto, come questo si accompagni, ad una sorta di cambiamento culturale, che andrà delineandosi a partire dalla fine del settecento. Nel contesto letterario si avrà una lenta, ma progressiva presa di coscienza dell'uomo, che, a partire dal XVII secolo, sfocerà nelle teorizzazioni positiviste. L'uomo, uscito dalle concezioni di stampo illuminista, attraverserà una fase di profonda aspettativa per il progresso tecnologico e culturale; che porterà la stessa letteratura a revisionare i suoi generi; nasceranno così, le elaborazioni del Manzoni, il realismo esasperato di Zolà e di Charles Dickens, mentre le sperimentazioni naturaliste di Zolà, porteranno il giovane Verga, a nuovi orizzonti letterali. Il mutamento culturale, investirà soprattutto le scienze, che vedranno, l'affacciarsi sul panorama mondiale, figure quali Darwin, che rivoluzioneranno la concezione scientifica. In campo artistico, avremo le elaborazioni classiche di Delacroix, Gericault, David; mentre le complesse elaborazioni naturaliste di Courbet e Millet vedevano la luce. Con la crisi della razionalità , che investirà l'uomo, a partire dalla fine del XIX secolo, tutta la cultura rifletterà questo lento ma radicale cambiamento; in letteratura la corrente decadente, lascerà al genere umano, personaggi quali Gabriele D'annunzio, con il suo superomismo esasperato, le riprese della teoria psicanalitica da personaggi quali Svevo; mentre autori del calibro di Baudelaire si abbandoneranno alle concezioni tenebrose della scapigliatura. In ambito filosofico, le concezioni nichiliste di Nietzsche influenzeranno generazioni di pensatori nei decenni a venire; mentre le elaborazioni di Freud lasceranno il segno nella psicologia moderna. In campo artistico, l'influenza della nuova tendenza dell'uomo non verranno a mancare, le nuove rivoluzioni concettuali, si rifletteranno nelle sperimentazioni pittoriche degli impressionisti, quali Manet,Monet,Degas,Renoir; mentre le nuove teorie sul colore, favoriranno la nascita di figure, come Seurat, con la sua teoria dell'accostamento dei colori. Una nuova tendenza raffigurativa: il simbolismo, si impone timidamente sul panorama artistico, il simbolismo; che, grazie a personaggi come Gaugin, Van Gogh, Klimt, Munch e Rousseau, stravolgeranno, tanto la tecnica raffigurativa, quanto la concezione di rappresentazione stessa. L'uomo ha subito un mutamento: l'esaltazione della ragione del primo ottocento, e le tendenze positiviste verso ilo progresso, hanno gradualmente lasciato spazio, ad un più oscuro decadentismo, emblema di un uomo, che ha visto la nascita e la caduta della sua razionalità. La seconda rivoluzione industriale, renderà sempre meno necessario l'intervento dell'uomo nel processo di produzione; passerà quindi in secondo piano e scatenerà il senso di impotenza e perdizione che contraddistinguono l'uomo moderno. E' il segno di una civiltà che sta mutando, e con essa muteranno tutti i valori etici e civili; ma vedranno anche la nascita di altri. Ma è pur sempre il segnale di una società che va ammalandosi, come affetta da un morbo, che ha le radici negli albori della civiltà.


Gabriele D'annunzio, il superomismo: la razionalità che scompare


Non c'è forse, un personaggio, che, meglio del D'annunzio, ha simboleggiato la caduta della razionalità. Nel contesto italiano, è certamente il simbolo della tendenza decadente, che si manifesta in tutti gli ambiti, prevalentemente quello letterario. Con il suo pensiero marcatamente nazionalista, diventerà, nel contesto politico, il punto di riferimento per tutti i seguaci dell'ideologia nazionalista. Dal punto di vista letterario, spetta il merito, di aver introdotto l'Italia nel contesto europeo , diffondendo la tendenza decadente. Ideologicamente, il D'annunzio semplificherà le idee di oltreuomo di Nietzsche, rapportandole al contesto italiano, e alla luce del pensiero nazionalista di Barrès. Stilisticamente lo scrittore sviluppa e utilizza con successo la tecnica del verso libero, introducendo elementi di sperimentalismo linguistico, che renderanno unica la sua produzione. Nel suo primo romanzo, Il Piacere, l'autore sfoggia infatti un deciso stampo decadente, che si riflette sia dal punto di vista stilistico che contenutistico. IL protagonista, Andrea Sperelli, rifletterà tutta la concezione di "bello" dannunziana, che porterà lo stesso autore ad identificarsi nel protagonista, concepito come ideale di "uomo perfetto". Il bello per l'autore, è tutto ciò che è raffinato, e destinato a pochi, ed intrecciato fortemente con la sensualità istintiva dell'uomo. Sarà proprio in questo periodo che D'annunzio elaborerà le sue concezioni superomiste, che inserirà nella maggior parte dei suoi romanzi. Secondo le sue teorizzazioni, il superuomo è l'essere umano perfetto, che si fa portavoce della vera bellezza, ed è caratterizzato da una decisa volontà di dominare nella vita; come si può notare, la sua concezione, esula da quella nichilista di Nietzsche; quest'ultimo, infatti, concepisce il superuomo soprattutto da un punto di vista generali stico, e lo identifica come lo stato ultimo della società. Dopo il suo trasferimento in Toscana, l'autore scriverà il suo più grande capolavoro, Le laudi, in cui sono espressi i più alti orizzonti letterari dell'autore. In questo testo, in cui D'annunzio, ipotizza, sorretto dallo spirito dionisiaco, che si contrappone alla razionalità e alla religione cristiana, la rinascita della stirpe latina. Nel terzo libro, invece, è espressa l'innovativa concezione musicale della poesia, che assume una valenza artistica enorme, grazie all'uso mirabile di versi isosillabici, anche se privi di uno schema rigido. Molto frequenti, sono anche gli enjambements, che suggestionano il lettore con il flusso delle immagini evocate. Nel corso del ventennio fascista, il testo rappresenterà un forte punto di riferimento per le idee fasciste di Mussolini, che vedranno nelle concezioni superomiste dell'autore, un notevole spunto per le elaborazioni ideologiche. In questo testo, più che in altri, è chiaramente espressa la teoria dannunziana, secondo la quale l'uomo ideale è : volontà, voluttà, orgoglio, istinto. Nell'ultima fase della sua produzione, assistiamo, ad una concezione prevalentemente "malinconica" dell'autore, dovuta forse, alle sofferenze ed alla depressione, che vive negli ultimi anni della sua vita. Analizzando il suo "Poema paradisiaco", ci accorgiamo infatti, come i temi trattati, siano intrisi di malinconia, e caratterizzati da elementi come la nostalgia e i pensieri di morte, che si rifletteranno in un esaltazione della simbologia cristiana. Quest'ultimo tema , è in netta contraddizione con il pensiero che il D'annunzio ha manifestato in tutta la sua vita, causato forse da una netta lacerazione psicologica dovuta alle sue esperienze negative.

"L'urlo" di Munch: l'uomo schiavo dell' irrazionalità e dell'indifferenza



Seguendo contemporaneamente gli sviluppi delle tendenze culturali e artistiche, si può notare come esse si influenzino l'un l'altra; osservando le opere artistiche di un periodo, è infatti possibile risalire alle concezioni culturali dell'epoca, che si manifestano, nell'arte con una chiarezza quasi eclatante. Procedendo ad un'analisi completa del "grido" di Munch, sono infatti, chiaramente visibili le influenze del periodo in cui l'autore vive. Ad una prima analisi tecnica, il quadro è chiaramente innovativo nel metodo di stesura del colore, che è impresso su tela con pennellate veloci e marcate, con movenze fortemente "ondulate", quasi a seguire il filo tortuoso dei pensieri. L'ambientazione è volutamente cupa, che contribuisce ad accrescere il senso di angoscia. Un parapetto il legno divide nettamente in due la scena, quasi a separare la condizione umana dalla natura, accresciuta dal forte contrasto delle due "sezioni". Il soggetto del quadro, dalle forme vagamente umane, è contratto in un urlo agghiacciante, con la testa fra le mani, come a simboleggiare la disperazione umana. Sulla strada, in lontananza, due figure continuano imperterrite a camminare, incuranti dell'urlo; quasi a simboleggiare l'indifferenza della società verso il singolo, schiacciato dal peso di una vita. L'episodio è chiaramente un riferimento alla vita personale dell'autore, che descrive in questa frase : " Fermandomi, mia appoggiai alla balaustra, quasi morto di fatica. Sopra il fiordo neroazzurro pendevano nubi, rosse come il sangue e come lingue di fuoco. I miei amici si allontanavano e, solo, tremando d'angoscia, presi coscienza del grande urlo infinito della natura".

Vincent van Gogh: La follia,l'estremizzazione dell'irrazionalità


Con il proliferare di una nuova società, di stampo soprattutto borghese, il XIX secolo, è caratterizzato inevitabilmente da una profonda crisi di valori. L'esistenza di valori predefiniti e conformizzazioni forzate, trascinava gli uomini in una perdita di iniziativa e originalità; mentre i pochi che tentavano di opporsi a questa corrente, vivevano in una situazione di genio e follia, che si riflette in tutte le loro opere. Un artista, che quasi sicuramente rappresenta la corrente espressionista, è di sicuro Van Gogh, che con la sua concezione artistica rivoluzionerà la storia dell'arte. L'artista vive una vita vorticosa e contrastante, caratterizzata dall'alternarsi di entusiasmi e delusioni, che modificheranno il suo stile pittorico. I quadri del Van Gogh maturo, sono l'emblema della ricerca interiore che si stava manifestando nell'artista, e nella cultura in generale. Secondo le intenzioni del Van Gogh, l'arte aveva una funzione "espressiva", che ha come intento, non la raffigurazione di un immagine reale, quanto, la presentazione di una rappresentazione interiore, che coglie il ritmo dei-pensieri


La transizione dal macroscopico al microscopico, il frutto della razionalità umana


Fin dagli albori della scienza moderna, la matematica, ma soprattutto la fisica, è stata fortemente legata alle teorie meccaniciste; che vedevano nel fenomeno un rigoroso determinismo. Per gran parte degli scienziati moderni, una legge naturale non ammetteva eccezioni, e nel caso in cui essa non si fosse verificata; la causa doveva essere ricercata nelle condizioni della legge. Con la scoperta dei fenomeni termodinamici, in particolare del secondo principio ( secondo il quale, vi è un passaggio di calore da un corpo con temperatura più alta, ad un altro con temperatura minore). La reversibilità dei fenomeni meccanici, veniva in questo modo affiancata dalla irreversibilità di questa scoperta, che relegava la questione in un piano probabilistico. Si iniziò a considerare la reversibilità, quale espressione di una probabilità di accadimento, ed, essendo in questo caso infima, era sostituita dalla irreversibilità. Questa concezione meccanicista della fisica, fu però abbandonata nel corso della seconda metà dell'ottocento; quanto iniziarono le prime ricerche sul mondo microscopico. Mentre per la fisica moderna, l'oggetto della ricerca era prevalentemente gli oggetti macroscopici e le loro proprietà; con l'avvento delle concezioni contemporanee, gli elementi inosservabili, il microscopico diventano gli oggetti fondamentali del sapere scientifico. Mentre prima si postulavano le proprietà degli enti microscopici, per spiegare i comportamenti degli enti macroscopici, con questo cambiamento radicale, sono i comportamenti degli enti macroscopici, a formare l'ipotesi per la spiegazione del mondo "inosservabile". Questo cambiamento metodologico, è spiegabile soprattutto da un punto di vista teorico. Se se non ritiene, infatti, che l'unica forma di conoscenza sono le percezioni sensibili, ossia se si accorda all'intelletto una valenza gnoseologica distaccata dalla sfera della fisicità; il potere conoscitivo dell'intelletto cresce notevolmente. I positivisti, avevano invece formulato una sorta di empirismo radicale, che non riusciva a concepire un procedimento conoscitivo di questo tipo, e concepiva le formalizzazioni, come un procedimento puramente volto ad "economizzare" le nostre percezioni. Con la scoperta dei fenomeni elettrici e la scoperta dell'elettrone, questa sorta di "visualizzabilità"dei fenomeni scardino le teorizzazioni empiriste; tanto che alcuni esponenti si rifiutarono addirittura di accettare le nuove scoperte. L'uomo stava cambiando, e con esso tutto lo scibile mutava con lui.

Oscar Wilde; "the cult of beauty"

In England the most important aesthete is Oscar Wilde (Dublin 1854 - Paris 1900). However he wasn't only an aesthete, but above all a Decadent. There is a difference between him and the other decadents, in fact he didn't live outside world, but he did all his best to become popular and famous. Until 1895 hedonism dried up his poetic qualities and his wit didn't help him no more. Wilde is also a Victorian, in fact the precept 'Art for art's sake' is for him a moral and an aesthetic imperative. Wilde is numbered among English decadents not as a poet but as a novelist and as a 'poseur'. He wrote 'The picture of Dorian Gray' under the influence of Huysmans' novel and of his two teachers in Magdalene College at Oxford: John Ruskin who taught him socialist ideas and his creed of beauty of manual labour and Walter Pater who taught him his conception of art. Both the teacher were the theorists of Aesthetic doctrine: Pater, in opposition to Ruskin's theories, claimed that art was to be autonomous and distinct from morality. Wilde's work was published in 1890 and in 1891 it was added the 'Preface' which became the Manifesto of English Aestheticism and embodied his view of art and the artist (he asserted that the artist must always be in accord with himself). It can be also read as a kind of poem. The work however is inferior to its French model because of its intrinsic compromise. When 'The Picture of Dorian Gray' appeared, it was defined as immoral but now it is read with a sort of morality, in fact the conclusion sounds like a punishment of a life completely devoted to the pursuit of sensation. Moreover, the lack of any realistic description makes the work as a hymn to hedonism.

'The picture of Dorian Gray' - Plot

The artist Basil Hallward is painting a portrait of a beautiful aristocratic young man, Dorian Gray. A friend of the artist, Lord Henry Wotton, comes to Hallward's studio to meet Dorian and he says him that beauty and pleasure are everything in life and that the time to enjoy them is very short. So Dorian expressed the wish that the portrait might age and not himself. This wish come true and, when he abandons his life-companion and she kills herself, on the portrait appear the signs of cruelty. Dorian hides it. In the meanwhile, Dorian devotes himself to the exploration of the pleasure thanks to a Lord Henry's book: he stimulates his senses with perfumes, jewelsbut this behaviour causes the ruin of the young man. Dorian disappears into parts of London because he has caused a lot of damages but his face is as pure and innocent as never, while the portrait became more and more repugnant. Hallward asks Dorian if it's true that he has caused a lot of damages, so Dorian shows him his portrait and then he murders him because he feels him responsible of all this. After 18 years, the brother of the woman who kills herself for Dorian's sake, asks revenge but he is killed in an accident. Dorian feels tormented, so he tries to destroy the portrait. His servants find a repugnant old man died, with a knife in his chest and a beautiful portrait near him.

Wilde is Dorian Gray himself. Lord Henry Wotton is Walter Pater (the teacher of the cult of beauty) and the Picture represents the soul of the protagonist (it is the speech of the soul).

BIBLIOGRAFIA



Gian Biagio ConteEmilio Pianezzola Corso integrato di Letteratura Latina vol.4 L'età imperiale. Le Monnier 2004

Francesco Maria Feltri Maria Feltri Maria Manuela Bertazzoni I Giorni e le idee vol.2 . 2006 SEI

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